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29 aprile 2009

Balcani: prima della recessione arriva il FMI


La recessione pare sia giunta nell'Europa Orientale, ed in particolare nei Balcani Occidentali, preceduta dai prestiti condizionati e "obbligati" del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Bosnia, Serbia e Macedonia, in occasione della conferenza periodica a Washington della Banca Mondiale e del FMI, hanno continuato le loro trattative per ottenere fondi di finanziamento per le loro politiche di revisione di bilancio e per le riforme strutturali. Al contrario, l'Albania sembra il solo Paese dei Balcani Occidentali che non è stato colpito (ancora) dalla crisi economica.

La recessione pare sia giunta nell'Europa Orientale, ed in particolare nei Balcani Occidentali, preceduta dai prestiti condizionati e "obbligati" del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Per Paesi caratterizzati da un'economia di transizione, l'indebitamento è una condizione costante e patologica, tuttavia viene ulteriormente indotta dalle aspirazioni di integrazione, che ormai impongono la stabilità finanziaria e il riordino dei conti pubblici. Per i Paesi dei Balcani, che già escono da pochi anni dai conflitti e dalle trattative incostanti per la creazione di nuovi Stati democratici, questa crisi economica viene troppo presto rispetto al periodo di ripresa e di crescita, provocato dalla ricostruzione. La situazione economica della regione sembra sia "omogeneamente" di crisi, salvo alcuni casi di relativa sostenibilità e di successo degli investimenti diretti esteri. In generale, Croazia, Macedonia, Bosnia insieme a Serbia e Montenegro stanno attraversando un periodo di forte rallentamento, insieme poi all'Albania che difende più alacremente il suo tasso di crescita economica, pur dovendo osservare un rigido regime di risparmio e di taglio degli sprechi. Per tre Paesi della ex Jugoslavia sono già iniziati i negoziati con il Fondo Monetario Internazionale, mentre la Croazia ha fatto ricorso a forme di prestito intermedie, prima di adire le istituzioni internazionali, ben sapendo che il suo basso rating le darebbe accesso a crediti ad alto costo.

Dunque, Bosnia, Serbia e Macedonia, in occasione della conferenza periodica a Washington della Banca Mondiale e del FMI, hanno continuato le loro trattative per ottenere fondi di finanziamento per le loro politiche di revisione di bilancio e per le riforme strutturali. Per tali Paesi vengono negoziati i cosiddetti accordi stand-by, meccanismi istituiti nel 1952 attraverso il quale un Paese membro può avere accesso ad un finanziamento fino ad un determinato importo (di regola pari o multiplo alla quota detenuta nel fondo stesso) per superare delle difficoltà a breve termine o congiunturali della bilancia dei pagamenti. I pagamenti di rimborso sono cadenzati periodicamente su base trimestrale, e la loro concessione è subordinata al rispetto di alcuni criteri di prestazione, come gli obiettivi di bilancio e la politica monetaria. Criteri che, in linea teorica, permettono sia al Paese beneficiario che al FMI di valutare lo Stato di avanzamento delle politiche, segnalando la necessità di ulteriori politiche correttive. Occorre osservare, però, che negli ultimi anni gli accordi stand-by sono divenuti una consuetudine di cui si è fatto abuso, dando così al FMI il potere di stabilire non solo le soglie di sostenibilità dei bilanci, ma anche di entrare nel merito delle voci di spesa da tagliare: nei fatti, grazie a questi accordi, il Fondo ha un potere sovranazionale, che gli permette di controllare la politica economica degli Stati che ad esso si rivolgono.

Al momento, a chiedere in maniera insistente un aiuto del FMI è la Bosnia, che sta negoziando la ratifica dell'accordo stand-by con la revisione del bilancio, per ridurre un disavanzo di 696 milioni di KM, considerando che le riforme anti-recessione adottate all'inizio del mese di marzo sono state inefficaci e inapplicate, limitandosi solo a destinare il fondo di successione di 170 milioni di KM per coprire le numerose lacune di bilancio. Secondo il Ministro delle Finanze della Bosnia Erzegovina, Dragan Vrankic, membro del team di negoziazione con il FMI, ha affermato che il bilancio del 2009, registrerà una perdita di circa 810 milioni di euro. Il capo della missione del FMI, Costas Christou, tuttavia, ha subito precisato che l'aiuto finanziario che il Fondo potrà garantire è pari ad un massimo di 400 milioni per quest'anno, ed altri 400 milioni del prossimo anno, in relazione alla quota detenuta nel Fondo. Altri fondi saranno stanziati dalla BERS e dalla BEI, per circa 1,5 miliardi di KM che andrà a copire il 40 per cento del fabbisogno di bilancio, mentre la parte restante dovrà essere utilizzato per riforme sistemiche.

La situazione della Bosnia è un caso assai peculiare, in quanto il debito deriva principalmente dalla Federazione bosniaca, considerando che l'entità serba può contare su un avanzo di bilancio e su un sistema bancario che gode di fonti di risparmio. La revisione dovrebbe essere finanziata per circa 50 milioni di KM, accantonati attraverso i capitali delle istituzioni nazionali e del distretto di Brcko, con tagli alle spese di circa 500 milioni di KM (250 milioni di euro) mentre i restanti 146 milioni di KM, saranno forniti attraverso i risparmi della Republika Srpska. Ad ogni modo, il Governo di Banjaluka lamenta proprio il fatto che il debito del FMI andrà a gravare su tutto lo Stato, nonostante sia contratto solo da una parte di esso, visto che tale credito non può essere assegnato ad una sola entità. Così la Federazione della BiH si ricorda di essere parte di un unico Stato solo in momenti di ristrettezza economica, facendo così appello anche ai risparmi della RS, mentre normalmente si guarda bene dal parlare di integrazione politica ed economica con l'entità serba. Purtroppo le cifre sono molto chiare: se la produzione industriale nella Federazione continua a ridursi, con gravi problemi di rallentamento nelle industrie, di disoccupazione e di difficoltà a far girare l'economia, in Republika Srpska la produzione è aumentata, con buoni risultati nel'industria della trasformazione, dell'energia e del gas, nonché nel settore minerario. Secondo le stime dell'Agenzia di collocamento della FBiH, 550 persone sono state vittima di fallimento, liquidazione, di ristrutturazione o di privatizzazione, 5387 sono stati licenziate perchè in esubero, mentre 4842 sono stati impiegati per un periodo limitato, mentre 7.492 persone attendono l'indennità di disoccupazione.

Accanto alla Bosnia, vi è la Repubblica di Macedonia, che chiede un sostegno del Fondo Monetario Internazionale (FMI), per acquisire nuove risorse dall'estero per fermare la svalutazione del dinaro macedone, a causa della drastica riduzione delle riserve in valuta estera. La Banca Popolare della Macedonia ha chiesto al Governo di intraprendere, nel più breve tempo possibile, delle trattative, al fine di preservare la posizione finanziaria macedone e la stabilità del tasso di cambio del dinaro macedone. D'altro canto, le statistiche evidenziano che il settore produttivo macedone ha subito un calo pari a circa l’11% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, in particolar modo nell’industria del legno, con un record del 64,5%, seguita poi dalla produzione di metalli di base (61,6%) e tessile (27,9%). Secondo gli esperti, questi dati potrebbero essere un grave segnale di recessione, che possono alterare le recenti misure anti-recessione preparate dal Governo di Skopje, volte soprattutto a ridurre le spese della pubblica amministrazione e a creare opportunità si sviluppo delle imprese; un programma solo in parte accolto con favore dalla comunità imprenditoriale, che vede nel piano di Gruevski una forma di protezionismo a difesa di pochi e particolari gruppi di interesse economico.

La Serbia, da parte sua, non ha fatto altro che battere cassa presso le istituzioni finanziarie internazionali , a cominciare dalla Comunità europea, a cui Belgrado ha chiesto un finanziamento a fondo perduto, convertendo i fondi di preadesione, destinati al bilancio dello Stato come strumento di assistenza alle riforme strutturali. I fondi per il 2009 sono pari a 182.5 milioni di euro, inseriti nel programma di pre-adesione IPA e di sostegno macrofinanziario. Altri fondi sono giunti dalla Banca mondiale per 300 milioni di euro, un prestito che si sommerà al precedente, con un totale di 900 milioni di euro, e andrà in parte stanziato per la costruzione del Corridoio 10, e per progetti nella sanità e nelle amministrazioni locali. Per quanto riguarda i negoziati con il FMI, la Serbia ha chiesto circa 3 miliardi di euro, con un nuovo accordo che andrà a sostituire quello precedente. Si tratta ovviamente di un accordo stand-by, condizionato a varie riforme e misure da attuare. Tra le condizioni del Fondo Monetario Internazionale è stato posto il congelamento dei salari e delle pensioni nei prossimi 18 mesi, con un risparmio nel bilancio da 20 a 30 miliardi di dinari. Allo stesso tempo, chiede la revisione del bilancio, per sostenere il mercato finanziario, il settore bancario e colmare il deficit pubblico. La revisione di bilancio prevede tagli alla spesa pubblica per 49,9 miliardi di dinari, 28,9 miliardi di dinari in spese connesse alla pubblica amministrazione, per ridurre così un disavanzo di bilancio salito a 70,5 miliardi di dinari, il che è pari a 2,3% del PIL. Secondo il FMI, tali misure sono necessarie, soprattutto in considerazione del fatto che la crescita dell'economia sarà nel 2009 pari al 2%, mentre arriverà nel 2010 a crescita zero.

Tra i Paesi che non hanno chiesto il supporto delle istituzioni finanziarie vi sono la Croazia, il Montenegro e l'Albania. Di questi, la Croazia è quella che potrebbe averne una maggiore necessità, visto che, stando alle stime ufficiali, la sua economia è già in recessione, mentre il deficit pubblico è in grande aumento, richiedendo ulteriori manovre correttive al bilancio. Ciononostante, Zagabria afferma di non aver bisogno di un prestito con il FMI, e che la moneta locale non si indebolirà grazie ai provvedimenti della Banca centrale a favore della flessibilizzazione della politica monetaria. La Croazia annuncia che emetterà eurobond per un valore di 750 milioni di euro nel mese di maggio, e che stando alle prime indicazioni tale operazione avrà sicuramente successo. Tuttavia la Croazia dimentica di dire che ha subito una continua riduzione del rating internazionale, compromettendo così la sua possibilità di accedere a fondi di finanziamento a basso costo, ragion per cui il risanamento del bilancio e la rivalutazione della sua posizione all'interno dei mercati finanziari sono passi obbligati prima di chiedere ulteriori prestiti all'estero. Per il momento, in aiuto della Croazia è accorsa la Banca europea per gli investimenti (BEI) che ha annunciato che non taglierà i fondi alla Banca croata per la Ricostruzione e lo Sviluppo (HBOR), dopo aver concesso già un prestito del valore di 250 milioni di euro. La Bers conferma un ulteriore prestito per la HBOR, del valore di 100 milioni di euro, mentre la BEI prevede di investire 400-500 milioni di euro in Croazia, soprattutto nella piccola e media imprenditoria, nonché nelle infrastrutture per i trasporti e nei progetti di efficienza energetica.

La situazione economica croata ha la sua immagine speculare nel Montenegro: entrambe economie basate sul turismo e il settore immobiliare, entrambe in crisi. La produzione industriale in Montenegro è diminuita del 13,6 %, mentre l'industria di trasformazione ha realizzato una minore produzione di circa il 34 %. La crisi economica mondiale ha colpito di più le esportazioni (già modeste ), in particolar modo quelle dell'alluminio, ridotte di circa il 40 %, mentre la copertura delle importazioni con le esportazioni è stata solo del 22,53%. Il problema della crisi industriale sembra aver totalmente bloccato il Montenegro, che ora sembra attraversare una grande fase di impasse e di imbarazzo, in quanto, dopo aver fallito nel settore della "speculazione" e della privatizzazione, cerca di vendere a nuovi "furbi" investitori, passando così da un creditore all'altro, e non ipotizzando ancora nessuna forma di ristrutturazione economica o istituzionale. Dopo i russi, le trattative partono con sceicchi, emiri e sultani, nel tentativo di portare sulle coste montenegrine capitali freschi, senza passare per delle forme di indebitamento troppo "ufficiali". Inoltre, nonostante lo stato dell'economia, Podgorica ha presentato la propria candidatura, nel pieno entusiasmo di Bruxelles che, in questo caso ( e a differenza di quanto fatto per Albania, Croazia e Serbia) non ha posto nessuna evidente obiezione.

Infine, abbiamo la piccola Albania, il solo Paese dei Balcani Occidentali che non è stato colpito (ancora) dalla crisi economica. Questo dovuto, in parte, al fatto che, una popolazione all'estero almeno pari a quella residente in Albania, invia rimesse e risparmi ai propri familiari in patria, compensando così il deficit della bilancia dei pagamenti e sostenendo il tenore di vita interno. Questa grande massa di risparmi riesce a sostenere il settore bancario, e così quello economico, colmando l'eventuale calo di apporti e di capitali dall'estero. Secondo gli esperti, tuttavia, la crisi economica globale ha toccato solo il settore dell`agricoltura, cominciando così a subire la concorrenza dei prodotti esteri e l'aumento della competitività che deriva dall'apertura delle frontiere. Per il resto, è difficile ora avere un quadro reale della situazione, considerando che l'Albania si sta preparando alle elezioni politiche, tra l'altro molto importanti per completare il processo di candidatura e di ingresso all'Unione Europea. In tale ottica va vista anche il progetto del nucleare a Scutari, nato sotto le mentite spoglie di un progetto regionale, e probabilmente sarà veicolo di propaganda o di futuri accordi con le potenze del nucleare europeo, come la Francia.