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29 agosto 2007

Ancora lontano il federalismo che riscatterà le regioni


Le urla di Umberto Bossi hanno nel bene o nel male lasciato una eco che porterà probabilmente a riporre maggiore attenzione alla riforma del federalismo fiscale. Dalla feroce, quanto esibizionistica polemica, può scaturire una decisione frutto del concerto delle parti oppure un sofferto compromesso tra le Regioni - eventualmente le più ricche - e il Governo, che non potrà non accogliere le richieste di quei territori che rappresentano il più elevato gettito all'interno del Bilancio dello Stato. Si attende al momento l'incontro del 15 settembre tra il governatore della Lombardia, i principali rappresentanti della Lega - che non può certo essere considerato un partito di rappresentanza popolare - e Romano Prodi per discutere del federalismo e del federalismo fiscale. Una riunione che risponde alla delibera del Consiglio regionale della Lombardia, che ha approvato una risoluzione per ottenere dal governo la competenza su 12 nuove materie nonché una proposta di legge al Parlamento sul federalismo fiscale che prevede di trattenere nelle regioni anche l'80% dell'Iva. Ci si chiede come mai tanta priorità alle richieste di una singola regione, quando è prassi per lo Stato ignorare le prerogative delle altre autorità regionali? Occorre infatti sapere che da un recente sondaggio della Camera di Commercio di Milano è risultato che in relazione alle principali imposte nazionali (Irpef, Irap, Iva, e Ires) la Lombardia avrebbe come gettito circa 69.246.625 di euro, il Lazio invece 35.520.714 di euro, il Piemonte 22.060.006 euro, il Veneto 21.944.315 euro, l’Emilia Romagna 20.579.269 euro e la Toscana 14.975.808 euro. Dinanzi a questi dati, si intuisce che la Lombardia si conferma ancora come una delle regioni d’Europa economicamente più competitive, perché sede della maggiore concentrazione di piccole e medie imprese, delle multinazionali e di cittadini con più elevato reddito. Rappresenta dunque, da questo punto di vista, una delle regioni che ha maggiori prerogative all'interno della discussione sul federalismo fiscale, facendo così del gettito fiscale una discriminante della rappresentanza o volontà popolare.
In realtà tutto il territorio italiano chiede a gran voce maggiore autonomia fiscale in quanto le singole autorità locali subiscono in via diretta le incongruenze e le contraddizioni della legge finanziaria 2007, avendo subìto l'ulteriore taglio dei trasferimenti da parte dello Stato pur avendo consegnato all'Amministrazione centrale il proprio gettito. Per tale motivo assistiamo all'esponenziale aumento del cuneo fiscale, mediante la moltiplicazione dei costi a carico del cittadino e delle nuove tasse. Considerando dunque il grave malessere che colpisce i conti statali, una riforma del federalismo fiscale sarà sempre più necessaria perché sui singoli cittadini e sulle piccole e medie imprese si avvertirà sempre più il peso del cuneo fiscale. Allo stato attuale sono già iniziati i primi esperimenti di cui la Sardegna è l'esempio per eccellenza, dopo l'imposizione di tasse più elevate per i soggetti non residenti : le prime prove tecniche di federalismo fiscale ruotano essenzialmente sulla cd. concorrenza fiscale sulla base della residenza. La Regione Piemonte ha scelto di azzerare l'imposta per un triennio alle imprese di nuova costituzione nel terriorio Piemontese, mentre il Friuli-Venezia Giulia premia le imprese nel singolo periodo d'imposta incrementano il valore della produzione ed il costo del personale di almeno il 5% rispetto alla media del triennio precedente, nonché minor aliquote per le nuove imprese artigiane . Il Veneto riduce le aliquote per le neocostituite imprese giovanili, femminili e alle nuove cooperative sociali, mentre la provincia autonoma di Bolzano ha deciso un taglio dell'Irap dal 4,25% al 3,75%, e Trento vuole una riduzione dello 0,50% per le imprese con alcune agevolazioni per le imprese di nuova costituzione e per gli insediamenti nelle zone svantaggiate (di montagna) o le imprese agricole.
Dinanzi dunque alle nuove esigenze e al cambiamento stesso dell'economia, che non può essere ancora limitata da un organismo burocratico centralizzato, arriva in Parlamento un testo di legge che si propone di riformare il D.Lgs. 56/2000. L'intervento si prefigge di introdurre un "coordinamento" e una "omogeneizzazione" dei conti delle varie regioni e un certo collegamento con la manovra di bilancio dello Stato, per passare da un sistema di riparto dei fondi basato sulla spesa storica ad un sistema basato sui cd. costi standard di produzione dei servizi. Dinanzi alle inefficienze e gli scostamenti tra obiettivi e risultati con dei meccanismi di sanzione automatici che vanno dall’incremento automatico delle entrate tributarie ed extra-tributarie allo scioglimento degli organi degli enti inadempienti.
Sembrerà strano ma nella riforma ricorrono gli stessi principi di base del D.Lgs 56/2000 che riguardano il passaggio al nuovo regime del riparto del gettito sulla base dei costi standard e l'andamento virtuoso degli enti, e il meccanismo di perequazione volto a ridurre le differenze tra le regioni tenendo conto del rapporto gettito-dimensioni del territorio. Il problema che si ripresenta anche con il nuovo progetto di legge è come riuscire a passare da un sistema all'altro, agendo soprattutto sulla prassi della pubblica amministrazione in modo da abituarla a concepire la sua attività burocratica un'attività di impresa, e in quanto tale con i limiti di economicità e competitività che derivano dall'attività con scopo di lucro. Oggi come in futuro occorre affrontare i problemi che derivano dalla differenza tra le diverse Regioni che derivano senz'altro da una pesante eredità storica, ma che nel tempo è stata per certi versi accentuata proprio dallo Stato centrale che ha continuato a premiare le zone ricche, e ha creato una sorta di assistenzialismo per il Sud Italia. Non si è mai cercato di colmare i divari restituendo alle regioni del Sud derubate della loro fonte di ricchezza e dando loro la giusta rilevanza all'interno dell'economia nazionale, ma si è preferito creare una ridicola "Cassa del Mezzogiorno" e perpetuare un sistema economico malato. L'assistenza dello Stato centrale che riscuote e redistribuisce non ha creato delle Regioni indipendenti, ma degli enti che non sono in grado di dare al territorio un valore aggiunto.
Il cambiamento e il passaggio ad un sistema fiscale più equo può essere realizzato se innanzitutto si superano i divari mentali e si pone una nuova educazione nella gestione delle risorse e del gettito territoriale. Sta alle singole regioni prendere coscienza della propria potenzialità e della propria importanza all'interno dell'economia nazionale: a quel punto saranno le singole autorità locali che vorranno sgretolare quella piramide inutile, complessa e costosa che è la "Roma Ladrona".