con il telone arancione, lo stesso usato per i mezzi NATO regolamentari
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06 novembre 2011
Forze NATO alla guida dei ribelli
con il telone arancione, lo stesso usato per i mezzi NATO regolamentari
20 ottobre 2011
L'epilogo di un'altra guerra umanitaria
01 ottobre 2011
I francesi nei Balcani: scalata ostile ai progetti energetici italiani
28 agosto 2011
La barbaria occidentale dei Petronazi
Ma niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza i giornalisti al seguito degli eserciti, che assistono e girano la testa dall'altra parte quando vedono cose che non devono vedere, leggendo quasi un copione. Un manipolo di personaggi che costituiscono un esercito di alcolizzati, cocainomani pedofili, giocatori d'azzardo, truffatori, violentatori, cronisti in cerca di storie che filmano l'ultimo secondo di vita di un lavoratore nero preso dai ribelli e fatto seviziare e massacrare. Ridono e inneggiano alla guerra civile.S ono loro infatti a creare il terrorismo, fomentando rancori con questi atti di barbaria, bombardando nazioni e cannibalizzando risorse, con una guerra senza regole. Gli assassini, i terroristi e i tiranni sono solo da una parte, e dall'altra vi sono vittime, ribelli e statisti, atti terroristici, effetti collaterali e missili da una parte, mentre bombe intelligenti dall'altra. A tutto questo noi assistiamo stando comodamente a casa, sbadigliando con una birra in mano, cambiando canale per vedere pallone, perchè stiamo bene.
Intanto si preparano già le rappresaglie per prendere il controllo delle risorse petrolifere, vedendo in prima fila il Presidente Nicola Sarkozy, che pur di vincere le elezioni non vede l'ora di annunciarsi assoluto fautore della rivolta libica, e chiedere l'esibizione di Gheddafi come un trofeo. Poi non vanno dimenticati i cosiddetti procuratori farsa dell'Aja, dei Comitati dell'Onu per i diritti umani, tutti pagati di tasca nostra, con stipendi di 8 mila dollari per fare fotocopie al Palazzo di vetro. Per mettere in atto i loro piani, hanno al proprio servizio un intero sistema su scala mondiale, che rifornisce loro mercenari, logistica e propaganda, e anche 'noi coglioni' che paghiamo le tasse. Da non sottovalutare il ruolo della politica di sottobosco, dei piccoli personaggi che assistono a questo massacro, e cercano di giustificare questa guerre con la democrazia. Ci rivolgiamo in particolare al Presidente Napolitano, che ignora con tanta disinvoltura il fatto che in Libia si sta compiendo un eccidio senza precedenti. Signor Presidente, non prova vergogna ad essere a capo di un esercito di contractor di mercenari al servizio dei petrodollari? Lei non rappresenta più l'Italia, ma il furto di 3.7 miliardi di euro. Nei Suoi lunghi monologhi sull'amor di patria e nel dispensare medaglie, parla di una grande nazione che ormai non esiste più. L'Italia è grande solo quando si deve pagare e allora vale la regola "sacrificio, democrazia, lotta alla mafia". Si è ormai schierato dalla parte degli interessi, dei capitali di borsa, insomma della carta straccia e dei petrodollari, tanto per intenderci. E' ormai parte integrante del sistema del club dei Petronazi, che ha fatto del petrolio un motore economico, una proprietà esclusiva dei comitati d'affari dei petrolieri, per poi pagare politici, associazioni, congreghe, terroristi, e tutta la schiera di mercenari che garantiscono lo status quo dei petrolieri.
La grande responsabilità di Napolitano è stata proprio quella di aver permesso che il Governo italiano venisse indebolito perchè non avesse alcun ruolo in caso di conflitti. Sicuramente con un governo forte l'Italia sarebbe stata più decisiva e più determinante, perchè avrebbe potuto organizzare una contro-resistenza basata sul dialogo con Bengasi.
E' pur vero che, pur essendo contraria alla guerra 'di principio', l'Italia non aveva altra scelta che uscire dalla NATO. Cosa di per sé assurda, soprattutto se si considera che a fronte di uomini, mezzi e basi militari, riceve stanziamenti 'senza fondo'. Il nostro esercito, d'altro canto, non è in grado di affrontare offensive e neanche difese, mentre non ci distinguiamo per mantenere i patti sottoscritti, per cui i nostri amici europei non si fidano molto. Sono infatti passati quei tempi in cui l'Italia era artefice della sua politica estera e spesso è stata determinante, a cominciare dall'era di Enrico Mattei sino al Governo Craxi. L'ENI, che allora era un vero e proprio "Stato ombra", agiva come una struttura aggressiva, la cui grandezza è stata riconosciuta dallo stesso Indro Montanelli. Mattei era un vero statista che agiva ad altissimi livelli, "niente a che vedere con i politici attuali" che non sono in grado di pensare in grande. Oggi, quello che era il vero fulcro economico italiano, è stato ridotto ad una massa di impicci e di imbrogli, e a spegnere gli incendi in caso di emergenza.
26 agosto 2011
I nuovi venditori di padelle
25 agosto 2011
Gli amici di ieri e di domani: la corsa al petrolio della Libia
E' una storia che si ripete, con i soldati che presidiano le raffinerie, i ribelli che sono vittime del regime e il dittatore che tiranneggia il suo popolo: oggi ci sono i Lealisti di Gheddafi, anni fa avevamo gli ultranazionalisti serbi. Insomma ogni guerra se la studiano bene per fare i loro 'impicci e imbrogli'. Poi ci sono i giornalisti, come quelli italiani che vengono derubati e poi sequestrati, ma stranamente riescono a chiamare a casa per dire che stanno bene e li hanno messi al sicuro, ma restano sempre in ostaggio. Qualcosa non torna, anche perchè 'ovviamente' i sequestratori sono i soldati di Gheddafi e non i mercenari di Bengasi, che maltrattano questi eroici 'inviati di guerra'. In realtà sono solo delle pedine della macchina mediatica che si è mossa per portare al mondo il messaggio del "nemico della democrazia". Per far questo si sono mossi giornalisti e producer internazionali, quelli che si bazzicano i ministeri della difesa e le agenzie di stampa, che mandano così i loro fiduciari. Ex agenti ripudiati dalla Ditta, oppure agenti pizzicati a fare il doppio gioco, truffe o anche rapine. In quegli alberghi succede di tutto, prostituzione minorile, droga e alcool a non finire, traffici e affari meschini. C'è chi si fa rubare le telecamere e chi si vende le telefonate, chi si fa rapinare, e poi fatture su fatture, vari business per pareggiare i debito di gioco. Questo è il sottobosco della macchina della guerra, in cui i media sono più importanti degli stessi eserciti. In Libia hanno toccato livelli spettacolari, trasmettendo un film pseudo-realistico tanto per creare confusione tra il mondo arabo e quello occidentale, che deve essere convinto che bisogna combattere un altro "nemico della democrazia.
Assatanati si sono gettati su Tripoli come non mai, messi alle strette dal FMI e dallo spettro del default. Così di punto in bianco si sono mosse Inghilterra e Francia, entrambe ostaggio di un fallimento di fatto mai dichiarato, che vanno poi in giro a fare lezioni di finanza vantando il loro 'illustre esempio' di economia forte, quando poi stanno peggio di tutti. Contemporaneamente si muove L'Aja, un aggregato di falsi giudici, tra travestiti e scarsi attori a pagamento. Eppure, se facciamo un passo indietro, non si può negare che Gheddafi veniva accolto con tutti gli onori di Stato da ogni Governo Occidentale, in Italia e in Francia ha anche montato la sua tenda, con tanto di cavalli ed amazzoni. D'altro canto, l'ENI doveva tutelare i suoi interessi, mentre la Areva voleva costruire una centrale nucleare nel deserto. Chissà perchè, tutto d'un colpo il Rais è impazzito e ha cominciato 'a sparare sulla folla'. O almeno questo è quello che ci hanno raccontato...
Infatti, mentre i soldi nelle casse francesi e britanniche finivano e le pressioni dell'effetto domino della crisi finanziaria si facevano sentire, cominciavano i primi scontri nel Nord Africa. Obiettivo nevralgico della 'primavera araba' era proprio scatenare la rivolta in Libia, le cui avvisaglie si erano percepite nelle speculazioni sul caso di Nouri Mesmari, capo del protocollo di Gheddafi, che fugge in Francia e collabora con i servizi segreti francesi per inscenare la rivolta di Bengasi. Questa città infatti costituisce la leva vincente per ribaltare il Colonnello e rimettere in discussione tutti i contratti energetici sottoscritti dalla Libia, che vedono l'Italia come grande partner di Tripoli. Nel capoluogo della Cirenaica ha sede infatti la Arabian Gulf Oil Company (Agoco), creata dalla National Oil Corporation (NOC), ma controllata da diversi mesi dall'opposizione. Essa sarà la prima a riprendere la produzione nelle prossime tre settimane, sfruttando così i giacimenti di Sarir e Mesle. L'Agoco dispone di otto pozzi di petrolio, di un terminal petrolifero e due raffinerie a Tobruk e Sarir, e aspira a divenire la compagnia petrolifera nazionale. Allo stato attuale, è la NOC a controllare il 50% della produzione nazionale, e nessuna azienda straniera può entrare sul suolo libico e intraprendere una qualsiasi attività petrolifera senza creare una filiale in cui la NOC detenga una quota di maggioranza attraverso una controllata, come ad esempio la Agoco. Quindi il primo passo è stato quello di decentrare il controllo dei pozzi petroliferi da Tripoli a Bengasi, per poi riaprire nella Cirenaica i tavoli dei negoziati con il Consiglio nazionale di transizione (CNT). Non a caso il Presidente del CNT, Mahmoud Jibril, è atteso in Europa per un tour destinato a 'raccogliere' sostegni al governo dei ribelli. Stranamente è atteso già domani a Roma, per incontrare il CEO ENI, Paolo Scaroni, e lo stesso Silvio Berlusconi, mentre in Francia sarà il prossimo 1° Settembre per partecipare alla Conferenza “Friends of Libya”. Forse sarebbe meglio dire "amici del petrolio della Libia".
La Libia dispone di sei terminal petroliferi di esportazione: Es Sider (447.000 barili al giorno), Zoueitina (214 000), Zaouiah (199 000), Ras Lanouf (195 000), Marsa El Brega (51 000) et Tobrouk (51 000). Altri 333 mila barili sono esportati con altri terminal non specificati, mentre fondamentale è il gasdotto con l'Italia Greenstream.
Di fatti, se prima della guerra i principali clienti per il greggio libico erano Italia (28%), Francia (15%), Cina (11%), Germania (10%) e Spagna (10%), dopo la situazione sarà completamente diversa. Francia (la prima a riconoscere Bengasi), Regno Unito e Stati Uniti si lanciano per raccogliere i dividendi economici dei loro sforzi militari. Sarkozy ha già detto che vuole il 35% dei nuovi contratti petroliferi. L'emiro del Qatar, che ha fornito supporto militare e - noi diremmo - mediatico, non è stato dimenticato e avrà per la Qatar Petroleum un accordo commerciale preferenziale per la distribuzione del petrolio. L'olandese Vitol sarà ripagata per per aver assicurato le prime esportazioni di petrolio nel pieno della controversa guerra civile rimpinguando le casse del CNT già nell'aprile del 2011. Poi c'è la Germania, e infine l'Italia. Gli Stati Uniti, che al momento comprano solo il 3% del petrolio libico, sperano in una nuova cooperazione, ma non è da escludere che sarà proprio il Qatar la sua piattaforma commerciale. Per quanto riguarda Cina, Russia e Brasile, si vocifera che perderanno molto terreno, salvo concessioni di Bengasi e spiragli garantiti per vie traverse. Da questo punto di vista, Gazprom potrà sempre contare sull'Italia, visto che è riuscita ad entrare in Libia con l'operazione del giacimento Elephant poco prima dello scoppio del caos.
24 agosto 2011
La NATO tenta di espugnare Tripoli
23 agosto 2011
Bombe su Tripoli: ribelli conquistano le macerie della NATO
22 agosto 2011
Desertec, gas e la guerra per le interconnessioni
Desertec. Con un bilancio di 400 miliardi di euro, il Desertec è un colossale progetto volto a costruire una rete di interconnessione elettrica tra il Nord Africa e l'Europa, alimentata da fonti rinnovabili derivanti dall'installazione di centrali solari ed eoliche nel deserto del Sahara, tra cui Algeria, Marocco e Tunisia. Gran parte della energia elettrica prodotta sarà distribuita in Europa per soddisfare il grande fabbisogno energetico. Per generare tali enormi quantità di energia elettrica sono state progettate gigantesche centrali solari nonchè elettrodotti ad alta tensione che passeranno sul fondale del Mar Mediterraneo. Secondo il progetto, l'elettricità generata in Africa comincerà ad alimentare la rete europea alla fine del 2015 per coprire il 15% del fabbisogno energetico europeo nel 2050. Nelle prime fasi saranno intrapresi i progetti di interconnessione tra Spagna e Marocco, e Italia Tunisia, A promuovere il progetto è stata nel 2003 la Desertec Foundation, fondata in Germania dal Club di Roma e dal National Energy Research Center Jordan, sulla base degli studi scientifici svolti dal Centro Aerospaziale Tedesco (DLR) e dalla Trans-Mediterranean Renewable Energy Cooperation (TREC). Il 13 luglio 2009, si sono aggiunte dodici aziende provenienti da Europa e Nord Africa, con l'intento di portare avanti una iniziativa industriale, che funge essenzialmente da lobbying. Il 30 ottobre 2009, viene fondata a Monaco di Baviera la joint-venture Desertec Industrial Initiative Dii GmBH, sottoforma di società a responsabilità limitata di diritto tedesco. La Dii si identifica con un consorzio di 12 società, a cui poi si aggiungono in un secondo momento altre 6, mentre al momento vi sono circa 20 azionisti, oltre poi a 35 partner.
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Azionisti Dii GmBH Partner Consulenti specializzati
Società fondatrici
- Munich Re;
- Abengoa Solar;
- RWE;
- Deutsche Bank,
- Siemens;
- ABB;
- E. ON;
- HSH Nordbank;
- Cevital, società algerina;
- M & W Group;
- Schott Solar, azienda tedesca
specializzata nel solare;
- Flagsol in joint venture
con Ferrostaal e Solar Millennium
Successivi azionisti
- Nareva, proprietà della ONA, holding del Marocco
controllata dalla famiglia reale;
- Enel Greenpower;
- Saint Gobain;
- Red Eléctrica de España;
- Terna;
- Unicredit;
- Société tunisienne de l'Electricité et du gaz
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Partner
3M
AGC
Audi
BASF
Concentrix solar
Conergy
Deloitte
Evonik Industries
GL Garrad Hassan
HSBC
IBM
ILF
Morgan Stanely
Nur Energie
OMV
MPG
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Consulenti specializzati
Bearing Point
Bilfinger Berger
Rexroth, Bosch Group
Commerzbank
FCC Servicios Ciudadanos
First Solar
Flabeg
Fraunhofer
Italgen Italcementi
Kaefer
Lahmeyer International
Maurisolaire
Schoeller Renewables
SMA Solar Technology
Terna Energy SA
TUV SUD
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Ruolo del Nord Africa. Il coinvolgimento dei Paesi nel Nord Africa diventa tra l'altro fondamentale, in quanto metteranno a disposizione di tale progetto il grande potenziale energetico del deserto del Sahara. La partnership con Tunisia, Algeria e Marocco è infatti strategica, come dimostrato dalla presenza della algerina Cevital (tra i fondatori di DII), e delle compagnie statali della Nareva e della Société tunisienne de l'Electricité et du gaz. Tuttavia, il governo algerino non ha aderito al progetto Desertec, non volendo trasferire all'estero le risorse energetiche statali, per cui intende sviluppare propri progetti. Tra questi ricordiamo la centrale elettrica ibrida alimentata con gas naturale e solare realizzata a Tilghemt, con una capacità totale di 150 MW, di cui 30 MW prodotti solo dal sole, da parte della New Energy Algeria (NEAL) e la società spagnola Abener con un investimento da 350 milioni di euro. Allo stesso modo la Sonelgaz
(società statale algerina per la distribuzione del gas e elettricità) prevede di produrre 365 MW di energia solare tra il 2013 e il 2020. Al contrario, il governo tunisino ha mostrato maggiore entusiasmo, identificando già diversi possibili siti per l'installazione di impianti solari.
La Tunisia ospita anche l'Università Desertec Network, istituito nel giugno 2010. Si tratta di una rete universitaria di ricerca, che riunisce i paesi di Europa, Nord Africa e Medio Oriente, per studiare le tecnologie che possono essere installate nel deserto.
Tuttavia, è il Marocco ad essere lo Stato nord-africano che porterà avanti la prima centrale solare pilota del desertec, disponendo già di un elettrodotto sottomarino che lo collega alla Spagna, oltre ad essere l'unico Paese della regione che non dispone di idrocarburi. Il governo marocchino ritiene infatti che il Desertec possa mettere finire alla dipendenza energetica del Marocco (che acquista dall'estero il 96% della sua energia), nonchè produrre sufficiente energia da esportare in Europa. E' stata così predisposta lo scorso giugno la partnership in partenariato pubblico-privato con l'agenzia marocchina per l'energia solare Masen. Il Marocco ha anche lanciato il proprio piano solare nel 2009, con l'obiettivo di produrre il 14% di energia elettrica prodotta nel paese entro il 2020 con un investimento di 9 miliardi di dollari per costruire cinque impianti solari che producono 2.000 megawatt di energia elettrica, per ottenere lo sfruttamento di più di un terzo della capacità della nazione entro il 2020. Parte di tale strategia, è il progetto di Ouarzazate (Marocco) della capacità installata di 500 MW che dovrebbe presto ottenere un prestito dalla BEI, dall'Agenzia Francese di Sviluppo (AFD), dal KfW (gruppo bancario pubblico tedesco) e dalla Banca mondiale.
Altre iniziative. Accanto al Desertec, vi sono altre reti di lobby che promuovono il concetto di interconnessione dei paesi del Mediterraneo come fonte di energia per l'Europa, nonchè come luogo di incontro tra stati consumatori (Nord Europa) e stati produttori. Tra queste citiamo:
- ENTSO-E: European Network of Transmission System Operators for Electricity, che rappresenta la rete degli operatori europei dei sistemi di trasmissione elettrica. Essa ha sviluppato un piano di sviluppo decennale con una proposta di investimento in infrastrutture di trasmissione elettrica in 34 paesi europei ( UE e non UE), con oltre 500 progetti del valore complessivo di 23-28 miliardi di euro.
- Friends of the Supergrid: gruppo di aziende e organizzazioni che promuove la creazione di una super-rete di trasmissione elettrica continua, in tutta l'Europa, che dovrà facilitare la produzione energia sostenibile su larga scala in aree remote. Tale iniziativa è particolarmente interessata alle infrastrutture di trasmissione di energie rinnovabili verso l'Europa del Mare del Nord.
- Transgreen: è un consorzio di aziende che, al pari della Dii, si pone come obiettivo quello di installare una super-rete di trasmissione energetica nei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa verso l'Europa. Esso rientra nel Piano solare del Mediterraneo, la cui creazione è stata decretata dalla firma del protocollo, alla presenza dei funzionari del Governo francese, da società francesi, spagnole e tedesche: Abengoa ; AFD ; Alstom; Areva ; Atos Origin ; CDC Infrastructure; EDF ; Prysmian; Nexans ; Red Electrica de Espana; RTE; Siemens; Taqa Arabia.
Nuovi scenari. Dinanzi agli attuali sviluppi, diventa evidente che territori di transito delle nuove autostrade energetiche saranno Italia, Spagna e Balcani, che si trovano ad affrontare un periodo tra i più difficili della loro storia dopo gli anni '90, al centro del fuoco incrociato della guerra energetica del Mediterraneo, che decreterà la configurazione delle fonti e delle reti per i prossimi 20 anni. Cambia inoltre anche il concetto di sistema energetico, che passa dall'idea di un insieme di progetti a sé stanti e territorialmente limitati, a quella di struttura interconnessa ed integrata, che avrà l'energia elettrica la base fondamentale perchè può essere conservata e trasportata a basso costo. Le interconnessioni elettriche saranno le nuove pipelines per cui si combatteranno le guerre, mentre l'elettricità sarà la 'moneta unica' che sostituirà il petrol-dollaro di questa Europa integrata, non più costituita dall'UE bensì dalla cosiddetta EUMENA. Senza accorgercene, questa guerra è già scoppiata, e ha come focolai proprio il Nord Africa e i Balcani. Da non dimenticare infatti il caso del Montenegro e dell'elettrodotto della Terna Tivat-Pescara, un progetto che è stato a lungo criminalizzato nonostante fosse parte delle strategie di sviluppo energetico dell'Unione Europea, le cui regole vengono accettate da tutti gli stati membri, candidati e partner esterni.
Di fatti, l'Italia si trova oggi in una vera fase di transizione, che deciderà se in futuro sarà un'economia leader del Mediterraneo oppure una semplice piattaforma per le compagnie energetiche straniere, sempre più divisa e con un tessuto sociale ed etnico stravolto. Una fase che ricorda quella del secondo dopo-guerra, in cui ebbe in Enrico Mattei una grande guida, la cui intelligenza strategica ha garantito al Paese una rendita di benessere per il restate mezzo secolo. I suoi prossimi 50 anni saranno decisi dall'aggressività o dalla remittenza della sua politica estera, e dalle nuove alleanze che riuscirà a stringere. Gli scontri a Bruxelles sul via libera all'acquisto dei titoli obbligazionari dei Paesi dell'Europa meridionale, hanno di fatti creato uno stato di tensione e di incertezza, nonchè imposto una sorta di ricatto economico. La politica economica italiana è stata commissariata a fronte della concessione gli aiuti di UE e FMI. Per anni addormentata, l'Italia non ha saputo reagire alle conseguenze disastrose della guerra in Libia e della crisi statunitense, mentre diventano sempre più serrati gli attacchi della magistratura e della classe 'pseudo-culturale' che vuole la destituzione di Berlusconi. Con la caduta di Gheddafi ed il congelamento dei fondi libici nella finanza italiana, si è venuto a creare un vuoto che ha innescato forti pressioni per l'accaparramento delle risorse, come Generali o Unicredit. Non c'è dubbio che dopo la disfatta della Libia (con lo stralcio del patto di amicizia che avrebbe dovuto tutelare il settore finanziario ed energetico italiano), l'Italia perde terreno anche nei Balcani, grave sintomo dell'esistenza di forti pressioni che la costringono a rientrare nei propri confini.
E mentre Roma rinvia a data da destinarsi del vertice intergovernativo italo-serbo, la Germania gioca d'anticipo e programma ad agosto un tour in tutti i Paesi dei Balcani, ripartendo le tappe tra i Ministri della Cooperazione Dirk Niebel e degli Esteri Westerwelle, che hanno anticipato la venuta della Merkel attesa in Croazia, Serbia e Slovenia. Non vi è alcun dubbio che il cancelliere tedesco giunge a Belgrado forse nel momento più importante e più difficile per il Paese negli ultimi anni, dato il fatto che la nuova crisi nel Nord minaccia la Serbia nelle fasi di inizio dei negoziati con l'UE. D'altro canto, dietro il 'nyet' della Bundesbank verso la BCE di acquistare titoli italiani e spagnoli, privilegiando quelli di Irlanda e Portogallo, si nasconde l'ormai evidente obiettivo della Germania di prendere il controllo del sistema monetario europeo, e non solo. Un eventuale ruolo della Germania nella costellazione geopolitica delle pipelines, avrebbe un impatto anche sullo scenario che si staglia dinanzi all'Europea. Berlino Germania guarda alla sua ripresa economica, nonchè al dominio della eurozona, attraverso una strategia energetica di lungo periodo, che gli garantirà stabilità per almeno i prossimi trent'anni. Dopo aver abbandonato l'energia nucleare, e aver sacrificato con logica freddezza un intero tessuto industriale basato sull'atomica, investe nel gas e nelle energie rinnovabili. L'E.ON annuncia difatti una ristrutturazione interna con il taglio di oltre 11.000 licenziamenti, per destinare tale risparmio di risorse per la costruzione dell'infrastruttura energetica gassifera ed elettrica.
13 luglio 2011
Evitato incidente diplomatico Tirana-Bucarest grazie ad un hacker serbo
Roma - Il rocambolesco episodio della notizia falsa sui presunti insulti del Presidente romeno Traian Basescu rivolti al popolo albanese ha assunto toni esasperati con tratti davvero surreali. L'operazione di disinformazione da parte di un anonimo personaggio e sedicente giornalista sembra sia riuscita grazie all'ingenuità dei media albanesi e kosovari, e all'impreparazione di un portale italiano, che ha fatto passare una notizia senza verificare la fonte che, a nostro parere, è senz'altro uno pseudonimo di un giornalista inesistente, ricercato tra l'altro dalle televisioni della Romania. Tutto ciò che è stato detto successivamente, ossia che la notizia sarebbe stata 'infiltrata' da un hacker serbo, è ancora più assurdo rispetto alla stessa notizia. Infatti per nascondere il madornale errore, si è preferito riversare la colpa sul solito 'hacker serbo' che ha sferrato un attacco spinto da 'pulsioni nazionalistiche'. Eppure, interrogato dall'Osservato Italiano sulla fonte della notizia, il media italiano “julienews.it” ha detto che avrebbe contattato il giornalista per verificare le notizia, confermando di essere a conoscenza dell'articolo pubblicato, del nome dell'autore e delle modalità di pubblicazione. Lasciando nel silenzio la nostra richiesta, il media italiano ha preferito cancellare la notizia, che è rimasta però nel cached del motore di ricerca. Dunque dubitiamo seriamente della bufala detta per nascondere il proprio errore, anche perchè è comprensibile l'attacco, ma che siano riusciti a capire anche l'etnia è ancora più fantascientifico.
La parte più surreale di tutta questa storia, è che la notizia è giunta non solo al Premier Hashim Thaci, ma anche alla diplomazia albanese che ha convocato l'ambasciatore romeno a Tirana per fornire chiarimenti, per poi costringere lo stesso Ministero degli Esteri romeno a smentire pubblicamente la veridicità della notizia che era senza dubbio falsa. L'incidente diplomatico era quasi inevitabile, e per fortuna è sbucato un hacker serbo a salvare la pelle allo stormo di 'giornalisti già in vacanza'. La vera storia raccontata dall'Osservatorio Italiano è stata volutamente ignorata, nonostante sia stata la chiave per risolvere il giallo prima ancora che scoppiasse un 'caso diplomatico'. La reazione è stata infatti istantanea e coordinata tra Roma e Bucarest, per fermare una notizia che avrebbe dovuto far accendere una polemica sterile e senza senso. Questi 'volani di sterco' sono episodi inevitabili per chi non ha referente sul territorio e pubblica notizie di Agenzia con un mero "copia e incolla". Gli stessi 'professionisti dell'informazione' poi pretendono di fare i monitor delle nostre imprese all'estero e delle istituzioni italiane. E' evidente che siamo "in ottime mani" e che i soldi pubblici vengono sempre ben spesi, grazie all'intervento della Confindustria, delle ONG, della Cooperazione Italiana, e quant'altro.
12 luglio 2011
Basescu e il Kosovo: disinformazione e mitomani
01 luglio 2011
Fallisce Rekom: la cacciata di Natasa Kandic
Per quanto riguarda la Kandic, c'è ben poco da dire. Per anni è stata citata dai media internazionali come portavoce della lotta ai crimini di guerra commessi dai serbi, finanziando il suo Centro dei Diritti Umani a Belgrado, ben consapevoli che era un "utile idiota" da usare al momento opportuno. Veniva dipinta dai media amici come una 'eroina europea' solo perchè dava loro qualche spicciolo o qualche gita per partecipare al Gay Pride, visto che qualche Direttore è molto sensibile a queste tematiche, come 'test di democrazia dei Paesi' che vogliono l'integrazione. Dopo il lancio dell'iniziativa volta a creare una commissione regionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia, quale miglior portavoce poteva essere scelto se non la Kandic, sempre avida di denaro e 'affamata di democrazia diretta'. Qualcosa però non ha funzionato stavolta, visto che la maggior parte delle firme sono state raccolte in Serbia, in Montenegro e nella Srpska, insomma tra il popolo serbo e non quello bosniaco o kosovaro. Al momento di mettere le firme, chi ha fatto secondo loro il genocidio voleva un processo dei crimini, e invece chi dice di averlo subito, non è andato a firmare. A questo punto, chi finanziava tutta la baracca evidentemente avrà capito che con le chiacchiere non avrebbero ottenuto molto, anche perchè per anni hanno orchestrato una campagna diffamatoria nei confronti dei serbi. Alla fine la Kandic ha perso 'per un pelo' la sua opportunità di rilanciarsi, come la sua esimia collega Carla del Ponte, rinnegata persino dalla Svizzera e dal Canton Ticino. Questo serva però da monito alle ONG italiane, che pensano di poter restare sul carro dei vincitori per sempre, parlando semplicemente di crimini di guerra, di 'democrazia' e integrazione. Bisogna stare molto attenti a mettersi in certi giochi, i tempi sono cambiati e sono rapidissimi. Non siamo degli sprovveduti come credete, il vostro tempo è finito e con i conti alla mano siamo pronti a smantellare l'ennesimo progetto di speculazioni. I soldi sono tutti uguali, dipende da chi li prende e come li prende
29 giugno 2011
L'Affarismo di Stato
Banja Luka - L'ennesima delegazione di investitori italiana è giunta in questi giorni a Sarajevo, questa volta per presentare l'apertura del nuovo ufficio per la Bosnia della Confindustria Balcani. Sul tavolo delle istituzioni viene messo un progetto di 'consulenza e assistenza' degli imprenditori italiani in Bosnia nonchè di 'incontri e seminari' per nuovi investimenti, insomma un sistema di far impresa fallimentare già in partenza e vecchio di almeno vent'anni. Prima infatti si chiamava Balcanionline.It, che un progetto di circa 1 milione di euro (vedi presentazione) è giunto all'attuale stato pietoso (vedi sito). La stessa ICE ha portato avanti il suo lavoro con una disfatta totale nei Balcani ed oggi, nonostante sia un ente pubblico finanziato per fornire assistenza alle imprese, fa pagare a caro prezzo i propri servizi di intermediazione, insostenibili per le piccole e medie imprese. Negli ultimi anni l'ICE è senza dubbio divenuta una struttura di raccomandati che sono in vacanza all'estero a spese dei contribuenti italiani. A sentir parlare loro, sembra che siano grandi stacanovisti, ma poi abbiamo potuto constatare con i nostri occhi i disastri delle loro consulenza, a cominciare dal caso della Dalmatinka dei F.lli Ladini, verso la quale è stata perpetrata una completa violazione della legge verso la quale nessuno ha mai alzato un dito.
Adesso lanciano la Confindustria Balcani, altro giro altra corsa: un carrozzone sfiduciato dagli stessi imprenditori italiani che ora cerca di trovare nel Sud Est Europeo un 'mercato di consumatori' promettendo l'Eldorado ai nuovi associati, per nascondere in realtà la loro totale estraneità a questa regione. Nei fatti la Confindustria Balcani non esiste, se non come conferenza di associazioni imprenditoriali già presenti in questi Paesi, organizzando conferenze in grande stile per trainare le piccole imprese che fanno solo da comparsa, accanto a queste grandi società, il cui scopo è creare un cartello di lobby. L'unica carta che giocano a loro vantaggio è la partnership con la Unicredit Bank, qualche appoggio istituzionale e la figura diplomatica degli ambasciatori. Una partnership che noi preferiremmo definire 'Affarismo di Stato', perchè è cosa nota che il Sistema Italia si muove solo per grandi colossi e grandi progetti di investimento, su cui è possibile garantire margini di guadagni a tutte le parti coinvolte. Ovviamente sostenere il Made in Italy fatto di piccole e medie imprese è tutta un'altra storia, essendo il vero banco di prova per chi possieda un sistema di informazione e di logistica forte ed efficiente. Visto che di tutto questo non esiste neanche l'ombra, allora stiamo parlando di 'castelli in aria', di teorie aziendali dell'internazionalizzazione che iniziano e finiscono con un credito o un finanziamento, con fondi IPA e incentivi. Di questa stessa corrente sembra essere il Seenet 2, considerando che ha ottenuto un finanziamento da 11 milioni di euro per creare 'incubatori' di impresa o piccoli caseifici sulle montagne di Mostar. Quando abbiamo chiesto loro i bilanci e i business plan dei progetti da implementare hanno risposto che era necessario motivare la richiesta con un "interesse qualificato". E' lì che sia la Regione Toscana che la Cooperazione italiana si sono nascoste, violando le leggi di trasparenza nell'utilizzo dei fondi pubblici.
La nostra critica è quindi rivolta a questo sistema ormai obsoleto, fatto di un clientelismo che è già tramontato, facendo sempre finta di nulla e pensando di essere nella strada giusta della famosa integrazione. Le segreterie dei Ministri dei Balcani sono piene di lettere di questi intermediari pronti a vendere grandi consulenze, e non sanno come spiegare che questi non sono Paesi di consumatori, ma al massimo di lavoratori che chiedono pane. Restiamo invece senza parole dinanzi alla dichiarazione di Salvatore D'Erasmo, Presidente di Confindustria Bosnia, secondo il quale nei Balcani vi è un mercato di 70 milioni di persone.Lanciarsi in proiezioni così ardite e poi avere la pretesa di farsi esperto e futuro promotore delle imprese è preoccupante. Ci auguriamo davvero che le imprese possano conquistare una posizione, sperando poi che non vengono cacciate o abbandonate a se stesse. Non avendo neanche un sistema di informazione, pur sostenendo di averlo, detta così è solo una presa in giro, la cannibalizzazione delle consulenze e degli incontri vuoti.
Da parte nostra ci teniamo alla larga da questo mondo, difendendo l'idea che il Made in Italy non è fatto solo dalla Unicredit e dalla Maccaferri, e che i nostri ambasciatori non devono farsi scudo delle piccole imprese, che puntualmente vengono illuse e mercificate, in nome delle concessioni energetiche. Se poi si è deciso di ignorare l'Osservatorio Italiano, nonostante le domande su di esso dei dirigenti degli Stati balcanici, cercando di far capire che siamo degli sprovveduti, allora vuol dire che continueremo a ricoprire il nostro ruolo di osservatori, raccogliendo informazioni sulle gesta dei guardiani del Made in Italy nei Balcani. La nostra struttura è una creatura multietnica e gode di vari tipi di finanziamenti, non molto elevati ma grandi a sufficienza da potersi tenere ben lontani dai giochi di speculazioni, creando in questi anni un vero sistema informatico. Così, dopo il successo della piattaforma per le informazioni, sarà presto lanciato il sistema di commercio ed interscambio di servizi elettronico, che farà da porte tra Italia e Balcani. Ad esso aderiranno solo le imprese produttive, con un know-how tecnologico e di esperienza, e con un patrimonio di risorse intellettuali. Sarà un laboratorio industriale che avrà come scopo quello di far recuperare il terreno perso in molti settori per poi consolidare le posizioni nel Mediterraneo. Lo sviluppo economico sarà il nostro unico obiettivo, nessuna lotta alla corruzione per poi diventare i primi corruttori, nessuna campagna democratica con soldi sporchi per poi diventare peggio dei dittatori.
28 giugno 2011
La rivoluzione dei Debosciati
27 giugno 2011
L'Italia sotto i colpi della Green Economy
La Disinformazione. Lo spettro delle variabili però a questo punto si amplia: da una parte l'Italia, dall'altra i Balcani e il piano energetico. Questa è soprattutto una guerra di propaganda e di sabotaggio, in cui le persone vengono utilizzate come munizioni, strumentalizzate ed asservite ad uno scopo molto sottile, che va al di là della politica e delle leggi economiche. L'indipendenza e la sovranità sono la posta in gioco da difendere, visto che la loro cancellazione sono alla base delle teorie democratiche più fondamentaliste, di cui si stanno appropriando gruppi mediatici e ONG, scagliando le armi della manipolazione e della disinformazione. I tradizionali programmi della democrazia non sono più credibili, e così si sono inventati la 'Green economy' come nuovo sistema di economia sostenibile, ma che in realtà nasconde le stesse identiche lobbies del petrolio, del riciclaggio di denaro e delle speculazioni edilizie. Da tali programmi reazionari nascono Ong come Mans o Trasparency International per correggere il tiro dei Governi se se non seguono le direttive da loro prescritte, mentre per gli schieramenti cosiddetti ultranazionalisti si instaura la Rekom, finanziata con 3.5 milioni di euro per aprire una nuova era di lustrazione politica. Le testate locali vengono pagate per mostrare la loro misera pubblicità, mentre aggregano attorno ad uno stesso tavolo quelle Ong che da oltre 20 anni truffano i governi per progetti sulla ricostruzione dopo la guerra inesistenti, raccontando sempre le stesse storie su crimini e genocidi. Ovviamente speculari organizzazioni negli Stati Uniti non hanno mai indagato il Pentagono per aver dato un appalto da 200 milioni di dollari ad un ragazzino di 25 anni per la fornitura di armi all'esercito afghano. Né è mai stata aperta un'inchiesta sui contratti messi a segno dalla Bechtel che, dalla Romania sino al Kosovo e all'Albania, ha prodotto un indebitamento per miliardi di dollari, che graveranno sugli Stati negli anni a venire, grazie alla conseguente emissioni di Bonds per coprire i prestiti. Questo perchè dietro contractor e società schermo esiste la mano della CIA che utilizza la guerra al terrorismo come arma di aggressione delle aziende concorrenti. Finanziano questa miriade di Ong locali a suon di dollari pur di sbarrare la strada a qualsiasi azienda o stato che vuole sottoscriere un accordo o un concordato. Allo stesso tempo finanziando branchi di debosciati, in nome e per conto della democrazia, fomentando rivolte e guerriglie cittadine.Mappatura dati. Deve però far riflettere che il gruppo di Soros finanzia aggressive campagne mediatiche e allo stesso tempo lavora alla realizzazione della mappatura delle risorse energetiche ed economiche degli Stati, finanziando progetti che si traducono nell'appropriazione di dati statistici e fonti pubbliche. La Fondazione Soros giunge in Albania e si appropria dei dati dello Stato albanese, rivendendo in contropartita un vecchio sistema di gestione dei dati statistici: nasce così la 'Open Data Albania', da un progetto dalla Open Society Institute per creare il cosiddetto portale delle statistiche, e avere in cambio il pieno accesso ad informazioni nazionali. In nome della trasparenza e della lotta alla criminalità viene imposta la pubblicazione e la consegna dei dati, sensibili e pubblici delle società. Non dimentichiamo che l'USAID e la stessa Commissione Europea hanno stanziato milioni di dollari per l'informatizzazione e l'e-governement dei Paesi non digitalizzati, fornendo non solo soldi, ma anche tecnologie e tecnici. Inoltre, tutti i progetti di digitalizzazione amministrativa nonchè di produzione dei passaporti biometrici sono nelle mani di un ristretto gruppo di società informatiche. Gli stessi Stati hanno scelto come partner per la gestione dei propri dati potenti multinazionali che, per la loro struttura e ruolo, rappresentano delle entità che agiscono nella sfera della difesa e dell'offensiva militare. Inconsapevolmente hanno così perso ogni potere sulla segretezza e la tutela della loro informazione. Troppo potere in mani IBM. Il sospetto che sorge, adesso, è se l'unione tra Stati e società private non stia oggi sfuggendo di mano, creando nei fatti una situazione in cui gli stessi Stati Uniti, che hanno creato macchine 'infernali' come IBM, Microsoft e Google, sono stati assoggettati ad un dictat. Dopo aver creato i software, hanno elaborato i virus per sabotare i propri clienti e il troyan per controllarlo, nel quadro di una strategia di spionaggio massiva sullo schema di Echelon. Tutti i nostri computer e sistemi elettronici che trasmettono o ricevono dati sono divenuti delle cimici sempre attive a cui connettersi qualora diventi necessario o 'interessante'. Meccanismi questi noti da tempo agli addetti ai lavori, ma oscuri al grande pubblico che sarà obbligato ad accettare in nome della sicurezza. Il prossimo passo sarà probabilmente quello dell'impianto dei chip, a cominciare da soggetti pericolosi per la società, come persino hacker o programmatori, in grado di riconoscere e tradurne i linguaggi. La IBM intanto si sta trasformando in uno Stato vero e proprio, creando la "NISC – National Interest Security Company, An IBM Company (2011)", che opera nei settori che vanno dall'Energia alla Salute, dalla Difesa alla Sicurezza, "fornendo innovativi sistemi di information technology, di gestione delle informazioni nonchè consulenze e soluzioni tecnologiche a sostegno dell'interesse nazionale".
Un sistema in crash. Quello che invece si presenta ai nostri occhi è un sistema che sta in qualche modo cedendo per far posto ad un altro, e i segnali già ci sono. Il sistema si sta avvicinando ad un punto tale di saturazione che potrebbe essere distrutto da un crash di grandi dimensioni. Un'autodistruzione che verrebbe però celata da attacchi cybernetici provenienti da movimenti di hacker ed ex dipendenti di società informatiche. Vedremo quindi così si inventerranno i contractor della democrazia. Forse i media cominceranno a chiedersi da dove viene quella pioggia di denaro che gli permette loro di portare avanti le loro campagne, aprendo così gli occhi sul fatto che se si va a combattere la corruzione si diventa un corruttore. I politici dei Balcani, le segreterie politiche, le ambasciate di tutto il mondo cominciano ad acquisire la consapevolezza che la disinformazione che è in atto è palesemente visibile. Alla sua lotta combatte ogni giorno l'Osservatorio Italiano, che ha costruito un proprio ruolo senza il denaro di nessuna lobby o dei piani di integrazione europea.