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24 marzo 2016

Attentati a Bruxelles: il doppio gioco dell'Occidente

Gli eventi di Bruxelles, al di là di ogni speculazione fine a se stessa, pongono dei seri interrogativi sulla efficacia del sistema di intelligence europeo, che si è rivelato fallace e per certi versi scoperto. Lacune che oggi si cerca di nascondere riversando tutta la responsabilità sul Belgio, come se fosse l’unico responsabile a dover garantire la sicurezza della capitale europea, che è anche sede delle più grandi istituzioni euro-atlantiche. Non viene infatti considerato che il sistema biometrico europeo, ed in particolare quello francese associato al sistema delle cosiddette “fiches”, ha dei grandi bug all’interno, per cui questi “cittadini sospetti” sono in grado di circolare tranquillamente tra uno Stato all’altro attraverso gli aeroporti senza essere identificati. E’ anche chiaro che la rimozione dello Schengen non sarà di grande aiuto, considerando che esiste già un problema nei controlli biometrici. 

Esiste poi un altro grave dilemma connesso alla “libera commercializzazione di armi” nei porti franchi europei – come Anversa, Amburgo, Rotterdam e Marsiglia – verso i teatri di guerra, senza che questo scandalizzi troppo le autorità europee, che rilasciano senza molti controlli le licenze alle grandi società di armamenti. Se si prende in considerazione il caso della Tunisia, coacervo delle cellule Daesh nel Mediterraneo, si può evidenziare come i carichi di armi più sospetti giungevano proprio dall’Europa. Tra i casi più recenti, e anche più interessanti, vi rientra quello del sequestro a Nabeul di un container di armi destinato ad un imprenditore belga (contenente fucili, munizioni da guerra, droni, attrezzatura subacquea), spacciate come “armi sportive”. Secondo fonti delle Dogane tunisine, dal 2013 sono giunti in Tunisia quasi 90 spedizioni sospette di società europee, in particolare belghe e francesi. 

Caso ancora più eclatante, e anche di maggiore interesse all’indomani degli esplosivi “con bulloni” a Bruxelles, è quello di un carico sospetto giunto all’Aeroporto di Tunisi e proveniente dagli Stati Uniti. A lanciare l’allarme è stato un generale di brigata delle Dogane tunisine, parlando di un "pericolo imminente" dopo la scoperta di un carico contenente esplosivo, detonatori, pentole a pressione riempite con viti e bulloni, cinture esplosive e granate. Il generale tunisino ha anche denunciato l’irresponsabilità delle autorità che hanno nascosto l’evento durante un periodo di "piena emergenza". Il container rientrava in una spedizione cargo partita dalla California (Stati Uniti) e destinata alla Tunisia, facendo scalo all'aeroporto di Charles de Gaulle. Questa "merce" è stata inviata in due viaggi (la prima il 21 gennaio di 270 kg, e il secondo il 23 gennaio di 1500 kg). A scoprire casualmente le “pentole cariche di bulloni” erano stati i dipendenti della FedEx che smistavano il carico all’Aeroporto di Parigi e, avvisate la direzione della società, hanno appreso che “si trattava di dispositivi esplosivi fittizi, destinati all’Ambasciata Americana per delle esercitazioni militari” . Di contro, l'Ambasciata degli Stati Uniti ha negato qualsiasi coinvolgimento nel caso, e quindi anche che il carico di detonatori fosse destinato ad essa. L’episodio, nonostante la gravità, non è stato oggetto di indagine da parte della Direzione delle dogane centrale o del Ministero degli Interni non hanno avviato alcuna inchiesta. 

E’ lecito domandarsi il perché di questi “doppi-standard”, considerando che basta molto meno per far scattare un raid contro sospette cellule senza alcuna prova. Giocare sull’ambiguità dinanzi a temi così delicati non fa che crescere dubbi sulla lealtà dell’Alleanza atlantica, soprattutto quando Nicolas Sarkozy e David Cameron hanno programmato il bombardamento della Libia, mentre firmavano lettere di concessione per gas e uranio. Per ottenere il sostegno di Israele, venne anche fatto credere che la “Nuova Libia” avrebbe riconosciuto lo Stato israeliano, per divenire quindi il primo Paese arabo ad accettare tale riconoscimento. Oggi, mentre l’Italia chiede di investire più fondi nelle periferie e della formazione culturale degli stranieri, ci troviamo ancora una volta dinanzi ad uno scenario bellico che non lascia scampo. Infatti, Francia e Inghilterra, attraverso i vari Comitati d’affari, hanno promesso alle tribù la creazione di uno Stato Tuareg, per cercare di recuperare le concessioni perse dopo la rivoluzione del 2011. Questa diplomazia parallela aumenta inevitabilmente le divisioni nell’Alleanza, anche perché - forse bisogna ricordarlo a qualcuno – il Tribunale dell’Aja ancora esiste e aspetta chi ha commesso gravi crimini. 

Ad ogni modo, vorremmo invitare gli addetti ai lavori a riflettere su quanto accaduto a Bruxelles, nella speranza che qualcosa si fermi e non degeneri in uno scenario che nessuno vuole. Se una cellula terroristica decide di colpire una “capitale storica” per il transito di ogni tipo di commercio e strategico rifugio per le dissidenze, allora vuol dire che i sistemi di copertura sono davvero saltati, e che qualcuno all’interno dell’Alleanza sta facendo un gioco sporco.