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12 gennaio 2009

Crisi di Gaza: impotenza e indifferenza della Comunità Internazionale


Il Generale Fabio Mini analizza la crisi della Striscia di Gaza, un conflitto perpetuo aumentato dall' "arroganza delle parti, l’indifferenza dei potenti e l’impotenza delle organizzazioni internazionali". Il Consiglio di Sicurezza ONU è riuscito a raggiungere una controversa risoluzione per il cessate il fuoco immediato e il ritiro delle truppe israeliane, che tuttavia continua ad essere ignorata. "Le forze internazionali non hanno mai risolto nulla e anche dove la loro presenza ha permesso di congelare le violenze e dare spazio ad una soluzione politica, i risultati non sono stati né definitivi né entusiasmanti", afferma il Generale Mini.

Generale Mini, visti i recenti eventi nella Striscia di Gaza, il processo di pace nel Medioriente sarà rallentato?
Per rallentare, qualcosa deve essere in movimento. Gli eventi di questi giorni non solo dimostrano che non c’è nessun serio processo di pace in corso, ma che tutti i precedenti, veri o presunti, sono falliti. Purtroppo non vedo nello sviluppo attuale neppure molte possibilità che si crei una situazione nuova dalla quale partire da capo. La situazione si complica ulteriormente.

A suo parere, l’attacco israeliano ha avuto il placet della nuova amministrazione americana?

Ufficialmente gli israeliani non hanno chiesto nulla a nessuno. Secondo me questo è credibile. Non hanno chiesto nulla alla vecchia amministrazione perché se non conta niente per gli americani, figuriamoci se possa contare qualcosa per gli israeliani. Non hanno chiesto nulla alla prossima perché non ancora in carica. E poi ritengo che gli israeliani da tempo abbiano smesso di chiedere autorizzazioni e siano passati a dare consigli e ordini. Il tempismo dell’operazione israeliana mi sembra sia stato calibrato oltre che sulle questioni interne per le prossime elezioni, sul vuoto istituzionale americano. Un motivo in più per non chiedere nulla. Questo non significa che la vecchia e nuova amministrazione non sapessero esattamente ciò che stava per accadere e che non abbiano dovuto prendere, entrambe, la decisione di far finta di niente. L’apparato d’intelligence americano e quello israeliano sono così connessi e in sintonia che non c’è bisogno di scambi formali o riunioni di vertice. D’altra parte l’amministrazione Bush non poteva avere nulla da ridire e quella nuova è stata sostenuta nelle elezioni da una gran parte dell’elettorato ebreo americano. Vi sono forti presenze ebraiche nello stesso gabinetto di Obama.

La situazione nella Striscia di Gaza è destinata ad aggravarsi?
Mi sembra che sia già abbastanza grave per non essere ottimisti.

Che impatto avrà questo conflitto sulla regione mediorientale e sui Paesi circostanti?

Irrilevante. Mi sembra di capire che dei palestinesi non importa niente a nessuno. Almeno fino a quando non si insedia la nuova amministrazione americana e non si svelano le vere intenzioni in politica estera del nuovo presidente. Il piano israeliano di eliminare fisicamente Hamas da Gaza è da un lato concreto e dall’altro onirico. Concreto perché Israele ha i mezzi e le forze per attuarlo, onirico perché Hamas non è soltanto una fazione ribelle o una frangia terroristica, Hamas è una parte consistente della politica palestinese. Per eliminare Hamas bisognerebbe eliminare tutti i palestinesi. Non che Israele non lo possa fare, ma dubito che sopravvivrebbe ad un tentativo del genere: politicamente, legalmente ed umanamente.

Secondo lei, che tipo di rapporto vi è tra Hamas e Al Fatah?
Pessimi. Oltre ad essere due entità in lotta sono due approcci opposti al problema palestinese. Questa opposizione è stata resa più evidente dall’atteggiamento rinunciatario di Al Fatah nei riguardi delle richieste israeliane e dall’isolamento internazionale di Hamas. La testa dei palestinesi stanchi di essere bistrattati accetterebbe i compromessi di Al Fatah ma il cuore sarebbe comunque con Hamas e con tutti quelli che rivendicano vera indipendenza, sovranità e autonomia.

Vista la sua esperienza, cosa alimenta questo conflitto perpetuo?
L’arroganza delle parti, l’indifferenza dei potenti e l’impotenza delle organizzazioni internazionali.

Perché la Comunità Internazionale non decide un intervento, come è stato per altre regioni del mondo tormentate da conflitti?

Perché Israele non lo permette e perché le forze internazionali non si sono distinte nella risoluzione dei problemi. A dire il vero, le forze non hanno mai risolto nulla e anche dove la loro presenza ha permesso di congelare le violenze e dare spazio ad una soluzione politica, i risultati non sono stati né definitivi né entusiasmanti. I Balcani ne sanno qualcosa. Paradossalmente le crisi sembrano aver bisogno soltanto di soluzioni transitorie, in modo che ci siano occasioni per sollecitare le emozioni, lo sdegno, la solidarietà e in modo da distribuire qualche Nobel per la pace. Dal 1950 ad oggi ci sono stati ben 7 premi nobel per la pace assegnati per i vari interventi nel conflitto arabo-palestinese- israeliano. La pace non si vede e quindi i Nobel si potranno moltiplicare.