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26 novembre 2008

Crisi economica: rallentamenti nell'EST ma nessuna recessione

La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS-EBRD) ha pubblicato le stime relative alle crescita dell’area geo-economica in cui opera. La forchetta del PIL oscilla dal 6,3% del 2008 al 3% nel 2009, dopo che nel 2007 ha raggiunto il 7,5%. Secondo la Bers, dunque, la crescita della regione andrà a diminuire fortemente nel 2009, in seguito al rallentamento economico mondiale, nonché alla turbolenza dei mercati finanziari.

La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS-EBRD) ha pubblicato le stime relative alle crescita dell’area geo-economica in cui opera. La forchetta del PIL oscilla dal 6,3% del 2008 al 3% nel 2009, dopo che nel 2007 ha raggiunto il 7,5%. In linea con le proiezioni OCSE, la BERS delinea una forte oscillazione del PIL, con un gap che si estende di oltre 3 punti percentuali come un drastico crollo della crescita che tuttavia non sfocia nella recessione, a differenza del blocco europeo e americano. La zona in esame rappresenta globalmente i paesi del vecchio blocco sovietico, che hanno attraversato una lunga fase di transizione per giungere a dei livelli di sviluppo sostenuti, grazie al vertiginoso sfruttamento delle risorse disponibili e dei relativi capitali immessi nei cosiddetti mercati emergenti. All’interno della relazione, la Bers esamina con particolare attenzione la crescita della Russia, l’economia più estesa della zona Bers, che arriverà ad una crescita del 3%, dopo aver toccato l'8,1% nel 2007 e il 7,3% nel 2008, con un’ampiezza del gap stimato dal Cremlino dal 3 al 6%.

La crescita dell’economia rallenterà anche nei paesi dell'Europa centrale appartenenti ora all’Unione Europea, come Repubblica ceca, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia, e nei paesi baltici, come Estonia, Lettonia, Lituania, che passano dal 6,3% nel 2007 al 4,3% quindi al 2,2% nel 2009. Sembra invece che i paesi del Sud-Est Europeo (Bulgaria, Croazia, Romania, Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Serbia) vedranno la loro crescita leggermente progredire al 6,5% nel 2008 rispetto al 6,2% del 2007, ma in seguito rallentare al 3,1%, senza tuttavia arrestare del tutto l’espansione del sistema economico. La Confederazione degli Stati Indipendenti ed il Caucaso rallenterà dall'8,5% nel 2007 al 7,3% nel 2008 quindi al 3,4% nel 2009, e la Russia seguirà la tendenza del gruppo. Al contrario, secondo la Bers saranno due i Paesi che conosceranno una crescita a due cifre anche l'anno prossimo, ossia l'Azerbaigian con il 15% (dopo il 23,4% nel 2007 e 20% nel 2008) ed il Turkmenistan, con una crescita che resterà al 12% come nel 2008, dopo l'11,6% nel 2007. Altri Stati vedranno una tranquilla stabilità o un miglioramento della crescita nel 2009: la Georgia, il cui PIL aumenterà soltanto del 2% quest'anno dopo il 12,4% nel 2007 con una leggere accelerazione al 4% dell'anno prossimo, ed il Tagikistan, che passerà dal 5% nel 2008 al 6% nel 2009, dopo il 7,8% nel 2007.

La Bers ritiene dunque che la crescita della regione andrà a diminuire fortemente nel 2009, in seguito al rallentamento economico mondiale, che causa una contrazione della domanda di energia e di beni di consumo, nonché alla turbolenza dei mercati finanziari, che rende i mercati emergenti maggiormente rischiosi, perché spesso sono vespai di speculazioni e di manovre non sempre trasparenti. “I Paesi di quest’area, destinazione di investimenti, devono agire sulla stabilizzazione dei loro sistemi bancari - suggerisce l’analista Erik Berglof - e le misure di stabilizzazione dovranno essere coordinate tra di loro, e contemporaneamente con i Governi dell’Europa Occidentale e degli altri Paesi della transizione, tenendo conto dei legami esistenti tra le strutture del sistema finanziario della regione". Direttive che indirettamente chiedono ai Governi di sostenere con fondi statali le banche in difficoltà in maniera da fermare il blocco dell’accesso al credito, e così anche la chiusura delle filiali estere delle banche occidentali, che sono le prime a subire le conseguenze di eventuali segnali di rischio sul mercato finanziario.

Una crisi di questo tipo ha già colpito la Romania, richiedendo l’intervento urgente del Governo per drenare la crisi di liquidità e la fuoriuscita dei capitali esteri in seguito alla crisi immobiliare e alla svalutazione delle borse: misure che solo in parte hanno fermato l’emorragia interna. La Romania ha in qualche modo anticipato la crisi finanziaria interna, proprio a causa delle forti speculazioni immobiliari e l’accrescimento troppo superficiale delle finanziarie e delle banche estere, che ai primi tremori hanno svenduto le proprietà e lasciato il Paese. C’è tuttavia chi teme che una crisi di questo tipo si abbatta anche sui Balcani Occidentali, viaggiando attraverso i mercati del Sud-Est europeo.
La prima a tremare sembra essere la Serbia, bersagliata a causa della svalutazione del dinaro contro l’euro ai minimi storici, e la necessità da parte della Banca Nazionale di Serbia di intervenire con la vendita di parte delle riserve di valuta. Anche in questo caso, sembra che la caduta della domanda di dinari sia derivata dai primi segnali di debolezza del mercato immobiliare, nonché degli stessi capitali esteri, che, in seguito alle forti espansioni sono gradualmente rientrati. Il panico tuttavia potrebbe diffondersi davvero nei primi mesi del 2009, anno cruciale per tutte le compagnie che sono state privatizzate, e che, dopo le ristrutturazioni, possono mettere in discussione la gestione del personale. Infatti, nel corso delle procedure di privatizzazione, le società si impegnano a mantenere il personale per un periodo limitato, ma nella fase successiva hanno la possibilità di ridurre la manodopera, divenuta in esubero proprio grazie agli interventi sulla produttività. I licenziamenti, ed un lungo periodo di disoccupazione, sarà inevitabile prima che la manodopera non sarà gradualmente assorbita dal mercato con la realizzazione dei progetti al momento in atto. Lo stesso potrà accadere in ogni Stato che ha adottato, su pressioni delle Istituzioni Finanziarie internazionali ( Banca Mondiale, BERS, FMI ) , questo tipo di politiche, ed in particolare il Montenegro e la Bosnia.

Accanto alla Serbia, anche la Croazia comincia a temere per il suo futuro, e il Premier Ivo Sanader, dopo aver tranquillizzato le Istituzioni Internazionali sullo stato di salute ottimale del Paese, prepara misure adeguate volte al sostegno del sistema bancario e al sacrificio delle classi medie, che dovranno rinunciare all’aumento salariale. Sentendosi già pronta ad entrare in Europa, la Croazia gioca d’azzardo e spavalda promette privatizzazioni e tagli massicci alla spesa pubblica, senza considerare le eventuali implicazioni sull’economia. Secondo alcuni sondaggi, i croati nel 2009 saranno un popolo fortemente indebitato, e solo una parte di loro riuscirà a far fronte ai propri impegni: un dato allarmante che non va trascurato. Non a caso, anche la fiducia risposta dalle Agenzie internazionali di rating comincia a diminuire, un po’ sulla scia della tendenza globale, un po’ a causa della reale situazione interna di instabilità.

Allo stesso modo, la vicina Bosnia sta attraversando da tempo un periodo di crisi finanziaria, soprattutto la Federazione della BiH che soffre di un patologico deficit di bilancio, probabilmente a causa della pessima gestione dirigenziale. La Camera di Commercio della Federazione ha già annunciato che saranno messi in discussione circa 700 posti di lavoro nel settore della Bosnia-Erzegovina, a causa della crisi economica, e del relativo protezionismo sul credito, segnalando una diminuzione dei nuovi contratti e delle commesse che potranno fermare la produzione delle aziende, come ad esempio quelle operanti nel settore automobilistico ed edilizio. Al contrario, l’entità serba della Republika Srpska sta recuperando i suoi debiti, e riesce a mantenere una certa sostenibilità nell’economia interna, grazie anche ad importanti investimenti esteri concentrati in settori strategici, vedendo così un forte boom negli investimenti.

Caso interessante è quello del Montenegro, patria di speculazioni immobiliari per eccellenza, nonché meta privilegiata di ingenti liquidità provenienti da banche ed investitori esteri. Per anni grandi somme di denaro hanno ingrossato le casse delle Banche locali e delle società immobiliari, e solo in parte quelle dello Stato, che da parte sua ha provveduto a vendere i più importanti complessi turistici, siderurgici ed estrattivi che costituivano la ricchezza del Paese. La sua intera economia sembra si sia convertita alle attività finanziarie e di servizi, settore che al momento ha superato le entrate turistiche. Tuttavia, la crisi estera sta decimando anche i capitali del Montenegro, a partire dalle prime perdite nelle tesorerie delle Banche, e alcune di esse sono state addirittura svuotate senza che si conosca la destinazione. Il Montenegro deve temere il rallentamento economico, nella misura in cui continuerà a basare la propria ricchezza sul sistema finanziario e non su quello reale: maggiore sarà la sua dipendenza, più pericolose saranno gli effetti della crisi.

Infine, chiudiamo questa rapida rassegna dello stato dell’economia dei Paesi della BERS, con uno sguardo sulla Russia. La sua economia è divenuta talmente complessa che difficilmente si può prevedere la sua imminente evoluzione. Occorre considerare che è una potenza energetica e, anche qualora il prezzo del gas e del petrolio diminuiranno, il suo attivo nella bilancia commerciale, e il relativo surplus della bilancia dei pagamenti, difficilmente subirà danni strutturali. La sua forza contrattuale, tra l’altro, è destinata solo ad aumentare, persino dei confronti degli Stati Uniti, in seguito agli accordi strategici ratificati con Brasile, Iran, Qatar e infine Serbia, che hanno posto un’altra pietra miliare nella creazione del cartello del gas (OPEC gas). Assisteremo ad un vero capovolgimento dei fronti, dopo che sarà suggellata l’alleanza del gas tra Gazprom e Petrobras, sia nell’esplorazione di nuovi pozzi petroliferi, sia nel biocarburante, che in quello strettamente finanziario. La caduta dei prezzi degli idrocarburi, metterà non solo fuori mercato i piccoli accenni per l’energia rinnovabile, ma renderà il petrolio ed il gas "la principale fonte d'energia", anche nel XXI secolo, con tutte le implicazioni che ne derivano per America ed Europa: ancora deficit di bilancio, tecnologie ed innovazioni bloccate, destabilizzazione economica e magari cambiamento dei baricentri della ricchezza. Per quanto, dunque, si potrà avere un arresto della crescita della Russia, il divario (se non l’abisso) con UE e Stati Uniti sarà ancora elevato, perché l’Occidente sarà in piena recessione da deflazione, in attesa della sua ripresa.