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13 novembre 2007

Un gasdotto per "la pace" in Pakistan


La situazione in Pakistan continua a destare profonde preoccupazioni all'interno della Comunità internazionale, che teme per la salvaguardia della democrazia e dello stato civile, compromesso dallo stato d'emergenza imposto per sedare le rivolte cittadine. Tuttavia, mentre l'attenzione dei media e dei governi occidentali è monopolizzata dalle guerriglie e dalla propaganda politica contro il Presidente Musharraf, viene ratificato un importante accordo tra Iran e Pakistan che darà il via alla messa in opera di quello che è stato definito il "gasdotto della pace". Iran e Pakistan, lo scorso 10 novembre, hanno concluso un accordo miliardario per l'esportazione di gas, che sarà definitivamente ratificato tra un mese, salvo che l'instabilità creata all'interno della regione non ne comprometta il buon esito. Le controparti hanno precisato inoltre che il progetto in corso resta aperto ad una possibile partecipazione da parte dell'India, che rappresenta un pilastro portante ai fini della messa in opera del gasdotto Iran-Pakistan-India volto ad instradare il gas iraniano sino all'estremo Oriente. Tale proposta va interpretata infatti come un vero e proprio compromesso offerto all'India, dopo che questa aveva scisso l'accordo tripartitico in seguito alle pressioni americane volte ad impedire che lo stato indiano potesse accedere alle fonti iraniane, o consentisse di chiudere in qualche modo un accordo trilaterale che può potenzialmente creare un fronte politico. Secondo altre fonti, ciò che ha fermato l'India sarebbero stati i disaccordi sul prezzo di scambio, che tuttavia non hanno escluso del tutto il proseguimento del progetto, considerando l' elevato fabbisogno energetico indiano e la continua ricerca di nuove fonti di energia di approvvigionamento. Inoltre, considerando che il Pakistan non sarà capace di finanziare da solo questo progetto di 7,5 miliardi di dollari, l'adesione dell'India diventa quanto più fondamentale al fine del buon esito dell'accordo. Qualora le trattative giungano a buon fine, il Pakistan ne sarebbe doppiamente beneficiario, in quanto avrà accesso alle riserve di gas iraniane e godrebbe dei diritti per il trasporto ed il transito verso l'India.
Il contratto preliminare, di circa 7,4 miliardi di dollari, avrà ad oggetto la fornitura del gas iraniano all'India attraverso il Pakistan, immettendo nel gasdotto di oltre 2.600 km - la cui costruzione ha avuto inizio nel 1994 - 21,1 miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno, per poi aumentare ad una quota di 2,5 miliardi in modo da garantire il completo funzionamento della pipeline entro il 2011.
Nel corso di questi mesi abbiamo dunque assistito ad una guerra sotterranea di nervi e tensioni tra Iran e India, volte a giungere ad una più pratica risoluzione dei disaccordi con il Pakistan che avrebbero così compromesso la realizzazione di un progetto in cantiere da molti anni, e interrotto dal conflitto in Afghanistan . Data la sua elevata incidenza sulla configurazione delle zone di influenza all'interno della regione Asiatica centrale, un gasdotto che collega l'Iran, il Pakistan e l'India potrebbe non vedere mai una fine, a causa dell'ostruzionismo da parte del governo americano, che gioca molto sulla destabilizzazione del governo iraniano e, ora, anche quello pakistano. Il sabotaggio della realizzazione di una tale opera passa infatti anche attraverso il crollo del Governo di Musharraf, che potrebbe essere delegittimato a pochi giorni dalla scadenza del termine per la conferma del contratto, nonché isolato all'interno della regione. Nei piani di Washington oggi vi è un Pakistan senza governo e immerso nel caos, pronto a disgregarsi dopo una guerra civile in repubbliche, così come pianificato per l'Iraq. I pakistani sono oggi alla mercé dei negoziati segreti tra Tehran e Washington, così come l'Iran deve attendere la risoluzione della crisi abbattutasi sul Pakistan se vuole ritrovare un alleato con il quale continuare il progetto e riconquistare l'India.
Molte sono le variabili in azione, e tra queste vi è dunque il terrorismo, il sabotaggio e le sommosse cittadine, che rivelano così la loro vera funzione in un contesto economico e geopolitico molto particolare. Non dimentichiamo infatti che l'intera regione centro asiatica è interessata da strani attentati e disordini sociali, basti pensare al Kurdistan e alla stessa Georgia. Quest'ultima è divenuta un terra di confine tra il blocco atlantico e la Russia, essendo quel lembo di terra dal quale occorre far passare le pipeline che raggirano il territorio russo, per poi giungere in Turchia e infine in Europa, come il Nabucco e il Bakou-Tbilisi-Ceyhan.
Al momento Tbilissi è colpita da violenti scontri, e dalla propaganda, perché deve decidere se schierarsi del tutto sul fronte atlantico, oppure se acconsentire ad un compromesso con la Russia, come un vero patto di non-belligeranza. Senz'altro l'espulsione del team diplomatico sembra dare il chiaro segnale che Tbilissi abbia scelto, anche se non bisogna cadere nella propaganda che vuole dare a vedere la nascita di un conflitto all'interno della regione che avvicinerà la Georgia sempre più agli Stati Uniti, sottraendola alle pressioni del governo russo.