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05 novembre 2012

Gli abusi della Magistratura e l'arroganza del potere

Quando i potenti si sentono fortissimi devono temere gli irriducibili, quelli che riescono a vivere con poco e che non possono zittire con denunce e farse giudiziarie. Come in altri casi ci siamo  sempre distinta, portando fatti, prove, non elucubrazioni di falsi commentaristi e quella parte dei giornalisti al soldo della cocaina. Il nostro monito, oggi, va oltre e si rivolge a quelle strutture di potere che si illudono di rimanere impunite, nascoste dietro l’autorevolezza delle istituzioni, di cui sporcano il nome ogni volta lo utilizzano per coprire la prepotenza dei suoi funzionari, per giustificarne gli abusi o accreditarne le carriere. Noi non temiamo la mafia, né le patrie galere, i questurini e i togati, perché la conoscenza ci rende inattaccabili. Vogliamo oggi denunciare il marcio di un sistema basato sullo sfruttamento delle fonti e degli informatori, che invece di essere un patrimonio dello Stato, diventano merce di scambio per gli avanzamenti di carriera, per intascare consulenze, per incassare vitalizi e cariche politiche. Sono sempre eccelsi gli sforzi dei nostri Magistrati, acclamati dalla politica e dai giornali, premiati per i loro servigi dalle massonerie e dai gruppi di interesse, glorificati dalla storia e dalla memoria. Ma quando un informatore muore, non avrà neanche una riga sul giornale, mentre la sua famiglia verrà abbandonata a se stessa, nonostante abbia reso un servizio alla nazione.  D’altro canto, in quest’era di crisi e di tagli, l’Italia è piena di corvi, pronti a tradire per trenta denari, e così a riferire i segreti e le bassezze delle istituzioni in cui hanno lavorato per anni. Vengono pilotati e accreditati come fonti autorevoli: diventano un’arma nelle mani di chi vuole atterrire lo Stato. Ebbene, tutti siamo corvi ed esiste anche una giustizia per chi li crea i corvi e li manipola. 

Nel nostro cammino abbiamo incontrato numerosi casi di ‘emarginati della giustizia’, ognuno con una storia più o meno controversa, che però indica il ruolo che viene loro riservato. Infatti, lo status dei collaboratori, nella maggior parte dei casi, non viene mai definito con grande precisione, mantenendo sempre un alone di ambiguità, per dare così modo ai funzionari pubblici di giocare sul filo del rasoio e di coprire da ogni responsabilità gli alti dirigenti, che autorizzano operazioni o consulenze non pianificate nel dettaglio, vagliate in via sperimentale e prive di qualsiasi coordinamento. Informatore, consulente, confidente, collaboratore: sono tutte espressioni che ormai non implicano uno status giuridicamente garantito. La legge tutela il loro diritto a percepire delle remunerazioni – più o meno dignitose, ma anche inesistenti – ma non protegge i cittadini che “lavorano con lo Stato” da rischi e rivalse. Nella convinzione di aiutare la collettività e di fare qualcosa per il proprio Paese (sempre ché non si è oggetto di ricatti), si accettano condizioni “non scritte” di una collaborazione che, nella totalità dei casi, sarà rinnegata, smentita e cancellata, con la produzione di documenti e prove ad hoc, che mettono al sicuro il magistrato o l’ispettore di turno. Dall’altra parte, infatti, sono in gioco carriere e promozioni, ma anche bonus o ricche consulenze, pagate con casse senza fondo. Tutto questo non contribuisce certo a creare il giusto clima di cooperazione e di fiducia tra lo Stato e cittadini, che vedranno piuttosto in esso un vespaio di ‘dipendenti pubblici’ concentrati sulle loro megalomanie. Quello dei collaboratori esterni va così a costituire un sottobosco che Procura e Magistratura usano, per poi metterlo da parte e cancellarlo, abusando indiscriminatamente del loro potere, coscienti che il muro del silenzio istituzionale li proteggerà e che i media non si esporranno in casi di scarsa audience. 
Questi sono spesso elementi ricorrenti e comuni e chiunque si imbatta in una cooperazione con indagini ufficiali o meno, passando da “persona a informata sui fatti” a inconsapevole confidente o ad informatore ufficioso, senza alcuna tutela o remunerazione. 


Operazione Exchange: tra dilettanti e abusi di potere 

E’ la storia di un imprenditore di Taranto, Sergio, che porta avanti la propria attività in maniera onesta e professionale, ma per una strana coincidenza e a sua insaputa diventa prima un 'confidente' della Procura, per poi essere coinvolto in una vera e propria simulazione di un’operazione di acquisto di titoli per cambio valuta, sotto copertura. Vogliamo premettere che le transazioni con collaterali e garanzie bancarie, rivolte al riciclaggio di denaro e alla produzione fittizia di denaro, sono state senz’altro un cancro economico che istituzioni e magistratura non sono riusciti ad arginare. Questo fenomeno è stato per molto tempo sottovalutato, nonché favorito dalla patologica pratica delle banche di accettare titoli non solvibili o non autentici, nonché dalle omissioni degli organi di sorveglianza. Seguendo la scia delle indagini in questo settore così critico, abbiamo avuto modo di apprendere come spesso le modalità e gli strumenti utilizzati dagli inquirenti per individuare ed infiltrare queste reti sono stati dozzinali e superficiali. Senza dubbio, mancano all’interno delle strutture della Magistratura e della Finanza degli esperti di specifici settori, tanto che vengono spesso utilizzati “soggetti esterni” che prestano la loro consulenza e mettono al servizio dello Stato la loro professionalità. 

Sergio infatti, nel corso della sua normale attività d’affari, viene avvicinato da un controverso personaggio, Filiberto, che si presenta come un esperto finanziario e intermediatore di operazioni di scambio di titoli per conto di grandi società. Questi lo introduce in un circuito di mediazione finanziaria e gli propone di condurre insieme degli affari, sfruttando la sua professione di mediatore creditizio onde avere accesso ad un canale attraverso il quale bypassare delle transazioni. Con il passare delle settimane tali proposte d’affari diventano tuttavia un mezzo per poter consolidare la loro amicizia, che si rivelerà un elemento critico della vicenda di cui Sergio diventa inconsapevole protagonista. Un giorno Filiberto gli presenta un sedicente broker; questi nella realtà altro non è che un semplice dipendente di una multinazionale, che afferma di avere a Londra collaboratori che organizzano operazioni di ‘cambio valuta’ attraverso titoli obbligazionari. Nel dettaglio, si tratta di reperire una obbligazione dell’importo espresso che sarà ceduta a fronte di un controvalore in euro ma decurtato; decurtazione questa che costituisce anche il guadagno dell'operazione, da dividersi fra il soggetto che ha comperato l'obbligazione e gli intermediari. In queste transazioni si maneggiano somme pari a centinaia di milioni di dollari, per cui si prestano ad essere utilizzate per ricapitalizzazioni fittizie e riciclaggio di denaro contante. 

Intuita l’illiceità del business e la mala fede dei suoi interlocutori, Sergio si sente in dovere di denunciare alle autorità quanto appreso, avendone anche l’obbligo in base ai termini di legge in quanto intermediario finanziario. In tale proposito viene assecondato da Filiberto, che tuttavia gli propone di parlare della faccenda a due suoi amici, che chiama gli “Amici della Procura”, ossia due ispettori della Polizia di Stato in servizio presso la sezione di Polizia Giudiziaria presso il Tribunale di Taranto. Mentre il primo è vicino alla pensione, il secondo è più giovane con una carriera davanti a sé. Nonostante l’iniziale diffidenza su quanto rivelato, ritenendo che dietro le operazioni di cambio valuta si celino dei banali truffatori, si dicono interessati ad indagare, ma chiedono a Sergio e Filiberto di raccogliere più elementi. A questo punto sembra cominciare un rapporto di collaborazione in cui Sergio figura come “confidente” della Procura, per intraprendere così un’indagine sotto copertura per conto e con il coordinamento degli ispettori, senza alcuna ufficializzazione dell’inchiesta o formalizzazione del suo ruolo. Verbalmente, tuttavia, promettono a Sergio una tutela della sua posizione ed un compenso in danaro per l’attività svolta in favore dello Stato. D’altro canto Filiberto sembra essere invece a conoscenza della prassi utilizzata, come anche dei funzionari della Polizia di Stato con cui ha una certa confidenza, rivelando così di aver già collaborato in passato ad altre operazioni. Racconta così di essere un ex ufficiale della Marina, di aver lasciato la vita militare senza darne spiegazione, per essere poi assunto come vicedirettore in una filiale di Taranto della BNL. Tuttavia la ricostruzione di alcuni dettagli fa emergere delle contraddizioni, ma che contribuiscono a far capire quali siano i più assidui collaboratori e confidenti delle autorità giudiziarie, e quindi solo raramente dei veri professionisti del settore che millantano di conoscere. 

Gli Amici della Procura in azione 

Foto 1. E-mail con cui Sergio e Filiberto si
scambiano il documento da loro costruito
ed attestante una falsa posizione bancaria.
I presupposti, quindi, non sono ideali per intraprendere questo tipo di avventura, ma Sergio decide comunque di continuare, prendendo le dovute “precauzioni”, ossia registrando ogni incontro e conversazione con i suoi tre compagni. Così, come suggerito, Sergio comincia a trattare con il contatto londinese o comunque con l’organizzazione che rappresenta, chiedendo una copia delle obbligazioni in dollari. Tutte le conversazioni vengono gestite attraverso un indirizzo di posta elettronica creato ad hoc, ma Sergio comunica utilizzando il proprio nome, il proprio numero di cellulare, mettendo anche a disposizione i locali dei propri uffici per gli incontri, esponendo quindi in prima persona la sua attività di intermediario finanziario. In altre parole, Sergio svolge un’attività professionale continuativa per circa un anno e mezzo, ricevendo sulla sua e-mail diversi documenti, come copie di obbligazioni, di certificati di deposito garantiti da oro, estratti di conti correnti, copie di documenti personali.

A questo punto per gli Amici della Procura, la cosa si fa interessante, ma perché il tutto coincida chiedono che siano soddisfatte delle condizioni ‘tecnico-giuridiche’, in modo da ricondurre un’operazione di riciclaggio internazionale nella competenza della Procura di Taranto, e quindi farla passare come propria indagine. Dunque, nel rispetto del codice di procedura penale, per poter condurre e continuare l’indagine è necessario: a) che i fatti delittuosi si svolgano a Taranto per incardinare la competenza presso la Procura locale; b) che il reato sia commesso o, quanto meno, che vi sia un tentativo di commissione sempre nella città di Taranto. Così nel 2008 viene iscritta la notizia reato, ma Sergio dovrà ‘infiltrarsi’ nell’organizzazione criminale e simulare a Taranto una operazione di cambio valute. Viene così posta in essere una serie di tentativi, che tuttavia falliscono, tutti preceduti da contatti telefonici o con posta elettronica, nonché di incontri registrati con supporti video e audio, accumulando un vero e proprio dossier che ha ad oggetto un’indagine per “riciclaggio di valuta USA di dubbia provenienza”.

Foto 2. Le parti indicano le percentuali di guadagno
 nell'operazione di cambio valute

Foto 3. Le parti concordano un appuntamento
davanti alla banca in cui effettuare la transazione

Una storia di riciclaggio internazionale 

I primi tre tentativi falliscono perché non rispondono alle esigenze dell’iscrizione dell’inchiesta. Infatti, il primo coinvolge un intermediario creditizio ed un avvocato entrambi di Taranto, che tuttavia utilizzano un istituto di credito con sedi legali in paesi inclusi nelle “black-list”. Il secondo dopo aver presentato al contatto di Londra una documentazione bancaria falsa, relativa ad importanti giacenze appartenenti ad un imprenditore non esistente. Infine la terza, che è anche la più clamorosa fra le tre, vede l’architettura di una finta operazione presso un conto corrente fittizio di una filiale di una Banca di Taranto, dietro l’autorizzazione scritta della Procura di Taranto, con allegato un passaporto diplomatico di un deputato straniero. Quest’ultima fallisce perché il soggetto in questione si ritira, avendo capito di essere parte di un’operazione simulata. Significativo, tuttavia, è il quarto tentativo, che porta Sergio a rintracciare due mediatori provenienti dalla Spagna che cercando titoli per cambiare valuta contante, pari a circa 500 milioni di dollari, somma di cui allegano una foto. E’ qui che termina la cooperazione con la Procura, lasciando in sospeso il contatto spagnolo, che tuttavia comincia a temere di essere finito in una trappola, avendo ricevuto una documentazione evidentemente falsa. Si chiede così a Sergio di allontanarsi dal caso, senza un perché o una ragione, affermando semplicemente che è “opportuno che si interrompa la collaborazione tra Sergio, la Procura e la Polizia di Taranto”. Ci si aspettava, tuttavia, il mantenimento della promessa a suo tempo fatta di tutelare la sua posizione, oltre che far fronte al compenso economico. La brusca interruzione dei rapporti, infatti, non mette Sergio a riparo da sgradite sorprese: la sua abitazione viene violata da qualcuno che entra alla ricerca di qualcosa. In quei concitati attimi, avviene anche una sparatoria con una volante della Polizia lì intervenuta, e gli individui sospetti scappano. 

L’interruzione dei rapporti: il silenzio delle istituzioni 
Foto 4. Il Ministero Dipartimento contenzioso
nega il risarcimento del danni

Per oltre un anno Sergio attende una risposta, ma non riceve nessun segnale, se non un’espressione di fastidio per quella presenza ingombrante. Sergio dirada progressivamente i rapporti con Filiberto che, tuttavia, continua a seguire l’indagine perché a conoscenza di particolari, che Sergio apprenderà solo dopo attraverso la missiva che il magistrato invia all’Ispettorato del Ministero di Giustizia. La Magistratura, quindi, dopo aver usato la sua persona e la sua professionalità, per soddisfare la megalomania e il desiderio di carriera di due mediocri ispettori, lo lascia solo in balia di una organizzazione internazionale dedita al riciclaggio, organizzazione che conosce gli uffici di Sergio, i suoi contatti, ogni cosa. La paura e lo smarrimento, tuttavia, non fermano Sergio, che così si attiva perché la sua storia non resti inascoltata. 

Foto 5. La Presidenza della Repubblica
demanda  la questione al CSM
Il caso viene così portato all’attenzione della Presidenza della Repubblica, del Ministero della Giustizia, del Ministero dell’Interno, della Procura della Repubblica di Potenza, a cui viene chiesto di consultare la documentazione in grado di dimostrare gli abusi della polizia e della Magistratura di Taranto, e così di tutelare la sua posizione. Il tenore ed il contenuto delle risposte è a dir poco scandaloso, lasciando cadere nell’indifferenza le richieste di intervento, mentre nessuna delle istituzioni interpellate prende la propria decisione dopo aver approfondito la questione, acquisendo la documentazione che la parte lesa ha offerto. 

La Presidenza della Repubblica ringrazia e riferisce di aver disposto il passaggio della vicenda al Consiglio Superiore della Magistratura. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione ritiene che le richieste non riguardino l’Ordine Giudiziario ma solo la Polizia di Stato. Il Ministero dell’Interno non ha mai risposto, mentre il Ministero della Giustizia si dichiara incompetente ad entrare nel merito della vicenda; in altre parole, dinanzi ad una richiesta di pagamento del compenso e di risarcimento dei danni causati da magistrati, dichiara di poter intervenire solo nel caso in cui sia instaurato un contenzioso. 

Un abuso per coprire le violazioni nelle indagini 

Foto 6. L'Ispettorato definisce Sergio
confidente e testimone
All’ispettorato Generale del Ministero della Giustizia scrive la Procura di Taranto, in particolare lo stesso procuratore aggiunto che ha curato le indagini del caso, aprendo un’indagine ispettiva (cosiddetto modello 45), anch’essa abusiva perché il foro in questione non costituisce un organo territorialmente competente a seguire un’indagine interna per l’accertamento dell’esistenza di un reato, che tra l’altro si tratterebbe proprio di un abuso di ufficio commesso dai magistrati della stessa Procura. Viene perpetrato, in altre parole, “un abuso nell’abuso” che è direttamente strumentale ad esercitare delle pressioni e delle intimidazioni nei confronti di Sergio e del suo avvocato, e che lascia perfettamente trasparire il patologico modus operandi della magistratura, destinato nei fatti a pilotare e a manipolare le inchieste. Di fatti, lo scopo del magistrato in questione sembra quello di aprire un’indagine esplorativa per accertarsi della portata della documentazione in possesso di Sergio, per controllarne l’esito e indurre all’archiviazione un eventuale secondo tribunale che avrebbe indagato sullo stesso caso, nonché per coprire gli abusi fatti dagli ispettori di polizia. 

Foto 7. L'ispettorato nega aver delegato la Procura di Taranto alla identificazione.
Dalla documentazione raccolta da Sergio, emerge infatti che il Magistrato conferma l'esistenza dell'indagine per “riciclaggio internazionale di valuta USA di dubbia provenienza”, e che sono state fatte delle rogatorie verso Paesi esteri, avvalorando la tesi che sono state consultate e acquisite dagli ispettori le copie dei collaterali e delle garanzie bancarie reperite per conto della polizia e presenti sulla casella di posta elettronica. In secondo luogo, viene precisato che Sergio è stato assunto a “sommarie informazioni” nel dicembre del 2009 “in relazione ai fatti descritti in una memoria a firma dell’informatore” (ndr. Filiberto), il quale per la Procura rappresenta colui che ha fornito delle informazioni valide ai fini dell’apertura di un’inchiesta e ha presentato Sergio agli ufficiali della Polizia Giudiziaria (gennaio 2008). La contraddizione nei termini è evidente, considerando che il Magistrato prima afferma che Sergio era a conoscenza dei fatti (avendo partecipato a dei colloqui tra un informatore e degli ispettori) e poi dice che è stato assunto a sommarie informazioni dopo oltre due anni. E’ interessante notare che nel dicembre del 2009 Sergio viene convocato dalla Procura per effettuare una “correzione” del nome di un soggetto indagato: un banale espediente per giustificare la sua acquisizione a sommaria informazione, e così la sua eventuale partecipazione ad una parte delle indagini, testimoniata da una corrispondenza con i contatti londinesi per circa 1 anno e mezzo. Ma allora se Sergio era informato dei fatti, perché non è stato indagato?E se non è tra i sospetti, allora era “parte attiva delle indagini” come organico alla Procura. 
Inoltre, sempre nella famosa indagine esplorativa il vice Procuratore dispone di sua iniziativa – e non dietro la richiesta dell’Ispettorato - l’identificazione di Sergio e del suo avvocato (nov-dic 2011) nonostante sapesse benissimo chi lui fosse, ponendo domande generiche se “avesse qualcosa da raccontare” e non “sulle modalità di partecipazione alla vicenda”. Una evidente messa in scena volta ad intimidire le parti, una prassi molto diffusa ormai nella magistratura, che tenta di pilotare le indagini degli avvocati e di ostruire quelli che escono “al di fuori dagli schemi posti loro dai procuratori”, spingendosi sino all’iscrizione per i reati di cui sono accusati i loro clienti. 

Foto 8. La Procura di Potenza
archivia l'indagine
Successivamente, in una comunicazione dell’Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia, Sergio viene individuato come “confidente e testimone”, ma non è mai stato né l'uno, né l'altro. Vi è quindi una difficoltà, anche da parte degli Uffici del Ministero, nell’inquadrare la sua posizione considerando non può essere definito in documenti ufficiali infiltrato, per non compromettere così l’esito dell’indagine ispettiva. Eppure nella prima lettera invitata al Ministero, il caso viene descritto come “una vera e propria attività di simulazione”, parole queste che non vengono recepite dal dicastero, ma vengono anzi cambiate. Nel frattempo, l’avvocato di Sergio decide di adire la Procura di Potenza – organo territorialmente competente ad effettuare indagini sui magistrati di Taranto – che tuttavia archivia l’indagine basando la propria decisione solamente su due delle cinque denunce e integrazioni depositate da Sergio, senza spiegarne le ragioni. Ci si chiede allora se siano mai arrivate a Potenza queste integrazioni o se non siano state prese proprio in considerazione. La complessità della macchina giudiziaria e la machiavellica opera dei suoi funzionari rendono praticamente inespugnabile la fortezza della Magistratura da parte di chi tenta di condannarne gli abusi. Tutto questo lascia ben trasparire quanto sia corrotta la casta delle doghe, nelle cui mani si racchiude la paralisi dell’intero sistema giudiziario e così le sorti di cittadini e imprese. 

Tiriamo le somme e l’amara morale 

E’ quindi evidente il perché si è cercato in tutti i modi di mettere a tacere questo caso, e così di mantenere nascosto al grande pubblico il modo con cui vengono portate avanti delicate inchieste. Sono state violate le normative che regolano le cooperazione con civili in attività di indagine o simulazioni, con un duplice abuso di ufficio nel tentativo di coprire le violazioni commesse nella gestione dell’intero caso. Vi è stata inoltre una malversazione del denaro pubblico per intraprendere un’inchiesta destinata a soddisfare le manie di protagonismo di alcuni funzionari. Ci chiediamo, quindi, se questa indagine sia stata conclusa e abbia portato a qualche risultato, ma soprattutto se e da chi è stata intascata la provvigione della consulenza per la gestione dei contatti e la simulazione. Non vorremmo, infatti, che sia stata messa in piedi una tale farsa per creare un’inchiesta, e successivamente assoldare i soliti consulenti, con cui magari spartire la parcella. A questo punto, si pone un altro problema, ben più grave, ossia perché la Magistratura di Taranto non ha pubblicato i resoconti delle spese per le consulenze esterne sostenute tra il 2008-2010, come prevede la legge sulla trasparenza. 

Sarebbe quindi interessante cominciare a condurre una sorta di censimento “a campione” dei casi di inchieste pilotate, di reperimento di informatori e fonti. Si potrebbero così capire quali sono i legami che uniscono i magistrati alle consulenze esterne, agli avvocati di ufficio, alle lobbies di affari e ai gruppi di interesse. In tal senso, potrebbe così emergere la vera natura di tante promozioni, il motivo delle carriere politiche di alcuni magistrati, quali sono le forze che impediscono il regolare funzionamento della macchina dello Stato. Il nostro è quindi un messaggio che lanciamo a chi ‘ha orecchie per intendere’, a quei magistrati che mettono le loro firme a matita per poi poterle cancellare.  Quindi diffidiamo chi si vende alle Corporation, alla massoneria e ai centri di potere occulti, alle ONG finanziate dalle lobbies.