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29 aprile 2009

Balcani: prima della recessione arriva il FMI


La recessione pare sia giunta nell'Europa Orientale, ed in particolare nei Balcani Occidentali, preceduta dai prestiti condizionati e "obbligati" del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Bosnia, Serbia e Macedonia, in occasione della conferenza periodica a Washington della Banca Mondiale e del FMI, hanno continuato le loro trattative per ottenere fondi di finanziamento per le loro politiche di revisione di bilancio e per le riforme strutturali. Al contrario, l'Albania sembra il solo Paese dei Balcani Occidentali che non è stato colpito (ancora) dalla crisi economica.

La recessione pare sia giunta nell'Europa Orientale, ed in particolare nei Balcani Occidentali, preceduta dai prestiti condizionati e "obbligati" del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Per Paesi caratterizzati da un'economia di transizione, l'indebitamento è una condizione costante e patologica, tuttavia viene ulteriormente indotta dalle aspirazioni di integrazione, che ormai impongono la stabilità finanziaria e il riordino dei conti pubblici. Per i Paesi dei Balcani, che già escono da pochi anni dai conflitti e dalle trattative incostanti per la creazione di nuovi Stati democratici, questa crisi economica viene troppo presto rispetto al periodo di ripresa e di crescita, provocato dalla ricostruzione. La situazione economica della regione sembra sia "omogeneamente" di crisi, salvo alcuni casi di relativa sostenibilità e di successo degli investimenti diretti esteri. In generale, Croazia, Macedonia, Bosnia insieme a Serbia e Montenegro stanno attraversando un periodo di forte rallentamento, insieme poi all'Albania che difende più alacremente il suo tasso di crescita economica, pur dovendo osservare un rigido regime di risparmio e di taglio degli sprechi. Per tre Paesi della ex Jugoslavia sono già iniziati i negoziati con il Fondo Monetario Internazionale, mentre la Croazia ha fatto ricorso a forme di prestito intermedie, prima di adire le istituzioni internazionali, ben sapendo che il suo basso rating le darebbe accesso a crediti ad alto costo.

Dunque, Bosnia, Serbia e Macedonia, in occasione della conferenza periodica a Washington della Banca Mondiale e del FMI, hanno continuato le loro trattative per ottenere fondi di finanziamento per le loro politiche di revisione di bilancio e per le riforme strutturali. Per tali Paesi vengono negoziati i cosiddetti accordi stand-by, meccanismi istituiti nel 1952 attraverso il quale un Paese membro può avere accesso ad un finanziamento fino ad un determinato importo (di regola pari o multiplo alla quota detenuta nel fondo stesso) per superare delle difficoltà a breve termine o congiunturali della bilancia dei pagamenti. I pagamenti di rimborso sono cadenzati periodicamente su base trimestrale, e la loro concessione è subordinata al rispetto di alcuni criteri di prestazione, come gli obiettivi di bilancio e la politica monetaria. Criteri che, in linea teorica, permettono sia al Paese beneficiario che al FMI di valutare lo Stato di avanzamento delle politiche, segnalando la necessità di ulteriori politiche correttive. Occorre osservare, però, che negli ultimi anni gli accordi stand-by sono divenuti una consuetudine di cui si è fatto abuso, dando così al FMI il potere di stabilire non solo le soglie di sostenibilità dei bilanci, ma anche di entrare nel merito delle voci di spesa da tagliare: nei fatti, grazie a questi accordi, il Fondo ha un potere sovranazionale, che gli permette di controllare la politica economica degli Stati che ad esso si rivolgono.

Al momento, a chiedere in maniera insistente un aiuto del FMI è la Bosnia, che sta negoziando la ratifica dell'accordo stand-by con la revisione del bilancio, per ridurre un disavanzo di 696 milioni di KM, considerando che le riforme anti-recessione adottate all'inizio del mese di marzo sono state inefficaci e inapplicate, limitandosi solo a destinare il fondo di successione di 170 milioni di KM per coprire le numerose lacune di bilancio. Secondo il Ministro delle Finanze della Bosnia Erzegovina, Dragan Vrankic, membro del team di negoziazione con il FMI, ha affermato che il bilancio del 2009, registrerà una perdita di circa 810 milioni di euro. Il capo della missione del FMI, Costas Christou, tuttavia, ha subito precisato che l'aiuto finanziario che il Fondo potrà garantire è pari ad un massimo di 400 milioni per quest'anno, ed altri 400 milioni del prossimo anno, in relazione alla quota detenuta nel Fondo. Altri fondi saranno stanziati dalla BERS e dalla BEI, per circa 1,5 miliardi di KM che andrà a copire il 40 per cento del fabbisogno di bilancio, mentre la parte restante dovrà essere utilizzato per riforme sistemiche.

La situazione della Bosnia è un caso assai peculiare, in quanto il debito deriva principalmente dalla Federazione bosniaca, considerando che l'entità serba può contare su un avanzo di bilancio e su un sistema bancario che gode di fonti di risparmio. La revisione dovrebbe essere finanziata per circa 50 milioni di KM, accantonati attraverso i capitali delle istituzioni nazionali e del distretto di Brcko, con tagli alle spese di circa 500 milioni di KM (250 milioni di euro) mentre i restanti 146 milioni di KM, saranno forniti attraverso i risparmi della Republika Srpska. Ad ogni modo, il Governo di Banjaluka lamenta proprio il fatto che il debito del FMI andrà a gravare su tutto lo Stato, nonostante sia contratto solo da una parte di esso, visto che tale credito non può essere assegnato ad una sola entità. Così la Federazione della BiH si ricorda di essere parte di un unico Stato solo in momenti di ristrettezza economica, facendo così appello anche ai risparmi della RS, mentre normalmente si guarda bene dal parlare di integrazione politica ed economica con l'entità serba. Purtroppo le cifre sono molto chiare: se la produzione industriale nella Federazione continua a ridursi, con gravi problemi di rallentamento nelle industrie, di disoccupazione e di difficoltà a far girare l'economia, in Republika Srpska la produzione è aumentata, con buoni risultati nel'industria della trasformazione, dell'energia e del gas, nonché nel settore minerario. Secondo le stime dell'Agenzia di collocamento della FBiH, 550 persone sono state vittima di fallimento, liquidazione, di ristrutturazione o di privatizzazione, 5387 sono stati licenziate perchè in esubero, mentre 4842 sono stati impiegati per un periodo limitato, mentre 7.492 persone attendono l'indennità di disoccupazione.

Accanto alla Bosnia, vi è la Repubblica di Macedonia, che chiede un sostegno del Fondo Monetario Internazionale (FMI), per acquisire nuove risorse dall'estero per fermare la svalutazione del dinaro macedone, a causa della drastica riduzione delle riserve in valuta estera. La Banca Popolare della Macedonia ha chiesto al Governo di intraprendere, nel più breve tempo possibile, delle trattative, al fine di preservare la posizione finanziaria macedone e la stabilità del tasso di cambio del dinaro macedone. D'altro canto, le statistiche evidenziano che il settore produttivo macedone ha subito un calo pari a circa l’11% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, in particolar modo nell’industria del legno, con un record del 64,5%, seguita poi dalla produzione di metalli di base (61,6%) e tessile (27,9%). Secondo gli esperti, questi dati potrebbero essere un grave segnale di recessione, che possono alterare le recenti misure anti-recessione preparate dal Governo di Skopje, volte soprattutto a ridurre le spese della pubblica amministrazione e a creare opportunità si sviluppo delle imprese; un programma solo in parte accolto con favore dalla comunità imprenditoriale, che vede nel piano di Gruevski una forma di protezionismo a difesa di pochi e particolari gruppi di interesse economico.

La Serbia, da parte sua, non ha fatto altro che battere cassa presso le istituzioni finanziarie internazionali , a cominciare dalla Comunità europea, a cui Belgrado ha chiesto un finanziamento a fondo perduto, convertendo i fondi di preadesione, destinati al bilancio dello Stato come strumento di assistenza alle riforme strutturali. I fondi per il 2009 sono pari a 182.5 milioni di euro, inseriti nel programma di pre-adesione IPA e di sostegno macrofinanziario. Altri fondi sono giunti dalla Banca mondiale per 300 milioni di euro, un prestito che si sommerà al precedente, con un totale di 900 milioni di euro, e andrà in parte stanziato per la costruzione del Corridoio 10, e per progetti nella sanità e nelle amministrazioni locali. Per quanto riguarda i negoziati con il FMI, la Serbia ha chiesto circa 3 miliardi di euro, con un nuovo accordo che andrà a sostituire quello precedente. Si tratta ovviamente di un accordo stand-by, condizionato a varie riforme e misure da attuare. Tra le condizioni del Fondo Monetario Internazionale è stato posto il congelamento dei salari e delle pensioni nei prossimi 18 mesi, con un risparmio nel bilancio da 20 a 30 miliardi di dinari. Allo stesso tempo, chiede la revisione del bilancio, per sostenere il mercato finanziario, il settore bancario e colmare il deficit pubblico. La revisione di bilancio prevede tagli alla spesa pubblica per 49,9 miliardi di dinari, 28,9 miliardi di dinari in spese connesse alla pubblica amministrazione, per ridurre così un disavanzo di bilancio salito a 70,5 miliardi di dinari, il che è pari a 2,3% del PIL. Secondo il FMI, tali misure sono necessarie, soprattutto in considerazione del fatto che la crescita dell'economia sarà nel 2009 pari al 2%, mentre arriverà nel 2010 a crescita zero.

Tra i Paesi che non hanno chiesto il supporto delle istituzioni finanziarie vi sono la Croazia, il Montenegro e l'Albania. Di questi, la Croazia è quella che potrebbe averne una maggiore necessità, visto che, stando alle stime ufficiali, la sua economia è già in recessione, mentre il deficit pubblico è in grande aumento, richiedendo ulteriori manovre correttive al bilancio. Ciononostante, Zagabria afferma di non aver bisogno di un prestito con il FMI, e che la moneta locale non si indebolirà grazie ai provvedimenti della Banca centrale a favore della flessibilizzazione della politica monetaria. La Croazia annuncia che emetterà eurobond per un valore di 750 milioni di euro nel mese di maggio, e che stando alle prime indicazioni tale operazione avrà sicuramente successo. Tuttavia la Croazia dimentica di dire che ha subito una continua riduzione del rating internazionale, compromettendo così la sua possibilità di accedere a fondi di finanziamento a basso costo, ragion per cui il risanamento del bilancio e la rivalutazione della sua posizione all'interno dei mercati finanziari sono passi obbligati prima di chiedere ulteriori prestiti all'estero. Per il momento, in aiuto della Croazia è accorsa la Banca europea per gli investimenti (BEI) che ha annunciato che non taglierà i fondi alla Banca croata per la Ricostruzione e lo Sviluppo (HBOR), dopo aver concesso già un prestito del valore di 250 milioni di euro. La Bers conferma un ulteriore prestito per la HBOR, del valore di 100 milioni di euro, mentre la BEI prevede di investire 400-500 milioni di euro in Croazia, soprattutto nella piccola e media imprenditoria, nonché nelle infrastrutture per i trasporti e nei progetti di efficienza energetica.

La situazione economica croata ha la sua immagine speculare nel Montenegro: entrambe economie basate sul turismo e il settore immobiliare, entrambe in crisi. La produzione industriale in Montenegro è diminuita del 13,6 %, mentre l'industria di trasformazione ha realizzato una minore produzione di circa il 34 %. La crisi economica mondiale ha colpito di più le esportazioni (già modeste ), in particolar modo quelle dell'alluminio, ridotte di circa il 40 %, mentre la copertura delle importazioni con le esportazioni è stata solo del 22,53%. Il problema della crisi industriale sembra aver totalmente bloccato il Montenegro, che ora sembra attraversare una grande fase di impasse e di imbarazzo, in quanto, dopo aver fallito nel settore della "speculazione" e della privatizzazione, cerca di vendere a nuovi "furbi" investitori, passando così da un creditore all'altro, e non ipotizzando ancora nessuna forma di ristrutturazione economica o istituzionale. Dopo i russi, le trattative partono con sceicchi, emiri e sultani, nel tentativo di portare sulle coste montenegrine capitali freschi, senza passare per delle forme di indebitamento troppo "ufficiali". Inoltre, nonostante lo stato dell'economia, Podgorica ha presentato la propria candidatura, nel pieno entusiasmo di Bruxelles che, in questo caso ( e a differenza di quanto fatto per Albania, Croazia e Serbia) non ha posto nessuna evidente obiezione.

Infine, abbiamo la piccola Albania, il solo Paese dei Balcani Occidentali che non è stato colpito (ancora) dalla crisi economica. Questo dovuto, in parte, al fatto che, una popolazione all'estero almeno pari a quella residente in Albania, invia rimesse e risparmi ai propri familiari in patria, compensando così il deficit della bilancia dei pagamenti e sostenendo il tenore di vita interno. Questa grande massa di risparmi riesce a sostenere il settore bancario, e così quello economico, colmando l'eventuale calo di apporti e di capitali dall'estero. Secondo gli esperti, tuttavia, la crisi economica globale ha toccato solo il settore dell`agricoltura, cominciando così a subire la concorrenza dei prodotti esteri e l'aumento della competitività che deriva dall'apertura delle frontiere. Per il resto, è difficile ora avere un quadro reale della situazione, considerando che l'Albania si sta preparando alle elezioni politiche, tra l'altro molto importanti per completare il processo di candidatura e di ingresso all'Unione Europea. In tale ottica va vista anche il progetto del nucleare a Scutari, nato sotto le mentite spoglie di un progetto regionale, e probabilmente sarà veicolo di propaganda o di futuri accordi con le potenze del nucleare europeo, come la Francia.

27 aprile 2009

Il lato oscuro dell'inganno del “dossier SIPA”


Il misterioso dossier dell'Agenzia di investigazione e sicurezza della Bosnia Erzegovina (SIPA) sul Premier della Republika Srpksa, Milorad Dodik, viene inaspettatamente pubblicato dai media bosniaci. Il reale annuncio dei contenuti del rapporto viene dalla TV BN, inducendo così i veri fautori dello scandalo a rendere pubblico il rapporto, per sottrarre ai serbi la possibilità di mettere fine alle pressioni nei confronti del Governo della RS. Nei fatti, questa relazione non è supportata da nessuna indagine della Procura nè contiene prove consistenti per condannare Dodik.

Il misterioso dossier dell'Agenzia di investigazione e sicurezza della Bosnia Erzegovina (SIPA) sul Premier della Republika Srpksa, Milorad Dodik, viene inaspettatamente pubblicato dai media bosniaci. Dell'esistenza di tale relazione sui presunti reati di corruzione e associazione per delinquere commessi dal Premier Milorad Dodik e dai suoi collaboratori, è stato speculato dagli inquirenti e dai media per molto tempo, senza tuttavia spiegare in dettaglio i suoi contenuti. Ad un certo punto erano sorti dei fondati dubbi persino sulla consegna o meno di una reale denuncia a carico del Premier della RS presso la Procura della Bosnia Erzegovina. La situazione sembra sia giunta ad una svolta con un servizio di Zeljko Raljic(nella foto), presso la televisione BN (andato in onda con il telegiornale del giovedì sera), che ha annunciato di essere in possesso del rapporto SIPA. Pubblicamente vengono riportati nel servizio i primi contenuti di tale rapporto, con le cifre in riferimento alle violazioni del bilancio pubblico, nonché i nomi delle persone coinvolte. Il reportage della BN-TV descrive, in anteprima, i dettagli della relazione della SIPA con riferimento alle accuse di corruzione nella concessione di appalti per la costruzione di edifici pubblici e dell'autostrada della Republika Srpska (RS). Il giornalista, tuttavia, spiega chiaramente che tale rapporto non è supportato da una reale inchiesta della Procura, e quindi non dimostra l'esistenza di un fascicolo aperto a carico del Premier Dodik.

Il servizio della BN-TV sembra abbia colto pienamente nel segno, provocando il giorno dopo, la pubblicazione dell'intero rapporto da parte del "Centro per il giornalismo investigativo (CIN)" di Sarajevo, il quale afferma di essere entrato in possesso di una copia della relazione della SIPA, mai giunta sui media. La pubblicazione del rapporto avviene però di venerdì, proprio per non dare voce al giornalista della BN, per cercare di confondere le acque e per camuffare così la verità. Il CIN, finanziato dai cosiddetti democratici, pubblica la mattina seguente le famose pagine, in una disperata missione fatta di avventurismo, dilettantismo, un semplice lavoro di passacarte per far passare qualcosa che era stato già accuratamente preparato. I falchi Bianchi hanno abboccato alla trappola e, disperati al pensiero che qualcuno stava trattando sottobanco con il Governo della RS per smontare il bluff, hanno commesso il grande sbaglio di pubblicare un rapporto falso, dato per vero da certe strutture solo per accreditarlo. Per commettere tale errore grossolano, è evidente che qualcuno dei falchi bianchi è totalmente impazzito perché con il servizio di BN si metteva fine al gioco e alle pressioni sulla RS, evidenziando che questo rapporto è assolutamente inutile, una semplice trovata politica.

Prima di tutto il documento ha un vizio procedurale, perchè non esiste nessun fascicolo aperto nella Procura. Si tratta semplicemente di una relazione redatta con i documenti forniti dallo stesso Governo, come a dimostrare la sua correttezza, che spiegano le voci di spesa e di costi per la costruzione di opere pubbliche. Il documento, proposto in formato elettronico, riporta i reali dettagli dell'indagine, entrando nel merito di ogni singolo costo che è stato imputato alla costruzione del palazzo del Governo.
In particolare, esso fa riferimento agli appalti per la costruzione della sede amministrativa del governo della RS, con costi ritenuti eccessivi e gonfiati per poter sottrarre dei fondi dal bilancio pubblico. Viene contestato l'assegnazione dei contratti per la costruzione del tunnel autostradale , in quanto l'assegnatario viene ritenuto non idoneo rispetto alle condizioni della gara. Milorad Dodik viene definito il principale indagato, per abuso della sua posizione ufficiale e della sua autorità, preparando e proponendo l'adozione di decisioni che hanno permesso la conclusione di alcuni appalti. Accanto a lui, vengono inoltre pronunciati i nomi dei collaboratori sotto inchiesta, tra cui:
- Slobodan Stankovic, nominato dal Governo della RS a capo del Consiglio si sorveglianza, monitoraggio e la coordinamento dell'attività per la costruzione di autostrade della RS, direttore e fondatore della società "Integral Ingeneering" Laktasi, registrata presso il Registro del Tribunale di Banja Luka, il 6 agosto 1999;
- Mladen Lazedic, Direttore Generale della società pubblica "Putevi RS" di Banja Luka (nel periodo dal 2006 fino al 2007);
- Nedeljko Cubrilovic, Ministro dei Trasporti e Comunicazioni della RS nel periodo tra il 2006 e il 2007;
- Fatima Fatibegovic, Assessore per Urbanizzazione, Edilizia ed Ecologia a Banja Luka (nel periodo dal 2006 al 2007);
- Milenko Dakic, Vice Ministro della Pianificazione territoriale, architettura ed ecologia della RS (nel periodo dal 2006 al 2007);
- Dragan Kokanovic, Presidente del consiglio di amministrazione per il monitoraggio delle attività di costruzione di Radio e TV Station nella RS;
- Branko Dokic, Ministro dei Trasporti e delle comunicazioni della RS (dal 12 gennaio 2001 al 17 gennaio 2003); poi su decisione del governo della RS è stato nominato alla carica di Presidente del Consiglio per il monitoraggio e il coordinamento della costruzione della autostrade nella RS;
- Nemanja Vasic: nominato dal Governo alla carica di Direttore della Direzione per le strade della Repubblica ;
- Milenko Vracar: Ministro delle Finanze della RS (dal 12 gennaio 2001 al 30 giugno 2002);
- Simeun Vilendecic: Ministro delle Finanze nel Governo RS dall'11 luglio 2002;
- Aleksandar Djomic: Direttore dell'Istituto della RS CityPlanning, Ministro delle Finanze della RS dal novembre 2006.
- Miroslav Vujatovic: Direttore dell'Istitututo City Planning, durante gli anni 2002 e 2003.
- Dragan Davidovic: Direttore dell'azienda pubblica RTV RS di Banja Luka nel periodo dal 2003 al 2007;
- Slavica Stankovic: direttore e fondatore della società "Integra Inzinjering" di Banja Luka.

La relazione si riferisce alla costruzione della sede amministrativa del Governo della RS, dell'edificio della Radio-Televisione della Republika Srpska (RTRS), e di alcuni tratti della strada E 661 Gradiska - Banja Luka. Afferma che i funzionari statali, ed in particolare Dodik, abbiano manomesso le gare d'appalto abusando della proprio posizione o della propria autorità. Per dimostrare le loro accuse, gli investigatori hanno citato contratti e fatture. Affermano così che la Integral Engineering ha ottenuto il tender per la costruzione dell'autostrada nonostante non avesse fatto fronte alle condizioni richieste dall'appalto, nonché di aver fatturato un prezzo per la costruzione di due gallerie "notevolmente superiore al valore dei lavori a partire dalla base del preventivo del 2002". Gli investigatori accusano il Governo, così, di non aver potuto ricostruire il costo dell'opera dalla documentazione consegnata.
Un altro elemento su cui il rapporto si sofferma molto, è la costruzione della sede amministrativa del Governo della RS a Banja Luka, andando ad analizzare minuziosamente ogni singolo costo per la realizzazione degli uffici, e persino la selezione del mobilio degli uffici, acquistato presso una società italiana e scelto tra mobili di gran pregio. A tal proposito, il CIN afferma di aver contattato la società RA Mobili, di Milano, la quale pare abbia fornito un preventivo della fornitura al Governo della RS.

Per tutto il resto, la relazione non prova i reati di corruzione o di riciclaggio di cui è stato accusato il Governo, bensì getta dei sospetti e dei dubbi al giudizio dell'opinione pubblica. Alcune delle affermazioni - per stessa ammissione di CIN - non sono documentate, come le accuse di riciclaggio, il percorso del denaro che prova il reale abuso da parte del Governo. Per esempio la relazione afferma che Stankovic ha commesso reati di riciclaggio di denaro per un importo di 843,778.62 euro attraverso una società belga, ma questa affermazione non è dimostrata, motivando tale sospetto sulla base di una deduzione dalle imposte indirette. In effetti, tutta la merce comprata dal Governo è stata effettivamente ricevuta, ed ogni somma pare sia stata veramente usata per ogni piccolo dettaglio della struttura. D'altro canto, si costruisce uno scandalo per lunghi mesi sulla base di illeciti amministrativi, di una spesa eccessiva per comprare un divano o un tavolo, del superamento di un preventivo, quando poi casi del genere sono all'ordine del giorno presso qualsiasi pubblica amministrazione o Governo. Senza voler giustificare questa "prassi" delle amministrazioni, possiamo affermare che questo rapporto non dimostra nessun reato di associazione per delinquere o per corruzione.

Se proprio volessimo essere precisi o pignoli, potremmo citare altri casi simili che hanno avuto come protagoniste società americane. Si pensi all'Albania, dove la famosa autostrada che dovrebbe collegare Pristina a Tirana ( la Kalimash-Durres-Kukes) è stata costruita dall'americana Bechtel: il tratto Rreshen-Kalimash sembra dovrà costare 1,23 miliardi di euro, il doppio di quello annunciato pari a 620 milioni di euro. Non dimentichiamo poi l'operazione di riciclaggio di armi compiuto dall'americana AEY Inc, contractor del Pentagono, chiusa dagli Stati Uniti con la condanna del suo 22enne amministratore Efraim Diveroli , il quale è ora in libertà condizionata, e continua indisturbato la sua attività di commercio di armi, in nome e per conto di un'altra società, la "Ammoworks". Insomma, i Balcani, da questo punto di vista, forniscono molteplice materiale di discussione, dinanzi al quale molto spesso le autorità internazionali restano in silenzio e lasciano correre. Nel caso della Republika Srpska, scoppia uno scandalo, alimentato da Transparency International e da certi esponenti della Comunità Internazionale, come lo stesso statunitense Raffi Gregorian, che non perde occasione per sferrare la sua sentenza di colpevolezza contro i serbi. Il diplomatico americano sembra avere molto a cuore la "trasparenza" dell'amministrazione pubblica, ma dimentica gli illeciti compiuti nei Balcani in medesime occasioni dal Paese a cui appartiene.

E' comunque evidente che chi ha dato quel rapporto, ha voluto bleffare un'altra volta, mostrando tanti numeri come se fosse lo scoop del secolo. Peccato che il bluff non ha funzionato, perché il rapporto non avrà un seguito, ed ora che questo ridicolo rapporto è uscito ne vedremo delle belle, perché qualche testa sicuramente cadrà. Chi ha architettato questa sceneggiata è la famosa volpe al di là dell'Atlantico, impazzita letteralmente per il fatto che un giornalista della RS ha fatto un servizio di 6 minuti, raccontando per filo e per segno cifre e dettagli del rapporto che era stato gelosamente custodito per fare il bluff. I serbi sono così riusciti con un po' di coraggio a buttare giù il muro di ricatti, riuscendo per primi ad arrivare a informazioni confidenziali, tanto discusse. Adesso c'è da chiedersi come mai la BN sia arrivata a trovare queste informazioni per prima, mentre gli altri un giorno dopo. È chiaro che, in base al quel servizio, qualcuno ha capito che i serbi erano riusciti ad ottenere il rapporto, senza che nessuno se ne fosse accorto. La volpe bianca ora è in seria difficoltà, visto che piccoli uomini sono riusciti in qualche modo a provare che nulla è impossibile e che non solo Transparency International ha le sue fonti anonime, anche gli altri le possono avere.

24 aprile 2009

La Fiat vicina alla riconversione industriale?


Il braccio di ferro per raggiungere un accordo strategico tra il gigante automobilistico americano Crysler e l'incrollabile Fiat sembra abbia avuto una svolta. La società italiana è pronta a lanciare la Topolino con un motore ibrido rivoluzionario. Ci si chiede se questa "piccola arma strategica" sarà realizzata - come preannunciato per il modello base - in Serbia o resterà in Italia.

Il braccio di ferro per raggiungere un accordo strategico tra il gigante automobilistico americano Crysler e l'incrollabile Fiat sembra abbia avuto una svolta. La società italiana, oltre ad avere in questo frangente un maggior potere contrattuale e stabilità strutturale, svela la sua carta vincente, un progetto "segreto" che potrebbe dare un decisivo impulso alla ripresa di un settore sulla soglia del fallimento. Si tratta della nuova citycar, la Topolino (lo stesso nome della storica auto italiana degli anni '30 - nella foto) che porta dentro di sé un motore elettrico ibrido, straordinariamente rivoluzionario perché miniaturizzato ed estremamente efficiente. La tecnologia italiana ha infatti portato alla creazione di un motore elettrico, con batterie di nuova generazione a litio e con la possibilità di ricaricarsi mediante una presa di corrente domestica. Un gioiello dalle dimensioni ridotte che tuttavia troverebbe larga applicazione su qualsiasi macchina, dunque anche auto di grandi dimensioni e prestazioni, tra l'altro tanto care agli americani. La versatilità di tale sistema miniaturizzato rappresenta il vantaggio competitivo Fiat rispetto a competitor come Toyota e Honda, che hanno realizzato sino ad oggi degli ibridi molto efficienti, ma costosi e poco pratici per le città ( ulteriori dettagli su Quattroruote ).

Il caso della Topolino ibrida ci incuriosisce in particolar modo anche per il suo possibile impatto sul mercato italiano - sia per un ritorno di immagine che di ripresa economica per gli stabilimenti "sofferenti" Fiat - nonché su quello dei Balcani. Non è un mistero, infatti, che il modello base della piccola-auto della Fiat dovrebbe essere prodotto "esclusivamente" negli stabilimenti della Zastava di Kragujevac (in Serbia), preferiti a quelli della Polonia e di Termini Imerese, come ipotizzato in un primo momento. Lo stabilimento serbo è stato preferito sia a causa della mancata firma di un accordo di supporto da 1,3 miliardi di euro in termini di contributi statali e regionali, sia dalla ratifica dell'accordo con Zastava per la realizzazione di una cooperazione strategica che facesse perno su una joint-venture con capitale a maggioranza Fiat. Tale accordo ha portato con sé l'approvazione da parte del Governo di Belgrado di una serie di incentivi e agevolazioni fiscali, come fondi per la rottamazione delle auto vecchie, la creazione di una zona franca per importare materie prime e semilavorati senza dazi e accordi di riesportazione verso il mercato europeo. La Serbia darà inoltre accesso al mercato dell'Est nonché a quello russo, essendo l'unico paese europeo ad avere un accordo di libero scambio con la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e dunque con la Russia. Occorre inoltre considerare che il mercato serbo offre una manodopera mediamente specializzata ad un costo che è tra i più bassi d'Europa, essendo un'area ancora fuori dalla zona euro, e godendo di un regime monetario relativamente conveniente.

C'è da chiedersi, dunque, se l'arma segreta italiana per la conquista americana sarà prodotta in Serbia, anche nel suo modello ibrido. Una eventualità che darebbe a questa joint-venture italo-serba una particolare rilevanza, in quanto in essa si potrebbe concentrare la produzione di un modello sperimentale, di cui la stessa Zastava potrebbe beneficiare in termini di know-how e di ritorno di immagine. Tuttavia, i sindacati italiani sembrano agguerriti più che mai, in quanto hanno già chiesto che si muovano le prime pressioni da parte del Governo italiano e degli amministratori locali affinchè il nuovo modello vada a colmare la situazione di crisi che si percepisce all'interno degli stabilimenti italiani, decimati dalla cassa integrazione e dalle ferie forzate. Probabilmente la Fiat avrà dinanzi a sé la scelta obbligata di trasferire la produzione ( o solo l'assemblaggio) in Serbia, al fine di arrivare a costruire un'auto che abbia un costo competitivo.

A pensarci bene, il lancio di un motore ibrido, con una tecnologia così complessa potrebbe andare a sostenere comunque l'industria automobilistica italiana che, a questo punto, subirà una trasformazione inevitabile: gli stabilimenti dell'assemblaggio potrebbero essere ben presto eliminati, e convertiti in centri di produzione di componenti e motori di alta tecnologia. L'Italia è destinata a divenire - come giusto che sia - il centro per la progettazione e la realizzazione di prodotti e merci di pregiata tecnologia, da riesportare verso i mercati dell'est nonché verso il mercato statunitense. Da questo punto di vista, il Governo e gli stessi sindacati dovrebbero scegliere una strategia meno miope e di lungo termine, che porti a sfruttare i vantaggi della vicinanza di economie emergenti e la maggiore specializzazione della manodopera italiana, la quale deve uscire dagli stereotipi di "operaio" per divenire "artigiano". Dovrà anche terminare quella logica di pressioni e di assistenzialismo dello Stato, il quale deve sostenere la riconversione industriale non la sopravvivenza di entità anti-economiche.

23 aprile 2009

Nuovi attriti tra Nato e Russia


La Russia invia un ultimatum alla NATO: se non saranno annullate le manovre in Georgia, la Russia rifiuterà di riprendere i contatti militari con la NATO. Infatti è già stata disdetta, la riunione del Consiglio NATO-Russia prevista per il 7 maggio, ma la cancellazione di questo incontro potrebbe non essere l'unica misura.

Dovrebbero svolgersi in Georgia dal 6 maggio al 1 giugno le manovre militari “Cooperative Longbow 09” e “Cooperative Lancer 09” sotto l'egida della NATO nell’ambito del programma "Partenariato per la Pace". Secondo le previsioni saranno 19 i paesi che parteciperanno alle manovre, e non saranno solo i membri della NATO. Durante tutto questo periodo circa 1300 militari stazioneranno nella base di Vaziani, 20 chilometri ad est di Tbilisi. La NATO ha affermato che le armi e le attrezzature militari non saranno utilizzate anche nella parte delle manovre da campo. I rapporti tra la Russia e la NATO, rottisi dopo la guerra in Ossezia del Sud, hanno iniziato a stabilizzarsi nel mese di marzo di quest’anno, quando i ministri degli esteri della NATO hanno preso la decisione di principio sulla ripresa dei lavori del Consiglio Russia-NATO entro l’estate del 2009. La prima riunione del Consigio a livello ministeriale dovrebbe aver luogo proprio alla fine di maggio o all’inizio di giugno. Però, la notizia di queste manovre militari ha scontentato fortemente la Russia.

Il Presidente Dmitry Medvedev ha dichiarato che “il formato delle manovre non contribuisce alla ripresa della cooperazione tra l'Alleanza e Mosca, ma, invece,rischia di complicarle”. In tal modo la Russia ha mandato un ultimatum alla NATO: se non saranno annullate le manovre in Georgia, la Russia rifiuterà di riprendere i contatti militari con la NATO. E’ già stata disdetta, così, la riunione del Consiglio NATO-Russia, che avrebbe dovuto vedere la partecipazione dei capi di stato maggiore, prevista per il 7 maggio. La cancellazione di questo incontro potrebbe non essere l'unica misura. Anche il transito delle merci militari in Afghanistan e la realizzazione delle attività congiunte, sia a livello politico che militare, sono messe a repentaglio. Tuttavia, l'incontro degli ambasciatori previsto per il 29 aprile avverrà. Ora la Russia è in attesa della reazione del comando supremo della NATO in seguito alla posizione assunta in merito alle manovre in Georgia.

Mosca ritiene, infatti, che le manovre di questo tipo sono nient’altro che una provocazione e anche una dimostrazione di forza inutile, e, inoltre, si svolgeranno in una regione dove c’e’ già molta tensione. La presenza di più di mille soldati occidentali vicino alla frontiera con l'Ossezia del Sud potrebbe spingere Saakashvili ad intraprendere azioni militari. Basti ricordare che anche alla vigilia della guerra d’agosto nel 2008 si sono svolte le manovre della NATO in Georgia. La Georgia non ha alcuna intenzione di cessare la pratica delle manovre congiunte con la NATO, e, in realtà, vorebbe anche elevare il loro livello. Il Presidente dell’Abkhazia Sergei Bagapsh ha dichiarato che per l'inizio delle manovre le frontiere della repubblica saranno rafforzate ulteriormente e protette insieme con la Russia. Nel frattempo, il Kazakistan, la Lettonia e l’Estonia hanno rifiutato di partecipare nelle manovre in territorio georgiano. Astana ha motivato ufficiosamente la sua decisione con l'intenzione di non complicare le relazioni con Mosca. Riga e Tallinn si sono astenute,invece, dal rilasciare commenti.

Rinascita Balcanica

22 aprile 2009

Il parere della CIJ cambierà il Kosovo?


Serbia e Kosovo hanno presentato, lo scorso 17 aprile, le loro argomentazioni relative al processo che si terrà dinanzi alla Corte di Giustizia Internazionale de L'Aja (ICJ) sulla legittimità della dichiarazione di indipendenza unilaterale del Governo provvisorio di Pristina dalla Serbia. Su tale procedimento dell'alta Corte incombe una grande responsabilità, visto l'impatto che l'esito del giudizio avrà su tutti gli altri casi di secessione unilaterale, che a distanza di anni sono ancora controversi e problematici. A parte questo, però, per il Kosovo in sé per sé difficilmente cambierà qualcosa, visto che entrambe le parti ritengono che la decisione della Corte non è destinata a mutare la realtà dei fatti.

Serbia e Kosovo hanno presentato, lo scorso 17 aprile, le loro argomentazioni relative al processo che si terrà dinanzi alla Corte di Giustizia Internazionale de L'Aja (ICJ) sulla legittimità della dichiarazione di indipendenza unilaterale del Governo provvisorio di Pristina dalla Serbia. I quindici giudici della corte delle Nazioni Unite, in base allo Statuto della Corte, avranno due anni per rispondere alla domanda posta dalla Serbia, lo scorso ottobre, dinanzi all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, di esaminare la proclamazione dell'indipendenza dal punto di vista del diritto internazionale. Più precisamente, la Corte di Giustizia Internazionale non dovrà affrontare la legittimità o meno dell'indipendenza del Kosovo, bensì se la proclamazione unilaterale dell'indipendenza da parte degli organi provvisori di autoregolamentazione del Kosovo , sia coerente con le norme del diritto internazionale. La squadra legale serba cerca di concentrare il procedimento non sul "merito" della questione, discutendo della legalità o meno, ma sulla sua "forma" dell'atto, e dunque se esso sia viziato dalla non conformità con le norme internazionali .

Alcuni avvocati avevano proposto di cambiare la formula e chiedere a L'Aia di rispondere sulla legittimità del riconoscimento, da parte degli Stati delle Nazioni Unite, dell'indipendenza del Kosovo, in conformità del diritto internazionale e risoluzioni delle Nazioni Unite. Belgrado ha preferito escluderla, ritenendo che tale procedura avrebbe richiesto troppo tempo, perché avrebbe dovuto analizzare separatamente il motivo per cui ogni Stato ha riconosciuto il Kosovo. La Serbia ha presentato una relazione e una documentazione con 83 documenti, raccolti in due libri con più di 1000 pagine di argomenti sull'origine della crisi del Kosovo, con la quale si cerca di dimostrare che il governo di Pristina ha violato il diritto internazionale e il principio di integrità territoriale, uno dei principi fondamentali delle Nazioni Unite, nonché la risoluzione 1244 in base alla quale il Kosovo e Metohija fosse parte della Serbia, turbando il regime del governo ad interim che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva introdotto per garantire pace e sicurezza, nell'attesa di raggiungere un accordo per una possibile autonomia della provincia.

Ad ogni modo, non si può nascondere che su tale procedimento dell'alta Corte incombe una grande responsabilità, visto l'impatto che l'esito del giudizio avrà su tutti gli altri casi di secessione unilaterale, che a distanza di anni sono ancora controversi e problematici. Da questo punto di vista, si deve ammettere che la decisione della Corte delle Nazioni Unite, al di là del caso in specie, avrà una risonanza a livello mondiale e potrebbe rivelarsi un decisivo precedente da applicare ad altre fattispecie, già fonti di destabilizzazione regionale. Il Kosovo attualmente rimette in discussione altri Stati a metà riconosciuti, in parte non riconosciuta o auto-riconosciuti, come Taiwan, Transnistria, Repubblica turca di Cipro del Nord (TRNC), Abkhazia, Ossezia del Sud e Tamil Tamil Eelam ( Stato indipendente de facto, nel nord-est dello Sri Lanka). Taiwan è il caso più vicino al Kosovo, riconosciuto da 22 Stati ma osteggiato dalla Cina (di qui l'importanza della sua presenza al processo), mentre TRNC è stato riconosciuto solo dalla Turchia, mentre Abkhazia e Ossezia del Sud da Russia e Nicaragua. Ovviamente, il problema di estendere il riconoscimento internazionale al Kosovo e poi Taiwan, si avverte anche per tutti quei movimenti che sono potenzialmente "separatisti", che covano il disagio e il malessere economico di ciascun Paese.

A parte questo, però, per il Kosovo in sé per sé difficilmente cambierà qualcosa, visto che entrambe le parti ritengono che la decisione della Corte non è destinata a mutare la realtà dei fatti. Hashim Thaci, in qualità di Primo Ministro, ha dichiarato che "la decisione, qualunque essa sia, non farà né caldo né freddo", perché il Kosovo è già indipendente, "questo è tutto". Allo stesso tempo il capo della diplomazia serba,Vuk Jeremic, afferma che anche se il Kosovo ottenesse la legittimità dell’indipendenza dalla Corte de L'Aja, la Serbia non riconoscerà mai lo Stato di Pristina. Afferma inoltre che "è molto difficile stabilire la connessione con uno scenario così ipotetico, poiché le nostre aspettative sono che il tribunale decida sulla base del diritto internazionale, e la nostra convinzione forte è che le istituzioni temporanee di auto-governo hanno violato il diritto internazionale". Nonostante Belgrado si faccia forte delle sue convinzioni, ammette che qualsiasi cosa accadrà, "la Serbia non riconoscerà il Kosovo in nessuna circostanza, qualunque essa sia, mai e poi mai". Se all'inizio si era detta disposta ad accettare ogni decisione, adesso qualcosa cambia, rivelando anche una sorta di debolezza diplomatica, in quanto si dice pronta a disattendere un parere che essa stessa ha chiesto.

Al momento, sono circa 18 gli Stati, tra quelli che hanno riconosciuto il Kosovo, ad aver presentato un loro parere al processo, nonchè altri 15, tra quelli che non lo hanno riconosciuto. Tra questi vi è anche la Cina, la cui presenza rende questo dibattito ai vertici giuridici a livello internazionale un evento storico, e la Russia, il più forte sostenitore di Belgrado e dell'inviolabilità del territorio serbo. Accanto a tali giganti vi sono Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia, dove le idee separatiste delle minoranze nazionali sono sempre in agitazione e pronte a riemergere periodicamente, ragion per cui sono stati finora restii a riconoscere l'ex provincia serba. Poi vi sono India, Indonesia, Brasile ed Iran che non intendono riconoscere il Kosovo, oltre a Vaticano, Libia, Argentina, Israele, Egitto, Georgia, Moldavia, Azerbaigian, Tagikistan, Uzbekistan, Ucraina e Sud Africa, per un totale di 44 Stati che hanno votato contro l'indipendenza del Kosovo. Dall'altra parte ci sono 58 Stati che hanno riconosciuto il Kosovo, tra cui 22 Paesi europei, gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita, ma vi è anche un intero sistema (quello della Comunità Internazionale) che si è mosso in soccorso dei kosovari all'indomani del crollo della Jugoslavia. La Corte de L'Aja, tra le tante possibilità, potrebbe prendere una decisione "diplomatica", che non stravolga la posizione del Kosovo e non crei nessun precedente, precisando che ogni conclusione in merito alla questione sollevata dalla Serbia, riguarda solo questo caso in particolare, e nessun altro. Potrebbe così mettersi al riparo da ogni altra rivendicazione, e dallo stesso ribaltamento dello status del Kosovo all'interno della regione.

21 aprile 2009

Il Nord Stream sempre più un gasdotto europeo


La Finlandia ha espresso un ‘tiepido’ sostegno per Mosca , garantendo una decisione per la risoluzione del problema ecologico entro la fine dell'anno. Il sostegno di Helsinki potrebbe aprire uno spiraglio per l'approvazione dello studio di fattibilità entro la fine dell'anno, nonostante la forte opposizione dei Paesi del Baltico, che temono per i rischi ambientali della conduttura. Intanto Nord Stream AG., il consorzio internazionale che realizzerà il progetto, potrebbe avere come nuovo partner la francese Gaz de France, affiancandosi ad azionisti olandesi e tedeschi.

La Russia potrebbe a breve chiudere la partita diplomatica con il Paesi del Baltico per la realizzazione del gasdotto Nord Stream, progetto che sta divenendo più europeo che mai. Questo rappresenta lo scopo di fondo della due giorni istituzionale del Presidente russo Dmitri Medvedev in Finlandia, discutendo con il suo omologo finlandese, Tarja Halonen, le priorità dell'accordo energetico ed economico tra i due Paesi, focalizzando i colloqui sul gasdotto del Nord. Questo che dovrebbe attraversare i fondali del Mar Baltico collegando il porto russo di Vyborg al porto tedesco di Greifswald, con una conduttura di 1200 km e una capacità produttiva annua di 27,5 miliardi di metri cubi, la cui costruzione dovrebbe cominciare nel 2010; il secondo tratto dovrebbe essere pronto entro il 2012, e consentirà di trasportare una quantità pari a 55 miliardi di metri cubi. Le trattative finali con i Paesi le cui acque territoriali saranno attraversate dalla conduttura, hanno subito un brusco arresto in relazione all'impatto ambientale dell'impianto - come il caso di Finlandia, Estonia e Svezia - o alle ricadute politiche, in particolare per la Polonia, che sarebbe nei fatti aggirata con la relativa perdita delle royalties per il transito del gasdotto.

Deboli aperture sembrano profilarsi con la Finlandia, che ha espresso un ‘tiepido’ sostegno per Mosca , garantendo una decisione per la risoluzione del problema ecologico entro la fine dell'anno, come riportano AFP/LETA. "Per noi finlandesi, questo è un problema ecologico . Se la conduttura può essere costruita nel rispetto della natura, allora sarà un'ottima cosa", afferma Halonen, anticipando che la relazione sull'impatto ambientale del progetto sarà pubblicato alla fine di giugno o all'inizio di luglio, dopodiché il consorzio Nord Stream potrebbe richiedere l'autorizzazione del Governo finlandese e il permesso delle autorità della Finlandia occidentale. Medvedev, da parte sua, ha accolto con favore l'approccio positivo della Finlandia, nell'ottica che il progetto dell'oleodotto del Nord ha come scopo essenziale quello di migliorare la sicurezza energetica dell'Unione Europea. Secondo i media russi, dietro l'arretramento della Finlandia vi potrebbe essere la proposta del Cremlino di concedere migliori condizioni per l'esportazione di legname, materia prima essenziale le l'industria finlandese di trasformazione di legno e carta. Ricordiamo che società finlandesi come Stora Enso e UPM-Kymmene per anni hanno importato legno russo a buon mercato, sino al 2006, quando la Russia ha introdotto gradualmente maggiori restrizioni, fino ad imporre dazi sulle esportazioni di legname. La decisione ha avuto un forte impatto sulla produzione e un successivo calo della domanda interna, conseguenze che potrebbero acuirsi il prossimo anno, quando le tasse sulle esportazioni di legname grezzo dalla Russia dovrebbe raddoppiare per raggiungere il 20%. Il Primo Ministro russo, Vladimir Putin, ha già concordato, tuttavia, lo scorso ottobre, con il suo omologo Matti Vanhanen il blocco della crescita dei dazi per 9-12 mesi, dando così tempo ad Helsinki di elaborare bene la questione. Dunque, un provvedimento nato per stimolare l'industria del legno russa per contrastare i concorrenti stranieri, si è inaspettatamente tradotta in una leva di negoziazione a favore del Nord Stream.

Lo sviluppo del progetto ha aperto anche un fronte dalla Lettonia che propone la possibilità di costruire una pipeline sul suo territorio, connettendosi così alla conduttura del Nord di Gazprom e dando a Riga la possibilità di trarre un vantaggio commerciale dalla cooperazione russa. Il Presidente lettone Valdis Zatlers afferma infatti che, se l'oleodotto avrà una deviazione sulla terraferma, la Lettonia era in grado di offrire un sito di stoccaggio per il gas, in alternativa alla costruzione subacquea in un tratto di mare molto critico. Zatlers ha infatti osservato che i rischi ambientali connessi ad un gasdotto sotto il Mar Baltico sono elevati, perché, a differenza del Mare del Nord, non vi è un ricambio dell'acqua, tale che nei fatti può essere considerato un lago. Allo stesso tempo avverte che la Lettonia potrebbe rifiutare il suo consenso, anche se tutti i problemi ambientali legati alla posa delle condotte verranno affrontati. La rigida posizione della Lettonia, potrebbe, in questo frangente rafforzare anche le posizioni di Svezia ed Estonia, entrambe alacri avversari del progetto russo. D'altro canto, la Germania rappresenta lo Stato maggiormente favorevole, chiedendo come alternativa la creazione di gasdotti attraverso l'Ucraina e la Bielorussia. Da questo punto di vista, il gasdotto baltico, potrebbe divenire un progetto fortemente europeo. Il gestore del progetto è la Nord Stream AG., società registrata in Svizzera, il cui 51% è controllato dalla Gazprom, insieme poi alle tedesche Wintershall e E. ON Ruhrgas (20% ciascuno) e l'olandese Gasunie (9%), mentre si fa sempre più reale un ingresso della francese Gaz de France. Infatti, la tedesca E. ON Energia intende ridurre la sua partecipazione al progetto Nord Stream, in favore dei francesi, cedendo il 4,5% della quota, mentre non è da escludere che GDF possa acquisire una quota maggiore. La sua adesione darebbe al progetto ancor più credibilità agli occhi dell'Unione Europea, principale referente della Russia nell'implementazione di progetti che implicano un rapporto di approvvigionamento di gas al mercato europeo.

La tacita rivalità tra il progetto europeo del Nabucco e il Sud Stream russo ha creato all'interno dell'Unione Europa una sorta di avversione nei confronti di opere infrastrutturali che implicano una certa dipendenza dalle fonti russe. La Germania e l'Italia sono state forti sostenitrici delle cooperazioni con la Russia, sino ad ottenere la riduzione del budget per i progetti energetici di matrice europea. L'influenza russa potrebbe essere ancora più incisiva, all'indomani della proposta di riscrivere la Carta dell'Energia, ampliando l'elenco dei partecipanti e i settori regolamentati, come riportato dai media russi. Il presidente russo ha infatti promesso, durante la sua visita in Finlandia, "che i partner del G8, del G20 e del CSI, nonché i paesi vicini" presenteranno "un documento di base con riferimento alle questioni di cooperazione internazionale nel settore energetico, comprese le proposte per gli accordi sul transito ". La novità del documento risiede, inoltre, nell'ampliamento dell'elenco delle risorse energetiche, inserendo oltre al petrolio e il gas, il combustibile nucleare, l'elettricità e il carbone. La Russia prevede inoltre di ampliare l'elenco dei paesi, che dovrebbe includere i principali attori del mercato energetico, compresi gli Stati Uniti, Canada, Cina, India e Norvegia, accentrando il regolamento sullo scambio e la ripartizione delle risorse, nonché sulla risoluzione dei conflitti e la responsabilità dei paesi di transito. La Russia infatti sottolinea proprio la necessità di implementare un meccanismo efficace di sanzioni, che possono indurre ogni Stato ad evitare ogni possibile tentativo per bloccare il transito del gas. Su tale tema l'Unione Europea sembra ancora molto divisa, perché il settore energetico resta ancora sotto la giurisdizione dei singoli Paesi e non della Commissione europea, con una parziale ingerenza solo per i progetti sovranazionali. Per il resto, l'Unione Europea ha mostrato la sua grande miopia ed inadeguatezza nel rispondere alle crisi energetiche, da mettere a rischio la stabilità economica di tutta la regione.

20 aprile 2009

Le crisi dell'est per la tratta degli schiavi


Il Presidente romeno Traian Basescu rilancia la sfida diplomatica e annuncia l'assegnazione della cittadinanza romena, e dunque europea, per un milione di cittadini moldovi. Da parte sua, l'Unione Europea non ha commentato tale decisione. Un silenzio che vale come "assenso", o comunque come volontà a non voler entrare nel merito della questione "moldova", onde non mostrare a viso aperto la sua posizione su quanto stia accadendo.

All'indomani della rivolta di Chisinau e gli evidenti contrasti tra Moldova e Romania, il Presidente romeno Traian Basescu rilancia la sfida diplomatica e annuncia l'assegnazione della cittadinanza romena per un milione di cittadini moldovi. Una quantità che da sola copre quasi un quarto della popolazione totale moldova, e apre nuovi scenari di ampliamento europeo che elude, nei fatti, ogni processo di integrazione. La cittadinanza romena, e dunque europea, verrà concessa, con procedure snelle e velocizzate, prevedendo sino ad un massimo di cinque mesi per la concessione di un passaporto romeno a tutti i moldavi che hanno avuto un parente, fino al terzo grado, con cittadinanza romena. Da parte sua, l'Unione Europea non ha commentato tale decisione , ma si limita ad affermare che invierà delle missioni che accertino le violazione dei diritti umani contestati da Bucarest in seguito alle misure delle autorità moldove per sedare gli atti vandalici dei manifestanti a Chisinau.

Il silenzio di Bruxelles vale come "assenso", o comunque come volontà a non voler entrare nel merito della questione "moldova", onde non mostrare a viso aperto la sua posizione su quanto stia accadendo. L'Unione Europea, al momento, si è già pronunciata a favore dell'integrità della Moldavia ( si veda Risoluzione del Parlamento europeo sulla Moldova P6_TA(2006)0455 ) condannando il tentativo della Transnistria di ottenere l'indipendenza. Al contrario, la Federazione russa si è mostrata più aperta all'indipendenza di Chisinau, aprendo così una breccia a proprio favore tra l'Ucraina e la Romania. Tuttavia, in questi ultimi mesi, Mosca ha guidato i negoziati per la risoluzione del conflitto transnistriano, mostrando la sua correttezza verso l'impegno al mantenimento della pace. La troika diplomatica non sembra essere approdata a grandi risultati, tale che le parti restano arroccate sulle loro posizioni: mentre Chisinau offre la fine del conflitto, la smilitarizzazione e il ripristino dell' integrità territoriale della Moldavia entro i confini del 1990 con uno status speciale giuridico per la Transnistria, Tiraspol vuole un riconoscimento della loro indipendenza. Ovviamente, sia l'Unione Europea che la Russia, non possono schierarsi apertamente su tale questione, visti i contrasti esistenti - ed ancora irrisolti - sull'indipendenza unilaterale del Kosovo.

Vista la grande instabilità della regione, i disordini di Chisinau erano prevedibili, dietro i quali non è certo che vi sia solo la Romania, in quanto vi può essere anche l'Europa o la Russia. Secondo il quotidiano russo Kommersant, il potere politico di Chisinau potrebbe propendere di più per l'Europa, in quanto la "scelta europea" gli offre una migliore possibilità di preservare l'integrità dello Stato, rispetto a Mosca nel ruolo di intermediario. Inoltre Chisinau è cosciente del fatto che solo Bruxelles possiede le leve di pressione politiche e finanziarie su Bucarest. Il piano a lungo termine sarebbe quello di divenire un membro dell'area economica e giuridica dell'Europa utilizzando una via di comunicazione diretta, senza l'aiuto della Romania. Un piano, però, che rischia di rimanere solo un'idea, vista la mossa di Basescu di dare ai Moldavi la possibilità di entrare in Europa senza passare per Chisinau. Così la situazione si fa sempre più tesa, in quanto i grandi stanno sempre più zitti e lasciano parlare i vassalli, perché non hanno avuto il coraggio di ammettere di aver dato loro l'ok alla Romania. La Comunità Europea conferma dunque la sua natura di organismo politico al soldo degli interessi privati o delle forze diplomatiche che agiscono nelle retrovie.

È chiaro che la distribuzione di un milione di passaporti romeni creerà nuova manodopera da immettere sul mercato europeo, e colmare quelle falle create dal crollo del capitalismo. Ciò in considerazione del fatto che i romeni si sono già offerti sul mercato polacco per lavorare a basso costo nelle aziende polacche, facendo così anche loro il grande business delle tratte degli schiavi. Un domani, occorrerà poi decidere se i criminali saranno moldavi o romeni , e se i lavoratori saranno moldavi o romeni. Anche manovrare le crisi nell'Est rappresenta un crimine occulto volto ad ottenere dei benefici a favore della ricca Europa occidentale, così come fomentare queste crisi o non intervenire affatto, e la stessa propaganda della "integrazione europea" promessa e ancora non attuata. Conosciamo i Paesi dell'Europa dell'Est, tra cui i Balcani, solo per i crimini di guerra, per i processi de L'Aja o le stragi, senza mai capire davvero le implicazioni del dramma delle migrazioni, dell'isolamento dal resto del continente, della trappola della criminalità organizzata finanziata anche da strutture occidentali. Gli stessi burocrati europei dovrebbero vivere una sola settimana in questi Paesi per capire i disastri di una rivoluzione o di una guerra civile voluta per portare la democrazia. La Romania è ormai in recessione ed è sull'orlo della crisi economica e sociale, mentre la Moldavia è il Paese più povero del continente europeo. L'Europa, per questi Paesi, non è quel che credevano. Se i politici hanno cominciato a farneticare e promettere milioni di passaporti ad un esercito di disperati, è perché davvero non esiste un'alternativa, e di tutti i protocolli siglati è rimasto un semplice pugno di parole.

16 aprile 2009

La rivoluzione dell'informazione digitale in Rete


L'intreccio tra politica, affari ed editoria, e il futuro dei giornali nel libro di Marco Marsili, "La Rivoluzione dell'informazione digitale in rete". Un testo che analizza dettagliatamente il panorama dell’editoria italiana, accusandolo di essere immobile da decenni, arroccato a difesa di interessi economici e di potere e di privilegi di casta, che sono la causa del suo declino e del continuo calo di fiducia da parte dei lettori. E', dunque, un chiaro messaggio su come Internet sta cambiando il modo di fare giornalismo.

La straordinaria rivoluzione di Internet ha modificato profondamente i canoni classici della comunicazione e del giornalismo, azzerando completamente le conoscenze acquisite, segnando un cambiamento epocale. La produzione di notizie non è più riservata a una casta di giornalisti, ma si è aperta a chiunque possieda un computer e abbia accesso alla Rete; il blog è diventato uno strumento di comunicazione di massa. Il lettore non è più un soggetto passivo.

Sono le tematiche che hanno investito il mondo della stampa e dell'informazione, alle quali cerca di dare una risposta Marco Marsili nel suo libro "La rivoluzione dell'informazione digitale in Rete" (Odoya, Bologna, 2009, pp. 384, 20 euro), direttore responsabile della Voce d'Italia e professore di teorie e tecniche del linguaggio giornalistico del corso di laurea in Scienze della comunicazione presso la Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell'Università degli Studi dell'Insubria. La prefazione è di Gianpiero Gamaleri (professore ordinario di sociliologia dei mezzi di comunicazione di massa presso l'Università di Roma 3, ed ex consigliere di amministrazione della Rai), e la postfazione è di Massimo Esposti (caporedattore centrale del Sole 24 Ore, e responsabile del coordinamento cartaceo-online).

Marsili analizza dettagliatamente il panorama dell’editoria italiana, accusandolo di essere immobile da decenni, arroccato a difesa di interessi economici e di potere e di privilegi di casta, che sono la causa del suo declino e del continuo calo di fiducia da parte dei lettori.

L’informazione sta cambiando, non solo come processo ma anche come industria. In quali forme il giornalismo – in particolare il buon giornalismo – sopravviverà in un mondo di contenuti gratuiti è forse una delle questioni più complesse del momento. Come sta cambiando il giornalismo con la Rete? Chi sopravviverà a questa rivoluzione digitale? Quali gruppi editoriali sono destinati a diventare le vittime di Internet? A queste domande cerca di dare una risposta "La rivoluzione dell'informazione digitale in Rete".

Leggi la scheda sul libro e ordinalo online

15 aprile 2009

La “non rivoluzione” georgiana


La rivoluzione georgiana ha subito una drastica battuta di arresto, facendo svanire piano piano le previsioni del "colpo di stato" democratico. L’opposizione sembra aver cambiato la sua tattica, imponendo il blocco della residenza del presidente Mikhail Saakashvili a Tbilisi, ventiquattr'ore su ventiquattro. Un'azione che potrebbe cambiare radicalmente la natura del conflitto civile georgiano, passando così ad un metodo di pressione morale.

Quello che è accaduto finora a Tbilisi non sembra una vera rivoluzione. Le manifestazioni dell'opposizione raccolgono meno persone del previsto. Gli esperti hanno individuato tre ragioni principali alla base di questo. In primo luogo, non è ancora passato lo choc dopo la guerra d’agosto, e la gente teme una nuova destabilizzazione, mentre i carri armati russi sono situati a distanza di 35 chilometri da Tbilisi, a Leningori. In secondo luogo, fa insolitamente freddo per il mese d’aprile, a Tbilisi non si ricorda un tempo come questo da 40 anni. La terza ragione è l' impopolarità di alcuni leader dell'opposizione tra l’elettorato che protesta. Si tratta dell’ex-presidente del Parlamento georgiano Nino Burdgianadze e dell’ex premier Zurab Nogaideli.

L’opposizione georgiana ha cambiato la sua tattica, con la decisione di imporre il blocco della residenza del presidente Mikhail Saakashvili a Tbilisi, ventiquattr'ore su ventiquattro. Questa azione, già definita illegale da parte del governo georgiano, può cambiare radicalmente la natura del conflitto civile georgiano. Anche nei giorni precedenti gli oppositori sono giunti davanti al "castello di satana" ed hanno lanciato carote e cavoli, scandendo il grido: "Vattene! Vattene!", ma senza restare per molto o cercare di penetrare dentro. Ora è stata presa la decisione di non lasciare la residenza – anche se la guardia di pubblica sicurezza minaccerà lo scioglimento forzoso del presidio. E’ stata predisposta anche un'altra novità. L'ex candidato presidenziale Levan Gaceciladze ha annunciato che l'opposizione intende passare ad un metodo di pressione morale.

Secondo lui, molti politici, noti scrittori, e personaggi pubblici sono pronti ad imitare l’esempio di suo fratello, il famoso cantante Gheorghiy Gaceciladze, che si rinchiuse in una stanza di 9 metri quadrati e disse che "non esco da questa camera, che somiglia alla Georgia, fino a quando Saakashvili si dimette da presidente". Levan Gaceciladze ha spiegato che molti sono disposti a rinchiudersi nelle gabbie che saranno installate sulle piazze e sulle strade. Tuttavia, la campagna della opposizione ha gia’ avuto effetto. Il capo del Parlamento georgiano David Bakradze ha presentato ieri un’iniziativa inattesa, invitando l'opposizione a creare il governo di coalizione. Ma gli oppositori hanno respinto subito la proposta. Parlando ieri ad una manifestazione presso la sede del Parlamento, il segretario generale del partito “Per la Georgia Unita” Eka Beselia ha dichiarato: “La nostra risposta è una sola - non lottiamo per i posti al governo. La nostra unica richiesta è la rassegnazione delle dimissioni di Mikhail Saakashvili, è una richiesta senza alternative”.

Rinascita Balcanica

10 aprile 2009

Caucaso e Balcani: i limiti dell'accordo USA-Russia


Come per i Balcani, anche nel Caucaso e nell'Europea orientale si cerca di fomentare una crisi per interessi politici, e dunque legati all'equilibrio della regione, oppure economici. In entrambi i casi, possiamo affermare che la situazione, con l'accentuarsi della recessione globale, è mutata e sono cambiati anche i ruoli di protagonisti o antagonisti. E' in queste terre di confine che emergono i grandi limiti dell'accordo tra Russia e America. Ma bisogna stare attenti a questi nuovi "sfollati atlantici" , in quanto i tempi sono cambiati e non si può certo attaccare a viso aperto una regione che sta per entrare nell'Unione Europea, o un territorio di influenza russa.

In quello che sta accadendo nel Caucaso c'è qualcosa di inquietante, che ricorda molto le rivoluzioni "colorate" volte a far arretrare l'influenza russa nelle ex repubbliche sovietiche. Tuttavia oggi, quei mezzi di manipolazione delle masse volte a destabilizzare i Governi, in nome della democrazia, non sembrano avere una deriva completamente occidentale. In primo luogo vi è la Georgia, Stato antagonista della Federazione russa, con contrasti che si sono spinti persino alla guerra e all'intervento armato. Dopo pochi mesi da quell'improvviso bombardamento, la posizione di incondizionata condanna nei confronti della Russia presso la Comunità Internazionale, gradualmente cambia, sino a constatare che Tbilisi ha attaccato per prima le truppe di pace russe. La figura di Saakashvili è stata gradualmente screditata, persino da quell'Occidente che lo aveva difeso ed armato, per poi lasciarlo solo al suo destino di rispondere dinanzi al proprio popolo.

Così, ciò che non è riuscito a fare la guerra, potrebbe farlo ora questo sollevamento di massa contro la guerra, protestando in migliaia dinanzi al palazzo del parlamento georgiano di Tbilisi per consegnare un semplice messaggio al Presidente georgiano Mikhail Saakashvili: "24 ore per lasciare il potere". "La società chiede che Mikhail Saakashvili rispetti la volontà del popolo. Questa è l'ultima possibilità per l'autorità, al di là delle sue ambizioni personali e di lavoro, di prendersi le proprie responsabilità e di lasciare il paese che si trova in una crisi estremamente grave - afferma il documento - Saakashvili dovrebbe consentire al popolo di sostituire il potere con mezzi costituzionali, per dimostrare al mondo di essere una nazione civile e dignitosa". L'opposizione ha così rinunciato al dialogo con il governo e ha promesso di andare fino in fondo. Chi difende questa protesta afferma che si tratta di una reazione "spontanea" per chiudere con i poteri che hanno legami con il comunismo, per dare origine ad un governo democratico. Tuttavia, non facciamoci ingannare da queste parole che richiamano la Guerra Fredda - che dovrebbe essere finita - e riflettiamo su chi veramente guadagnerebbe da un nuovo Governo. Potrebbero essere gli Stati Uniti, che scaricano così un vecchio alleato, come ha fatto con la Polonia ma anche con Iraq o Afghanistan. Tuttavia, potrebbe essere anche la Russia che, usando un linguaggio di controinformazione, parla di comunismo e si fa fautore di movimenti di liberazione per poter imporre nel Caucaso una influenza più forte. In questo modo metterebbe fine al conflitto in Ossezia del Sud e Abkhazia, e stabilizzerebbe la regione come proprio canale di transito per le proprie strade dell'energia.

Entrambe le ipotesi sono realistiche e anche contemporanee, come riflesso dell'accordo di non belligeranza firmato da Medvedev e Obama, oppure come prova dell'inesistenza di tale accordo, e l'inizio di un'altra rivoluzione colorata in Caucaso. Se applichiamo lo stesso ragionamento alle recenti proteste di Chisinau, che ha visto scontrarsi ancora il partito comunista e quello democratico, potremmo dare un senso anche ad un'altra possibile destabilizzazione nella regione ex sovietica. Tutti, al momento, hanno un interesse ad attribuire le agitazioni al cosiddetto "collegamento romeno", denunciato dallo stesso Presidente moldavo Vladimir Voronin, in quanto il nocciolo della questione ricadrebbe sulla questione bilaterale tra la Repubblica Moldova e la Romania. Secondo alcuni esperti, l'assalto al Parlamento ha messo fine ai negoziati tra Chisinau e la Transnistria, e così potrà portare al riconoscimento dell'indipendenza della Transnistria, come chiede da tempo la Russia. Mosca sta cercando di svolgere il ruolo di mediatore, ma ritiene che la striscia di terra al di là del fiume Dnestr sia uno Stato indipendente. Molto probabilmente, Bucarest non è direttamene coinvolta in questa rivolta "spontanea", come pure l'uso come scudo del partito comunista è solo un inganno, per sviare i reali fomentatori. Infatti, come fu allora per i Balcani, anche nel Caucaso e nell'Europea orientale si cerca di fomentare una crisi per interessi politici - e dunque legati all'equilibrio della regione - oppure economici. In entrambi i casi, possiamo affermare che la situazione, con l'accentuarsi della recessione globale, è mutata e sono cambiati anche i ruoli di protagonisti o antagonisti.

Oggi l'America di Obama è diventata sempre più arrogante e sta perdendo colpi, da tutte le parti e in qualsiasi settore, tanto da fare irritare parecchi politici, che ora la accusano per gli errori compiuti contro la Serbia e la Georgia. Una debolezza che si è mostrata anche con la vergognosa gaffe fatta nei confronti dell'Italia, offrendo un aiuto inferiore a quello della piccola Albania (50.000 dollari a fronte dei 50.000 euro di Tirana), e dando ancora meno al Governo albanese dopo l'esplosione del deposito di munizioni di Gerdec, nelle cui indagini è stato direttamente coinvolto il Pentagono. L'ambasciatore americano di Tirana ha così offerto solo mille euro alle vittime di Gerdec. Questo è solo un piccolo dettaglio, rispetto ai tentativi di infondere il sospetto che un imminente conflitto si possa abbattere nella regione, a partire dalla Bosnia e dalla Republika Srpska. Ed è proprio in questo Stato già politicamente instabile, che stanno cercando di destabilizzare l'equilibrio locale. Dopo la dichiarazione di Trasparency International contro il Governo sulla regolarità della vendita della raffineria di Brod Bosanski ad una società russa, cominciano a circolare anche strane indiscrezioni sulla possibile destituzione del Premier Milorad Dodik da parte dell'Ufficio OHR per la violazione degli Accordi di Dayton.

Quello di Transparency è un ulteriore tentativo di far crollare il Governo della Srpska, dopo la caduta nel silenzio del dossier "incompleto e inconsistente" redatto dalla SIPA, nonostante abbia fatto tanto rumore, rivelandosi nient'altro che un bluff. Un'operazione di sabotaggio che potrebbe avere un altro obiettivo, ossia anche quello di persuadere la Republika Srpska a firmare un gravoso accordo di finanziamento con in Fondo Monetario Internazionale, che ricadrebbe su tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina, nonostante serva solo per l'entità bosniaca (l'unica fortemente indebitata ed in recessione). Ovviamente, è necessario ricorrere a questi metodi subdoli di ricatto, considerando che le figure internazionali lì presenti non incutono poi così tanta paura; lo stesso Raffi Gregorian, piccolo feudatario del Distretto di Brcko, sembra essere stato abbandonato da Washington. L'America si sente così tanto isolata, da cercare in ogni modo di rientrare nella giostra balcanica, e persino gli inglesi vogliono un protettorato unico per i Balcani europei, consapevoli di aver perso terreno. Ma bisogna stare attenti a questi nuovi "sfollati atlantici" , in quanto i tempi sono cambiati e non si può certo attaccare a viso aperto una regione che sta per entrare nell'Unione Europea.

Per tale motivo, la Washington ufficiale gioca con diplomazia e cerca il suo riavvicinamento ai Balcani proprio dalla città che ha provocato ogni rottura, ossia Belgrado. Gli Stati Uniti sembrano mostrare una maggior apertura verso la Serbia, sostenendone l'integrazione nell'Unione Europea e cercando al più presto un incontro con la dirigenza serba. Allo stesso tempo, saluta con ottimismo il "road map" del Ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, per risolvere ogni questione pendente entro l'anno, ed avviare la liberalizzazione dei visti nel 2010. Tuttavia, se da una parte spinge l'Europa a prendere una posizione di guida nei Balcani, dall'altra cerca di mantenere fermi dei punti essenziali che fanno da leva per la destabilizzazione della regione, quali il Kosovo e la Bosnia: entrambi sono territori che Washington non lascerà mai. Lo stesso impegno per l'ingresso nella NATO di Croazia ed Albania, mostrano il chiaro obiettivo di avere il favore di questi Paesi per il dislocamento di nuove basi militari strategiche e l'istallazione di strutture di difesa.
Come avete potuto notare, dunque, se da una parte sono finiti i conflitti e le guerre, dall'altra sono cominciate le rivoluzioni colorate, i sabotaggi politici, e le manovre di "integrazione euro-atlantica controllata".

09 aprile 2009

L'oscurantismo della scienza ufficiale


Un direttore del Centro Nazionale di Ricerche aggredisce un semplice studioso di fenomeni sismici, senza fermarsi a capire quali siano i risultati delle sue ricerche portate avanti. Il caso Giuliani, alimentato dalla polemica sulla prevedibilità o meno dei terremoti, è il classico caso che ci conferma l'oscurantismo in cui continuiamo a vivere.

La storia si ripete. Come da sempre ormai, la comunità scientifica dei "professoroni" apre un dibattito sui metodi ufficiali della ricerca e della scienza. Il caso Giuliani, alimentato dalla polemica sulla prevedibilità o meno dei terremoti, è il classico caso che dimostra la grande estraneità della "noblesse" scientifica alla realtà, senza mai provare a mettersi in discussione e provare a verificare se una teoria sia falsa oppure vera, o verificabile con una seria sperimentazione. Che il Dottor Giampaolo Giuliani abbia ragione oppure meno, non cambia la realtà, ossia che lo snobismo della comunità scientifica è sempre la stessa, nonostante la storia abbia dimostrato che la ricerca è in continua evoluzione e non esiste una verità assoluta che non possa essere ridiscussa. Quando questo caso smetterà di far discutere, con il tempo e una volta che la tragedia sarà metabolizzata dagli italiani, possiamo assicurarvi che tutto resterà come prima, le telecamere si spegneranno e i professoroni continueranno a fare i loro seminari,i loro viaggi e i loro banchetti. Tali episodi ci lasciano sconcertati, in quanto è evidente che la scienza non esiste se sono pronti a vendere le anime della gente all'usura, perchè chi decide sulla ricerca o sull'apertura di una sperimentazione ha le chiavi del nostro progresso.

Vivendo nell'egoismo, parlando di scienza con tecnicismi a proprio piacere, solo per non far capire ad altri "le cose stupide" che dicono, e affrettandosi a spargere la voce che vi sono pazzi ciarlatani, non fanno altro che confermarci l'oscurantismo in cui continuiamo a vivere. Non occorre certamente essere un professorone per umiliare un semplice ricercatore, che lavora per lo Stato, semplicemente per non rispondere a dei seri interrogativi. Ma tutti noi possiamo sentirci in qualche modo umiliati da questa gente, superficiale e arrogante dinanzi anche le più assurde tragedie, che interviene solo per snocciolare perle di sapere e poi tornare ad addormentarsi sulle loro lucidissime scrivanie. Dinanzi a tanta indifferenza, possiamo recuperare un bagliore di speranza in chi, nonostante tutto, esce allo scoperto e ha il coraggio di dire qualcosa, sbagliata o giusta che sia: almeno spende la sua vita per dimostrare qualcosa, e non per proteggere un castello di carte e di menzogne. Un direttore del Centro Nazionale di Ricerche aggredisce un semplice studioso di fenomeni sismici, affermando che non esiste metodo per prevedere i terremoti, senza fermarsi a capire quali siano i risultati delle sue ricerche portate avanti in lunghi anni di osservazione ed elaborazione di dati statistici dei rilevamenti.

Non vogliamo né accreditare né screditare qualcuno, ma solo dire che questo mondo scientifico, fatto di falsi Baroni, di figli di ex ladri e schiavisti, non cambierà mai se non ci si ferma a rispondere ad una domanda, ad una qualsiasi provocazione. Il nocciolo della questione non è dare "falsi allarmi" alla popolazione e diffondere il panico, bensì la scelta di prendere in considerazione il lavoro svolto in un'aperta inchiesta, per capire cosa vi è di giusto o di sbagliato in una nuova teoria, e da lì partire per un suo perfezionamento. Si tratta dunque di sedersi ad un tavolo, e discutere con i dati alla mano, sulle teorie dedotte. Umiliare o deridere il proprio avversario è un atteggiamento da codardi, perché così non si fa altro che fuggire dinanzi al confronto. La scienza è un concetto creato dagli uomini per porre dei limiti e segnare un tracciato da seguire, per creare valore aggiunto di generazione in generazione. Al contrario, oggi vediamo delle persone che semplicemente si nascondono dietro la Comunità Scientifica, sostenendo teorie sulle quali non c'è neanche un accordo unanime. La discussione e il contraddittorio si creano spontaneamente se non si è ancora raggiunta una soluzione ad un problema. La tragedia dell'Abruzzo ha svelato così l'anima nera della scienza ufficiale, che non ha un'etica né rispetto per chiunque si adoperi per il bene della collettività, andando contro alle regole imposte "dalla certezza scientifica". In realtà non esiste alcuna certezza, ma solo controllo da parte di lobbies e circoli intellettuali, che privano di dignità ogni persona che tenti di rompere il muro di silenzio e cominciare una ricerca su diversi basi.

08 aprile 2009

La mole del Sistema Italia in Russia


È stata una vera missione epocale quella del "Sistema-Italia" in Russia: 500 aziende, 900 imprenditori, 12 gruppi bancari e 39 entità, tra associazioni industriali ed Enti, chiamati a rappresentare l'Italia nella missione in Russia fortemente voluta dal Governo, Ice, Confindustria e Abi. Vi sono stati più di 5000 incontri "business to business", che hanno portato alla firma di importanti contratti. Viene suggellata la cooperazione Eni-Gazprom nel settore del gas, mentre Finmeccanica, Enel e Maire Tecnimont ottengono accordi di investimento e commesse estere. (Foto: Putin al Forum Ecomico Russia-Italia )

È stata una vera missione epocale quella del "Sistema-Italia" in Russia, concepita proprio con lo scopo di portare a Mosca l'economia italiana in tutte sue sfumature, e dare un forte segnale al rischio della recessione. Al seguito di una delegazione istituzionale, seppur con la grande assenza del Premier Silvio Berlusconi, vi erano 500 aziende, 900 imprenditori, 12 gruppi bancari e 39 entità, tra associazioni industriali ed Enti, a rappresentare l'Italia nella missione in Russia fortemente voluta dal Governo, Ice, Confindustria e Abi. Il Ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ha guidato la delegazione imprenditoriale in assetto strategico per il rilancio economico del Paese; con lui Emma Marcegaglia, Presidente di Confindustria, Umberto Vattani, Presidente dell’Ice e Corrado Faissola, Presidente dell’Abi. Una missione di tale mole avrebbe meritato un grande spettacolo mediatico, ma avuto solo una marginale citazione da parte della carta stampata, a causa della tragedia dell'Abruzzo che ha offuscato l'imponenza del sistema economico italiano "in movimento", senza però smentire la grande capacità di slancio e di prontezza degli italiani dinanzi a qualsiasi situazione di difficoltà. L'assenza del Premier Berlusconi ha ricordato a tutti i presenti il motivo per cui il mondo e l'Italia si è fermata , nonostante la vita continui ad incredibili velocità, soprattutto in periodi come questi.

A rigor di cronaca, la 24sima missione di Ice-Confindustria-Abi (ma la più grande che sia stata mai realizzata) ha avuto un'agenda da task-force, con una prima tappa a Mosca, seminari e incontri d’affari tra aziende italiane e russe a San Pietroburgo, Krasnodar, Novosibirsk ed Ekaterinburg, capitale della Regione di Sverdlovsk, dove è prevista la visita della centrale elettrica controllata dall’Enel, per un totale di 5000 incontri "business to business" . Un percorso accelerato per focalizzare, in brevi istantanee di cinque seminari, le opportunità di investimento per aziende italiane e russe, gli strumenti finanziari e di sostegno pubblico all’internazionalizzazione e dello sviluppo del turismo; altri quattro workshop tematici saranno dedicati ai settori dei beni di consumo, della meccanica, dell’agroindustria e delle infrastrutture. La giornata di oggi ha avuto in primo piano il "Forum Economico Italia - Russia", durante il quale sono intervenuti il Ministro Claudio Scajola, Emma Marcegaglia, Corrado Faissola, il Segretario Generale della Farnesina, Giampiero Massolo e, per parte russa il Ministro delle Finanze, Alexei Kudrin e il Ministro dell’Industria e del Commercio, Viktor Khristenko, con la chiusura a margine di Vladimir Putin. Nel pomeriggio la delegazione di imprenditori è stata ricevuta al Cremlino dal Presidente Dmitri Medvedev, per poi continuare la pioggia di incontri business to business tra le aziende italiane e russe, per oltre 3.000 confronti tra le due realtà imprenditoriale. Sono stati protagonisti non solo i grandi gruppi, ma anche le piccole e medie imprese, che possono cooperare per lo sviluppo dei distretti industriali nelle Zone economiche speciali che la Russia ha istituito nel 2005, con l'opportunità di stabilire alleanze strategiche durature con partner russi e sfruttare appieno le enormi potenzialità di questo mercato, come affermato da Emma Marcegaglia. Notevole anche la presenza del sistema bancario italiano - da notare, uno dei più solidi a livello europeo e mondiale - con l’ampia partecipazione delle banche italiane presenti con dodici dei principali gruppi, che rappresentano il 75% dell’intero sistema, proprio a sottolineare la grande attrattività del mercato russo e l'interesse per nuovi scenari di investimento.

È difficile stimare con esattezza quanti e quali accordi o contratti di cooperazione siano stati firmati, molti dei quali hanno interessato imprese come Finmeccanica e Sukhoj, tra ENI, ENEL, e le principali società energetiche russe RAO/Ues, Rosneft, Transneft e Storytransgas. In particolare, Enipower, società elettrica di Eni, e Inter Rao Ues hanno firmato un accordo per analizzare progetti congiunti in Russia e Paesi terzi. Eni ha invece siglato con Rosneft un protocollo di collaborazione nei settori upstream e della raffinazione in Russia e all'estero, e una serie di accordi di collaborazione in Russia e all'estero con le principali società energetiche russe (Inter Rao Ues, Rosneft, Transneft e Stroytransgas) con riferimento a vari ambiti del settore energetico. Importante l'accordo di 4,2 miliardi di dollari raggiunto tra Eni e la russa Gazprom, la quale ha esercitato l'opzione per riacquistare il 20% di Gazprom Neft detenuta dalla società petrolifera italiana, guadagnando il 9% sulla somma pagata nell'aprile del 2007 per acquistarla. Sempre con riferimento alla russa Gazprom, Scajola ha annunciato che entro aprile verrà ratificato il contratto che prevede l'ingresso di Gazprom in Articrussia, detenuta dalla holding Severenergia con sede in Russia, controllata a sua volta da Enel (40%) ed Eni (60%) che si ridurranno così al 20 e al 30%. Gazprom potrebbe entrare, inoltre, in possesso di una quota del maxigiacimento Elephant (che ha una produzione di 140 mila barili al giorno), attualmente controllato in maniera paritetica al 50% dalla compagnia di Stato libica Noc, e al 50% dalla stessa Eni , mentre la società russa, in contropartita, darà la quota pari a un terzo del pozzo petrolifero nel deserto del Sahara. Tale accorso sembra essere stato rinviato ad un incontro congiunto tra Berlusconi e Medvedev, come pure l'intesa per l'ingresso di Gazprom in Artic Gas, la società in cui vi sono gli asset della ex Yukos. Con tale operazione si potrebbe mettere in discussione la posizione di Enel ed Eni, che al momento dell'acquisto degli asset ex Yukos hanno pagato circa 2 miliardi, il doppio di quanto dovrebbe pagare Gazprom per rilevare il 51% della holding.

Mosca e Roma collaboreranno nel campo dell'efficienza energetica e delle fonti energetiche rinnovabili, in conformità con il memorandum firmato dal Ministro russo dell'Energia Sergei Chmatko e il Ministro italiano dello Sviluppo Economico Claudio Scajola. Entrambi i paesi volgeranno i loro sforzi a migliorare l'efficienza energetica e l'uso di fonti rinnovabili di energia , progetti comuni di ricerca e di investimento in Russia, in Italia e in paesi terzi. La cooperazione verterà anche sullo scambio di informazioni e dati statistici, studi economici per creare metodi di ottimizzazione energetica, soprattutto con riferimento al settore del gas. In tale settore, l'Italia e la Russia sono strettamente legate nella realizzazione del gasdotto South Stream, il quale potrebbe essere rafforzato ampliando la capacità di trasporto da parte di Eni, a cui dovrebbe corrispondere una maggior offerta di gas da parte di Gazprom, fino a circa 47 miliardi di metri cubi di portata anziché dei 31 previsti inizialmente, con un incremento del 50%. Per il momento, tuttavia, la ratifica dell'accordo di start definitivo è stata rinviata al prossimo incontro tra Berlusconi e Medvedev. Secondo quanto riportato da Russia Today, l'Italia potrebbe avere una partecipazione del gasdotto Blue Stream che, inabissandosi nel Mar Nero, raggiunge la Turchia e poi la Grecia: i dirigenti delle società energetiche hanno così ipotizzato l'ampliamento della conduttura, che potrebbe giungere sino in Italia.

Ancora, Finmeccanica rafforza la sua presenza in Russia con due nuovi accordi nei settori della sicurezza e del segnalamento ferroviario, con la ratifica da parte del Gruppo di Guarguaglini l'acquisizione, attraverso la controllata Alenia Aeronautica, del 25% piu' un'azione della Sukhoi Civil Aircraft, che produce il Sukhoi Superjet 100. La Sistemi Integrati, sempre controllata di Finmeccanica, ha firmato un memorandum di intesa con due aziende del gruppo a controllo statale Russian Technologies, per la costituzione di un consorzio per la progettazione e la realizzazione di sistemi per la gestione della sicurezza di grandi eventi e la protezione di infrastrutture sensibili. Il Gruppo Maire Tecnimont ha firmato, presso il World Trade Center di Mosca, un contratto con Novy Urengoy Gas Chemical Complex (“NUGCC”), società controllata dal Gruppo Gazprom, per un investimento di 15 milioni di euro, con la fornitura di servizi di ingegneria di dettaglio e servizi tecnologici per l’ampliamento di un impianto di polietilene a bassa densità (LDPE) a Novy Urengoy (Siberia occidentale) sino a 400 mila tonnellate annue.

Per quanto riguarda il settore bancario, le banche italiane hanno messo a disposizione 3,7 miliardi di euro di plafond per le imprese che vogliono esportare o investire in Russia, come rileva l'Abi sottolineando che parte di esso è già stato utilizzato per progetti e iniziative nel mercato locale, mentre il 38% restante è disponibile per finanziare i nuovi progetti per il mercato russo. Il Gruppo Intesa Sanpaolo ha già annunciato la concessione alla Safwood, società che opera nel settore del legname e di prodotti derivati presente in Russia dal 1991, di due contratti di finanziamento per un importo complessivo di circa 80 milioni di euro - parte devoluto dal Governo locale con una quota qualificata del 25% e parte dal supporto di Simest e Sace - che sarà strumentale per la costruzione di un impianto per la produzione di pannelli in legno nella repubblica di Komi. Inoltre, ben 5 gruppi bancari hanno stipulato accordi di collaborazione con le principale banche russe, per assistere reciprocamente la clientela e agevolarne l'ingresso nei rispettivi circuiti finanziari. Ricordiamo che il Gruppo Intesa Sanpaolo e Unicredit , sono presenti già con una rete di 170 filiali, mentre Ubi banca, Banca Monte dei Paschi di Siena, Mediobanca, Unicredit e Banco Popolare sono presenti in Russia con sei uffici di rappresentanza, mentre Banca Carige ha un ufficio di mandato; Bnl, Cariparma e Friuladria operano nel mercato russo attraverso le filiali delle holding estere Bnp Paribas e Credit Agricole.

Questo potrebbe essere solo l'inizio di una lunga serie di investimenti garantiti dall'apertura del mercato russo alle PMI italiane, le quali potrebbero essere inseriti in programmi di investimento diretto all'interno delle zone economiche speciali russe, soprattutto in quelle dedicate ad alta tecnologia, come sottolineato dallo stesso Premier Vladimir Putin, ritenendo fondamentale lo sviluppo della cooperazione nelle piccole imprese. "Le autorità russe hanno intenzione di incoraggiare gli investimenti esteri - ha affermato Putin al Forum economico Russia-Italia, aggiungendo - "migliorare il clima imprenditoriale e il drenaggio degli investimenti diretti, in particolare, è una priorità per il governo russo. Vediamo questi sforzi come un fattore importante per la modernizzazione dell'economia nazionale e continuerà a perseguire una politica d'incoraggiamento degli investimenti esteri ". Il Premier Putin ha così ribadito il grande ruolo della cooperazione tra Russia e Italia, nella quale viene così posta la fiducia di condurre entrambi i Paesi e concepire il sistema impresa all'interno di uno spazio integrato senza confini, all'interno del quale l'aiuto reciproco detta le regole di nuovi scenari di forza e solidarietà.

06 aprile 2009

Le spie balcaniche dalle “facce pulite”


James Lion, analista americano per i Balcani, prevede una possibile guerra nel caso di una indipendenza della Republika Srpska dalla BiH, con gravissime conseguenze non solo per la Bosnia Erzegovina, ma anche per Croazia, Kosovo, Macedonia e Serbia. Egli ritiene che quest'anno sarà il più pericoloso per la sicurezza dell'Europa, e che questa guerra potrà essere fermata solo dall'America. Continua, dunque, lo scontro silenzioso tra Unione Europea e Stati Uniti d'America nel tentativo di consolidare la propria posizione all'interno dei Balcani come zona di influenza. Uno scontro che vuole essere solo in parte appianato dal Ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, il quale ha presentato a Praga un piano in otto punti per il "road map" dell'integrazione euro-atlantica dei Balcani Occidentali. ( Foto: Richard Holbrooke).

Abbiamo visto molti politici e diplomatici internazionali fare carriera attraverso le funzioni svolte nei Balcani, ma nessuno di loro è mai riuscito a sciogliere il nodo balcanico. Molti invece non hanno avuto nessuna promozione , ma allora perché i Balcani restano una meta che ai rappresentanti istituzionali piace così tanto? È quanto potrebbe chiedersi James Lion (nella foto), personaggio che vive già da 15 anni nei Balcani, e in particolare in Serbia, un paese che ha criticato in ogni suo aspetto, eppure ha sposato una donna serba e continua a viverci. Nel 2006 ha deciso di chiudere l'ufficio del Gruppo di crisi, dopodiché ha deciso di sposarsi nel 2007 e rimanere a Belgrado, un dettaglio della sua vita privata che non dovrebbe influenzare il suo ruolo come “esperto per i Balcani”. Da allora, il suo nome continua a rimanere sulla lista dei pagamenti internazionali per i rapporti sulla Serbia che invia dal suo appartamento privato. Sempre ricco di risorse e di informazioni raccolte su serbi, kosovari, musulmani - anche perché prima che arrivasse in Serbia è stato a Sarajevo - dopo oltre 15 anni di permanenza, è diventato una "biblioteca balcanica", un'ottima fonte per la Comunità Internazionale. James Lion, grande provocatore dei Balcani, dopo un lungo silenzio - forse perché ha capito quanto sia bello vivere in maniera tranquilla nei Balcani con sua moglie - si è risvegliato ed ha cominciato la sua politica diffamatoria.

La “cellula addormentata” ha ricominciato ad essere operativa e a provocare altre crisi balcaniche. Così, come affermato già in passato da prestigiosi quotidiani come il New York Times e l'Herald Tribune, i quali avevano annunciato un'imminente guerra nei Balcani, James Lion prevede uno scenario simile nel caso di una indipendenza della Republika Srpska dalla BiH. Le sue argomentazioni, che si basano, come da lui precisato, su fonti accreditate provenienti dalle intelligence americane, prevedono una possibile guerra nei Balcani con gravissime conseguenze non solo per la Bosnia Erzegovina, ma anche per Croazia, Kosovo, Macedonia e Serbia, durante la quale la RS verrà “distrutta” e cancellata. Egli ritiene che quest'anno sarà il più pericoloso per la sicurezza dell'Europa, e che questa guerra potrà essere fermata solo dall'America. Sembrano queste le parole dell'ex Alto Rappresentante Paddy Ashdown, che parla di un unico rappresentante per i Balcani, come quello ricoperto allora dall'inviato dell'amministrazione Clinton Holbrooke. Ma i tempi sono cambiati, e le vecchie "volpi" del passato non potranno mai capire i Balcani di oggi. Il ruolo che aveva Lion nei Balcani nella guerra e nella crisi ( divenendo così la propria vita) è ormai scomparso, e per motivi personali e frustrazioni di carriera non potrà mai accettare di essere un emarginato e che nessuno lo ascolterà più.
Ciò che ci incuriosisce, è sapere come è possibile che la Serbia ospita chi lavora contro lo Stato? Tanto è vero che Lion è stato espulso da Belgrado nel 2004, quando la polizia serba non ha voluto rinnovare il permesso di soggiorno. Subito dopo, ha così aperto il suo “affare privato” contro l'ex premier Zoran Zivkovic, il quale ha considerato "opportuno" accordargli un nuovo permesso di soggiorno.

I Balcani, considerati il ponte tra l'est e l'ovest, hanno il loro punto più debole nella BiH, essere il “luogo in cui Russia e Occidente stanno misurando le proprie forze”, come afferma lo stesso Lion. Con riferimento alla Bosnia di un anno fa, questi ha dichiarato che, nonostante vi fosse una situazione difficile, non si sarebbe verificata una nuova guerra, perché la Comunità Internazionale è troppo coinvolta e sicuramente non lascerà che tutto vada all'aria così facilmente. Le sue dichiarazioni sono ben diverse e totalmente in contraddizione, anche se resta interessante sapere chi trae un vantaggio dalla loro esistenza. Se gli Stati Uniti basano la loro politica estera sulle analisi e la rappresentanza di queste persone, allora devono preoccuparsi più per se stessi che per la pace nei Balcani. Ma Lion non si ferma a dei semplici consigli, e afferma che “esistono vari modi in cui i politici della RS potranno uscire da queste difficoltà con “la faccia pulita”, ma non vogliono fare questo passo oggi. Forse servirà ancora un po' di tempo affinchè questo accada”, continua Lion nel dare consigli. “Le facce” pulite di Lion non sono certo la sua maggiore preoccupazione, perché sa bene cosa le ha rovinate con la sua sporca politica balcanica, che non possono più essere cancellate.

Boza Spasic, esperto per la sicurezza in Serbia, conferma così che le dichiarazioni di Lion non sono serie. "Le sue previsioni si sono rivelate raramente vere. Lui abitava a Belgrado, e quattro o cinque anni fa mi disse che dopo poco sarebbe scoppiata la guerra nel Sangiaccato, ma ancora non è accaduto nulla, così io non ci credo a quello che dice su di una nuova guerra balcanica - afferma Spasic, continuando - le analisi di questo personaggio sono cominciate ad uscire quando si parlava di nuovo Alto Rappresentante della BiH. La RS voleva che si chiudesse l'ufficio dell'OHR, mentre è già stato scelto un nuovo rappresentante, e lui è diventato silenzioso”. Spasic non è l'unico a parlare in questi termini, anche Miroslav Lazanski e Dzevad Galijasevic, non credono ai rapporti di Lion. “Ma alle sue parole non crede nessuno. È un manipolatore che guadagna sul sangue, le lacrime e le tragedie dei popoli balcanici. Lui ha accusato la Serbia di aver venduto a Saddam Hussein le tecnologie della bomba atomica in un periodo in cui la Serbia non era capace di produrre nemmeno la ‘fiat 500’. Lion è un vecchio agente della CIA che non nasconde nemmeno il suo ruolo - afferma Lazanski - una volta ho parlato con lui e mi ha detto che lavorava per la CIA, ma conosciamo la vecchia legge ‘una volta nella CIA, sempre nella CIA’ ”. Ciò premesso, chissà chi potrà, dunque, credere alle dichiarazioni di Lion. I popoli balcanici, che hanno subito per anni simili giochi manipolatori, oggi non pensano certo alla guerra; alla guerra pensano coloro che da essa guadagnano, e vivono in un mondo apocalittico. Dello stesso parere anche il Premier della Republika Srpska, Milorad Dodik: “Devo dire che tre, quattro mesi fa, quel signore mi ha accusato e mi ha chiesto informazioni sulle concessioni per la costruzione di alcune centrali idroelettriche. Quando ha visto le procedure e i documenti da presentare, subito dopo ha cominciato a parlare contro la BiH in Europa”.

I dollari che brillano negli occhi di certi personaggi, non li ostacola certo nel dire tutte le falsità inventate nei loro laboratori di morte. Le disinformazioni contro i Paesi balcanici sono tante, così come le false verità, le statistiche, i rapporti “degli esperti” , i gruppi di opinione, oppure i gruppi di crisi, dove il loro unico compito è proprio ampliare i conflitti esistenti tra i popoli. E così, come una sfida per finire qualcosa che nessuno è riuscito a portare a termine e conquistare così le lodi e gli allori, gli “spioni balcanici” fanno della loro missione una "lotta della vita", per dimostrare di aver ricevuto il migliore addestramento presso la propria intelligence. Anni di lavoro, corsi di lingue, incontri nei bar e fonti segrete, non sono bastate però a capire i Balcani. Una cosa che non capiranno mai è che appena si scoprono dieci cose, ne usciranno altre cento che neanche ci si aspettava; questo perché gli stessi popoli balcanici molte volte non capiscono se stessi, e a maggior ragione non possono essere compresi da un americano. Tuttavia, fino a quando la CIA continuerà a finanziare gli “affari privati” a scapito delle vere questioni importanti, la Serbia non avrà successo e rimarrà sempre agli occhi del mondo, come luogo di massacri, genocidi, odi e scontri tra le etnie.

A tali manipolazioni, occorre aggiungere lo scontro silenzioso tra Unione Europea e Stati Uniti d'America nel tentativo di consolidare la propria posizione all'interno dei Balcani come zona di influenza. Uno scontro che vuole essere solo in parte appianato dal Ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, il quale ha presentato a Praga un piano in otto punti per il "road map" dell'integrazione euro-atlantica dei Balcani Occidentali. Un percorso ben scadenzato che promuove l'integrazione della Bosnia, oltre che un rafforzamento dei poteri dell'Alto Rappresentante della BiH e una loro trasformazione nel doppio ruolo di rappresentante della Commissione e del Consiglio Europeo entro giugno 2009, e offre all'Italia una posizione più efficace ed operativa. Vengono in esso specificati attentamente i termini per l'entrata in vigore del regime di liberalizzazione dei visti - onde evitare un mancato rispetto degli stessi - entro la fine del 2009 o l'inizio del 2010. Priorità avranno invece la Serbia, nei confronti della quale occorrerà sbloccare l'entrata in vigore del Trattato di Associazione e Stabilizzazione entro giugno oltre alla garanzia della piena cooperazione con il Tribunale dell'Aja, e la Repubblica di Macedonia, con lo sblocco della questione del nome. L'Italia propone l'elaborazione di un rapporto tecnico entro maggio per l' adesione del Montenegro nell'UE, mentre la Croazia potrà diventare membro entro il 2010. Il settimo punto riguarda il Kosovo, e in esso viene ribadito il principio della solidarietà, al fine di evitare il pericolo di iniziative unilaterali. Infine l'Italia chiede, nell'ottavo punto, un Vertice Ue-Balcani entro la prima metà del 2010. Sembrerebbe, dunque, che l'isterismo della "spia Balcanica" sia un vero e proprio grido dell'America per assumere il controllo della situazione dei Balcani, al posto della EU.
Anche se questa non rappresenta la vera linea politica di Barack Obama, è quello che stanno mettendo in pratica i burocrati ereditati dall'amministrazione Clinton, dinanzi all'esitazione dell'Unione Europea, alla quale piace fare sempre molte promesse, ma non mantenerle.