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25 luglio 2012

Il silenzio delle istituzioni italiane sul Caso Dalmatinka

Roma - All'indomani della presentazione dell'interrogazione parlamentare sul 'caso Dalmatinka' non vi è stata ancora una risposta da parte delle istituzioni italiane. Dopo il silenzio del Ministero degli Esteri, tacciono anche gli uffici dell'Ambasciata d'Italia in Croazia. Oggi i nostri diplomatici si fanno negare al telefono ed evadono le domande, nascondendosi dietro un 'No Comment, stiamo lavorando'. Eppure esiste una perizia, ordinata dalla stessa ambasciata, che constata la violazione nella controversia della Dalmatinka della convenzione bilaterale italo-croata per la tutela gli investimenti. Inoltre, tutte le accuse mosse nei confronti dei F.lli Ladini presso i tribunali croati sono cadute dopo aver affrontato un annoso iter giudiziario, nel corso del quale sono stati palesemente violati i diritti civili alla difesa, come la presenza in aula degli avvocati. Nonostante le promesse dei funzionari dell'ICE e dell'ambasciata, non è stata esercitata nessuna pressione presso le autorità croate o la Commissione Europea per chiarire il caso, prima di una irreversibile degenerazione degli eventi. Mentre la Dalmatinka veniva espropriata, con il blocco dei conti correnti e gli scioperi interni per la rivendicazione del pagamento dei salari, non vi è stato alcun intervento per fermare il declino della società, che intanto andava in fallimento. 

 Perizia Caso Ladini - Dalmatinka
 Studio Legale Anita Prelec
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Al contrario, le precedenti esperienze dei cugini europei mostrano esiti completamente diversi. Da citare il caso dell'investimento della danese Rockwool a Potpican che, a seguito della chiusura della fabbrica da parte del Ministero della Tutela ambientale,  ha ottenuto una dichiarazione del  direttore della Commissione Europea per l'Allargamento a Zagabria, Christian Danielsson, in cui si chiede di raggiungere una "soluzione rapida" tra la società e le autorità locali. Una richiesta giunta sino a David Daly, capo del Dipartimento per la Croazia presso la Direzione Generale della Commissione Europea per l'allargamento a Bruxelles, il quale ha a sua volta convocato il prefetto della Contea dell'Istria Ivan Jakovcic (Nacional, 5 feb 2008).  Ci chiediamo, quindi, perchè il Sistema-Italia non abbia intrapreso un'identica azione di difesa, e perchè tutt'oggi la Commissione Europea non interviene, come ha fatto con l'investimento danese, per chiedere il rispetto delle norme comunitarie di non-discriminazione e di libertà di movimento dei capitali.

Tuttavia, non si ferma la macchina diplomatica italiana se chiamata a servire gli interessi di società come Fiat, A2A e Maccaferri, nonché Unicredit ed Intesa San Paolo, e 'amici degli amici'. L'ambasciatore a Zagabria, Emanuela D’Alessandro, continua ad assistere alla ratifica di protocolli di cooperazione tra imprenditori italiani e croati (Comunicato Amb. Zagabria, 24 maggio), garantendo la massima sicurezza e trasparenza per gli investimenti italiani, tutelati da 'convenzioni e norme europee'. Stando alle loro parole, non vi sono ostacoli o problemi ad investire in Croazia, ma la realtà è ben diversa. Le conferenze di promozione di progetti o partnership - a cui vengono invitati sempre personaggi che ruotano sempre nell'entourage dell'ambasciata, con la presenza degli associati delle Camere di Commercio giusto per fare numero - sono nei fatti destinate a difendere gli interessi di grandi società e banche. Ostentando un controllo della situazione che non hanno, spingono le piccole e medie imprese ad intraprendere 'avventure estere' che solo sulla carta saranno monitorate e tutelate dallo Stato, perchè nei fatti gli imprenditori devono "auto-finanziare" il rischio dell'internazionalizzazione. L'ombra di un precedente così eclatante come quello della Dalmatinka ha messo in evidenza come la sorda indifferenza delle autorità italiane, e così la debolezza della diplomazia nel garantire il rispetto degli accordi, rappresentano i principali ostacoli allo sviluppo di partnership eque e di successo. Vince, ancora una volta, la logica dell'assistenzialismo, ai danni della tutela dell'iniziativa imprenditoriale, così come garantita dalle leggi europee.