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09 ottobre 2006

L'Indonesia paga il suo debito al FMI e si lancia nella nuova era

Jakarta
L'Indonesia si prepara a rimborsare il suo debito verso il Fondo monetario internazionale per rispondere con una politica finanziaria drastica alla crisi che si è abbattuta sul mercato asiatico nei mesi di aprile e maggio. La grave speculazione dei fondi investimento bruciò in una sola giornata 200 milioni di dollari, molti listini chiusero in anticipo per evitare il collasso dei titoli iscritti e così anche dell'intera borsa asiatica.
Il crollo viene sfiorato ormai da decenni, e per tale motivo gli "investitori istituzionali" si mostrano sempre diffidenti nei confronti di mercati emergenti che non hanno trovato ancora una loro stabilità, o sono comunque sottoposti all'ingerenza di entità esterne sovranazionali sul governo. L'Indonesia, ultimo dei paesi asiatici colpiti dalla crisi del 1997/98, si libererà così delle prescrizioni politiche del FMI, che, nel momento in cui non sono state rispettate hanno portato poi al ritiro dei fondi stessi. Rimborseranno 3,5 miliardi di dollari dei 7,8 miliardi accumulati in questi anni, grazie all'eccedenza di valute derivante dalla bilancia commerciale attiva, anticipando così la scadenza nel 2010 in modo da ottenere un risparmio di 200 milioni di dollari di interessi e ridare una più grande autonomia al governo.

A partire dal 1997, quando il FMI ha approvato in favore dell'Indonesia un finanziamento di 7,3 miliardi di dollari, sono state imposte una serie di misure destinate a stabilizzare l'economia, come una politica monetaria e fiscale restrittiva, con particolare attenzione alla salute del settore bancario e del mercato borsistico. Le speculazioni sulla rupia aumentano, e così il governo decide di acconsentire ad ulteriori misure di ristrutturazione del settore bancario con maggiore liberalizzazioni per i pagamenti all'estero. Ciò nonostante il FMI taglia di 3 miliardi il finanziamento,per via del non rispetto dei parametri concordati precedentemente sui correttivi al sistema bancario. L'Indonesia firma così l'ennesimo memorandum, e il presidente della Banca Centrale dà le dimissioni nel maggio del 1998, ottenendo però un 1 miliardo di dollari, e una serie di accordi bilaterali con i creditori esteri. Su tale scia del governo continuano i finanziamenti, anche da parte del Giappone, che si arrestano nel momento in cui si interrompe la serie di riforme al sistema bancario, fino al punto che scoppia un grave scandalo di corruzione della Banca Bali che vede coinvolto anche il governatore della Banca Centrale. Così nel gennaio del 2000 il governo si impegna a mantenere un tasso di inflazione tra il 5% e l'11%, per ottenere un ulteriore finanziamento. Il resto è storia abbastanza conosciuta, perché la storia si è protratta barcamenandosi tra speculazioni e finanziamenti, sino a conoscere il crollo di questi anni e la paura che nei prossimi shock sarebbe stato un trauma irreparabile. La risposta di questo governo ha un perché molto profondo, forse è andato a intervenire su quella che tutti aspettavano come crisi asiatica del nuovo millennio.
Ormai nessuno crede ad una ripetizione della crisi asiatica, però il FMI non accetta la proclamazione dell' Indipendenza del Governo, nonostante i partner asiatici vicini abbiano visto questa decisione traumatica ma non nociva. Le agenzie di rating internazionale hanno compreso che è stata una decisione politica, prima di essere economica, in quanto l'ingerenza nel settore bancario o monetario ha le sue ripercussioni soprattutto sul lato della spesa sociale.

Il Governatore della Banca Centrale Indonesiana si dichiara soddisfatto, potendo ora operare con indipendenza senza la necessità di una supervisione, o della necessità di dismettere imprese pubbliche ai privati. Anche se, alcuni analisti sono convinti che non si riuscirà a migliorare la situazione e che i politici continueranno a seguire la politica economica fissata dagli standard del FMI.

La manovra ha comunque destato preoccupazioni tra gli investitori che paventano il rischio che i politici perdano di vista gli interessi speculativi, dando più peso al deficit di bilancio rispetto che alle fughe di capitali. Infatti una delle prime decisioni prese è stata quella di fermare la privatizzazione, punto chiave del programma FMI per risanare il bilancio senza per tenere conto delle scelte politiche, proponendo anche il riscatto delle azioni delle ditte importanti per la politica sociale. In questi anni è stato fatto inoltre un abuso della leva dei tassi di interesse per dare sicurezza ai mercati e togliere il panico provocato dalla crisi economica, derivante però dalle speculazioni petrolifere.
La risposta alla crisi in realtà viene dall'intera regione che ha intenzione di continuare a sviluppare la sua rete regionale di scambi bilaterali mediante il baratto e le compensazioni, in modo da utilizzare le reciproche risorse, che fungerebbero da finanziamento alle importazioni, e difenderebbero la loro moneta in quanto eviterebbero il movimento di valute tra gli stati e dunque una loro svalutazione in caso di eccesso di offerta.La nuova strada che si apre all'Indonesia una realtà soprattutto di cooperazione regionale, al di fuori dei sistemi del FMI, in quanto il rimborso anticipato non elimina del tutto il rischio che il problema si ripresenti.

Questa può essere un'ipotesi giusta, se si pensa all'esperienza in Sud America, in cui l'Argentina è riuscita a pagare il proprio debito e ha poi cominciato ad intessere dei rapporti sempre più stretti con gli altri Stati Sudamericani con l'intenzione di creare un polo sia energetico che monetario. Molti hanno già accennato alla creazione di una borsa e di un mercato finanziario panasiatico, sulla scia della proposta di quella Europea. Occorrerà tuttavia tener conto dell'introduzione della moneta elettronica che trasformerà in bit le transazioni, e farà cambiare anche il contesto in cui avverranno i controlli, le limitazioni, gli embarghi finanziari. Se oggi si può pagare un debito e onorare il proprio creditore, domani ciò non basterà per rendere indipendente uno Stato, in quanto il sistema sarà virtuale e dunque invisibile. In Europa ciò che tiene insieme gli Stati non è il debito verso il FMI, né l'euro, ma è il sistema di leggi dell'Ue, che troverà il suo braccio esecutivo nel cervello che gestirà la Borsa Europea. Cambieranno gli strumenti, ma forse non l'esito se si incorrerà sempre nello sbaglio di delegare ad un cervello centrale il controllo di tutti i poteri degli Stati.