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16 ottobre 2008

Non solo la guerra può uccidere


Un carabiniere italiano dislocato a Nassiriya si ammala, colpito da un tumore alla prostata probabilmente causato da acqua contaminata da sostanze cancerogene. La sua storia rischia di essere così dimenticata nel silenzio delle istituzioni, mentre rappresenta un'importante occasione per aprire un dialogo su un problema che riguarda l'intera comunità civile.

Acqua contaminata da sostanze cancerogene. Questa forse la causa del malore che ha colpito un militare dell’Arma dei Carabinieri che ha partecipato nel 2005 alla missione di Nassiriya, in Iraq. Per spiegare la sua storia ha contattato la redazione di Etleboro, chiedendo semplicemente di capire il motivo per cui si ammalato e se lo Stato italiano riconoscerà la sua causa di servizio. "Sono stato in missione a Nassiriya circa sei mesi, dall’aprile del 2005 all’agosto dello stesso anno. Quando sono partito stavo bene e dagli esami risultava che ero in ottima salute. Ma quando sono tornato, dopo avermi dichiarato idoneo al servizio, ho scoperto di essere gravemente malato". Queste le parole del Vice Brigadiere dei Carabinieri, allora Appuntato scelto, nel raccontare le diverse fasi della malattia e il modo in cui è venuto a conoscenza di essersi ammalato. L’esito degli esami effettuati il gennaio successivo, sempre a proprie spese, non fu positivo, e i medici gli consigliano di sottoporsi una visita urgente da parte di un urologo, il quale, dopo alcuni accertamenti di biopsia, scopre la presenza di un tumore maligno alla prostata. La diagnosi sembra certa, a differenza delle cause scatenanti, che restano allora sconosciute. Tuttavia decide di affrontare a proprie spese il difficile iter medico per ottenere delle risposte. Si reca così d’urgenza presso l'Ospedale di San Raffaele di Milano, dove effettua accurate analisi nonchè un intervento per asportare il tumore.

Da quel momento inizia per il Vice Brigadiere la radioterapia e le cure per fermare l’espandersi del malore in tutto il corpo. Dopo 60 giorni di terapia, si reca presso l’Ospedale Militare di Bari, che intende rilasciargli un certificato di congedo perché "non più idoneo al servizio militare", per cause "non dipendenti da cause di servizio". Così, per non rinunciare al proprio lavoro, chiede ai dottori che lo avevano in cura di consegliargli un identico certificato che attesti invece la sua idoneità a prestare qualsiasi attività lavorativa. Solo dinanzi alla presentazione di tale certificato, l’Ospedale Militare decide di concedere l'idoneità al servizio, consigliando tuttavia "di non presentare alcuna domanda per causa di servizio", altrimenti lo avrebbero riformato. Allo stesso tempo riceve dal Comandante M.S.U. un elogio scritto il quale attesta "il sacrificio anche in temperature avverse per portare a termine il proprio operato". Decide così di mantenere per sé questo dramma, senza andare oltre, quando però scopre che molti dei suoi colleghi vengono colpiti dallo stesso malore, in circostanze del tutto simili.

Solo allora, comincia ad indagare più a fondo sulle cause che avrebbero potuto causare il tumore. Ricorda così che durante la missione in Iraq ha partecipato ad una squadra per la compagnia speciale come idraulico, e durante il suo lavoro beve dell'acqua contenuta in bottiglie di plastica, lasciate al sole ad una temperatura di oltre 40 gradi. Un’ipotesi confermata anche dai medici del San Raffaele, individuando delle sostanze chimiche contenute in alcuni tipi di bottiglie di plastica, come il bisfenolo A o Bpa, che causano proprio tumori alla prostata, al seno, o malformazioni del feto. Dunque, dopo che il PET ha sostituito il PVC nelle materie plastiche per conservare gli alimenti, la pericolosità di certi materiali non è del tutto esclusa. Tra l’altro, già nel 2006 si conoscevano i danni e il pericolo di tali sostanze, e solo quest’anno giungono i primi segnali ufficiali, da parte del Comitato Energia e Commercio del Senato americano, che ha richiesto di regolamentare in maniera più restrittiva l’utilizzo del Bpa, la cui tossicità è stata già evidenziata da esperimenti mirati dal parte del National Toxicology Program (Ntp).

Si tratta inoltre di una sostanza che già in condizioni normali rilascia tossine, che divengono ancor più numerose e pericolose a temperature molto elevate, proprio come quelle del deserto dell’Iraq. Non c’è dubbio dunque che vi sono delle responsabilità di cui farsi carico dinanzi ad un caso del genere, e simile ad ogni contaminazione che avviene durante la prestazione del proprio lavoro. Bisogna infatti dare una risposta ai soldati italiani, che mettono a repentaglio la propria salute per servire lo Stato in condizioni avverse, e spesso senza precauzioni. La storia di un Carabiniere, rappresenta comunque un’occasione per aprire un dialogo su un problema che riguarda l'intera comunità civile ed istituzionale, essendo un pericolo che minaccia la salute dell'intera collettività. Invitiamo dunque chiunque altro si sente colpito da questa contaminazione, o che ha informazioni utili ad affrontare il problema, a contattarci per costruire insieme una tavola rotonda su tale caso.