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20 novembre 2008

La politica asimmetrica di Russia e UE


Le direttrici degli equilibri tra il blocco euro-occidentale e quello russo cambiano. L'Eulex ottiene il consenso di Russia e Serbia per il dispiegamento in Kosovo, mentre l'Ossezia e l'Abkhazia una prima opportunità di ottenere delle trattative di pace. Un nodo politico che lega Mosca e Bruxelles, e confluisce poi nel patto energetico che si sta delineando: l'UE chiede l'indipendenza dalle fonti russe, mentre Mosca offre investimenti e corridoi dell'Energia.

Dispiegare la missione Eulex in Kosovo ed iniziare le negoziazioni di pace per il Caucaso. Queste le nuove direttrici degli equilibri tra il blocco euro-occidentale e quello russo, estremi della nuova politica estera "asimmetrica" che guideranno la cooperazione tra Bruxelles e Mosca. Infatti, se da una parte l’Europa è riuscita ad ottenere un consenso sulla missione giuridica in Kosovo, approvata dalla Russia e dalla Serbia, dall’altra Mosca ha ottenuto il parziale riconoscimento dell’aggressione della Georgia nei confronti dell’Ossezia del Sud, nonché l’inizio, con la riunione di Ginevra, delle discussioni sul conflitto georgiano. Se da una parte è stato confermato che la Comunità Internazionale difende la sovranità della Georgia, dall’altra si apre uno spiraglio sulla sicurezza dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhasia con la presenza delle forze russe e UE per garantire l’implementazione della pace. Forse pochi si aspettavano questa sorta di accordo bilaterale di non belligeranza tra le due potenze, venutosi a creare proprio nel momento di completa assenza degli Stati Uniti, che sono riusciti ad ottenere solo rinvii ad oltranza.

Tra tutti, sono senza dubbi gli albanesi del Kosovo ad aver subito maggiormente il contraccolpo di questo strano assestamento degli equilibri internazionali, e cercano ora di rivendicare quel diritto di auto-determinazione, a cui hanno rinunciato quando sono scesi a patti con la Nato e i terroristi dell’UCK. Hanno chiesto l’indipendenza e l’hanno avuta, hanno preteso una Costituzione e un Governo e sono stati creati proprio per loro, insieme ad una bandiera e a dei passaporti. Ovviamente sono stati manipolati dai grandi demiurghi che avevano già previsto come strappare il Kosovo alla Serbia per poi militalizzarlo e trasformarlo in una rocca forte militare a presidio dei grandi corridoi che attraversano i Balcani. Oggi, tuttavia, gli albanesi si svegliano da una sorta di torpore e decidono di scendere in piazza per protestare contro il proprio Governo - lo stesso che hanno difeso nonostante le terribili accuse che gravano su ognuno dei membri - e contro l’Unione Europea che intende insediarsi in Kosovo senza rispettare, a loro dire, "il volere del popolo". La situazione è talmente paradossale, che gli stessi albanesi non possono credere di essere stati completamente raggirati. Credevano di aver creato uno Stato, invece hanno fatto una base militare perpetua, una prigione d’oro in cui ci si sono rinchiusi con le loro stesse mani: i loro documenti sono inutili, le loro istituzioni non sono accreditate né riconosciute, mentre la loro economia è fortemente arretrata e monopolizzata dal contrabbando e dalla criminalità. Solo oggi, all’indomani del dislocamento dell’Eulex si rendono conto che lo Stato che hanno proclamato indipendente è una provincia satellite di un "Governo ombra" che non si conosce, con una instabilità interna ben peggiore della Bosnia Erzegovina.

Questi anche se sembrano dettagli, rappresentano invece degli importanti segnali per capire verso quale direzione stanno evolvendo gli eventi. I Balcani, così come il Caucaso, rappresentano le valvole di sfogo dell’instabilità dell’Europa e la loro pacificazione, in nome di un accordo innaturale, equivale alla firma dell’armistizio e della partnership tra UE e Russia, mettendo da parte gli Stati Uniti. Qualcosa che si era già avvertito nell’aria in occasione del vertice di Nizza, per poi essere confermata al G20 di Washington. Dopo il gelo della guerra nel Caucaso, gli accordi di partnership tra le due potenze sono nati con diverse premesse e presupporti. Dinanzi allo spettro della crisi economico-finanziaria, la cui responsabilità è stata senza dubbio addossata all’Amministrazione Bush, Russia e Unione Europea sembrano avvicinare le loro posizioni, benché Mosca desideri una svolta ben più netta, sulla riforma del sistema finanziario mondiale e delle istituzioni finanziarie come la Banca mondiale ed il FMI. Una conciliazione che sembra sia iniziata a parire dalle trattative per la cooperazione energetica, e delle "strade del petrolio" che la Russia costruirà proprio per l’Europea. All’indomani della pubblicazione del piano strategico per la sicurezza energetica dell'UE sino al 2030, è sempre più evidente che, quei punti di contrasto con Mosca, si apprestano a divenire sempre più dei punti di contatto.

Il piano, che si snoda su sei punti principali, prevede innanzitutto la creazione di una rete energetica sovranazionale che fa da interconnessione delle diverse reti elettriche dei Paesi membri, stanziando 2.000 miliardi di euro ben sapendo, tuttavia, che allo stato attuale è avvero difficile da attuare. Tale progetto, confluisce poi a sua volta nel piano Community Gas Ring, elaborato dalla Commissione Europea al fine di riunire tutte le reti energetiche e gassifere dell'Europa prima "in una tela energetica" e dopo “in un anello energetico". La Commissione cerca infatti di risolvere il problema della dipendenza energetica verso la Russia, con lo sviluppo di un corridoio che tagli l’Europa Sud Orientale per instradare le riserve del Mar Caspio e del Vicino-Oriente verso l'UE, di strette relazioni con i Paesi del Mediterraneo da cui importare gas ed elettricità, di trattative supplementari per il trasporto di gas verso l'Europa centrale ed orientale.
In tal senso si sta già muovendo per costruire il suo "corridoio del sud" che potrà attingere dalle riserve di gas del Turkmenistan e del Kazakistan, ma anche dall'Azerbaigian, mediante la costruzione di un nuovo gasdotto che attraversa il Mar Caspio, la Turchia ed i Balcani per poi salire verso l'Austria. A tal fine, il 2 dicembre la Commissione europea lancerà la procedura d'approvazione dell'accordo commerciale transitorio con il Turkmenistan, che permetterà di acquistare gas senza intermediari. Allo stesso modo, l’anno prossimo verrà creato un consorzio tra le più grandi società europee, "Caspian Development Corporation (CDC)", che dovrà occuparsi delle operazioni di acquisto, del trasporto e della vendita del gas del bacino del Caspio, nonché della creazione di infrastrutture. Per ciò che riguarda la partnership del Mediterraneo verrà estesa la cooperazione gassifera e petrolifera con la Libia, e probabilmente anche con l'Iraq, mentre le direttrici "nord-meridionali" dovranno realizzare un collegamento con i Paesi baltici e del Mediterraneo.

Ovviamente, il piano energetico europeo è stato fortemente criticato dalla Russia, ritenendo che si basa su ragioni puramente politiche e non su necessità economiche: trasportare verso l'Europa gas della Libia sarà molto più costoso che importarne dalla Russia, e allo stesso modo trattare con il Turkmenistan, ancora legato da accordi presi con Mosca, senza passare attraverso Gazprom è alquanto impossibile. Per cui, se l'UE ha cercato con ogni modo di dare ad intendere che non ha bisogno della Russia dal punto di vista energetico, Mosca diplomaticamente si offre come un partner da cui trarre benefici e di cui non può fare a meno. Si ritorna così alla questione di sempre, ossia al fallimento ormai decennale dei progetti dei gasdotti europei, come il Nabucco, che non possono contare su delle fonti di approvvigionamento, e alla rapida e tenace opera dei consorzi di partnership russe.
Diventa di nuovo protagonista il Nord Stream, che deve collegare il porto russo di Vyborg al porto tedesco di Greifswald attraverso il Mar Baltico, e deviano le tratte dei Paesi del Nord Europea come la Polonia. Non a caso, il Primo Ministro russo Vladimir Putin, pochi giorni prima del vertice di Nizza, aveva infatti affermato che “l'Europa deve decidere se ha bisogno o no del gasdotto del Nord Stream che passa sotto il Mar Baltico, e se ne non ha bisogno, costruiremo impianti di rigassificazione per il mercato mondiale, oltre che europeo, ma questo costerà di più", precisa con una forte vena polemica, ricordando che l’opera costa alla Gazprom ben 7,4 miliardi di euro e forse sarà ancora più costosa in vista della crisi finanziaria. Il promemoria di Putin non poteva essere più stringato ed opportuno, visto che non si è fatta attendere la replica del rappresentante della Commissione europea a Mosca, Marc Franco, che precisa come l’UE non abbia mai "messo in dubbio la necessità degli investimenti nel progetto Nord Stream". La sottile polemica di Putin fa certamente trasparire come i vecchi contrasti sono divenuti fonte di investimento reciproco, a partire dall’aspetto energetico sino a quello meramente politico. I Balcani e il Caucaso diventeranno probabilmente terreno di confronto bilaterale, mentre i corridoi che questi vedranno attraversare saranno destinati alle esportazioni della Russia e alle importazioni dell’UE.