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09 novembre 2007

Bruciano le democrazie e le dittature


La crisi petrolifera e l'imminente crollo del dollaro sembrano essere sempre più vicini mettendo a dura prova la solidità dell'economia mondiale così come la stabilità dei governi degli Stati più deboli. Le sommosse e le proteste violente cominciano ad essere molto frequenti, dinanzi alle quali i capi di Stato sono impotenti e possono solo imporre la repressione per mettere a tacere i rancori e il malessere insostenibile.

Il corso del petrolio sta per avvicinarsi alla soglia dei 100$ al barile, mentre sulle piazze finanziarie comincia ad avvertirsi un forte segnale di inquietudine e di pessimismo, tale che dalla Federal Reserve arriva l'allarme di un eventuale riduzione della domanda o addirittura un collasso della domanda se l'offerta di petrolio non verrà aumentata. Del resto, a rendere ancor più instabile il mercato del petrolio si aggiungono le numerose tensioni geopolitiche nelle zone strategiche per la produzione di petrolio, come il Pakistan e la Georgia, accanto alla minaccia di invasione del territorio irakeno da parte dell'esercito turco, all'instabilità all'interno della regione balcanica e ai tentativi di rovesciamento del governo di Teheran. A tali focolai di tensioni e conflitti, vanno affiancate le più recenti "rivoluzioni arancioni" che hanno fatto da costellazione intorno alla regione del Mar Caspio, e al Mar Rosso, giustificando il crollo dei governi locali o perpetuando il continuo ricatto ai danni delle popolazioni. Attualmente stiamo attraversando un periodo particolarmente delicato e critico, in cui la tensione comincia ad essere sempre più palpabile, e il panico è evidentemente fuori dal controllo delle forze di sicurezza nazionale. Basti pensare a ciò che è accaduto in Pakistan, dove le manifestazioni popolari contro il Presidente Musharraf si sono trasformate in violenti scontri e cariche della polizia sui civili, sugli avvocati che contestavano la sospensione della Carta Costituzionale, sino a rendersi necessaria l'imposizione dello Stato di emergenza durante il quale viene imposto il divieto "di stampa e di riunione, nonché di inneggiamento alla rivolta contro la persona del Presidente". Chiaramente la situazione è sfuggita dal controllo delle autorità che si sono viste costrette ad imporre il silenzio, per sedare un movimento di contestazione che avrebbe fatto da incendiario per altre innumerevoli rivolte, sino a trascinare lo Stato nel panico. Conseguenze ritenute inaccettabili, viste le pressioni derivanti dalla Commissione Europea e dagli Stati Uniti che chiedono di riportare ordine e stabilità all'interno della regione, al fine di garantire la fornitura costante degli approvvigionamenti di petrolio.
Identico scenario si è verificato in Georgia, dove il governo ha proclamato lo stato di emergenza, dopo che Tbilisi è stata teatro di violenti scontri tra la polizia e i manifestanti che chiedevano le dimissioni del Presidente Mikhail Saakashvili. Tali eventi sono stati interpretati come un tentativo di colpo di Stato teso a creare il disordine nel Paese, da parte delle forze dell'opposizione grazie all'appoggio del Governo sovietico. Queste sono state fondamentalmente le motivazioni dell'intervento volto innanzitutto ad oscurare l'emittente Imedi, espressione dell'opposizione, nonché a reprimere le manifestazioni di protesta mediante il ricorso alla forze di polizia in assetto antisommossa, che ha così caricato la folla con manganelli, gas lacrimogeni e idranti.

Scontri violenti anche in Venezuela, diversa situazione politiche e diverso contesto ma identica dinamica: in occasione delle manifestazioni contro il Presidente Ugo Chavez, accusato di cercare di modificare la Carta Costituzionale per accentrare nelle sue mani maggior potere, un gruppo di persone armate apre il fuoco sugli studenti, mentre la polizia carica i manifestanti. E così anche Myanmar, dove una protesta pacifica da parte dei Monaci Buddisti nel giro di pochi giorni si è tradotta in una guerra civile, a causa delle forti repressioni da parte del Governo Birmano, che ha così attirato su di sé l'attenzione delle organizzazioni umanitarie internazionali tra le più importanti, come la Human Rights Watch, strettamente collegata alla Nazioni Unite nonché alle fondazioni bancarie di George Soros.
Sottolineiamo che ognuno di questi episodi hanno la loro causa in fattori di malessere e di instabilità interna, dovuta ad una situazione economica precaria, spesso che sfiora le soglie di povertà offrendo ai movimenti estremisti terreno fertile per fomentare ribellioni contro i Governi. Ogni rivoluzione presa in maniera isolata va a costituire un evento fino a se stesso, ma considerando gli eventi in un'ottica d'insieme, non possiamo non notare che vi è un elemento costante che è globale, ossia quello della disgregazione del tessuto politico e sociale che porterà a distruggere quel che resta della società civile.

Il malessere economico, la precarietà, sta rendendo le persone sempre più insofferenti, sempre più violente, disposte ad un gesto disperato pur di dare una svolta alla sua condizione, seppure questa posta essere un'illusione. I media di volta in volta impongono il silenzio o ne esasperano i tratti politici per strumentalizzare gli eventi a favore delle lobbies che tentano di impadronirsi degli Stati deboli, mentre i politici sono ormai disposti a firmare qualsiasi accordo, anche se autolesionista pur di salvare le apparenze o ingannare la massa che "sia tutto sotto controllo". Si pensi alle misure prese dal Governo italiano nei confronti della Comunità romena, divenuta capro espiatorio di un'evidente insoddisfazione dei cittadini italiani che vedono degenerare i loro diritti e la loro condizione. Con una grande operazione mediatica è stata imposta l'espulsione di uno dei popoli più poveri d'Europa, pregiudicando anche i rapporti bilaterali con un Paese all'interno del quale vive un'importante comunità italiana composta da una costellazione di piccole e medie imprese. Tuttavia era necessario dare in pasto alla folla dei colpevoli per placare la paura della criminalità organizzata degli immigrati clandestini, per dare l'impressione che lo Stato sia ancora presente e vigile dinanzi alle emergenze. Attualmente, in Governo italiano, in gran segreto sta rimpatriando una grande massa di persone, attuando così un quadro studiato a tavolino in ogni suo aspetto, ma mascherato da tecnicismi di legge.

La verità in realtà è ben diversa, in quanto il malessere ha obbligato le persone ad aprire gli occhi dinanzi allo scempio che viene fatto giorno dopo giorno dell'economia degli Stati, che si basa sul mercato virtuale finanziario, su tonnellate di carta straccia e su una forma di energia destinata ad estinguersi in laghi di sangue. La gente soprattutto ha capito che ha un enorme potere nelle sue mani, avendo la capacità di decretare la nascita o la fine di uno Stato da un giorno all'altro semplicemente scendendo in piazza e minacciando la guerra civile, lo sciopero ad oltranza o il blocco dei processi produttivi. Vorremmo dunque indurre tutti ad una riflessione. Se un giornale europeo ha pubblicato tre semplici vignette e l'intero mondo islamico si è sollevato facendo tremare governi islamici ed occidentali, allora vuol dire che non servono le guerre, attentati o terrorismo per destabilizzare gli Stati e i governi. Allora, fu messa in discussione non solo la libertà di espressione o di religione, ma anche la credibilità dei politici e ambasciatori islamici che furono chiamati a difendere l'Islam.
Non dimentichiamo le rivolte delle banlieuex di Parigi, i cortei del PCE in Francia che hanno costretto la revoca della disciplina del lavoro precario: il popolo francese più di una volta è riuscito a cambiare il suo destino e in un certo senso anche quello dell'Europa perché, dicendo No alla Costituzione Europea, ha creato un importante precedente che ha colpito il cuore delle Istituzioni comunitarie.