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31 ottobre 2007

Buoni del Tesoro Brasiliano nelle casse di UBS ?


La crisi dei mutui seguito dallo "scandalo dei derivati" ha inferto un duro colpo alle grandi Banche che devono così recuperare miliardi di dollari andati in fumo con il crollo del loro castello di carte. Per molto tempo centinaia di titoli collaterali virtuali sono stati registrati all'interno degli assets bancari nonostante non avessero alcun valore e, in alcuni casi estremi, fossero falsi, al solo fine di gonfiare i bilanci e permettere scalate o finanziamenti di multinazionali.

Il mercato bancario continua a vacillare sotto i colpi dei mutui subprimes, riportando così allo scoperto i crediti in sofferenza e le perdite sui miliardi di dollari di capitalizzazione andati in fumo. I rapporti ufficiali parlano di crisi del credito statunitense, ma i controlli effettuati dagli Organismi di vigilanza evidenziano all'interno dei bilanci una grande presenza di "collateralized debt obligations (CDOs) " rivelatisi successivamente in perdita, ma sui quali sono state strutturate operazioni di finanziamento, di ricapitalizzazione e di investimento di piccole e grandi imprese.
Grande vittima della cd. crisi dei subprimes è proprio la UBS - seguita poi da Merrill Lynch, Citigroup, Northern Rock e Deutsche Bank - che ha registrato in questo terzo trimestre una perdita lorda di 726 milioni di franchi, una perdita di 4,2 miliardi di franchi per svalutazioni dei titoli, oltre ad aver annunciato il licenziamento del dirigente dell’Investment banking, Huw Jenkins, ed il direttore finanziario Clive Standish, e il licenziamento di 1500 persone. Da non dimenticare che dal 31 luglio 2007 UBS Limited è stato cancellato dall'elenco degli operatori market maker , in qualità di Primary Market Maker, sul contratto di opzione su molteplici azioni di società italiane quotate in Borsa Italiana , come Alleanza Assicurazioni, Assicurazioni Generali, Banca Monte dei Paschi di Siena, Capitalia, Enel, Eni, Fiat, Finmeccanica, Intesa San Paolo, Mediaset, Mediobanca, Mediolanum, Pirelli & C., Snam Rete Gas, STMicroeletronics, Telecom Italia, UniCredito Italiano .
Questi dati evidenziano senz'ombra di dubbio che la UBS è stata tra le prime Banche a subire in maniera così evidente la crisi speculativa dei subprimes, proprio perché eccessivamente esposta con il suo portafoglio di titoli. Attualmente, gli scandali che vedono protagonista la UBS continuano, in quanto è la principale protagonista di operazioni su titoli collaterali definiti dalla società emittente "senza alcun valore" e per tale motivo non possono essere oggetti di alcuna negoziazione. Stiamo parlando dei Bond Petrobras, con data di emissione al 3 ottobre del 1959, registrati al momento a nome di un intermediario e depositati presso le security della UBS Bank. Tali titoli sono stati definiti, con una dichiarazione ufficiale da parte della Petrobras S.A. non fruttiferi e non esigibili, e tale motivo non potrebbero essere imputati a bilancio di alcuna entità giuridica. D'altronde è praticamente impossibile che la UBS non sia a conoscenza della vera natura e del reale valore dei titoli, per cui vi sono evidenti indizi che dimostrano la costruzione di una truffa mascherata da speculazione finanziaria.
I titoli in questione, infatti, non solo sono supportati da differenti certificazioni di validità da parte dei periti del tribunale, ma anche da una sentenza del Tribunale Superiore di Giustizia Brasiliano. Inoltre, gli stessi Bonds, sono stati regolarmente registrati, dal 2003 al 2007, all'interno della dichiarazione dei redditi dell'intermediario. Quest'ultimo, che opera in qualità di broker - o meglio di procacciatore dei titoli - ha poi stipulato un contratto con UBS Bank che funge così da advisor nelle operazioni di vendita dei collaterali Petrobras.
Le indagini effettuate hanno portato alla scoperta di un contratto di vendita a nome dello stesso intermediario di Buoni del Tesoro Brasiliano con data di emissione del 1970 ( Letra Tesouro Nacional) , e in particolare di 22 LTN dal valore nominale di US$ 10.000.000 , di 3 LTN dal valore nominale di US$ 1.200.000.000, con un' importante multinazionale. Advisor di tutta l'operazione risulterebbe essere sempre UBS BANK, Sede di Zurigo.


I titoli che vi mostriamo rappresentano due LTN che fanno parte del pacchetto già venduto da un intermediario attraverso la UBS BANK. La massa monetaria che questi titoli sono in grado di mobilitare è enorme, considerando che al momento della rivendita del collaterale viene effettuata una rivalutazione che triplica il valore di partenza. Secondo le fonti che ci hanno inviato la documentazione, siamo sempre di fronte a titoli che nei fatti non hanno alcun valore e che, per tale motivo, rischiano di compromettere non solo la credibilità del Tesoro Brasiliano, ma anche l'attuale e futura stabilità del mercato finanziario del Brasile. Qualora infatti una tale mole di denaro venisse movimentata da Banche e società, per poi rivelarsi non coperta da alcuna garanzia alla base - essendo il titolo non fruttifero - si avrebbe un distruttivo effetto domino sul mercato interbancario.
Attendiamo, a questo punto, un'immediata risposta e una presa di posizione da parte della UBS Bank e dello stesso Tesoro Brasiliano, affinchè si chiarisca la provenienza e la natura dei titoli, in modo da scongiurare l'ennesima speculazione che sacrifica investitori e imprese.
Sulla base delle informazioni raccolte non possiamo essere certi che la UBS Bank ha realmente posto in essere questa operazione e per tale motivo chiediamo maggiore chiarezza e delle risposte supportate da documenti. Si tratta in ogni caso di un'inchiesta molto delicata che ha sicuramente inferto un grandissimo danno alla UBS, tuttavia è nostro diritto, nonché dovere, proteggere la nostra gente dai Banchieri.
Ricordiamo che le cifre di perdite annunciate in questi ultimi giorni dalle grandi banche internazionali lasciano di stucco: circa 20 miliardi di dollari nel giro di un mese, senza considerare che le banche centrali del mondo intero hanno inietta centinaia di miliardi di Euro nel sistema finanziario mondiale per tentare di recuperare la situazione che sembrava disperata. Bisognerà forse aspettare molto tempo prima che tutti riescano a capire la reale gravità della situazione, in cui la crisi dei subprimes è solo l'iceberg della truffa dei collaterali. Si pensi a cosa potrebbe accadere se si scoprisse che anche i Bond del Tesoro degli Stati Uniti sono in parte dei collaterali "non esigili" : considerando che circa il 30% del debito americano è detenuto da operatori privati e da Banche, assisteremmo alla più grande depressione economica .

30 ottobre 2007

Inflazione e recessione: le Banche hanno già una soluzione

L'economia internazionale sta per toccare i suoi punti soglia : ci si aspetta dunque il cedimento del sistema da un momento all'altro. Quello che sta per accadere in realtà è qualcosa di ben più preoccupante e di più invisibile. Stiamo parlando della stagflazione, che creando l'inflazione e il contemporaneo crollo dei salari, condurrà il Paese verso la recessione. Dinanzi a tale evenienza non vi è alcuna reazione da parte delle Istituzioni, mentre le Banche preparano il loro prossimo terreno di caccia.

Secondo le stime degli analisti, l'economia internazionale sta per toccare i suoi punti soglia prima di innescare un perverso meccanismo che potrebbe portare ad un conflitto o allo sconvolgimento della situazione di alcune economie più deboli. Il petrolio ha pienamente raggiunto il valore di 90 dollari al barile e ora si profila all'orizzonte il prossimo obiettivo della quota 100 dollari, sulla spinta delle tensioni in Medioriente, alimentate dalla propaganda tra Turchia e Iraq e tra Usa e Iran. Di conseguenza, altrettanti record si sfiorano sul valore dell'oro, quotato intorno agli 800 dollari per oncia, con inevitabili ripercussioni anche sulla quotazione del dollaro, la cui ulteriore svalutazione è ormai inevitabile. Ci si aspetta dunque il cedimento del sistema da un momento all'altro, ma quello che sta per arrivare in realtà è qualcosa di ben più preoccupante e di più invisibile, in quanto non vi saranno eventi eclatanti ma solo la percezione che la situazione diviene di giorno in giorno sempre più insostenibile. Stiamo parlando della stagflazione, che provoca il blocco del sistema produttivo partendo dagli anelli più deboli, come i lavoratori e le piccole imprese, che si trovano proprio alla base della piramide usuraia del sistema in cui viviamo.
La stagflazione si ha quando l'aumento dei prezzi viene accompagnato da una crescita della disoccupazione e da un ristagno della produzione; infatti l'inflazione se in un primo momento crea una sorta di "illusione monetaria" che spinge le imprese a rincarare i prezzi per recuperare i costi, successivamente induce a ridurre sempre più i salari sino a licenziare i lavoratori, innescando così disoccupazione, rallentamento della produzione e recessione. In tale situazione è quasi impossibile agire per le autorità, soprattutto perché in Europa la politica monetaria è congelata, per non parlare di quella sociale visti i patti di stabilità. L'aumento dei costi, dovuti in questo caso al rincaro delle risorse energetiche e alle crisi finanziarie, dovrebbe essere contrastato con delle politiche monetarie restrittive, come la Banca Centrale Europea e la Federal Reserve stanno facendo aumentando i tassi di interesse, ma questo poi va ad accelerare la recessione dovuta al crollo dei consumi. Una situazione molto simile a quella che stiamo vivendo oggi si è avuta nel 1973, quando la crisi energetica creò una iperinflazione in tutta l'Europa, e allora le Istituzioni decisero per politiche economiche espansive in quanto "lo status del lavoratore" e la "sostenibilità della società" erano considerati dei fattori intoccabili.


Molte cose sono cambiate da allora, perché oggi lo status da preservare non è quello del lavoratore, in quanto entità portante del catena produttiva, ma è quello del "tasso di interesse" e del credito, che sta divenendo la nostra unità di conto e il peso del nostro valore. Oggi i processi di stagflazione sono già presenti nell'economia americana perché è una società che vive ormai da anni con un'inflazione patologica, con la crisi dei consumi e una sussistenza garantita dai prestiti e dal credito. Di questo passo, la caduta del corso del dollaro e la progressiva riduzione della produttività americana non faranno certo ridurre l'inflazione, mentre la Federal Reserve condurrà lo Stato nella recessione per presentare al Congresso l'unica soluzione possibile: il controllo o un conflitto da qualche parte nel mondo. L'economia americana, in questi ultimi anni, si è specializzata essenzialmente nella produzione di " debiti", e questo vale per le case, per le imprese e le istituzioni pubbliche, per un indebitamento collettivo che supera i 400% del loro PIL. Per molto tempo hanno tentato anche di nascondere l'insolvenza crescente degli operatori economici facendo rivendere attraverso le banche di Wall Street, degli attivi finanziari " virtuali", i cd. collaterali che sono finiti nel bilancio di Banche di tutto il mondo, nei portafogli degli " hedge funds", nelle tesorerie delle imprese, negli investimenti dei risparmiatori. Hanno così prosciugato ancor di più la liquidità dal mercato destinata invece allo sviluppo della produzione.

Ciò che è accaduto negli Stati Uniti si sta inevitabilmente ripetendo anche sull'economia europea e italiana, e anche in questo caso assistiamo all'immobilismo delle Istituzioni che invece di contrastare la crisi della stagflazione la assecondano: non dimentichiamo che lo status da preservare è ancora quello del credito e delle banche, che nel consiglio di amministrazione della Banca Centrale siedono dei banchieri privati e che il Parlamento risponde degli interessi delle lobbies che rappresentano. Dinanzi alla preoccupante situazione del welfare, il Governo della Banca d'Italia, Mario Draghi, parla "di salari troppo bassi", di "mancanza di imprenditorialità delle nuove generazioni", di un "disequilibrio del rapporto salario-produttività", e conclude suggerendo maggior incentivi al risparmio e alle imprese che intendono crescere. Forse, ciò che il nostro governatore ha dimenticato di dire è che la contrazione dei salari è un segnale di allarme che le aziende italiane inviano alle Istituzioni, per dire che "manca la sostenibilità della produzione", per via dell'eccessivo cuneo fiscale, dei costi delle materie prime e per giunta dei lavoratori.

Occorre prestare molta attenzione a questi campanelli d'allarme, perché annunciano la recessione: curare questi sintomi con i protocolli del welfare o altri ammortizzatori sociali non risolverà il problema che resta lì a covare. Magari questi signori aspettano che si arrivi all'esasperazione, si aspettano che l'ulteriore aumento delle derrate alimentari, del pane e della pasta spinga le persone ad "indebitarsi per mangiare". Ebbene, è proprio questo quello che stanno facendo - e che si legge chiaramente nel discorso di Draghi - ossia di far vedere alla gente uno scenario di difficoltà economica "in sicura ripresa" che può essere superato se ci si affida alle premura del sistema bancario. E oggi è in netta crescita la percentuale del credito al consumo, valutata dall'Abi intorno al 17,5% , pari a 93,8 miliardi di euro, mentre il credito fondiario è cresciuto del 10,8% raggiungendo i 289,8 miliardi; altro dato allarmante arriva dalla constatazione che il rapporto tra l'indebitamento e il reddito delle famiglie italiane è passato dal 48% al 75%, con un terribile aumento del ricorso al credito al consumo e ai mutui. Le cifre sono così preoccupanti che si parla di sovraindebitamento delle famiglie, spinto dalla povertà : un dato tragico e importante, perché è l'ulteriore prova che alcuni processi recessivi nell'economia italiana sono già cominciati.

L'avanzare inarrestabile del credito è d'altronde un effetto indotto dal sistema stesso, considerando che le Banche si ripropongono, per l'ennesima volta, come soluzione allo stesso male di cui sono l'origine. L'Abi parla della possibilità di costituire un "Fondo di solidarietà" a supporto della clientela che per eventi particolari, come la perdita del lavoro, accanto ad iniziative di alfabetizzazione finanziaria per conoscere tutti gli strumenti di debito&credito che sono a disposizione delle imprese e dei nuovi clienti, che vogliono sperimentare nuove forme di indebitamento che più soddisfano le proprie esigenze. Dai mutui eterni alle rateizzazioni del conto della spesa, è in atto in maniera ormai inarrestabile il processo di ''bancarizzazione'', che pone le banche al centro dell'economia.
D'altro canto, per coloro che non avessero abbastanza fiducia in quelli che sembrano essere dei normali Istituti di credito, stanno per arrivare le "Banche Etiche", del circuito del microcredito solidale nate dalle stesse fondazioni bancarie. Abbiamo assistito infatti alla presentazione di Banca Prossima, prima banca europea operante nel non-profit, nata da un progetto di collaborazione del gruppo Intesa Sanpaolo con le Organizzazioni del non profit laiche e religiose, e dal Laboratorio Banca e Società. Il nuovo istituto opererà attraverso le 6.200 filiali del gruppo Intesa Sanpaolo: non sarà altro che un altro sportello di raccolta del credito, che si propone come alternativa semplicemente per cogliere quella parte di clienti che si affidano ai circuiti del microcredito. In questo caso l'arma utilizzata è ancora più subdola in quanto entra in un campo che è stato ben preparato dalla disinformazione che ha demonizzato le Banche d'Affari e ha elogiato le banche etiche come probabile alternativa. Occorre, dunque, prestare molta attenzione alla nuova disinformazione, alle nuove banche, e alla nuova moneta, che si nutrirà proprio delle difficoltà finanziarie di imprese e lavoratori, vittime dei giochi di potere delle lobbies.


29 ottobre 2007

Massimo d'Alema a Belgrado, il grande fiasco

Abbiamo aspettato a lungo, ma nessun media italiano ha parlato del grande fiasco del viaggio di Massimo D'Alema a Belgrado. Alle parole "aprite le vostre menti" di D'Alema risponde in Sunday Time, che afferma che " adesso i serbi del kosovo si stanno riarmando". Durante il suo discorso al popolo serbo è stato deriso e fischiato, le sue parole sono state coperte dalle proteste dei presenti, che ancora ricordavano quando, nel 1998, il governo italiano, diretto proprio da Massimo D'Alema, diede il suo appoggio al bombardamento della Nato sulla Serbia. Com'è venuto, così è andato via il Signor d'Alema che ha intascato una tangente "da Cavallari" e l'ha scampata con la prescrizione .

« Aprite le vostre menti , ha dichiarato il Ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema a Belgrado, con un puro inglese con la cadenza del dialetto romano. "Dimenticate la Terra kosovara, cercate di collaborare e pensate alla vita", ha affermato il Ministro, ex giornalista, nell'anima sicuramente un filosofo, un dichiarato marxista e di ideologia filo-comunista sino agli anni '90. » Queste le parole dell'opinionista serbo Milan Grujic per commentare la deludente comparsa del Ministro D'Alema nella città di Belgrado. Era Premier del Governo italiano quando la Nato ha bombardato la Serbia, sostenendo la missione che avrebbe sganciato sulla ex Jugoslavia migliaia di bombe all'uranio impoverito, come un vero uomo di sinistra e un umanista. "Una personalità così contorta che ricorda un po' la canzone del compositore macedone Vlatko Stefanovski ' questo e quello, quello e questo, questo e questo e quello sei tu…' ." , afferma Milan Grujic , giornalista serbo.
Il Signor D'Alema, comunista e umanista, ha così detto al popolo serbo, in un periodo molto delicato ai fini della risoluzione della questione del Kosovo, di mettere da parte i propri sentimenti nazionalisti e di prendere una decisione che faccia il bene della Serbia. Parole inaccettabili per i Serbi e per tale motivo contestate dalla folla presente, con fischi e proteste che hanno così decretato l'umiliazione del Governo italiano in una terra da sempre amica. Rappresenta questa la dimostrazione che un intero popolo ha perso il rispetto della comunità internazionale, che dimentica così che il Kosovo e Metohija fanno parte della Serbia e nessuna condizione o compromesso può cambiare una cosa del genere. Il Governo serbo da sempre contesta legittimamente che venga rispettata la risoluzione dell'ONU con la quale si è conclusa la guerra del 1999, e il Trattato di Helsinki. " I cittadini della Serbia da sempre difendono la proprio sovranità dinanzi alle pretese dei cd. "uomini di pace" , non in nome di una supremazia territoriale sugli albanesi del kosovo, ma per evitare che per coprire gli interessi delle lobbies centinaia di bambini continuino a morire" - dichiara Milan Grujic . Ma c'è ancora altro che i serbi vorrebbero che venisse rispettato. " Possono per esempio accettare che i rispettabili rappresentanti della " open-your-mind generation" cercano di cancellare le frontiere tra gli Stati Europei, in modo che dopo Belgrado, Pristina, Parigi, Minsk saranno parte dello stesso Stato : in quest'ottica non vi è alcun problema che il Kosovo non sia più parte della Serbia. Quello Stato si potrebbe chiamare Unione Europea o "grande Albania", ma non cambierà nulla nei fatti." Infatti, fa notare Milan Grujic che almeno il 10 % della popolazione della Serbia sono profughi, per un totale di più di 500.000 persone ". Quindi, caro Signor D'Alema, solo i Serbi in Europa non possono far ritorno alle proprie case e alle proprie terre? Attraversa tutta la costa balcanica, da Pristina a Zagabria, prendi carta e penna, e chiedi a Seidiu, Checku, Mesic e Sanader quando precisamente lasceranno che tutti i Serbi cacciati brutalmente dalle loro proprietà possono ritornare nel proprio Paese e riprendere possesso di tutto ciò che apparteneva loro ed è stato strappato con la violenza. Dopodichè, sarà possibile sedersi ad una tavola rotonda e ridiscutere insieme la questione del Kosovo. Potremo così parlare liberamente, in italiano, o con il il tuo "tarzan inglese", con le mani, o con le gambe, come piace a te." - conclude Milan Grujic .

Dinanzi a tutta la comunità serba Massimo D'Alema è stato umiliato e fischiato, dando così uno spettacolo penoso e deludente che tuttavia non è trapelato nè in Italia, nè attraverso i Media Occidentali. E' chiaro, dunque, che questo è il fallimento della politica estera, della diplomazia, in quanto i nostri ambasciatori e i nostri politici sono dei fantocci che fanno la volontà degli Stati Uniti, delle lobbies. D'Alema ha venduto il buon nome della italianità, offendendo un popolo sovrano e subendo fischi e proteste, per proteggere gli interessi delle multinazionali : in pratica non è più un Ministro, ma un agente di commercio.

Biljana Vukicevic
- Rinascita Balcanica -

26 ottobre 2007

Eurojust : il progetto della intelligence europea


Nonostante il fallimento dei lavori sulla Costituzione Europea, con la ratifica di un trattato semplificato, il cammino delle riforme istituzionali dell'Unione Europea continuano seguendo il piano di armonizzazione degli ordinamenti giudiziari. Sebbene non sia stato definito un quadro politico o costituzionale alla base, e né verrà mai definito di questo passo, la Commissione Europea continua ad esercitare pressioni al fine di ravvicinare gli ordinamenti giuridici e giudiziari degli Stati nazionali che devono così rinunciare a parte della propria sovranità.

La Commissione europea ha ufficialmente adottato la comunicazione sul ruolo di Eurojust e della Rete giudiziaria europea nella lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo, che avrà come scopo quello di coordinare le informazioni dei diversi Paesi membri per costruire una intelligence centrale, a livello europeo. Per far questo la Commissione annuncia che occorre dotare Eurojust "dei poteri necessari per svolgere i suoi compiti e per intervenire in maniera più efficace nella lotta contro la criminalità organizzata trasnazionale e il terrorismo". Eurojust dovrà essere trasformata infatti in una vera e propria agenzia di investigazione sovranazionale, senza che tuttavia questa abbia alla spalle un'autorità democratica che la legittima, essendo la Commissione Europea la promotrice e la realizzatrice del programma. Infatti, sulla base di quanto precisato dalla comunicazione, " conformemente al piano di azione del programma dell'Aja, la Commissione avrebbe dovuto presentare nel 2006 una proposta di "legge europea" che si basava a sua volta sulla Costituzione" . Considerando tuttavia che il progetto della Costituzione può dirsi fallito, la Commissione ha deciso di dare comunque un primo input per la partenza dei lavori, con una comunicazione "di intenzioni" sullo sviluppo di Eurojust e della Rete di Giustizia Europea, rinviando la presentazione di una proposta nel 2008. Nel prossimo seminario di Lisbona del 29 e 30 ottobre verranno infatti discusse le modalità di sviluppo del progetto e, a seconda dei risultati, si deciderà se agire mediante la proposta legislativa oppure se superare questo ostacolo e passare direttamente alla sua realizzazione. Questo è senz'altro un dato molto grave in quanto sembra che il fallimento dei lavori sulla Costituzione abbia causato una retrocessione anche nelle procedure diplomatiche per lo sviluppo dei progetti europei. Così da un progetto costituzionale siamo passati ad trattato semplificato che dà più poteri alla Commissione Europea, e allo stesso tempo tutti i progetti con un impatto istituzionale sono partiti mediante delle comunicazioni. Ciò che si discute, infatti, non è l'opportunità o meno di fare l'Eurojust, ma solo di come farlo.


Gli obiettivi di Eurojust di incentivare e di favorire la cooperazione ed il coordinamento tra le autorità giudiziali competenti degli Stati membri, verranno raggiunti mediante i lavori di un collegio composto da rappresentanti di ciascun Stato, dislocati presso l'Aja, che presenta già una struttura e un'organizzazione sovranazionale. La Rete di Giustizia Europea (RJE) avrà invece il compito di facilitare la cooperazione giuridica stabilendo dei punti di contatto adeguati tra le autorità e di fornire le notizie tecniche e giuridiche. La rete agisce infatti tramite i suoi punti di contatto negli Stati membri, ossia procuratori generali o di funzionari che lavorano per l'unità di cooperazione giuridica in seno al ministero della Giustizia. Sulla base delle proposte presentate i membri nazionali dovrebbero vedersi attribuire delle competenze proprie per le autorità del loro Paese di origine, in modo da poter ricoprire tutte le funzioni richieste da Eurojust. I singoli funzionari dovranno avere accesso automatico a tutte le notizie necessarie contenute nelle banche dati del sistema nazionale, ai dati relativi alle inchieste anti-terrorismo, alle sentenze, all'archivio dell'impronte DNA, e agli archivi nazionali delle persone detenute. Infine occorre aumentare il coordinamento con la Rete europea nominando una persona di contatto per il RJE, che ricoprirebbe anche la funzione di corrispondente nazionale di Eurojust. Per rendere attuali tali proposte, occorrerà creare una nuova base giuridica, nonché rinforzare i poteri dei membri nazionali e del Collegio di Eurojust. I primi, su mandato della Commissione europea, potranno intraprendere procedure penali nel Paese di origine, costituire delle squadre comuni di inchiesta e parteciparvi, nonché eseguire delle specifiche inchieste, chiedendo di fornir loro tutte le notizie necessarie per portare a termine la loro missione. Per quanto riguarda i poteri del collegio, questo potrà decidere sui conflitti di competenza e su quelli in materia di applicazione, intraprendere un'inchiesta al livello europeo, in particolare su reati finanziari o che ledono interessi economici dell'Unione, nonché dare il via a delle inchieste all'interno di uno Stato membro con delle vere e proprie indagini sul territorio "nazionale" - e dunque non solo sovranazionale . I membri nazionali ed il Collegio saranno dunque dotati di poteri supplementari che daranno loro delle competenze anche a livello sovranazionale.Non è da escludere che si verrà a creare un altro Tribunale dell'Aja che con i suoi procuratori generali dislocati nei diversi Stati potrà monitorare e supervisionare il sistema giudiziario e lo sviluppo delle pratiche di indagine. È stato precisato che "il RJE è una struttura orizzontale, agile e priva di carattere ufficiale", cosa alquanto strana considerando la delicatezza del ruolo che ricopre: si tratta a tutti gli effetti di un'agenzia di intelligence che, rivestendo un ruolo non ufficiale, rischia di essere una vera e propria società di contractors o di funzionari al servizio delle lobbies.

Ancora una volta è questa la dura realtà che emerge dalle politiche e dai progetti europei, ossia l'esistenza di forme anti-democratiche per gestire dei poteri che riguardano tutta la collettività, la quale dunque non partecipa minimamente a tali importanti decisioni. Non vi è come controparte un governo, né vi è una legge o una base giudica approvata dai Parlamenti dei singoli Stati, che si ritrovano, da un giorno all'altro, un procuratore generale all'interno del proprio sistema giudiziario che promuove e porta avanti delle inchieste, oppure che giudica l'operatore dei magistrati o dei giudici. Vi è così un'invasione della sovranità senza esserci un'entità politica legittimata a fare questo: si parla ormai per luoghi comuni, si dà tutto per scontato, si accettano compromessi in contumacia e, per giunta, non si pubblicizza la notizia.
Che la politica europea e nazionale è fallita, è ormai un dato di fatto, solo che si preferisce mantenere in piedi questo scandaloso andazzo per non ammettere il fallimento di più di 50 anni di storia. Oggi Massimo d'Alema va a Belgrado e dinanzi a tutta la comunità serba viene umiliato e fischiato, dando così uno spettacolo penoso di cui, i media, si sono guardati bene dal dirlo. Questo è accaduto perché ormai non esiste più la politica estera, né la diplomazia, in quanto vi sono dei fantocci che fanno la volontà degli Stati Uniti, delle lobbies. D'Alema così ha venduto il buon nome della italianità, offendendo un popolo sovrano e subendo fischi e proteste, per proteggere gli interessi delle multinazionali : in pratica non è più un ministro, bensì un semplice agente di commercio. Ecco cosa siamo diventati, utenti e clienti, mercificati dai nostri politici che ogni giorno ci vendono al migliore offerente.

24 ottobre 2007

Una ragnatela per la UBS Bank


L'inchiesta sullo scandalo dei collaterali da parte della Etleboro continua, portando alla luce elementi che dimostrano, con pochi margini di dubbio il coinvolgimento di importanti Banche di Investimento internazionali. Da una prima analisi della documentazione, possiamo affermare con certezza che è in corso una delicata operazione che avrà un forte impatto sullo scenario internazionale.

Da una delicata inchiesta condotta grazie al coordinamento dei collaboratori della Tela, è emerso che un significativo numero di titoli collaterali, denominati Bonds Petrobras, vengono negoziati dai brokers, per raccogliere capitali su di un mercato parallelo a quello finanziario. Una rete di studi notarili e legali assistono i brokers redigendo le dovute certificazioni per comprovare che si tratta di titoli veri, e, nel momento in cui viene individuato il compratore o l'investitore di turno, entrano in scena le Banche d'Affari, che sono allo stesso tempo mandanti e mandatarie dell'operazioni. Infatti il broker, essendo fondamentalmente una pedina libera di muoversi all'interno di quello che è stato definito il mercato di sottobosco, agisce da prestanome per le Banche che possono poi introdursi nell'affare per utilizzare il titolo e il capitale raccolto come garanzia di capitalizzazioni societarie, per creare società ad hoc o assets bancarie per effettuare dei finanziamenti.
Quello che al momento vede coinvolta la società petrolifera Petrobras è una operazione di compravendita di bonds tra un privato cittadino brasiliano, che fa così da prestanome, e una importante multinazionale. Al centro della ragnatela, e dunque al cuore dell'intera operazione, vi è la potente banca svizzera, la UBS Bank con sede a Zurigo, che fa advisor mettendo a disposizione i propri conti bancari e le security per la consegna dei titoli e il versamento del capitale raccolto. Siamo infatti in possesso di documenti ufficiali della Ubs Bank che dimostrano il suo diretto coinvolgimento, in un affare che ha l'obiettivo principale di raccogliere centinaia di miliardi di dollari. Se questo dovesse andare in porto, si tratterebbe di una delle più grandi operazioni finanziarie con fini speculativi, che ricordano molto lo stile dirompente di George Soros e dei grandi speculatori finanziari. Ovviamente, non è solo una speculazione la posta in gioco, in quanto i proventi dell'operazioni andranno investiti in progetti ben più importanti, dal mero riciclaggio di denaro, al finanziamento di terrorismo, false rivoluzioni, e di guerre. Molto spesso, gli stessi attori riescono a reperire capitali mediante la richiesta di finanziamento di progetti umanitari o sociali, presentati da importanti organizzazioni, la maggior parte delle quali sono collegate alle grandi fondazioni bancarie. Non è un caso infatti che le fondazioni bancarie investano parte del loro capitale in progetti di utilità pubblica e umanitari, proprio perché questi rappresentano il giusto veicolo mediante il quale camuffare grandi movimenti di denaro senza richiamare molta attenzione.
Non a caso, molte delle rivoluzioni "arancioni" a cui abbiamo assistito in questi anni sono state finanziate da importanti fondazioni, si pensi alla guerra in Bosnia combattuta dai mercenari mujahedin finanziati mediante la Quantum Fund, e ancora alla disgregazione della Jugoslavia grazie alle Organizzazioni di George Soros.
Vista dunque, l'estrema delicatezza della situazione, con un contesto storico-politico molto critico, abbiamo già informato la società brasiliana del rischio che dei bonds Petrobras vengano utilizzati in operazioni non lecite, ma soprattutto pericolose per l'intera collettività.
Dopo molteplici e ripetute sollecitazioni del management e degli organi addetti alla sicurezza del mercato, siamo ora in attera di ricevere una conferma o una smentita della bontà dei titoli. Infatti la Petrobras ancora non risponde alle nostre richiesta di prendere una posizione ufficiale sui bonds in questione, al fine di togliere qualsiasi dubbio su un suo probabile coinvolgimento. Qualunque sia l'esito dell'inchiesta, le autorità competenti brasiliane e le istituzioni internazionali coinvolte dovranno essere informate di quanto sta accadendo.

22 ottobre 2007

Un trattato semplificato sul fallimento del sogno europeo


Sulle ceneri della Costituzione Europea, i 27 Paesi membri dell'Unione Europea hanno deciso di costruire il nuovo Trattato dell'Unione Europea, che sarà formalmente firmato il 12 dicembre prossimo all'Europarlamento di Strasburgo. È un testo complesso e pieno di clausole di esenzione quello del nuovo Trattato UE, che ha la pretesa di rilanciare il "sogno europeo" lasciando la situazione sostanzialmente immutata. Viene definitivamente sepolto il progetto della Costituzione Europea, i cui lavori, dopo la bocciatura da parte di Francia e Olanda, non sono mai ripresi a tutti gli effetti e oggi si sono arrestati, per dare al popolo europeo un Trattato semplificato.Un percorso di riforma e revisione del vecchio testo costituzionale, che verrà probabilmente ratificato nel 2008 dai Paesi membri per divenire poi definitivo.Ci si aspetta, in ogni caso, che, salvo qualche rettifica all'ultimo minuto, il trattato venga approvato in quanto rappresenta l'ultima chance che ha l'Europa di sopravvivere come entità sovranazionale "legittimata" da una convenzione accettata dagli Stati aderenti.
Molte le modifiche apportate, soprattutto nel testo letterale, ma nei fatti non è stato redatto un trattato rivoluzionario, che rimette al popolo europeo la sovranità della nazione-Europa, ma la racchiude sempre in un sistema piramidale e accentrato che decide i principi guida delle politiche nazionali da attuare.
Il progetto rivisto, un documento di 250 pagine, è quasi inavvicinabile considerando le tante dichiarazioni e i protocolli annessi, molto tecnico e di difficile comprensione per i non addetti ai lavori, nella deliberata intenzione di lasciare l'opinione pubblica al di fuori e impedirle di capire quale sarà il volto futuro dell'Europa. Occorre innanzitutto sottolineare che stiamo parlando di un "Trattato" e non di una "Costituzione", e dunque è stato studiato in modo tale da essere immediatamente applicabile senza essere recepito mediante un referendum popolare. Infatti, mentre la Costituzione sostituiva tutti i trattati con un testo unico, il nuovo trattato deroga i due trattati "fondatori", il trattato di Roma del 1957 sulla Comunità europea, il trattato sull'UE di Maastricht nel 1992, i trattati di Amsterdam (1996) o di Nizza (2000). Sono stati così eliminati quei termini che volevano assimilare l'UE ad un Stato federale,e dunque parole come "Costituzione" o i simboli (bandiera, inno, motto), anche se nei fatti resteranno sempre. In tal modo si è riusciti ad aggirare definitivamente il problema della consultazione popolare, che avrebbe senz'ombra di dubbio decretato il fallimento dell'ennesimo progetto europeo. Il "Trattato semplificato" era già stato in un certo senso anticipato da Tony Blair e Nikolas Sarkozy mesi fa, in occasione della riunione del G8, durante il quale si parlò di una Nuova Europa, che deve assumere innanzitutto una forza istituzionale per presentarsi sullo senario politico internazionale. La soluzione franco-inglese è infatti un compromesso ideale per ingannare l'opinione pubblica e la stessa controinformazione che non vuole la Costituzione Europea, in quanto si tratterebbe di perpetuare un sistema "dei trattati" che già funziona e che evolve con l'instaurazione di un regime decisionale accentrato nelle mani della Commissione. Si verrebbe ad instaurare sempre un sistema burocratico nelle mani di organismi e di entità invisibili, senza tuttavia sollevare le polemiche dell'opinione pubblica che non concepisce di vedersi cancellare la Costituzione.
In particolare, con riferimento all'apparato istituzionale, al posto di una Presidenza ad alternanza semestrale, sarà eletto un Presidente del Consiglio europeo che riunisce i dirigenti europei, con una carica di due anni e mezzo con i poteri di un "Alto rappresentante". La rotazione resterà invece per la Presidenza dei Consigli dei Ministri, che coordinerà i vertici e rappresenterà l'UE sulla scena mondiale, insieme con l' "Alto rappresentante dell'UE per la politica estera e la sicurezza" che diventa Vice-Presidente della Commissione europea e coordina tutta l'azione esterna dell'UE.
Alla Commissione Europa resta il potere esecutivo e legislativo - ossia i passaggi essenziali per promulgare le direttive e i regolamenti - che saranno accentrati nelle mani di un minor numero di persone: a partire da 2014 la Commissione sarà composta da un numero di commissari pari ai due-terzi degli Stati membri, mentre attualmente ogni Stato ha il "suo" commissario. Di fatti, dunque, l'allargamento dell'Unione Europea non porterà alla co-partecipazione di tutti gli Stati al potere all'interno delle Istituzioni europee, tale che, quei Paesi meno influenti potrebbero vedersi totalmente esclusi da ogni tipo di decisione. Si pensi ai Paesi dell'est europeo, agli Stati dei Balcani che, per quanto siano stati a lungo corteggiati dai burocrati europei, resteranno sempre ai margini della piramide del potere. Il Parlamento europeo vedrà ampliare il suo potere di co-decisione legislativa con gli Stati membri sui progetti di legge riguardanti le riforme della giustizia, di sicurezza e di immigrazione legale. Inoltre, i Parlamenti nazionali potranno chiedere alla Commissione di rivedere una proposta se riterranno che questa sconfini sulle loro competenze.
È da notare che, nonostante tale norma possa sembrare democratica, essa pone il potere degli Stati nazionali sempre in secondo piano rispetto ad una Commissione composta da burocrati e tecnici nelle cui mani sono racchiusi enormi poteri.

Per quanto riguarda invece il sistema dei diritti di voto, l'unanimità rimane la regola per la politica estera, la fiscalità, la politica sociale o la revisione dei trattati, per cui nei fatti si tratta pur sempre di un testo rigido, che difficilmente potrà essere modificato. È stata invece estesa la maggioranza qualificata - l'espressione dei voti del 55% degli Stati che rappresentano il 65% della popolazione dell'UE - ad una quarantina di nuovi campi, che coinvolgono soprattutto la cooperazione giuridica e di ordine pubblico. Su tali materie, la Gran Bretagna e l'Irlanda hanno ottenuto la facoltà di potere non applicare le decisioni in questi campi se lo riterranno opportuno, ma non potranno impedire che altri lo facciano. Bisognerebbe ora capire perché questi due Paesi riescono a spuntare una tale esenzione,senza che vi sia un apparente motivo, oltre alla grande influenza dell'Inghilterra in Europa, nonostante non abbia aderito all'unione monetaria.
Il trattato introduce inoltre nuovi obiettivi come una politica comune dell'energia e la lotta contro il riscaldamento, riconosce l'importanza dei servizi pubblici ed introduce una "clausola sociale" da prendere in considerazione in ogni politica dell'unione. Rappresenta questo un tiepido compromesso "formale" degli eurocrati, considerando che le privatizzazioni e le liberalizzazioni sono condizioni essenziali e sospensive per entrare nell'Unione Europeo. Per cui, dopo che il servizio pubblico viene calpestato e deriso durante le trattative diplomatiche per l'ingresso in Europa, viene inserito come obiettivo delle politiche comunitarie. Allo stesso modo,il contrasto alla concorrenza sleale - che avevano sollevato accese polemiche proprio in Francia in occasione della votazione della Costituzione - non saranno più un obiettivo ma un mezzo necessario al buono funzionamento del mercato interno: un semplice giro di parole che tuttavia non cambierà la prassi comunitaria di incentivare liberalizzazioni e deregolamentazione per l'ingresso di nuovi operatori.

La norma che tuttavia dà il vero volto a questo Trattato semplificato, è la possibilità per uno Stato di poter lasciare l'Unione, stabilendo all'articolo 35 che "ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione", effettuando una notifica al Consiglio europeo che poi delibera a maggioranza qualificata sulla richiesta di recesso, previa approvazione del Parlamento europeo. Questa eventualità rappresenta senz'altro una delle novità più importanti, considerando che finora i trattati comunitari erano a tempo indeterminato e innescavano un processo irreversibile. Oggi, tuttavia, si ammette la possibilità di uscire dall'Unione Europea, rimettendo così in discussione tutti i principi su cui si è basato l'inattaccabilità del sogno europeo eterno. È chiaro che oggi invece di andare avanti, la Comunità europea ha fatto un passo indietro e ha rivelato la sua reale natura di "truffa colossale" che ha consentito di garantire il controllo delle risorse e del patrimonio degli Stati nelle mani delle lobbies, per poi creare una complessa ragnatela di commissioni e di consigli di esperti il cui potere non deriva da alcuna investitura da parte del popolo. Non esiste alcuna sovranità del popolo europeo, ma solo una grande illusione, tenuta in piedi dall'euro e dalla paura, che tiene gli stati uniti per scongiurare l'isolamento economico e l'aggressione da parte di entità esterne. Nella realtà, abbiamo creato con il nuovo Trattato semplificato un nuovo mostro che dà l'illusione di una libertà e sovranità relativa, ma nei fatti crea un sistema di potere accentrato in entità invisibili, come avviene oggi nei Balcani, il vero laboratorio per la creazione dell'Unione Europea.
La grande beffa non è ancora visibile agli occhi di tutti, ma quando un domani i Paesi dell'est europeo vedranno vanificati tutti i loro sforzi per conquistarsi l'ingresso in Europa, capiranno di essere stati solo manipolati e una nuova "rivoluzione arancione" si solleverà. Saranno loro i soli che capiranno la grande bugia di cui sono stati vittima, rimanendo sempre ai margini delle posizioni di potere e continuando ad essere sempre sfruttati per il benessere dell'Europa Occidentale. È questo dunque il vero significato dall'Europa fondata dai banchieri e dalle lobbies: una forma di dittatura per spremere come vacche da mungere i cittadini europei, drogati dalla propaganda del grande sogno europeo.

19 ottobre 2007

La crisi globale sulla pelle dei cittadini


Ancora un altro episodio di cronaca che scuote l'opinione pubblica e getta ombre e panico in questa nuovo sistema economico in cui viviamo. Un operaio si è suicidato all'interno della fabbrica in cui lavorava perché temeva di non riuscire più a pagare la rata del mutuo. La sua vita fatta di precarietà e di pressioni da parte delle banche, hanno usurato la sua esistenza, decidendo così di togliersi la vita.

La morte di un operaio a causa dell'usura delle banche, è l'ennesimo episodio che dovrebbe spingere a riflettere l'intera opinione pubblica sul reale cambiamento del sistema economico in cui siamo intrappolati. I rappresentanti sindacali porgono le loro condoglianze alla famiglia, ricordando che "c'è un problema di salari e di accesso al credito, che riguarda migliaia di famiglie italiane", e per tale motivo occorrerebbe che "il sistema del credito dia maggiore disponibilità a ricontrattare le condizioni dei mutui", oltre al dovere di "aumentare i salari netti e stabilizzare il lavoro precario" . Sono tutti bei propositi, sono parole della coscienza sociale di ognuno di noi, ma fino a che punto poi diventano reale impegno a cambiare il sistema? Oggi i sindacati dicono di combattere contro il precariato, per i diritti dei lavoratori e per le loro pensioni, tuttavia ogni giorno devono scendere a compromessi, firmare l'ennesimo protocollo welfare che dà, nei fatti, mandato alla Confindustria e al Governo di decidere del proprio futuro, senza considerare che i lavoratori sono diventati solo dei numeri, delle statistiche, solo la massa della manodopera. Non sono più degli individui, ma solo "numero" da consegnare, a seconda del buono o del cattivo tempo, al "partito democratico" di turno, che nel frattempo è riuscito a riciclarsi per rigettarsi nella mischia.

Ciò che invece non ci dicono, forse perché se ne vergognano troppo, è che nessuno oggi è in grado di gestire questo sistema economico che abbiamo creato, ma riescono solo a dominarlo con l'usura e il totalitarismo della disinformazione. La politica viene data in pasto alla massa che vuole vivere di illusioni e di idealismi privi di significato, mentre le lobbies e chi governa il denaro decide chi sarà il prossimo leader: stavolta all'Italia è toccato un uomo dal viso onesto, che collabora con "le fondazioni umanitarie" ed è stato ospite di alcune riunioni del Bilderberg, come ogni futuro premier che si rispetti. Cambia l'attore ma non cambia il risultato, in quanto l'intero tessuto politico-sociale sta degenerando sempre più, ci avviciniamo allo stato sociale americano in cui vi è il dualismo del partito "repubblicano" e "democratico" ma vi è la medesima lobby che decide le guerre, gli investimenti e trattative di pace. In realtà, la vera politica si fa nei consigli di amministrazione delle banche e delle multinazionali: il nostro etnocidio è nell'economia.

Oggi stiamo vivendo un particolare momento storico, quello che molti vogliono chiamare "crisi globale" e che le grandi potenze definiscono "terza guerra mondiale", ma in realtà è il cedimento lento di un sistema economico che fallisce, per fare il posto ad uno nuovo, quello della cybernetica. Abbiamo assistito nel mese di Agosto alla crisi dei mutui subprimes, e così abbiamo visto come il serpente del sistema bancario, che si basa su titoli e derivati di fatto inesistenti, ha mangiato la sua stessa coda, imputando la colpa alla crisi dell'insolvenza. Di fatto la crisi di liquidità, che preesisteva, ha riversato sul mercato speculativo finanziario migliaia di risparmiatori, che sono caduti poi nella tela delle grandi Banche. Successivamente l'onda d'urto delle perdite subite, e dei milioni di dollari di capitalizzazione virtuale, si è riversata sul mercato del credito, e così sulle famiglie, sui lavoratori, sulle imprese. Ora, dopo l'infezione finanziaria globale, veicolata dall'indebitamento americano, si arriverà probabilmente al cedimento delle borse, in particolare in Asia e negli Stati Uniti. Si attende ora lo scoppio delle bolle immobiliari mondiali, dal Regno Unito alla Spagna, poi in Francia e nei paesi emergenti, che provocherà quella che possiamo definire "tempesta monetaria" in cui la volatilità della moneta sarà massima. Il dollaro continuerà a svalutarsi fin quando anche il petrolio continuerà ad aumentare - ora si attesta intorno agli 89$ e preso potrebbe arrivare a 100$ - per poi rivalutarsi , ponendo così in atto grandi speculazione. Tale sbalzo improvviso provocherà la stagflazione dell'economia globale, con la recessione negli USA, e minore crescita in Europa .

La Grande Depressione negli Stati Uniti, incrinerà ancor di più la crisi sociale e porterà al potere i militari : in questo, secondo gli analisti, dovrebbe inserirsi l'attacco sull'Iran, il caos in Medioriente dopo la frammentazione dell'Iraq, e la crisi energetica, che condurrà alla dipendenza nei confronti della Russia. La vera guerra mondiale, la sentiremo su di noi, come già adesso la percepiamo. La crisi energetica verrà mascherata dall'eccessivo rialzo delle bollette,e ognuno di noi dovrà combattere in trincea per arrivare alla fine del mese con il credito al consumo e l'indebitamento nei confronti delle Banche. Il fallimento del mercato dei derivati verrà anch'esso occultato dalla crisi finanziaria, e di risposta creerà la finanza "creativa" del Mifid, in cui ogni singolo investitore deve essere responsabile per sé. La sfiducia e l'insostenibilità del tenore di vita, diventerà instabilità sociale e allora solo i grandi partiti venditori di illusioni potranno governare la massa informe degli "eterni insoddisfatti", che hanno fatto della "piramide" e dell'usura la propria schiavitù.

18 ottobre 2007

Rischio derivati o rischio collaterali?


La crisi del mercato finanziario ha avuto la sua eco non solo sulle borse e sui bilanci delle grandi Banche d'affari, ma anche sulle piccole e medie imprese ed ora anche sugli enti pubblici. Da un'inchiesta giornalistica emerge una realtà che Istituzioni, Banche e inquirenti conoscevano bene ma è stata sempre camuffata dalla disinformazione e dal silenzio, complice delle lobbies che si impadroniscono pian piano del nostro sistema economico.


Dal censimento ministeriale ordinato dalla Banca d'Italia sullo stato di indebitamento degli enti pubblici nei confronti del mercato finanziario, emerge una situazione di grave disagio e crisi finanziaria che lancia così un ulteriore allarme sullo stato dell'economia italiana e del mercato borsistico. Secondo i dati pervenuti al Ministero dell'Economia, nel 2004, su 149 enti pubblici esposti per un indebitamento complessivo di 1,87 miliardi di euro in swap, che costituisce il 40% del totale dell'indebitamento, per poi raggiungere un'esposizione complessiva finanziaria pari a 10 miliardi. Un dato questo che mostra la grave patologia del sistema di finanziamento del fabbisogno pubblico delle amministrazioni locali, che, in piena crisi di liquidità - o meglio di trasferimenti da parte del governo centrale - hanno fatto ricorso alla cd. finanza creativa, come stabilito dal decreto legislativo 267/2000 che ha sancito il diritto degli enti pubblici di ricorrere al mercato finanziario "nelle forme consentite dalla legge". Tale normativa è stata poi ripresa dalla Finanziaria 2002, con la Legge 448/2001, per poi fissare dei parametri economici che hanno limitato la tipologia delle operazioni che potevano essere poste in essere, il ricorso al finanziamento mediante swap e l'ammontare delle operazioni, stabilendo inoltre l'obbligo di una semplice comunicazione da inviare al Ministero del Tesoro per consentire la convalida dell'operazione. Quando tale norma fu inclusa nella finanziaria, nessuno vide in essa alcun pericolo, tuttavia oggi, a distanza di tempo vediamo come la finanza abbia lacerato la già precaria sostenibilità del bilancio degli enti pubblici, peggiorata dai tagli dei trasferimenti dello Stato. Non è infatti la prima volta che si scopre che degli investimenti finanziari hanno indebitato gli enti pubblici al punto da farli divenire delle società per azioni, nelle mani delle Banche.
Per cui, gli enti, spinti dalla mancanza di liquidità o di fondi per finanziare opere pubbliche e bilancio corrente, hanno cominciato a rivolgersi alle banche per investire in swap e derivati parte del budget pubblico, nella speranza di ottenere in cambio dei grossi introiti.
Presso le banche hanno trovato brokers e intermediari che hanno consigliato di coprire "il rischio del rialzo dei tassi di interesse" mediante titoli derivati, prendendo nelle loro mani la gestione di titoli e procedure spesso troppo complesse. Si tratta spesso di titoli basati su di una "scommessa finanziaria" sul probabile rialzo o riduzione dei tassi di interesse registrato entro una certa data: l'avverarsi della condizione decide così la "vincita" o la "perdita" dell'investimento. Secondo i controlli effettuati successivamente, si è scoperto che la maggior parte dei titoli contratti che prevedevano un intervallo di tassi minimo e massimo fuori dal quale l'investitore perde i guadagni; recentemente questi tipo di derivati sono divenuti sempre più aleatori, con intervalli di oscillazione sempre più limitati a fronte di elevati guadagni. Le condizioni spesso molto redditizie garantite, trasforma questi titoli in veri e propri investimenti speculativi che mettono a repentaglio la stabilità dei bilanci delle piccole imprese e degli enti.
La volatilità dei titoli, in certi casi, è così elevata che occorre riformulare la loro denominazione, e dunque non derivati ma "collaterali" , ossia titoli obbligazionari ad alto rischio, spesso posizionati sul mercato senza avere alle spalle una reale copertura, essendo solo titoli virtuali. Molto probabilmente, ciò che ha mandato in panne il sistema, non è stato il semplice "swap" o la denuncia da parte di alcuni media del "mal costume" del finanziamento tramite derivati, ma qualcosa di molto più grave. Infatti, se all'improvviso sul mercato finanziario cominciasse a circolare la voce che i collaterali sui quali abbiamo investito oppure abbiamo capitalizzato ( in maniera fittizia ) la società - o ancora con i quali abbiamo gonfiato il bilancio dell'ente per guadagnare il consenso elettorale - sono falsi o non valgono nulla , nessuno vorrebbe più comprarli o tenerli in portafoglio. Il rischio derivati, di cui si è tanto parlato, non è la solita tornata di speculazione finanziaria, bensì è qualcosa di più grande, perché compromette la credibilità del mercato e della banca stessa che ha fatto da intermediario.
Nello scandalo dei derivati, sono state coinvolte diverse Banche, molte di queste straniere, e una tra tutti è la Banca Unicredit, che ha dovuto così giustificare la massiccia presenza nei suoi assets di titoli sottoscritti da enti pubblici, divenuti poi sovraindebitati. Alle accuse di negligenza e di condotta fraudolenta al fine di truffare le amministrazioni locali, la Unicredit si difende dicendo che "la maggior parte dei clienti aveva una visione chiara di quello che stava comprando, e oggi magari fa anche comodo dire che non sapeva cosa stava comprando". Ma oggi più dell'8% della base della clientela corporate che ha comprato questi strumenti si trova in perdita, per un totale di circa un miliardo di euro su derivati. Dopo l'inchiesta del Tribunale di Torino che ha condannato la Unicredit di risarcire due imprese dei danni subiti a causa degli investimenti in titoli, anche la Consob e il Ministero hanno chiesto di controllare gli asset bancari, a cominciare dall'esposizione sui mutui subprimes. UniCredit ha confermato un'esposizione di circa 277 milioni di euro ripartiti in 127 milioni in "Us residential mortgage backed securities" e 139 milioni in "collateralized debt obligations" . Non vi sono dunque dubbi che la Banca Unicredit ha nel suo asset bancario dei titoli collaterali, che segnalano l'esistenza di operazioni speculative che hanno alla base strumenti finanziari altamente rischiosi ma inesistenti. Titoli, nella maggior parte dei casi falsi, denominati per milioni di dollari, che vengono posti a garanzia di operazioni societarie o di ricapitalizzazioni, venduti sul mercato con la garanzia di raddoppiare l'investimento iniziale.
Inoltre, tale notizia - che sembra essere stata strappata alla Unicredit - smentisce in parte anche i dati trasmessi da Bankitalia nel suo Bollettino Economico, secondo i quali l'esposizione a rischio subprimes delle Banche Italiane è quasi inesistente, ma il canale del credito è comunque compromesso dalla "mancanza di fiducia nel mercato finanziario internazionale".

Questa situazione ha di per sé dei tratti assurdi, in quando vediamo con mano i danni degli investimenti speculativi delle piccole imprese e degli enti, sotto il coordinamento e l'intermediazione delle grandi Banche, che continuano a negare l'evidenza. Negano di avere titoli subprimes, poi si scopre non solo che li hanno, ma anche che possiedono negli assets dei collaterali. La Banca d'Italia, a sua volta, protegge il sistema bancario italiano, ma non punisce gli operatori che hanno deliberatamente truffato imprese e investitori. Per giunta, annuncia la prossima stretta del credito per far fronte al cambiamento delle esigenze del nuovo mercato finanziario. Per cui, da quanto accaduto, potremmo trarre ulteriori conclusioni per disfare del tutto la tela di disinformazione che è stata creata. Innanzitutto, dunque, quella che abbiamo chiamato fino ad oggi "crisi dei mutui subprimes" è in realtà la crisi dei titoli collaterali, di per sé inesistenti, che consentono di costruire piramidi e trasferimenti fittizi, ma non hanno alle spalle alcun valore o reale garanzia. Ciò significa, inoltre, che la famosa crisi di liquidità non rappresenta una conseguenza del fallimento del mercato valutario o bancario, ma ne è la causa, in quanto sono le Banche stesse o gli investitori che creano delle catene false di titoli per rastrellare capitali e recuperare circolante. Infine, la crisi del credito non è una causa, come hanno voluto far credere, ma è una conseguenza, in quanto ora che si è scoperto la fonte della liquidità del mercato, si chiuderanno i rubinetti nel mercato interbancario, sottraendo fondi alle famiglie e alle imprese. Ecco dunque le tre grandi bugie sulle quali ancora oggi continuano a costruire campagne di disinformazione, per proteggere le Banche e impedire che perdano credibilità.

17 ottobre 2007

Il vertice di Teheran per il petrolio del Mar Caspio


Si è tenuto a Teheran lo storico incontro tra il leader russo Vladimir Putin e il Presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, con lo scopo di dichiarare la posizione russa nella risoluzione della questione del programma nucleare iraniano. Ma l'incontro di Teheran non è stato solo questo, in quanto Putin ha partecipato anche ai lavori del secondo vertice tra gli Stati che si affacciano sul Mar Caspio, alla presenza dunque dei rappresentanti del Kazakhstan, dell'Azerbaijian e del Turkmenistan, accanto a quelli dell'Iran.

Il vertice di Teheran, che ha catturato l'attenzione di tutti i media internazionale come "storico incontro" tra un rappresentante del Cremlino e il Presidente della Repubblica islamica iraniana, è stato preannunciato e poi seguito come l'evento in cui la Russia avrebbe preso una posizione ufficiale sulla risoluzione del problema del nucleare dell'Iran. In realtà Putin si è confrontato non solo con l'annoso dilemma se concedere o meno il diritto alla proliferazione nucleare all'Iran - che ha catturato l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale da più di un anno, tra campagne di disinformazione e di propaganda del regime - ma anche con i rappresentanti degli Stati che si affacciano sul Mar Caspio,quali il Kazakhstan, l'Azerbaijan, il Turkmenistan. Al centro dei lavori della conferenza "le questioni legate alla sicurezza del Mar Caspio", presentando la proposta di creare "un´organizzazione regionale per la sicurezza e la stabilità della regione". Tale organizzazione dovrà essere la base per una cooperazione per "lo sfruttamento delle risorse energetiche del Caspio, che potrebbero essere fra le più promettenti fonti di energia per il futuro, viste le riserve di petrolio e gas naturale presenti sotto il fondo marino", come dichiarato dallo stesso Ahmadinejad. Tali intenzioni potrebbero essere presto sanciti all'interno di uno statuto giuridico del Mar Caspio, definito nella cornice di una convenzione che farà da base giuridica ad un accordo unanimemente approvato da tutti gli Stati che si affacciano sul Caspio. Fino ad allora, le acque del Caspio saranno sottomesse ai regimi di navigazione in vigore, adottato in conformità dei regimi giuridici degli Stati in questione, e in futuro, la risoluzione del problema della delimitazione del fondo marino in vista della gestione delle risorse sottomarine sarà condotta nel rispetto dei diritti sovrani e degli interessi legittimi reciproci dei differenti Stati. Riconoscendo dunque l'importanza di impegnarsi reciprocamente al mantenimento della sicurezza, della pace e della stabilità nella regione, le parti hanno ratificato anche un "patto di non belligeranza" con il quale si sottolinea che "in nessun caso gli Stati ratificanti permetteranno ad altri Stati di utilizzare i loro territori per aggredire o di condurre delle operazioni militari contro uno di essi" . Un patto questo che delega così la risoluzione di qualsiasi controversia politica all'esigenza di non indebolire la stabilità della regione e di risolvere tutti i problemi relativi allo spazio marittimo mediante tale convezione.

In tale ottica si può vedere nel vertice di Teheran qualcosa di diverso, cercando di superare le campagne di propaganda e di disinformazione alimentate dallo stesso regime iraniano e russo, che vogliono in questo modo contrapporsi agli Stati Uniti ed eleggersi ad antagonisti. In realtà non esiste alcun antagonismo se l'obiettivo per cui si diventa nemici è il petrolio, in quanto questo ha creato un sistema economico-politico in cui tutti gli Stati coinvolti sono nel bene o nel male degli alleati: litigano dinanzi alle telecamere, e poi si riuniscono insieme nei consigli di amministrazione per decidere il controllo e la spartizione delle risorse.
La Russia, in questo, è una grande manipolatrice esperta, in quanto il suo primario obiettivo è intrappolare nella sua ragnatela quante più prede possibili, quanti più clienti o utenti direttamente dipendenti dalle sue pipelines e dalle sue scorte di petrolio. Tale vertice ha offerto così a Putin la possibilità di essere promotrore e cofirmatarie innanzitutto di una convenzione per lo sfruttamento in comune delle risorse petrolifere e gassifere e per la gestione del traffico marittimo del Mar Caspio. Non dimentichiamo che stiamo parlando di una delle zone geopolitiche attualmente più importanti, essendo fonte di energia e territorio di passaggio dei più grandi gasdotti che dall'Oriente arrivano sino in Europa.
E' bene infatti sapere che il gasdotto Nabucco non può essere realizzato senza la Russia, che può fare parte del progetto in maniera diretta o anche indiretta. Infatti, se il Nabucco nasce per instradare il gas del Turkmenistan e del Kazakhstan verso l'Europa raggirando la Russia, in realtà potrebbe perdere la propria forte di approvvigionamento se la Russia riuscisse a stringere degli importanti accordi con questi due Stati, ostacolando così il percorso del Nabucco bloccandone la fonte di approvvigionamento.
Lo scorso giugno, inoltre, una delle più grande società petrolifere dell'Austria, la OMV, si è incontrata con gli alti vertici della Gazprom per firmare un memorandum di intesa per collaborare insieme alla costruzione della Central European Gas Hub at Baumgarten (CEGH) in Austria e ad un deposito di stoccaggio di gas. La stessa OMV è, alla MOL ungherese, la Trangaz rumeno e la turca BOTA, una delle società partecipanti al progetto del Nabucco e - a meno che Gaz de France o Total ad entrare come seste controparti del progetto - vi è una valida possibilità che Gazprom possa chiedere di partecipare nel progetto di Nabucco, cosa che non è stata completamente esclusa dalla OMV che è pronta invece ad accogliere il gigante russo.

L'illusione che dunque tutti si stanno creando è che è possibile continuare ad utilizzare petrolio e gas, e allo stesso tempo di ridurre la dipendenza nei confronti dello Stato che detiene il controllo delle risorse: oltre che illusione è utopia. L'Europa vuole costruire gasdotti sugli Stati e le terre che sono state di giorno in giorno lacerati dalle cdd. "rivoluzioni arancioni" , finanziate dalle lobbies bancarie sovrane all'interno dell'UE, e allo stesso tempo vuole disinformare per far credere che porterà avanti una politica che rende gli Stati energeticamente indipendenti. Forse l'Europa dovrebbe considerare che si sta già preparando un altro conflitto ispirato dalla brama di impossessarsi delle ricche riserve dell'Iraq del Nord da parte della Turchia, che desidera divenire "fornitore" oltre che mero "distributore" . La sola notizia del primo dispiegamento sui confini con l'Iraq settentrionale ha provocato un balzo nelle quotazioni del petrolio che si sono attestate intorno agli 85$ al barile. Se i guadagni delle società petrolifere aumentano sempre più, man mano che le notizie sulle guerre in Medioriente si diffondono, allora vuol dire che i grandi demiurghi stanno muovendo le fila di tutto questo spettacolo, che vede la Russia e l'Iran da una parte, e Stati Uniti, Turchia e UE dall'altra: Stati che tuttavia sono uniti gli uni agli altri dal sistema petrolifero.

16 ottobre 2007

Il controllo della rete nelle mani dei privati


Dopo tanta attesa è stata avviata dal Ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, la procedura di assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze “WiMax”. Procedura che sostanzialmente recepisce la delibera dell'Autorità Garante della Comunicazioni (AGCOM) prevedendo il rilascio dei diritti d'uso delle frequenze del Broadband Wireless Access, suddivisi in tre blocchi sulla base della ripartizione amministrativa del territorio italiano. Due blocchi dei diritti d'uso sono rilasciabili per aree di estensione geografica macroregionale ( 2 licenze per 7 macroregioni), mentre uno è rilasciabile a livello regionale con suddivisione provinciale nel caso delle Province Autonome di Trento e Bolzano ( 21 regionali ). I diritti d’uso delle frequenze di gara hanno una durata di 15 anni a partire dalla data di rilascio, sono rinnovabili e non possono essere ceduti a terzi senza la preventiva autorizzazione del Ministero.
I soggetti che possono partecipare all'acquisizione dei diritti d'uso a livello macroregionale, stando alla delibera del Ministero, devono prevedere nel proprio oggetto sociale le attività connesse all’utilizzo dei diritti d’uso, essere o impegnarsi a costituire una società di capitali, ma soprattutto "essere titolare di autorizzazioni generali per le reti e/o i servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico o dimostrare la propria idoneità tecnica e commerciale nel settore" . Tali elementi, di fatto delimitano già molto i possibili destinatari del bando, gli operatori privati che già offrono un servizio pubblico di accesso alla rete e che comunque presentano una struttura in grado di far fronte alla richiesta dell'utenza. In altre parole, si tratta degli stessi operatori che gestiscono la rete UMTS e ADSL , dunque società di telecomunicazione, di telefonia mobile e fissa. Per quanto riguarda invece le licenze regionali, appartenenti al blocco C, il diritto d’uso "è riservato prioritariamente per l’assegnazione ai soggetti che non dispongano direttamente di diritti d’uso di risorse spettrali per l’offerta di servizi di comunicazione mobile di terza generazione", lasciando dunque un margine di possibilità ai nuovi operatori, che possono essere in questo caso sia le Regioni stesse attraverso le "multiutilities" a controllo pubblico, o mediante degli enti economici trasformati in società per azioni create ad hoc, oppure dei nuovi operatori, magari appartenenti a differenti settori, come quello bancario, finanziario, di investimento immobiliare.
Questi primi elementi, gettano già le prime ombre su quello che si attendeva fosse un sistema rivoluzionario, in grado di garantire l'accesso alla rete, e in particolar modo alla banda larga, in quanto il sistema è stato studiato in modo da perpetuare, di fatto, un monopolio nel controllo della rete nelle mani dei privati. La procedura del bando, infatti, pretende di spezzare questa catena stabilendo che "ad uno stesso soggetto può essere assegnato un solo diritto d’uso per macroregione" e che a livello regionale sia lasciata una "prelazione" agli operatori che non sono già assegnatari di licenze. Ma questo, non vuol dire che è garantito "il diritto all'accesso alla rete" in maniera orizzontale e diffusa, come invece ci si aspettava - molti la definivano la grande rivoluzione della banda larga. La rete resterà sempre una prerogativa di società private, essendo le uniche che, attualmente detengono l'esperienza e la capacità tecnica per gestire questo tipo di servizio, a meno che vi siano delle Amministrazioni locali intraprendenti che riescano a sostenere sia il costo della licenza, che quello della costruzione dell'infrastruttura e della gestione dell'utenza. In quest'ultimo caso, le Regioni potrebbero contrarre un debito con dei consorzi di Banche, per poi cedere a loro volta a terzi la licenza per poter rientrare dell'investimento - possibilità che non è stata esclusa dal bando, avendo imposto solo l'obbligo di comunicazione al Ministero. È naturale che, considerando gli attuali bilanci dell'Amministrazioni locali, è difficile effettuare questi investimenti senza la cooperazione delle Banche. Constatato ciò, emerge la grande contraddizione di questo bando di gara, ossia non si capisce perché le Regioni (Stato) debbano pagare i diritti d'uso allo Stato stesso, che bandisce la gara, senza che vi sia alcuna clausola che avvantaggi i soggetti pubblici. Per cui, un comune che voglia garantire l'accesso incondizionato alla rete come forma di sviluppo o di incentivo per le attività economiche, deve indebitarsi con le banche oppure deve imporre una tassa: è tutto un po' assurdo, ma normale per un Paese come l'Italia.

Questo è solo uno dei rovesci della medaglia, in quanto, sebbene molti abbiano sollevato dei ragionevoli dubbi su questo bando, non è stato sottolineato a sufficienza, quanto questa rivoluzione della comunicazione costerà ai cittadini. Infatti, il costo dell'accesso alla rete si tradurrà nei prossimi anni - man mano che la virtualizzazione prenderà piede anche nel sistema economico Italia - in una nuova usura, una nuova tassa, un nuovo signoraggio perché diventeremo i "cittadini della rete". Per attraversarla occorre pagare un pedaggio, e lo Stato, anche in questo caso, sarà assente mentre dovrebbe essere presente più che mai al fine di evitare che Banche e privati si riapproprino di "un patrimonio pubblico". Sappiamo benissimo infatti che il libero accesso alle infrastrutture rappresenta uno dei principali motori di sviluppo per il sistema economico, com'è accaduto infatti per le autostrade. Perché, dunque, oggi lo Stato non considera la rete un'infrastruttura pubblica, che, in quanto tale deve restare nelle mani dei cittadini, destinatari e veri proprietari della rete. Un domani, per quanto assurdo possa sembrare, pagheremo una tassa sull'aria anche se questa ci appartiene di diritto. L'economia sarà sempre più virtuale, le distanze verranno diminuite, come gli spostamenti e i trasporti, perché molti servizi potranno essere erogati on-line: pubblica amministrazione, consulenza, fornitura di prodotti immateriali, servizi finanziari. Chi avrà il controllo della rete, avrà di fatto il controllo sulle attività economiche di uno Stato, senza però divenire un nemico, perché le persone saranno sempre impegnate nella ricerca di qualcosa di materiale da combattere. Il WiMax può essere senz'altro il veicolo per la trasformazione della società, da materiale a virtuale, ma lo diventerà al costo della trasformazione di noi tutti in utenti invisibili.

12 ottobre 2007

IBM e Google, insieme per costruire la rete globale


Ibm e Google si uniscono per costruire insieme il sistema informativo che rivoluzionerà l'internet così come lo conosciamo: "la rete non avrà confini" . Insieme infatti forniranno risorse in termini di hardware, software e servizi alle più grandi università degli Stati Uniti, sviluppando così il sistema di Cloud Computing, ossia di calcolo parallelo.

I giganti dell'informatica, Ibm e Google, annunciano la loro collaborazione per la costruzione del cloud computing, ossia del calcolo parallelo.
Basato su una tecnica di programmazione utilizzata per elaborare grandi quantità di dati, il lavoro di calcolo viene diviso su centinaia di computer diversi sincronizzati; ogni cloud rappresenta un insieme di macchine che fanno da elaboratori per singole applicazioni, massimizzano così la potenza di elaborazione. Quello che si viene a creare non è altro che una "rete" all'interno della quale verranno immessi i dati delle più grandi Università degli Stati Uniti, come la Carnegie-Mellon University, il Massachusetts Institute of Technology (Mit), la Stanford University, l’Università del Maryland e l’Università di Berkeley , quest'ultima ha già preso parte al progetto di pubblicazione delle lezioni in You Tube.

Ibm e Google si uniscono in quanto l'hardware e il motore di ricerca saranno gli unici strumenti informatici che occorreranno per studiare, lavorare, scambiare beni e servizi, per trascorrere il tempo libero. Insieme, i due colossi, annunciano nuovi metodi di sviluppo software che apriranno nuove frontiere nel cd. Internet sociale, che darà un nuovo volto alla società. Come dichiarato dalle stesse controparti, l'architettura dei computer è cambiata come la stessa capacità della rete, e si è giunti ad un punto in cui è possibile rivoluzionare il modo stesso di interagire con internet, potendo finalmente risolvere problemi sino ad ora di difficile risoluzione: i software basati sulla rete, come i motori di ricerca, il social networking e l’e-commerce, oggi sono ad un livello solo sperimentale e non gestiscono ancora una massa critica di informazioni. Un domani, tuttavia , la rete ospiterà database di intere nazioni, leggi e regolamenti, catasti, registri, dati personale ed economici, e poi dati giudiziari, sanitari, intercettazioni, storico della Centrale Rischi dei debitori. La massa di dati che potenzialmente potrà ospitare è impressionante, e per prepararsi alla nuova era dell'internet globale, occorre preparare la struttura, e una soluzione è quella del calcolo parallelo, in cui i calcoli computazionali sono divisi in frazioni e poi messe contemporaneamente su diversi server . Si tratta sostanzialmente delle medesime tecniche di programmazione parallela utilizzate per analisi scientifiche complesse, quali l’analisi genetica e dei modelli climatici. Samuel J. Palmisano, CEO di Ibm, infatti afferma che "l' obiettivo è preparare i programmatori di domani a creare software in grado di sostenere la crescita della rete globale e miliardi di transazioni sicure ogni giorno”.

Google e IBM sono oggi alleati, uniti in uno strano destino, che porterà nel mondo dell'informazione una rivoluzione, cambiando così anche la nostra vita. Il loro interesse comune, dal quale scaturirà il progetto della nuova rete, è quello di cambiare il mondo dell'informativa, stravolgendo l'intera concezione dell'informatica e dell'internet, che oggi ruota attorno ai personal computer, sul quale poi si innestano software, sistemi operativi e librerie di dati. La sola piattaforma su cui si lavorerà in futuro non sarà il proprio computer, ma l'internet, tale che la rete non avrà più confini. I nostri dati, le nostre informazioni saranno elaborati mediante il nostro computer che fungerà da semplice terminale per poi essere trasmesso e immagazzinato all'interno della rete. I software saranno trasformati in applicativi di siti web che consentiranno di svolgere tutte le ordinarie e attuali funzioni conosciute per i personal computer, con la sola differenza che gli oggetti elaborati resteranno nella rete, magari all'interno di spazi protetti, ma pur sempre inglobati all'interno del web . Pian piano scomparirà la concezione dell'archiviazione dei dati all'interno di dispositivi come DVD, cd, hardisk, anche i videogiochi, la Playstation, scompariranno come applicazioni esterne, per divenire interfaccia virtuali, come sta già avvenendo per delle piccole community di internauti. L'internet del futuro, sostanzialmente, saremo noi che collegandoci saremo il terminale, mentre i server saranno progettati con sistemi di nanotecnologia di immagazzinamento di dati. Gli stessi progetti di condivisione di dati sviluppati da società sconosciute servendosi di enormi server sparsi per il mondo intero, trovano in tale quadro d'insieme un loro ruolo, ossia quello di collaudare la rete intesa come connessione di terminali.
Non a caso, dunque, sono state già avanzate le proposte per scrivere la Magna Charta dei diritti dell'Internet, mettendo al centro di tutto proprio il principio dell'accesso alla rete. Oggi ci stanno dicendo che la rete è il Regno dei Cieli, e dunque che chi vola può dirsi già in Paradiso, in altre parole chi è già all'interno dell'internet è già ad un passo dalla vittoria. In realtà il loro predominio, la loro posizione di controllo sono stati costruiti in questi anni,mattone su mattone, e oggi sono arrivati a creare un enorme centro di calcolo che sarà la base della cybernetica. Il sistema operativo del futuro non sarà più Linux o Windows, ma sarà Google, insieme a tutti gli applicativi che saranno sviluppati, tale che Microsoft, intesa come società che accentra nelle sue mani il controllo del software, non avrà più senso di esistere e la sua frammentazione mediante i progetti di Open Source, porterà al suo inglobamento all'interno del sistema. La rete sarà così un vero e proprio buco nero, che assorbirà informazione da qualsiasi utente o dispositivo ad essa collegato, ma per far questo introdurrà protocolli e regolamenti che faranno pian piano faranno scomparire tutte le minoranze etniche: verrà creato un nuovo vocabolario, il cd. Global English, in cui cesseranno di esistere i linguaggi, i caratteri e le espressioni che la storia ha plasmato all'interno di una cività. Noi tutti perderemo la nostra identità, e per tale motivo è di fondamentale importanza reintrodurre all'interno del sistema giuridico e della carta di internet la parola etnocidio, per identificare il reato di cancellazione dell'etnia, mediante l'eliminazione materiale o solo virtuale della cultura, delle tradizioni e della storia di un popolo.
Lo scenario che si presenta dinanzi a noi è molto pericoloso per la sopravvivenza delle nostre imprese o delle nostre comunità, in quanto solo coloro che saranno in grado di volare più in alto, saranno nel Regno dei cieli, e chi non riuscirà a decollare è destinato a morire. Se prima riuscivamo ad entrare a spintoni all'interno del mondo del lavoro o della società facendo leva anche sui rapporti umani e diretti, un domani non potremo immaginare di contare sulla solidarietà degli utenti , perché saranno dei semplici codici, dei numeri. È possibile tuttavia creare all'interno della rete uno spazio vitale regolamentato da un codice etico, in cui l'economia reale ha una sua immagine virtuale ma non scompare del tutto. Un domani dunque non creeremo Stati, o Repubbliche, ma creeremo delle intranet solidali, dei cyberspazi protetti, dunque cercheremo di fare la Tela. Noi oggi, combattiamo contro tutto questo, contro l'immensità della rete, che è un nemico invisibile, ma non per questo non può ucciderci: la Tela rappresenta la nostra arma, e il nostro obiettivo allo stesso tempo. Difendendo la sovranità dello spazio all'interno della rete, avremo difeso le nostre generazioni future dall'etnocidio dell'internet globale.

11 ottobre 2007

La balcanizzazione dell'Iraq


La Turchia risponde con toni duri e decisi dinanzi all'attacco del PKK , il Partito del Lavoratori Kurdi, e si dichiara pronto ad intervenire militarmente sui campi kurdi insediatisi all'interno dell'Iraq. La situazione sembra essere ormai paradossale, in quanto l'America prima fomenta conflitti, ingigantendo mediaticamente l'attacco, poi invita alla calma e alla diplomazia, come afferma lo stesso portavoce del Dipartimento di Stato Sean McCormack: "Se loro hanno un problema, devono risolverlo lavorando insieme, in quanto le incursioni unilaterali non sono una soluzione". Strano sentire queste parole provenire dagli Stati Uniti, che hanno risolto tutti i loro problemi proprio con le risoluzioni e gli interventi unilaterali.
Tale eventualità, in ogni caso, provocherebbe la totale destabilizzazione della regione settentrionale dell'Iraq, ma andrebbe ad attuare il piano di ripartizione dell'Iraq teorizzato dai demiurghi statunitensi, oltre a portare un conflitto molto vicino alla Siria e all'Iran . Le ripercussioni sull'intera regione sarebbero sicuramente distruttive, a meno che non si tratti di un intervento militare programmato al solo scopo di dare il via alla spartizione dei territori dell'Iraq.
Lo scenario che si prepara dinanzi a noi non sembra molto diverso da quello dei Balcani del 1991, quando il Congresso Americano promulgò l'emendamento che sanciva la caduta della Jugoslavia e la creazione di una moltitudine di Repubbliche indipendenti: il "divide et impera" che garantisce stabilità e controllo da parte delle lobbies. Oggi come allora, il Senato americano approva una risoluzione che prevede la divisione dell'Iraq in tre entità secondo le loro origini religiose ed etniche ( la Bosnia vi ricorda qualcosa? ), sciiti, sunniti e kurdi.
In particolare la risoluzione propone di creare tre enclavi in Iraq: una sciita nel Sud, una sunnita al centro e curdo nel Nord con la capitale Bagdad come centro federale. Bagdad si limiterà ad assicurare la sicurezza alle frontiere esterne della federazione irakena, a coordinare le competenze amministrative e statali delle entità federali, nonché a gestire i corridoi petroliferi. Tale risoluzione è stata già recepita dal progetto di nuova Costituzione dell'Iraq, presto a referendum il prossimo 15 ottobre, in quanto istituisce il principio della Federazione, mentre i media locali - magari già preparati alla propaganda politica - stanno già istruendo la popolazione locale ad accettare di buon grado il progetto del nuovo Iraq. Seppure sia stato nascosto ai media, molti sono già i contrasti interni sulle modalità di ripartizione delle terre, in quanto sembra che la parte più ricca di petrolio, quella settentrionale, andrà ai kurdi, mentre sono state sollevate forti proteste alla possibilità di separare il sud sciita dal centro sunnita : è assai difficile infatti che i sunniti, sino ad ieri al comando dell'intero Stato, restino in silenzio dinanzi alla perdita degli sbocchi marittimi del Sud e dei giacimenti del Nord. Il piano americano in realtà ha già provveduto a tale problema, prevedendo il versamento del 20% degli introiti che provengono dalle vendite di petrolio al bilancio federale dell'Iraq. Tuttavia, la zona che desta maggiori preoccupazioni è il Sud sciita, che rischia di trasformarsi in un protettorato iraniano, perché strategicamente fondamentale per le vie di sbocco del petrolio verso la Turchia e l'Europa. A ben guardare, l'Iran non ha un ruolo da antagonista, in quanto rappresenta una delle controparti maggiormente coinvolte sebbene il suo lavoro è molto silenzioso, nascosto dall'aspra propaganda dei media contro il regime dei Mullah. Forse non tutti sanno che Joe Biden, promotore del progetto di legge presentato al Senato Americano è noto come un alleato molto vicino al regime dei mullah, dai quali riceve persino dei fondi per le sue campagne elettorali, e si è schierato contro l'adozione di leggi che vietano investimenti in Iran da parte di società statunitensi. Secondo alcuni analisti, il regime dei Mullah al momento sta promuovendo un piano volto alla creazione di un'unione sciita, con un mercato comune e una serie di governi favorevoli che andrebbero così a proteggere gli interessi iraniani e farebbero dei territori circostanti delle piattaforme logistiche per difendere gli sbocchi delle risorse petrolifere verso il mercato occidentale. In tale ottica, il sostegno da parte dell'Iran della spartizione dell'Iraq potrebbe essere una moneta di scambio per giungere ad un ragionevole compromesso sulla risoluzione della questione nucleare, che non è mai giunta ad una fase cruciale tale da temere un intervento militare.
Potremmo, a ragion veduta, avere il sospetto che l'Iran, come la stessa Serbia, stia giocando in questo una partita con una duplice strategia che gli consentirebbe di ottenere una parte dell'Iraq al costo di fingere di cedere alle pressioni sul nucleare. L'importante, ai fini della disinformazione, è assecondare ciò che l'opinione si aspetta di vedere, ossia l'eterna lotta tra il bene il male, tra Oriente ed Occidente, anche se i nemici troveranno un accordo sedendo nei consigli di amministrazione delle grandi società. I Balcani, in tutto questo, insegnano molto, in quanto dopo essere stati colonizzati dalle lobbies occidentali e aver arricchito politici e giornalisti, sono divenuti dei doppiogiochisti, che assecondano il padrone che dà loro più cibo, mentre alimentano la propaganda sul grande conflitto Russia-America in terra balcanica.

In tutto questo si inserisce la Turchia, che ormai vive del protettorato degli Stati Uniti e dell'Unione Europea essendo divenuta il tassello indispensabile per la realizzazione di ben tre gasdotti, quali il Bakou-Tbilisi-Ceyhan , il Nabucco e l' EGL Trans Adriatic Pipeline, oltre ad essere uno sbocco per il gasdotto sottomarino russo Blue Stream. A fronte della servitù di passaggio dei corridoi per instradare il gas proveniente dal Medioeriente, dal Mar Caspio e dal Caucaso, la Turchia sta ottenendo un iter preferenziale per entrare in Europa, e , in un futuro non molto lontano, anche una parte dell'Iraq per ottenere giacimenti di petrolio con la scusa dello stato per i kurdi. Stranamente, ad aiutare la Turchia nello sbarco del lunario, arriva il movimento separatista kurdo, il PKK, che sembra fare delle apparizioni quasi magiche, se non provvidenziali. Infatti, l'intervento armato del PKK, sebbene sia costato la vita a 13 soldati turchi ha rigirato la situazione in maniera completamente favorevole alla Turchia. Non dimentichiamo infatti, quando solo pochi mesi fa il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) ha dato fuoco ad un gasdotto localizzato nell'est della Turchia, che collega i giacimenti del mare Caspio e dell'Iran ai centri di stoccaggio iraniani. Pochi mesi prima, era stato infatti concluso un importante accordo di intesa per esportare il gas iraniano verso l'Europa attraverso il territorio turco, tuttavia il sabotaggio ha consentito alla Turchia di guadagnare maggior tempo e migliori condizioni nei confronti dell'Iran.
E' ovvio dunque che le lobbies che tengono le fila degli eventi stanno ridisegnando la cartina del Medioriente, tale che presto vedremo spuntare come funghi tante piccole repubbliche con regimi costituzionali di stampo federale e sottoposti al rigido protettorato di ONU e UE. Il Libano verrà ripartito anch'esso in tre entità, probabilmente la Palestina verrà ulteriormente frazionata per dar vita allo Stato di Gaza, mentre la Siria dovrà cedere parte della sua sovranità per dare una terra alla minoranza sciita. Il criterio utilizzato è sempre quello dell'identità etnica o religiosa, per mascherare la ripartizione delle fonti energetiche, mentre l'arma è ancora una volta la disinformazione e il terrorismo di stampo nazionalista, per ottenere sempre il frazionamento di Stati controllati e colonizzati dalle lobbies occidentali.

08 ottobre 2007

La Mifid sulle macerie dei subprimes


La crisi finanziaria non è ancora finita, perché dopo il panico da "liquidità" e da "stretta del credito" ricade sulle spalle di risparmiatori e imprese il conto da pagare. La Federal Reserve ha annunciato un taglio ai tassi di interesse per frenare l'eccessivo rialzo dei tassi interbancari, e la stessa BCE arresta la stretta monetaria al 4% al fine di stabilizzare i mercati finanziari eccessivamente instabili. Non si può, tuttavia, ignorare che all'interno del mercato interbancario i tassi di interesse sono aumentati, tale da creare dei fondati timori che l'accesso al credito sarà sempre più di difficile, come dichiara la stessa BCE all'interno della sua ultima indagine . Infatti, le banche dell'Unione Europea ritengono che la crisi dei mutui subprime possa pesare sul mercato del credito nei prossimi tre mesi, con un'ulteriore riduzione nell'accesso al credito sia da parte delle stesse banche che dei consumatori.
Giorno dopo giorno, dunque, la crisi dei "subprime" si insinua sempre più all'interno del mercato finanziario divenendo come un serpente che prosciuga liquidità . A farne le spese sono soprattutto le azioni, emesse da società solide e con elevati livelli di redditività, perché danno la possibilità di essere immediatamente liquidate: così i grandi fondi di investimento, per far fronte alla richiesta di liquidità, scelgono di liquidare il loro portafoglio di azioni. Attualmente, tuttavia, non è il "subprime" che costituisce il problema più grave, ma è piuttosto il rifinanziamento dei prestiti rinegoziati per far fronte alla crisi di liquidità, e la paralisi del mercato interbancario. I grandi speculatori hanno infatti studiato bene le loro mosse, mettendo in atto una strategia definita dagli americani "No income, no job and assets ", ossia il trasferimento parziale del rischio sui risparmiatori europei. Per tale motivo le condizioni di accesso al credito saranno più restrittive, ossia più costose ma sempre aperte ai nuovi investitori.
La contromossa delle Banche non è tardata ad arrivare, come ad esempio Banca Intesa, che ha imposto ad ogni soggetto che richiede un mutuo, la stipulazione di un'assicurazione denominata “Proteggimutuo“, oltre ad aver aumentato dello 0,40% le percentuali sui mutui a tasso variabile , arrivando ad un tasso medio del 5,96%, e di 1 punto sui mutui "Prestintesa maxi tasso fisso” che passano dal 7,25 all’8,25%. La motivazione alla base addotta da Banca Intesa ai suoi clienti è la crisi dei mutui sub-prime, che ha provocato "forti tensioni sulla liquidità circolante sui mercati". Questa non è che la prima segnalazione, a cui ben presto si aggiungeranno le altre, in quanto la crisi di liquidità ha avuto un impatto proprio sul mercato interbancario e ora le Banche sono pronte a scaricare su imprese ed individui le perdite che hanno subito. Non dimentichiamo infatti che i mercati abbiamo visto due colossi finanziari crollare sotto i colpi della crisi subprime, come Ubs Bank e la Citigroup, che evidentemente avevano collezionato all'interno dei loro assets vagonate di titoli collaterali a garanzia della loro capitalizzazione che si sono tradotti in una montagna di carta straccia. E così Ubs ha avvertito che il terzo trimestre si concluderà con perdite lorde comprese tra 600 e 800 milioni di franchi svizzeri a causa la svalutazione di asset per un valore totale di 4 miliardi di franchi svizzeri; allo stesso modo Citigroup ha attuato una svalutazioni di asset per un valore superiore ai 3 miliardi di dollari. Infatti, le obbligazioni dei mutui subprime ( ossia titoli collaterali denominati per milioni di dollari) sono confluiti soprattutto all'interno dei portafogli delle grandi Banche d'Affari, sulla base dei quali sono riuscite a mobilitare ingenti somme di denaro all'interno del mercato interbancario. Non c'è dubbio, dunque, che la crisi immobiliare e del credito ha consentito così di far crollare alcune delle pedine che tenevano in piedi la grande finzione del mercato finanziario, costringendo le Istituzioni ad intervenire prima del previsto per evitare il crollo dell'intero castello su cui si basa il nostro sistema economico-industriale. Gli eventi di questi ultimi mesi ci hanno senz'altro costretto a guardare in faccia la vera natura dell'alta finanza, inducendo molti a dubitare della sicurezza e della trasparenza del mercato finanziario e a chiedere anche una veloce riforma delle regole della borsa valori.

In tale atmosfera di sfiducia e di crisi si innesta la direttiva Mifid, che viene descritta da autorità, banche ed intermediari come strategia di ricostruzione delle macerie della finanza. Si tratta della Markets in Financial Instruments Directive, la nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, che sostanzialmente demolirà molte delle regole di contrattazione e intermediazione, per dar vita ad un sistema integrato di mercati finanziari. Abolisce l'obbligo di concentrazione nei mercati regolamentati, dando ai privati il potere di creare "una borsa valori di proprietà" in cui saranno negoziati ogni tipo di titolo. Le funzioni di controllo stesse sono demandate a dei meccanismi di "compliance", ossia ad organi di vigilanza interni e agli intermediari stessi. Basti pensare che le autorità e gli intermediari dovranno adottare ogni misura ragionevole per identificare i conflitti d'interesse che possono nuocere ai clienti, e di renderli maggiormente visibili.
Vi sarà un unico sistema per le contrattazioni negli Stati membri, all'insegna della cooperazione di vigilanza tra le autorità nazionali, che tuttavia perderanno quella posizione di controllo che deriva dalla sovranità nazionale, per essere sostituiti - non solo sostanzialmente, ma anche formalmente - da entità private. D'altro canto, potranno essere le "associazioni dei consumatori" ad agire per la tutela degli interessi collettivi degli investitori e dei risparmiatori, dando così vita a forme di associazionismo che sostituiranno di fatto le Authority e il Garante, che potranno promuovere persino delle class actions e vigilare sulla condotta degli intermediari.
Principio ispiratore dell'intera direttiva è la cosiddetta "best execution", ossia l'obbligo in capo agli intermediari ad eseguire l'ordine del cliente alle migliori condizioni anche a danno dei propri interessi, ponendo in essere le dovute valutazioni per misurare l'adeguatezza degli strumenti ai bisogni degli investitori, salvo che non ne abbia fatto esplicita richiesta il cliente stesso. In questo caso "l'intermediario non è tenuto ad effettuare le valutazioni, purchè ne abbia comunque informato il cliente" , onde responsabilizzare maggiormente l'investitore.
Sulla base degli elementi base della normativa, possiamo ipotizzare che si andrà a costruire un mercato finanziario frazionato in tanti "centri di distribuzione" di titoli ed informazioni, che fanno capo ai differenti intermediari, per poi dare vita ad una rete finanziaria a livello europeo, più capillare ma sicuramente più facile da controllare mediante la correlazioni delle singole centrali rischio che queste avranno. Il concetto di "borsa valori" sarà sostituito dai "sistemi multilaterali di negoziazione" ( Mtf) , all'interno del quale sarà possibile negoziare
valori mobiliari, strumenti di mercato monetario, quote di organismi di investimento collettivo, derivati, opzioni, indici, valute, futures, swaps, contratti finanziari con trasferimento di rischio di credito, contratti finanziari differenziali, contratti su variazione climatiche e molti altri.
Ogni Mtf potrà essere adattato alle esigenze delle piccole e medie imprese, alle azioni, ai bond ad alto rendimento, ai titoli di speculazione, frazionando sempre più il mercato del risparmio e degli investimenti in modo da aumentare la raccolta di capitali e di mirare le proposte di finanziamento. Sarà possibile così accedere al microrisparmio e proiettare le piccole imprese all'interno del mercato finanziario, sia come destinatari di investimenti, che come investitori.

Il mercato finanziario sarà un vero e proprio sistema di intermediari finanziari, che avranno più potere e allo stesso tempo saranno più invisibili. Molti operatori esteri potrebbero operare sul territorio italiano e viceversa, previa una semplice segnalazione all'Authority del paese di origine e l'autorizzazione di quello "ospitante", e dunque persino operare online anche sul territorio italiano senza necessità di avere una società collegata residente nel territorio italiano. Si potrebbe creare, inoltre, lo strano paradosso che gli investitori stessi, come hedge funds, fondi di investimento e fondi pensioni, possano divenire degli intermediari diretti, anche per interposta persona o mediante le fiduciarie, su un Mtf di cui è anche azionista .

Non vi è dubbio dunque, che la cd. direttiva Mifid, sebbene si presenti come la "medicina" delle patologie del mercato finanziario, creerà un sistema assolutamente virtuale che agisce a livello sovranazionale, in cui le grandi banche e i grandi investitori saranno gli azionisti, gli investitori e i controllori. Trionferà l'associazionismo, e vedremo per sempre la fine della "crisi di liquidità", perché pian piano la liquidità come concetto scomparirà, mentre i crack a cui assisteremo saranno le falle di un grande sistema elettronico.