Lo schieramento diplomatico dell’Italia in Libia comincia a divenire il bersaglio mobile di una strategia di disinformazione, volta a sferrare un attacco mediatico nei confronti dell’Italia. L’obiettivo di tale strategia è quello di creare un sentimento anti-italiano tra la popolazione libica, infondendo diffidenza nell’opera di assistenza e di consulenza della diplomazia italiana al fianco del Governo di riconciliazione. Sono attualmente in gioco delle forze molto forti, provenienti dai nostri diretti competitor e dalle potenze arabe che stanno coltivando grandi interessi in Libia, e cercheranno di sfaldare il processo di pace che intende riunire il popolo libico.
Si può infatti osservare una escalation nella progressione della pubblicazione delle notizie, su media e social network, che potrebbe sfociare in un evento di maggiori dimensioni mediatiche, approfittando della pausa festiva del 1° Maggio, quando media italiani e libici sono in pausa e hanno una capacità di reazione più lenta. Come spesso accade in queste dinamiche di disinformazione, le notizie spacciate provengono da fonti anonime – spesso utenti sentitici neo-creati che appaiono sui social network – non contengono elementi precisi che permettono di verificare l’informazione, o di collocarla nel tempo e nello spazio.
E’ di oggi, infatti, la notizia pubblicata dal portale israeliano Debka-file circa l’attentato di Daesh ad un convoglio di forze speciali italiane partite da Misurata e diretto verso Sirte. Citando fonti anonime dei servizi di sicurezza, Debka afferma che un convoglio costituito da forze speciali italiane, britanniche e truppe libiche, era in viaggio dalla città nord-occidentale di Misurata verso Sirte, quando è caduto in un'imboscata di Daesh subendo gravi perdite. La fonte afferma con certezza che vi sarebbero delle vittime italiane, mentre non precisa alcun dettaglio sul luogo in cui sarebbe avvenuto l'attentato.
Di lì a poche ore, sono comparse sui social network foto di bandiere italiane che vengono bruciate da manifestanti (presumibilmente in Libia), commentate con molteplici messaggi anti-italiani, per ricordare la vittoria dei ribelli libici a Gasr Bu Hadi, il cui anniversario cade appunto il 29 aprile. E’ interessante notare che la stessa dinamica dell’attentato di Daesh spacciato da Debka-file sembra rimarcare proprio la storia della battaglia di Gasr Bu Hadi, avvenuta appunto sul territorio tra Misurata e Sirte.
A differenza delle consuete manifestazioni che si sono susseguite in questi anni per la ricorrenza di tale anniversario, la protesta di quest’anno è stata appositamente organizzata dalla corrente politica pro-Haftar - e quindi dai gruppi di potere esteri che giocano di sponda - portando delle bandiere italiane, per far credere all’opinione pubblica occidentale che esiste un sentimento diffuso anti-italiano tra la popolazione libica. In realtà, i libici hanno manifestato anche in passato bruciando quelle bandiere, perché erano il simbolo della colonizzazione, e non perché vi è un sentimento anti-italiano largamente condiviso. Al contrario, le correnti pro-Haftar hanno voluto bypassare tale ricorrenza come manifestazione di protesta “all’intervento militare italiano in Libia”.
E’ possibile quindi tracciare uno scenario, in cui varie dinamiche cominciano a confluire tra loro, per raggiungere un unico obiettivo, ossia quello di tagliare l’Italia fuori dalla scena diplomatica, a favore di Francia e Gran Bretagna, che pretendono oggi di “riappropriarsi” della gloria di liberatori della Libia dal regime, e quindi di vantare pretese sullo sfruttamento esclusivo delle risorse energetiche libiche.
In primo luogo, il Generale Haftar vuole far credere al popolo libico che solo sotto il suo comando la Libia sarà libera da ingerenze straniere, nascoste dietro il Governo di riconciliazione nazionale. In secondo luogo, Francia, Gran Bretagna ma anche Egitto ed Emirati Arabi, stanno fomentando il Generale Haftar, dissuadendolo dell’idea che “la liberazione di Sirte scongiurerà l’intervento internazionale, e farà di lui l’unico ed indiscusso liberatore della Libia”. A tale scopo, utilizzano la retorica della “colonizzazione italiana” come forte immagine comunicativa del sentimento di ribellione del popolo libico, anche perché la carta del “Tiranno Gheddafi” è stata da tempo bruciata ed inflazionata dal fallimento della rivoluzione e dallo scoppio della guerra civile.
Ci chiediamo quindi come mai l’analista dell’International Crisis Group (ICG) Claudia Gazzini ha pubblicato due giorni fa la foto di una bandiera italiana dicendo che era stata bruciata in una manifestazione di protesta del 25 aprile, e poi oggi rinegozia la sua posizione, affermando che era stata bruciata durante una “manifestazione di test e di preparazione per l’evento del 29 aprile”. Forse l’ICG conosceva in anticipo cosa sarebbe accaduto nella protesta di questo venerdì, che sarebbero state bruciate delle bandiere, e che sarebbe stato per manifestare contro l’intervento militare italiano? Tutto sembra portare ad un’unica pista, ossia che questa protesta è stata opportunamente organizzata per inviare un duplice messaggio mediatico: all’opinione pubblica internazionale sulla diffusione di un sentimento anti-italiano, e all’opinione libica, su doversi affidare ad Haftar per evitare il bombardamento della NATO. Il tutto dovrà essere amplificato dai media, per ingigantire il fenomeno e creare un trend, quello appunto del malumore del popolo libico contro l’Italia. D’altro canto, fallito il primo tentativo di impressionare i libici e la stampa italiana, la notizia viene rilanciata proprio questo venerdì con nuove bandiere, aspettando che i media italiani rilancino la notizia per fare ancora più clamore.
Subentra così il ruolo della macchina mediatica che, opportunamente calibrata, riesce a sferrare attacchi con enormi danni collaterali, anche perché i giornalisti e i media italiani sono stati più volte beffati da false notizie non verificate. Basti ricordare la notizia trasmessa dai telegiornali nazionali sul presunto omicidio di un trafficante di esseri umani a Zuwarah da parte di forze speciali italiane; oppure la notizia sull’attacco mai avvenuto al compound della Mellitah Oil&Gas; o ancora della sfilata di una colonna di 30 veicoli di Daesh sulle strade di Sabratha, anche questa non avvenuta; sino all’ultimo caso del falso annuncio della fuga del Primo Ministro del Governo di Tripoli, tempestivamente smentita. E’ chiaro che la tecnica comincia ad usurarsi e diviene sempre meno credibile, come assolutamente non-credibili sono i registi di questa messa in scena, la cui opera di finzione era fallita già ai tempi di Bernard Levy.
Si può infatti osservare una escalation nella progressione della pubblicazione delle notizie, su media e social network, che potrebbe sfociare in un evento di maggiori dimensioni mediatiche, approfittando della pausa festiva del 1° Maggio, quando media italiani e libici sono in pausa e hanno una capacità di reazione più lenta. Come spesso accade in queste dinamiche di disinformazione, le notizie spacciate provengono da fonti anonime – spesso utenti sentitici neo-creati che appaiono sui social network – non contengono elementi precisi che permettono di verificare l’informazione, o di collocarla nel tempo e nello spazio.
E’ di oggi, infatti, la notizia pubblicata dal portale israeliano Debka-file circa l’attentato di Daesh ad un convoglio di forze speciali italiane partite da Misurata e diretto verso Sirte. Citando fonti anonime dei servizi di sicurezza, Debka afferma che un convoglio costituito da forze speciali italiane, britanniche e truppe libiche, era in viaggio dalla città nord-occidentale di Misurata verso Sirte, quando è caduto in un'imboscata di Daesh subendo gravi perdite. La fonte afferma con certezza che vi sarebbero delle vittime italiane, mentre non precisa alcun dettaglio sul luogo in cui sarebbe avvenuto l'attentato.
Di lì a poche ore, sono comparse sui social network foto di bandiere italiane che vengono bruciate da manifestanti (presumibilmente in Libia), commentate con molteplici messaggi anti-italiani, per ricordare la vittoria dei ribelli libici a Gasr Bu Hadi, il cui anniversario cade appunto il 29 aprile. E’ interessante notare che la stessa dinamica dell’attentato di Daesh spacciato da Debka-file sembra rimarcare proprio la storia della battaglia di Gasr Bu Hadi, avvenuta appunto sul territorio tra Misurata e Sirte.
A differenza delle consuete manifestazioni che si sono susseguite in questi anni per la ricorrenza di tale anniversario, la protesta di quest’anno è stata appositamente organizzata dalla corrente politica pro-Haftar - e quindi dai gruppi di potere esteri che giocano di sponda - portando delle bandiere italiane, per far credere all’opinione pubblica occidentale che esiste un sentimento diffuso anti-italiano tra la popolazione libica. In realtà, i libici hanno manifestato anche in passato bruciando quelle bandiere, perché erano il simbolo della colonizzazione, e non perché vi è un sentimento anti-italiano largamente condiviso. Al contrario, le correnti pro-Haftar hanno voluto bypassare tale ricorrenza come manifestazione di protesta “all’intervento militare italiano in Libia”.
E’ possibile quindi tracciare uno scenario, in cui varie dinamiche cominciano a confluire tra loro, per raggiungere un unico obiettivo, ossia quello di tagliare l’Italia fuori dalla scena diplomatica, a favore di Francia e Gran Bretagna, che pretendono oggi di “riappropriarsi” della gloria di liberatori della Libia dal regime, e quindi di vantare pretese sullo sfruttamento esclusivo delle risorse energetiche libiche.
In primo luogo, il Generale Haftar vuole far credere al popolo libico che solo sotto il suo comando la Libia sarà libera da ingerenze straniere, nascoste dietro il Governo di riconciliazione nazionale. In secondo luogo, Francia, Gran Bretagna ma anche Egitto ed Emirati Arabi, stanno fomentando il Generale Haftar, dissuadendolo dell’idea che “la liberazione di Sirte scongiurerà l’intervento internazionale, e farà di lui l’unico ed indiscusso liberatore della Libia”. A tale scopo, utilizzano la retorica della “colonizzazione italiana” come forte immagine comunicativa del sentimento di ribellione del popolo libico, anche perché la carta del “Tiranno Gheddafi” è stata da tempo bruciata ed inflazionata dal fallimento della rivoluzione e dallo scoppio della guerra civile.
Ci chiediamo quindi come mai l’analista dell’International Crisis Group (ICG) Claudia Gazzini ha pubblicato due giorni fa la foto di una bandiera italiana dicendo che era stata bruciata in una manifestazione di protesta del 25 aprile, e poi oggi rinegozia la sua posizione, affermando che era stata bruciata durante una “manifestazione di test e di preparazione per l’evento del 29 aprile”. Forse l’ICG conosceva in anticipo cosa sarebbe accaduto nella protesta di questo venerdì, che sarebbero state bruciate delle bandiere, e che sarebbe stato per manifestare contro l’intervento militare italiano? Tutto sembra portare ad un’unica pista, ossia che questa protesta è stata opportunamente organizzata per inviare un duplice messaggio mediatico: all’opinione pubblica internazionale sulla diffusione di un sentimento anti-italiano, e all’opinione libica, su doversi affidare ad Haftar per evitare il bombardamento della NATO. Il tutto dovrà essere amplificato dai media, per ingigantire il fenomeno e creare un trend, quello appunto del malumore del popolo libico contro l’Italia. D’altro canto, fallito il primo tentativo di impressionare i libici e la stampa italiana, la notizia viene rilanciata proprio questo venerdì con nuove bandiere, aspettando che i media italiani rilancino la notizia per fare ancora più clamore.
Subentra così il ruolo della macchina mediatica che, opportunamente calibrata, riesce a sferrare attacchi con enormi danni collaterali, anche perché i giornalisti e i media italiani sono stati più volte beffati da false notizie non verificate. Basti ricordare la notizia trasmessa dai telegiornali nazionali sul presunto omicidio di un trafficante di esseri umani a Zuwarah da parte di forze speciali italiane; oppure la notizia sull’attacco mai avvenuto al compound della Mellitah Oil&Gas; o ancora della sfilata di una colonna di 30 veicoli di Daesh sulle strade di Sabratha, anche questa non avvenuta; sino all’ultimo caso del falso annuncio della fuga del Primo Ministro del Governo di Tripoli, tempestivamente smentita. E’ chiaro che la tecnica comincia ad usurarsi e diviene sempre meno credibile, come assolutamente non-credibili sono i registi di questa messa in scena, la cui opera di finzione era fallita già ai tempi di Bernard Levy.