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28 novembre 2008

Il falso nazionalismo balcanico


Per anni i movimenti nazionalisti dei popoli dei Balcani sono stati utilizzati ed istigati al punto che le banali rivendicazioni di ogni piccola comunità sono divenute prima "crimini contro un’etnia" e dopo movimenti politici di indipendenza ed autonomia. Puntualmente la Comunità Internazionale compie l'assurdo errore di assecondare ed alimentare questa grande farsa del nazionalismo balcanico.

Per anni i movimenti nazionalisti dei popoli dei Balcani sono stati utilizzati ed istigati al punto che le banali rivendicazioni di ogni piccola comunità sono divenute prima "crimini contro un’etnia" e dopo movimenti politici di indipendenza ed autonomia. Che fossero o meno cause giuste, poco importava a quelli che vedevano in ogni agitazione civile un utile tornaconto, e così spesso, senza neanche considerare i veri motivi della "ribalta" etnica, hanno finanziato e sostenuto le "idee" che sembravano più competitive economicamente. Ognuna di essa è nata e morta come un mito, una leggenda, e ancora oggi ci si interroga sul motivo vero della guerra della Jugoslavia, e come abbiano fatto ad arrivare a questo punto. In questo continuo naufragare tra storie antiche, origini remote e migrazioni sconosciute, sono state create le immagini grandiose della "Grande Albania" e della "Grande Serbia", costruite con nazionalismi, movimenti estremi e campagne di informazione da vero "Ministero della Propaganda". Se invece andiamo a scavare dietro ogni rivendicazione nazionalista balcanica, troveremo solo tanta creatività e depravazione politica che, vista la degenerazione degli eventi, non ha alcun limite. Un esempio potrà chiarire ciò di cui stiamo parlando.

Gli albanesi della Repubblica di Albania difendono sempre il popolo albanese, ed ogni parola detta contro solo uno di loro scatena una paranoica visione di complottismo, per sfociare poi nel mito di quella che dovrebbe essere la "Grande Albania". In realtà, nei Balcani possiamo trovare gli albanesi della Macedonia, del Kosovo, del Montenegro, e persino degli albanesi del confine greco: gli albanesi di Tirana sono diversi da ogni altra comunità albanese presente nella regione balcanica, e spesso non vanno neanche d’accordo tra di loro. La propaganda, i giornalisti, gli "internazionali" possono dire quello che vogliono, ma Tirana è sempre Tirana, e per gli albanesi di Albania resterà sempre qualcosa di prezioso, da portare come un vanto. Tra tutti, proprio con gli albanesi di Pristina non scorre buon sangue, visto che i kosovari hanno fama in Albania di essere dei truffatori, "grandi nazionalisti patrioti" ma solo a parole, nei fatti sanno solo manipolare le altre persone per ottenere ciò che gli interessa. Sono ricordati a Tirana per aver creato la prima finanziaria che ha truffato i cittadini albanesi, buttandoli sul lastrico.

Tra l’altro, il Governo di Tirana non ha mai preso seriamente in considerazione le zone albanofone dei Balcani, pur mostrando un forte sentimento di amicizia e solidarietà. Gli albanesi - da parte loro - sanno benissimo di non essere amati e di essere invece ricordati solo nelle storie di rapine, anche se poi nei circoli diplomatici a grandi livelli si sprecano le dichiarazioni di amicizia e di cooperazione: strategie e partneship "ma ognuno deve stare a casa propria". Tirana conosce benissimo la diatriba tra serbi e kosovari, e per anni va avanti la tacita alleanza strategica di Belgrado e Tirana, secondo cui gli albanesi e i serbi kosovari non si possono dividere, e nessuno dei due li vuole dividere perché poi ci sarebbero dei grattacapi per entrambi i Paesi. Come si può notare, i serbi di Belgrado stanno molto attenti a non commettere alcun sbaglio o a pronunciare qualche parola di troppo con gli albanesi di Tirana: nessuno fa la guerra vera, sono solo schermaglie ma niente di più. Allo stesso modo, i kosovari albanesi usano gli albanesi di Tirana per ogni responsabilità o colpa da scaricare, mentre i serbi del Kosovo accusano quelli di Belgrado per ogni problema. Del resto, basta riflettere sul fatto che non ci potrebbero essere traffici o contrabbandi all’interno della regione se non ci fossero degli accordi precisi.

Quanto detto per gli albanesi, può essere facilmente adattato al caso della Republika Srpska, l’entità della Bosnia serba, che ultimamente diventa nazionalista solo quando le conviene, ma è sempre disposta a chiudere tutti e due gli occhi quando si tratta di "incassare". D’altro canto non possiamo fargliene una colpa oltremodo, perché a pensarci bene tutti i politici di questi piccoli Stati mentono ormai senza più vergogna, non sono più affidabili, e la popolazione non crede neanche più ad una sola parola dei propri Governi, perchè puntualmente viene meno. I serbi di Bosnia dicono di amare la Serbia, ma i serbi di Belgrado non mostrano nessun interesse o gesto concreto, tranne nel caso in cui bisogna privatizzare le società e firmare concessioni. Come gli albanesi di Tirana e Pristina aspettano gli Americani restando sempre senza corrente, i serbi di Banja Luka e Belgrado si sono convinti che sarà la Russia ad aiutarli, a proteggerli, ma molto probabilmente quel soccorso tanto agognato non arriverà mai. E ancora, mentre i politici della Srpska viaggiano con le loro belle macchine e aumentano i loro stipendi per poi diminuire quelli dei Professori, sostenendo addirittura di aver alzato i livello salariale, le cosiddette "autorità di Pristina" si costruiscono le ville dicendo che hanno fatto la loro fortuna in America quando erano in esilio. Come si può notare, sono sempre i poveri cittadini, le persone più umili, ad essere ingannate da questi personaggi inutili, che si fanno grandi solo in virtù di un accordo fatto con gli "internazionali" che non verrà mai rispettato. E siamo convinti che quando qualcuno reclamerà il rispetto dei patti, si alzerà il muro del nazionalismo.

Questo è il destino dei leader di queste entità non ben definibili, non essendo né stati né province federali, e ormai sono rimasti prigionieri delle loro stesse rivendicazioni. Ogni Primo Ministro vuole essere un "Tito" , un "Milosevic", un "Enver Hoxa", e ognuno di loro vuole la sua Mercedes, e usciti fuori da quel piccolo partito anonimo, diventano dirigenti iper-impegnati, inavvicinabili, disposti a promettere ogni cosa pur di godere della tua simpatia, per poi non dare nulla. Hashim Thaci, ex guerrigliero dell’UCK, ha dichiarato l'indipendenza, ha proclamato una grande festa mostrandosi alla piazza di Pristina come un leader: in realtà è stata la più grande farsa mai organizzata, e lo stesso Enver Hoxa non aveva mai osato così tanto. Così anche Milorad Dodik, sempre sul punto di chiedere l'indipendenza della Republika Srpska senza mai farlo, è diventato il protagonista di una commedia tragico-comica. Ma ancora più ridicole sono le famose "armate di liberazione" che nascono cosi all'improvviso e nessuno conosce, inventate al momento per rivendicare degli strani attentati. Sono queste le cronache che hanno fatto la storia moderna dei Balcani, con movimenti politici e leader di Governi scelti tra contrabbandieri e contadini, piccoli ed inutili personaggi conosciuti nei circoli. L’unica caratteristica che viene chiesta loro è quella di avere una spiccata tendenza al complottismo e all’incoerenza, per essere così in grado di costruire paranoiche allucinazioni e di negare, dopo pochi istanti, qualsiasi cosa abbiano detto. Nel loro sangue scorre il "vittimismo", per creare le campagne di propaganda falsa e cercare sempre l'appoggio popolare. Sia Tachi che Dodik appartengono alla guerra dei Balcani anche se non hanno mai combattuto, semplicemente facevano affari in un periodo di grande agitazione sfruttando al meglio la situazione, l’uno a Tirana e l'altro a Belgrado: oggi uno dice che ha creato uno Stato indipendente sotto una farsa, e l’altro dice che farà uno Stato. Dicono di lottare per il proprio popolo e nessuno si è accorto che mentono spudoratamente.

Ormai questo falso nazionalismo non convince più neanche gli ultranazionalisti, che vedono maggior convenienza nel gridare "a cottimo", quando serve, piuttosto che portare avanti battaglie che nessuno ascolterà. Albanese, serba, croata, macedone, ogni etnia dei Balcani è unica ed irripetibile, ma alla fine, tutto questo sistema vive solo agli occhi occidentali, che vedono in una "crisi umanitaria" o nelle "missioni di democrazia" una possibilità per fare ancora delle guerre per qualche ideale, imbracciano le bandiere e, senza saperlo, cominciano a fare gli "utili idioti" per poi salvare un manipolo di contrabbandieri. L’Occidente non capirà mai la complessità dei popoli dell’Est, non riuscirà mai a controllarli o a domarli, perchè sono destinati a convivere su questa terra, ad amarsi e ad odiarsi, perché sono uniti tra di loro da infiniti intrecci familiari ed economici. Per estorcere qualcosa da America, Russia ed Europa, oggi inscenano i conflitti interetnici, e quanto più la posto in gioca è alta, tanto più baccano e schiamazzo faranno davanti alle telecamere. Ognuno di essi soffre di questo complesso dello "Stato", cercano di darsi importanza, di apparire al centro degli equilibri internazionali, e questa euforia li spinge a giocare d'azzardo, a rilanciare continuamente la posta. Il Kosovo insegna molto su quanto può essere crudele e disastrosa la degenerazione di una grande bugia di fondo: il malessere del popolo kosovaro, sia albanese che serbo, non è stato mai ascoltato, divenendo facile preda di bande e affaristi spregiudicati che volevano appropriarsi di una provincia nel cuore dell’Europa. Un dramma sociale è divenuto un crimine etnico, sino a gonfiare a tal punto la situazione che si è giunti alla guerra, all’indipendenza e infine al grande inganno. Sarebbe bastato fermarsi, tanti anni fa, e non prestarsi a determinati giochi, per uscire facilmente dall’incubo che si stava creando. Purtroppo, la grande "Comunità Internazionale" si è accorta solo adesso della follia che si stava scatenando, in una terra che ha bisogno di pochi pretesti per inscenare il disastro.

27 novembre 2008

Russia, energia e deflazione: il mosaico si ricompone

Le alleanze strategiche di Mosca continuano a moltiplicarsi, raccogliendo consensi in ogni parte del mondo. Dopo Libia, Italia, e Serbia, ma anche Turchia, Iran e Qatar, e gran parte del Caucaso sino ad India e Cina, Mosca conquista Brasile, Venezuela e Cuba. Le strade del petrolio sono state tracciate, e la creazione di un cartello del gas non è poi così lontana. (Foto: Oleg Deripaska e Dmitri Medvedev all'APEC di Lima)

Anche se "alcuni navi di guerra russe vicino alle coste venezuelane non modificano l'equilibrio delle forze nella regione", alcune piattaforme russe di estrazione di gas e petrolio nei mari dell’America Meridionale possono inquietare un po’ di più gli analisti americani. Così il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha minimizzato le ripercussioni della missione strategica della Russia in Brasile e Venezuela, ritenendo che “l'equilibrio delle forze nell'emisfero occidentale non sarà messo in dubbio" dalle esercitazioni di propaganda del Cremlino. Eppure, le alleanze strategiche concluse da Mosca continuano a moltiplicarsi, raccogliendo consensi in ogni parte del mondo, grazie ad una politica democratica aperta e pragmatica, dove la crisi finanziaria viene esorcizzata con una risposta drastica dell’economia reale e della riaccensione dei motori dell’energia. Dopo Libia, Italia, e Serbia, ma anche Turchia, Iran e Qatar, e gran parte del Caucaso sino ad India e Cina, Mosca conquista Brasile, Venezuela e Cuba: le strade del petrolio sono state tracciate, e la creazione di un cartello del gas non è poi così lontana. La Russia ha così tracciato una sorta di triangolazione nell’America lontana che ha in Lula e Chavez dei fieri alleati, per poi spingersi sino alle coste più insidiose di Cuba.

I dirigenti di Gazprom hanno gettato infatti le prime basi per una cooperazione energetica con la società petrolifera di Stato Petrobras, pianificando la possibilità di collaborare per l’estrazione dei nuovi campi petroliferi recentemente scoperti sulla terra ferma e sulla piattaforma continentale del Brasile, nonché di apprendere nuove tecnologie per la ricerca di idrocarburi in acque profonde e per la produzione di biocarburanti. Un’esperienza interessante, come definito dal Vice Presidente di Gazprom Alexander Medvedev, tenendo pero a precisare che "petrolio e gas resteranno l'attività prioritaria di Gazprom nonché la principale fonte d'energia, almeno per XXI secolo". Non è un caso però che il Brasile è stato scelto da Gazprom per stabilire la sua sede di rappresentanza in America latina, vedendo in Petrobras un importante player per le prospettive di sviluppo dell'industria gassifera e petrolifera.

Seguendo gli stessi criteri, Medvedev ha individuato il Venezuela come importante partner per la realizzazione di progetti bilaterali nel settore degli idrocarburi e della stabilità sul mercato energetico internazionale e la difesa della "sicurezza energetica mondiale". Prima di ogni cosa, le grandi società energetiche russe rafforzeranno la loro presenza sul mercato venezuelano, grazie ad un accordo di cooperazione nel settore dell'estrazione e del trattamento industriale degli idrocarburi, con la formazione di un consorzio controllato dalla Petroleos Venezuela S.A. (PDVSA). Gazprom sarà l'operatore del consorzio petro-gassifero per nome e per conto delle società russe ed opererà direttamente in Venezuela, quali Rosneft, TNK-BP, Surgutneftegaz e Lukoil. Le società russe prevedono anche di ottenere dal Governo venezuelano la concessione per le attività di rarefazione del gas naturale estratto in Venezuela.

Le mire espansionistiche in America Latina non terminano qui, in quanto diventa sempre più reale l’ "opzione cubana", con lo sfruttamento delle piattaforme off-shore a largo della Florida e prossime alle acque territoriali di Cuba. Mentre gli Stati Uniti hanno imposto il divieto federale di sfruttare le risorse petrolifere di quella zona, Cuba ha giocato d’anticipo affittando i diritti di estrazione a delle società cinesi, che stanno oggi perforando quasi 90 miglia al largo delle coste degli Stati Uniti. Per giunta, secondo quanto riportato dal quotidiano Sunday, le major petrolifere russe stanno valutando la possibilità di sfruttare le riserve del Golfo del Messico, come annunciato dall'ambasciatore della Russia a Cuba, Mijail Kamynin, al magazine economico cubano Opciones. Le società russe potrebbero dunque raggiungere presto la cinese Sinopec nello sviluppo dei pozzi riserve di petrolio a Cuba, sia sul territorio dell’isola che lungo la costa, sui quali esistono già dei progetti concreti. Kamynin ha anche rivelato che le stesse sarebbero interessate alla costruzione di serbatoi di stoccaggio di petrolio greggio e alla modernizzazione dei condotti di Cuba, come pure intervenire in Venezuela per ristrutturare la vecchia raffineria del porto della città di Cienfuegos.
Come si può notare, sebbene Cuba continui a sembrare al mondo occidentale l’ultima bandiera alzata del socialismo a causa dell’assurdo embargo statunitense, il Governo de L’Avana ha già firmato accordi operativi con società e multinazionali provenienti da diversi Paesi, per esplorare le acque territoriali che, a detta degli scienziati cubani, dovrebbero conservare oltre 20 miliardi di barili di petrolio. Tra questi figura proprio il Presidente brasiliano Lula, che ha visitato Cuba nel mese di ottobre per ratificare accordi bilaterali che daranno alla PDVSA la possibilità di investire 8 milioni di dollari per un periodo di sette anni, per l’esplorazioni delle acque profonde a nord della famosa spiaggia di Varadero: qualora i risultati saranno positivi, il Brasile potrebbe produrre petrolio e gas naturale grazie a Cuba per i prossimi 25 anni.

Non ci vuole molto a capire che questi silenziosi movimenti, vanno a determinare un interessante sviluppo per il futuro dell'economia mondiale, in considerazione del crollo dei prezzi dei prodotti petroliferi e del moltiplicarsi degli stessi cartelli sulle fonti energetiche. Anche in questo si intravede l’opera sotterranea della Russia, la quale ha già posto la possibilità di "coordinare i livelli di produzione con l'OPEC". Secondo quanto riportato dal quotidiano russo Vedomosti, citando il Ministro russo dell'Energia Sergei Chmatko, "il Cremlino non esclude la riduzione (congiunta) dell'estrazione del petrolio", o meglio potrebbe decidere di "diminuire la sua produzione, in simultanea con l'OPEC", anche senza un impegno formale con il cartello. È evidente, a questo punto, che la Russia si prepara a prendere maggiormente le redini della situazione di "crisi", e se non ci riuscirà a livello finanziario con l’istituzione di una nuova Bretton Woods, allora ci proverà giocando la carta energia, e non solo nei confronti dell’Europa, ma anche degli Stati Uniti, che stavolta dovranno per forza raggiungere un accordo. Tale scenario non è una pura speculazione, in quanto è la Russia stessa che lo dà ad intendere lanciando continui messaggi all’Occidente.

Interessante occasione è stata la riunione del Forum di cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) tenutosi a Lima, dove Medvedev e Bush hanno avuto modo di confrontarsi su tematiche internazionali forse per l’ultima volta. Il vertice, svoltosi a porte chiuse, è stato inaspettatamente aperto dal "Business Advisory Council cochairman" Oleg Deripaska, miliardario russo che ricordiamo per i suoi importanti investimenti in Montenegro accanto a Nathaniel Rothschild per i progetti di Budva e Ulcinj. L’intervento di Deripaska - che ha ottenuto il suo attimo di gloria - non a caso riguardava il ruolo futuro della Russia. "Questa crisi non è finanziaria, ma una crisi di sovrapproduzione - afferma Deripaska, come riportato dal Kommersant - in Occidente non vi era una forte domanda aggregata, non c’erano capitali, a causa del basso costo del credito al consumo. Noi non siamo stati distratti da questa tendenza. Il nostro Paese non è solo ricco di risorse, ma dispone anche di capitali. Questo è il vantaggio del nostro Paese. I nostri cittadini e investitori continueranno a comprare, mentre in Occidente i consumatori non acquisteranno nulla nei prossimi 12 mesi, a meno che, naturalmente, i governi non cominceranno a lanciare soldi dagli elicotteri".

Anche se usa parole molto ciniche, non possiamo dargli tutti i torti. "Fino a quando il mondo continua a mantenere in vita una politica industriale inefficiente, la fase di crescita non si avvierà", continua Deripaska, e avverte sulla possibilità che i Paesi occidentali, per arginare la caduta dei prezzi, prenderà misure di protezionismo, e dunque farà dumping. Con queste parole anticipa dunque il fantasma della deflazione, deridendo tutti quelli che si erano lamentati dell'inflazione, la quale rappresenta pur sempre un movimento espansivo dell’economia. "Questa situazione è un'occasione unica per la Russia, che deve fare ciò che era stata in grado di fare in precedenza: costruire strade, rafforzare infrastrutture, mezzi di trasporto di merci, persone ed energia, avere tecnologia e sistemi di comunicazioni. Essere insomma indipendente dagli altri Paesi industrializzati", ha concluso entusiasmato. Detto ciò, possiamo solo aspettare la reale evoluzione della situazione economica, tenendo presente che la Russia, quando muove le sue pedine, considera sempre anche le decisioni degli altri giocatori, proprio come in uno schema di Nash. Le informazioni che passano sono sempre un po’ parte della sua propaganda, e del suo modo di comunicare: sta ora a noi fare la prossima mossa.

26 novembre 2008

Crisi economica: rallentamenti nell'EST ma nessuna recessione

La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS-EBRD) ha pubblicato le stime relative alle crescita dell’area geo-economica in cui opera. La forchetta del PIL oscilla dal 6,3% del 2008 al 3% nel 2009, dopo che nel 2007 ha raggiunto il 7,5%. Secondo la Bers, dunque, la crescita della regione andrà a diminuire fortemente nel 2009, in seguito al rallentamento economico mondiale, nonché alla turbolenza dei mercati finanziari.

La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS-EBRD) ha pubblicato le stime relative alle crescita dell’area geo-economica in cui opera. La forchetta del PIL oscilla dal 6,3% del 2008 al 3% nel 2009, dopo che nel 2007 ha raggiunto il 7,5%. In linea con le proiezioni OCSE, la BERS delinea una forte oscillazione del PIL, con un gap che si estende di oltre 3 punti percentuali come un drastico crollo della crescita che tuttavia non sfocia nella recessione, a differenza del blocco europeo e americano. La zona in esame rappresenta globalmente i paesi del vecchio blocco sovietico, che hanno attraversato una lunga fase di transizione per giungere a dei livelli di sviluppo sostenuti, grazie al vertiginoso sfruttamento delle risorse disponibili e dei relativi capitali immessi nei cosiddetti mercati emergenti. All’interno della relazione, la Bers esamina con particolare attenzione la crescita della Russia, l’economia più estesa della zona Bers, che arriverà ad una crescita del 3%, dopo aver toccato l'8,1% nel 2007 e il 7,3% nel 2008, con un’ampiezza del gap stimato dal Cremlino dal 3 al 6%.

La crescita dell’economia rallenterà anche nei paesi dell'Europa centrale appartenenti ora all’Unione Europea, come Repubblica ceca, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia, e nei paesi baltici, come Estonia, Lettonia, Lituania, che passano dal 6,3% nel 2007 al 4,3% quindi al 2,2% nel 2009. Sembra invece che i paesi del Sud-Est Europeo (Bulgaria, Croazia, Romania, Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Serbia) vedranno la loro crescita leggermente progredire al 6,5% nel 2008 rispetto al 6,2% del 2007, ma in seguito rallentare al 3,1%, senza tuttavia arrestare del tutto l’espansione del sistema economico. La Confederazione degli Stati Indipendenti ed il Caucaso rallenterà dall'8,5% nel 2007 al 7,3% nel 2008 quindi al 3,4% nel 2009, e la Russia seguirà la tendenza del gruppo. Al contrario, secondo la Bers saranno due i Paesi che conosceranno una crescita a due cifre anche l'anno prossimo, ossia l'Azerbaigian con il 15% (dopo il 23,4% nel 2007 e 20% nel 2008) ed il Turkmenistan, con una crescita che resterà al 12% come nel 2008, dopo l'11,6% nel 2007. Altri Stati vedranno una tranquilla stabilità o un miglioramento della crescita nel 2009: la Georgia, il cui PIL aumenterà soltanto del 2% quest'anno dopo il 12,4% nel 2007 con una leggere accelerazione al 4% dell'anno prossimo, ed il Tagikistan, che passerà dal 5% nel 2008 al 6% nel 2009, dopo il 7,8% nel 2007.

La Bers ritiene dunque che la crescita della regione andrà a diminuire fortemente nel 2009, in seguito al rallentamento economico mondiale, che causa una contrazione della domanda di energia e di beni di consumo, nonché alla turbolenza dei mercati finanziari, che rende i mercati emergenti maggiormente rischiosi, perché spesso sono vespai di speculazioni e di manovre non sempre trasparenti. “I Paesi di quest’area, destinazione di investimenti, devono agire sulla stabilizzazione dei loro sistemi bancari - suggerisce l’analista Erik Berglof - e le misure di stabilizzazione dovranno essere coordinate tra di loro, e contemporaneamente con i Governi dell’Europa Occidentale e degli altri Paesi della transizione, tenendo conto dei legami esistenti tra le strutture del sistema finanziario della regione". Direttive che indirettamente chiedono ai Governi di sostenere con fondi statali le banche in difficoltà in maniera da fermare il blocco dell’accesso al credito, e così anche la chiusura delle filiali estere delle banche occidentali, che sono le prime a subire le conseguenze di eventuali segnali di rischio sul mercato finanziario.

Una crisi di questo tipo ha già colpito la Romania, richiedendo l’intervento urgente del Governo per drenare la crisi di liquidità e la fuoriuscita dei capitali esteri in seguito alla crisi immobiliare e alla svalutazione delle borse: misure che solo in parte hanno fermato l’emorragia interna. La Romania ha in qualche modo anticipato la crisi finanziaria interna, proprio a causa delle forti speculazioni immobiliari e l’accrescimento troppo superficiale delle finanziarie e delle banche estere, che ai primi tremori hanno svenduto le proprietà e lasciato il Paese. C’è tuttavia chi teme che una crisi di questo tipo si abbatta anche sui Balcani Occidentali, viaggiando attraverso i mercati del Sud-Est europeo.
La prima a tremare sembra essere la Serbia, bersagliata a causa della svalutazione del dinaro contro l’euro ai minimi storici, e la necessità da parte della Banca Nazionale di Serbia di intervenire con la vendita di parte delle riserve di valuta. Anche in questo caso, sembra che la caduta della domanda di dinari sia derivata dai primi segnali di debolezza del mercato immobiliare, nonché degli stessi capitali esteri, che, in seguito alle forti espansioni sono gradualmente rientrati. Il panico tuttavia potrebbe diffondersi davvero nei primi mesi del 2009, anno cruciale per tutte le compagnie che sono state privatizzate, e che, dopo le ristrutturazioni, possono mettere in discussione la gestione del personale. Infatti, nel corso delle procedure di privatizzazione, le società si impegnano a mantenere il personale per un periodo limitato, ma nella fase successiva hanno la possibilità di ridurre la manodopera, divenuta in esubero proprio grazie agli interventi sulla produttività. I licenziamenti, ed un lungo periodo di disoccupazione, sarà inevitabile prima che la manodopera non sarà gradualmente assorbita dal mercato con la realizzazione dei progetti al momento in atto. Lo stesso potrà accadere in ogni Stato che ha adottato, su pressioni delle Istituzioni Finanziarie internazionali ( Banca Mondiale, BERS, FMI ) , questo tipo di politiche, ed in particolare il Montenegro e la Bosnia.

Accanto alla Serbia, anche la Croazia comincia a temere per il suo futuro, e il Premier Ivo Sanader, dopo aver tranquillizzato le Istituzioni Internazionali sullo stato di salute ottimale del Paese, prepara misure adeguate volte al sostegno del sistema bancario e al sacrificio delle classi medie, che dovranno rinunciare all’aumento salariale. Sentendosi già pronta ad entrare in Europa, la Croazia gioca d’azzardo e spavalda promette privatizzazioni e tagli massicci alla spesa pubblica, senza considerare le eventuali implicazioni sull’economia. Secondo alcuni sondaggi, i croati nel 2009 saranno un popolo fortemente indebitato, e solo una parte di loro riuscirà a far fronte ai propri impegni: un dato allarmante che non va trascurato. Non a caso, anche la fiducia risposta dalle Agenzie internazionali di rating comincia a diminuire, un po’ sulla scia della tendenza globale, un po’ a causa della reale situazione interna di instabilità.

Allo stesso modo, la vicina Bosnia sta attraversando da tempo un periodo di crisi finanziaria, soprattutto la Federazione della BiH che soffre di un patologico deficit di bilancio, probabilmente a causa della pessima gestione dirigenziale. La Camera di Commercio della Federazione ha già annunciato che saranno messi in discussione circa 700 posti di lavoro nel settore della Bosnia-Erzegovina, a causa della crisi economica, e del relativo protezionismo sul credito, segnalando una diminuzione dei nuovi contratti e delle commesse che potranno fermare la produzione delle aziende, come ad esempio quelle operanti nel settore automobilistico ed edilizio. Al contrario, l’entità serba della Republika Srpska sta recuperando i suoi debiti, e riesce a mantenere una certa sostenibilità nell’economia interna, grazie anche ad importanti investimenti esteri concentrati in settori strategici, vedendo così un forte boom negli investimenti.

Caso interessante è quello del Montenegro, patria di speculazioni immobiliari per eccellenza, nonché meta privilegiata di ingenti liquidità provenienti da banche ed investitori esteri. Per anni grandi somme di denaro hanno ingrossato le casse delle Banche locali e delle società immobiliari, e solo in parte quelle dello Stato, che da parte sua ha provveduto a vendere i più importanti complessi turistici, siderurgici ed estrattivi che costituivano la ricchezza del Paese. La sua intera economia sembra si sia convertita alle attività finanziarie e di servizi, settore che al momento ha superato le entrate turistiche. Tuttavia, la crisi estera sta decimando anche i capitali del Montenegro, a partire dalle prime perdite nelle tesorerie delle Banche, e alcune di esse sono state addirittura svuotate senza che si conosca la destinazione. Il Montenegro deve temere il rallentamento economico, nella misura in cui continuerà a basare la propria ricchezza sul sistema finanziario e non su quello reale: maggiore sarà la sua dipendenza, più pericolose saranno gli effetti della crisi.

Infine, chiudiamo questa rapida rassegna dello stato dell’economia dei Paesi della BERS, con uno sguardo sulla Russia. La sua economia è divenuta talmente complessa che difficilmente si può prevedere la sua imminente evoluzione. Occorre considerare che è una potenza energetica e, anche qualora il prezzo del gas e del petrolio diminuiranno, il suo attivo nella bilancia commerciale, e il relativo surplus della bilancia dei pagamenti, difficilmente subirà danni strutturali. La sua forza contrattuale, tra l’altro, è destinata solo ad aumentare, persino dei confronti degli Stati Uniti, in seguito agli accordi strategici ratificati con Brasile, Iran, Qatar e infine Serbia, che hanno posto un’altra pietra miliare nella creazione del cartello del gas (OPEC gas). Assisteremo ad un vero capovolgimento dei fronti, dopo che sarà suggellata l’alleanza del gas tra Gazprom e Petrobras, sia nell’esplorazione di nuovi pozzi petroliferi, sia nel biocarburante, che in quello strettamente finanziario. La caduta dei prezzi degli idrocarburi, metterà non solo fuori mercato i piccoli accenni per l’energia rinnovabile, ma renderà il petrolio ed il gas "la principale fonte d'energia", anche nel XXI secolo, con tutte le implicazioni che ne derivano per America ed Europa: ancora deficit di bilancio, tecnologie ed innovazioni bloccate, destabilizzazione economica e magari cambiamento dei baricentri della ricchezza. Per quanto, dunque, si potrà avere un arresto della crescita della Russia, il divario (se non l’abisso) con UE e Stati Uniti sarà ancora elevato, perché l’Occidente sarà in piena recessione da deflazione, in attesa della sua ripresa.

25 novembre 2008

Obama e i “soliti ignoti”


Il Presidente americano Barack Obama prepara le nomine del Team che prenderà parte all’amministrazione americana del "new deal". I nomi comparsi nella lista sono già molti per l'ex Amministrazione Clinton e Bush, nessuna novità, tranne per il fatto che non c'è "nessun cambiamento". I settori chiave della politica economica e della politica estera saranno guidati dall'ex dirigenza della Federal Reserve e da Hillary Clinton (nella foto). Barack Obama sarà anche lo specchio della "democrazia dal basso" dell’America, ma resta pur sempre un uomo senza alcun potere.

Il Presidente americano Barack Obama sta preparando le nomine del Team che prenderà parte all’amministrazione americana del "new deal". All’insegna del "cambiamento" e di una politica decisiva contro la crisi finanziaria e un debito pubblico non più quantificabile, Obama comincia l’appello della squadra dirigenziale che dovrebbe "cambiare il mondo" e salvare gli americani dal fallimento. I nomi comparsi sulla scaletta sono davvero interessanti, e la dice lunga su quanto dovremo aspettarci: tanti nomi già noti per Clinton e Bush, e dunque una lunga transizione verso un’economia globale davvero stravolta. Visto il momento di "crisi", crediamo sia giusto iniziare proprio dalla squadra che avrà potere decisionale nella politica economica, che al momento ha l’assoluta priorità nella scala dei disastri, sostituendo così la politica estera che per anni ha dominato le attenzioni degli insediamenti dei Presidenti. Obama infatti, in questo momento di transizione prenderà in considerazione un piano per rilanciare l'economia di un importo che si aggira tra i 500 ei 700 miliardi di dollari, ben al di sopra di ciò che era previsto nel corso della campagna.

Innanzitutto, Obama conferma Timothy Geithner, Presidente della Federal Reserve di New York, alla carica di Segretario del Tesoro, che avrà accanto a sé Lawrence Summers, ex Segretario del Tesoro del Presidente Bill Clinton, nominato come direttore del Consiglio Nazionale Economico. Christina Romer, economista presso l'Università di Berkeley, sarà il direttore del Consiglio di Consulenti economici della Casa Bianca, mentre Peter Orszag, protetto di Robert Rubin ed ex segretario del Tesoro di Bill Clinton, dovrebbe essere nominato direttore del bilancio. Non avevamo dubbi che Wall Street e i mercati finanziari avrebbero accolto con favore la probabile nomina di Tim Geithner, già dirigente del Tesoro dove ha trascorso gran parte della sua carriera, e definito come uno dei maggiori esperti nel settore, grazie alla sua esperienza nelle misure di emergenza in situazioni di crisi, come il "salvataggio" delle banche in fallimento, e nelle numerose "innovazioni" introdotte dalla banca centrale e il Tesoro per contrastare la crisi del credito. È stato, infatti, il braccio destro di Ben Bernanke, Presidente della Fed, nella gestione della crisi nelle ultime settimane, curando gli stretti rapporti con i capi delle grandi banche statunitensi. Non a caso, molti gli rimproverano l'abbandono e il fallimento della banca Lehman Brothers, che ha ampiamente contribuito alla caduta dei mercati globali.

Insomma un grande analista, non a caso appartenente alla "vecchia guardia" che ha contribuito alla creazione di questo stato di crisi e ora parteciperà alla ricostruzione del sistema economico, che ricadrà ovviamente sulle tasche dei cittadini americani e di tutti noi. Chissà dov’era lo stimatissimo Geithner quando la Federal Reserve ha emesso titoli e moneta senza alcun controllo, ha stampato dollari in tutto il mondo con il benestare del Governo, e ha imposto i Paesi emergenti ad acquistare collaterali senza alcun valore di mercato per creare liquidità. E ci chiediamo, qual era la posizione di Geither dinanzi al fallimento delle Banche americane che avevano palesemente truffato i cittadini di tutto il mondo, lasciando che operassero indisturbate e che continuassero impunite ad operare sul mercato all’interno di altri gruppi bancari. C’è da dire che Obama ha fatto davvero un’ottima scelta, una di quelle scelte coraggiose che cambiano il mondo, che sono "controcorrente" e nuocciono agli interessi dei potenti; ed effettivamente ci vuole davvero un gran coraggio a nominare un dirigente della Fed, che in realtà dovrebbe essere inquisito.

Come dicevamo, accanto a Gethner vi è Lawrence Summers, già Direttore del Dipartimento del Tesoro sotto la guida del Presidente Bill Clinton: una scelta dettata dalle solite regole poste da Obama, ossia il "cambiamento" e l’indipendenza delle lobbies. È giusto però ricordare qualche gesta di Summers - come hanno fatto alcuni media americani - e dunque quando ha svolto un ruolo chiave nelle attività di lobbying presso il Congresso per l'abrogazione della legge "Glass Steagall", per ottenere subito dopo la nomina da parte del Presidente Clinton nel 1999 come Segretario del Tesoro, e ratificare il "Financial Services Modernization Act" nel novembre 1999 (sic!). Al termine del suo mandato, per consolazione, è diventato Presidente della Harvard University (2001 - 2006). Summers, dunque, con "recidiva" caparbietà, ottiene di nuovo una carica di dirigenza, come se non bastassero i danni della sua legge per la "modernizzazione dei sistemi finanziari" e del suo ruolo presso la Banca Mondiale.

Esponente della scuola economica neoliberale cinica e sprezzante, Summers è molto conosciuto dagli ambientalisti, dopo aver proposto la vendita di tecnologie inquinante e lo smaltimento di rifiuti tossici in paesi del Terzo Mondo, motivando tale decisione sulla base del "ciclo di vita" delle tecnologie proporzionato alle epoche di sviluppo ed evoluzione degli Stati. Dunque, "dato che le popolazioni dei paesi poveri vivono meno a lungo e i costi del lavoro sono molti bassi, il valore di mercato delle persone nel Terzo Mondo è molto più basso rispetto a quello di Paesi industrializzati", spiegava Summers aggiungendo che, "tale situazione rende economicamente vantaggiosa l'esportazione di materiali tossici in Paesi poveri". Questo luminare dell’economia neoliberista - e prossimo dirigente del "cambiamento" - ha così ratificato una controversa risoluzione della Banca Mondiale del 1991, chiedendo di incentivare l’esportazione di rifiuti tossici, "considerando che i costi per la salute provocato dall'inquinamento dipendono dalla mortalità della popolazione", e dunque "si dovrebbe inquinare nel Paese con il più basso costo, che sarà il Paese con il più basso dei salari", ossia quelli poveri. Inoltre, nel 1994 è stata approvata la moratoria che vieta gli Stati OCSE di esportare rifiuti pericolosi in Paesi in via di sviluppo nell'ambito della Convenzione di Basilea: a distanza di cinque anni, gli Stati Uniti ancora non hanno ancora ratificato la convenzione di Basilea.

Se questo non vi convince ancora molto sul "cambiamento" di Obama, possiamo continuare la nostra lista dei candidati della "nuova" amministrazione americana. Com’è già noto David Axelrod, stratega della campagna elettorale di Barack Obama, dovrebbe rimanere uno stretto consigliere del Presidente; mentre il capo del personale e Segretario Generale della Casa Bianca sarà Rahm Emanuel, già arruolato dall’Amministrazione Clinton, ed organizzatore della campagna elettorale. La stampa americana lo definisce un vero "mastino", quasi uno spregiudicato "manipolatore" di masse. Co-presidente del team per assicurare la transizione con l'amministrazione Bush sarà John Podesta, ex dirigente dello Stato maggiore di Bill Clinton alla Casa Bianca. L'attuale Ministro della Difesa, Robert Gates, noto anche al di fuori dei circoli repubblicani, potrebbe rimanere in carica, perché dovrebbe "facilitare la transizione in Iraq" e potrebbe servire come un "fusibile" in caso di difficoltà inattese. Richard Danzig, ex segretario della Marina, potrebbe ottenere invece il Dipartimento della Difesa, mentre il repubblicano Chuck Hagel, criticato ferocemente per la gestione della guerra in Iraq presso l'amministrazione Bush e che ha accompagnato Obama durante il suo viaggio in Iraq e in Afghanistan la scorsa estate, è stato nominato capo del Pentagono. Nell’apparato della Difesa potrebbe figurare anche Richard Lugar, leader repubblicano del Comitato di politica estera del Senato.

"Dulcis in fundo", è stato fatto anche il nome di Hillary Clinton come Segretario di Stato, e dunque portavoce della politica estera degli Stati Uniti. La sua nomina non dovrebbe essere annunciata ufficialmente prima del 27 novembre, ma sembra praticamente garantita da Bill Clinton, che ha accettato di mettere parte del suo staff al controllo della Casa Bianca per facilitarne il suo compito. Sicuramente la nomina di Hillary Clinton è tra le più preoccupanti, considerando che nel corso della sua campagna elettorale non ha dato prova di grande "conoscenza" di ciò che accade nel mondo. I suoi comizi, per sembrare più interessanti, sono stati volutamente arricchiti di particolari fantasiosi, a cominciare dalla sua "coraggiosa" missione a Tuzla (Bosnia) nel 1996. "Sono atterrata in mezzo al fuoco dei cecchini; avrebbe dovuto esserci una cerimonia di saluto all' aeroporto invece ci infilammo a testa bassa nei veicoli per raggiungere la base" : così trasforma il suo arrivo a Tuzla, accolto da persone in festa e persino da un bambina bosniaca, in feroce sparatoria. La sua fantasia sfrenata non si è fermata qui, e ha affermato di avere avuto un ruolo chiave per la pace in Irlanda; di essersi opposta alla creazione del NAFTA, la zona di libero scambio in Nord America, progetto guida dell’amministrazione Clinton; di avere negoziato la liberazione di prigionieri in Macedonia, che sono stati invece rilasciati il giorno prima che si recasse a Skopje.
È inutile dire che le bugie della Clinton sono diventate un vero tormentone, anche un appassionato gioco dei giornalisti e del pubblico, che hanno segnalato tutte le stranezze più assurde della Clinton. Il solo pensiero di averla ora come Segretario di Stato, al posto dell’altrettanto terribile Condoleezza Rice, non può che mettere i brividi: la sua incoerenza e le sue continue allucinazioni potrebbero scatenare anche delle guerre, a meno che Obama non provveda a fornirle una serie di assistenti che la controllino a vista.

Per concludere questa rassegna della "nuovissima amministrazione Obama", citiamo l'ex senatore Tom Daschle, veterano della guerra di trincea tra democratici e repubblicani al Congresso, che dovrebbe diventare Ministro della Salute; Eric Holder, dell'ex amministrazione Clinton, che potrebbe avere il portafoglio della Giustizia, mentre all'ufficio del Procuratore Generale, e dunque Ministro della Giustizia, potrebbe tornare a Janet Napolitano; Bill Richardson, ex rivale di Barack Obama nonché segretario e ambasciatore presso le Nazioni Unite sotto Bill Clinton, sarà Segretario del Commercio. Infine, Jack Reed, Senatore democratico e attuale membro delle forze armate nella Camera Alta, è stato citato per il Pentagono, e l'ex leader dei Democratici al Senato, Tom Daschle otterrà una carica universale.
Ad ogni modo, come si può ben notare, Barack Obama sarà anche lo specchio della "democrazia dal basso" dell’America, ma resta pur sempre un uomo senza alcun potere, un Presidente americano in balìa delle Alte dirigenze inamovibili, degli uomini delle lobbies, dei burocrati che sono anche i diretti responsabili delle catastrofi economiche e delle guerre che hanno creato questa situazione di crisi globale. Per cambiare un sistema economico e politico non basta un Presidente "nero", non basta la democrazia della "rete", non basta che i messaggi della Casa Bianca siano lanciati da "You Tube" invece che dalla CNN. Infatti, il caro Obama non ha avuto altra scelta che confermare lo staff che il Partito Democratico gli ha imposto, e dunque tutti gli uomini di Clinton e persino di Bush. Cosa potrà mai cambiare per uno Stato "fondato sul debito e sulla guerra"? Il cambiamento è solo una grande allucinazione di massa, in cui è caduto il mondo intero, tranne i "soliti scettici".

24 novembre 2008

Come avere un passaporto falso...


Esistono dei sistemi per ottenere dei passaporti falsi, più semplici di quel che si creda. Abbiamo infatti individuato un portale internet dal quale è possibile acquistare un passaporto appartenente a diversi Stati Europei e transatlantici inviando una semplice e-mail. Questi passaporti permettono di viaggiare all’interno di Stati non appartenenti all’Unione Europea o ai Paesi che non esercitano forti controlli, e soprattutto i Paesi dei Balcani e del Caucaso. Viene però commesso un crimine, soprattutto nei confronti di chi spera di approdare su lidi migliori e di migliorare la propria vita. Essendo più deboli e disperati diventano le vittime inconsapevoli di un sistema creato ad hoc per le truffe finanziarie.

Nonostante gli sforzi delle politiche sull’immigrazione e delle leggi anti-terrorismo, il traffico di esseri umani e di clandestini non si arresta, e i confini degli Stati diventano sempre più permeabili, se non proprio inesistenti. I Governi sembrano combattere spesso contro dei nemici invisibili, che continuano a costruire la propria rete criminale e ad ingannare i controlli delle frontiere e delle ambasciate. L’introduzione dei sistemi biometrici risponde, in parte, a tale obiettivo, ossia cercare di monitorare quanto più possibile i flussi di migrazione e gli ingressi nei Paesi, al fine di avere un quadro reale della popolazione presente all’interno di uno Stato. Non a caso, l’implementazione dei passaporti elettronici è una delle condizioni essenziali ai fini dell’ingresso all’interno dell’Unione Europea, chiedendo così il monitoraggio totale delle proprie frontiere prima di liberalizzare i visti e lasciare che nuove masse di persone inondino gli Stati Europei. Tuttavia, prima che vi sia la completa sostituzione dei vecchi documenti con quelli elettronici, ci vorrà ancora molto tempo, e il divario temporale attuale permette il moltiplicarsi incontrollato della produzione di passaporti falsi soprattutto nelle aree dei Balcani e dell’Europa orientale, in vista dell’apertura delle frontiere con l’Europa, e così dell’assegnazione della tanto agognata "cittadinanza europea".

I passaporti da acquistare sul web

Tali osservazioni ci hanno così spinto ad effettuare un’indagine, circoscritta al web, per individuare i canali di trasmissione e di scambio di passaporti falsi, destinati non solo ai Paesi a forte densità migratoria, ma anche ai canali finanziari paralleli per costruire il loro castello di truffe e titoli. Nel corso della nostra inchiesta abbiamo individuato un portale internet ( www.fakepassports.org ) dal quale è possibile acquistare un passaporto appartenente a diversi Stati Europei (come Belgio, Germania, Francia, Olanda e Gran Bretagna) e transatlantici (come Australia, Canada e Singapore), inviando una semplice e-mail. Stabilita la comunicazione con i gestori del sito, vi viene spiegato che ogni contatto potrà avvenire solo tramite e-mail, e dopo aver scelto il proprio passaporto, occorrerà inviare una foto tessera scannerizzata e la cifra pattuita tramite circuiti di trasferimento di denaro, come Wester Union e Money Gramm. Il documento prodotto verrà poi inviato tramite la DHL, con spese a carico del destinatario.
Ciò che più incuriosisce di questo portale, è la presentazione che viene fatta dell’acquisto dei passaporti falsi, definiti come uno strumento "lecito" per proteggere i propri dati personali dall’appropriazione indebita dei Governi, e per creare una duplice identità lontana da occhi indiscreti. Tutto viene spiegato come un atto dovuto e corretto, lasciando intendere che i passaporti possono essere utilizzati per scopi "particolari", e non certo per entrare negli Stati a cui i documenti sembrano appartenere.

Infatti, questi passaporti consentono di viaggiare all’interno di Stati non appartenenti all’Unione Europea o ai Paesi che non esercitano forti controlli, e dunque nell’area balcanica, caucasica, all’America Meridionale, gli Stati del Medioeriente e del continente africano. Così è possibile entrare regolarmente in Slovenia e Romania, e da lì approdare in Europa senza utilizzare i rischiosi stratagemmi delle navi e dei gommoni. Allo stesso modo, tali passaporti vengono utilizzati da personaggi che operano sul mercato della finanza parallela, per sottoscrivere contratti finanziari, acquistare e cedere collaterali o altri derivati di origine incerta. Infatti, nella documentazione relativa alla validità di un titolo finanziario ritroviamo spesso le copie di passaporti degli intestatari dei titoli, accanto alle certificazioni notarili di autenticazione dei titoli. Si tratta comunque di questioni talmente delicate, che anche ottenere questo tipo di passaporti diventa difficile, in quanto occorre stabilire sempre un rapporto di fiducia. È alquanto improbabile che i documenti vengano inviati senza la sicurezza di avere davanti persone seriamente interessate, e comunque non si può certo denunciare dei soggetti inesistenti per "non aver inviato dei passaporti falsi", sarebbe davvero ridicolo.

Ad ogni modo, questo mercato colossale si sta allargando ormai a macchia d'olio, sia a causa della forte crisi finanziaria che porta all’incontrollata produzione di titoli e derivati per creare liquidità, divenendo così necessario assoldare nuove "false identità", sia a causa dell’imminente apertura delle frontiere europee verso est. Inoltre, questa vicenda dimostra al di sopra di ogni dubbio, che il sistema dell'anti-terrorismo non funziona affatto, è un sistema pieno di lacune e di bug che possono essere facilmente eluse, persino da un sitoweb fantasma che vende "identità false" alla luce del sole. Quali sono, dunque, gli strumenti e le armi che ha uno Stato per impedire il proliferare di questo tipo di truffe? Chiudere un website e riaprirne un altro non è molto difficile, e mentre la macchina burocratica delle forze di polizia si attivano, i fantomatici falsificatori sono scomparsi del tutto. Al contrario, la "polizia informatica" agisce sempre con tempestività a protezione di brevetti o copyrights all’interno della rete, una tempestività che non viene mai usata a protezione della salvaguardia delle persone semplici e anche disperate che cercano nell’approdo sulle coste europee una salvezza.Con questo sistema viene infatti commesso un crimine soprattutto nei confronti di chi spera di approdare su lidi migliori e di migliorare la propria vita. Essendo più deboli e disperati diventano le vittime inconsapevoli di un sistema creato ad hoc per le truffe finanziarie.

21 novembre 2008

Alla Francia il fondo sovrano, e all'Italia le Banche


L’Unione Europea è pronta ad approvare una manovra finanziaria di oltre 130 miliardi di euro che vedrà la partecipazione di uno Stato membro. Non è da escludere che vi saranno delle sostanziali modifiche a questo piano di emergenza formulato dalla Commissione Europea. Mentre la Germania prepara la sua opposizione, la Francia propone la creazione di un Fondo strategico per gli investimenti francesi, un fondo sovrano francese, per sostituire il ruolo del sistema bancario. L'Italia ha dalla sua parte un sistema bancario che si prepara, non solo a finanziarie le imprese in difficoltà, ma anche ad entrare nei loro azionariati se necessario. (Foto: Alessantro Profumo, Unicredit)

Per scongiurare lo spettro della crisi economica, l’Unione Europea è pronta ad approvare una manovra finanziaria di oltre 130 miliardi di euro che vedrà la partecipazione di uno Stato membro. La notizia è stata ufficializzata dal Ministro dell'Economia tedesco, Michael Glos, spiegando che ciascun Paese Ue contribuirà al piano con l'1% del proprio PIL prodotto interno lordo, con l’obiettivo di sostenere le economie dell'Unione che si trovano già a fronteggiare situazioni di particolari crisi e molto prossime alla recessione, tra cui probabilmente anche la Germania. Stando alle analisi dei burocrati dell’UE, il piano dovrebbe essere una manovra correttiva per le iniziative dei singoli Stati che potrebbero non essere efficaci. Tuttavia, non vi è alcuna certezza che il piano, che giungerà al giudizio della Commissione Europea verso la fine del mese, abbia l’approvazione dei Paesi Europei "in difficoltà", come ad esempio la Germania che dovrebbe contribuire con 25 miliardi di euro dinanzi al fantasma di un’imminente recessione a causa del blocco dell’industria automobilistica. Gli altri Governi non hanno ancora formulato una reazione ufficiale, e non è da escludere che vi saranno delle sostanziali modifiche a questo piano di emergenza formulato dalla Commissione Europea.

Una possibile alternativa che si sta facendo strada tra i corridoi di Bruxelles, è la soluzione del Presidente Nicolas Sarkozy, che propone la creazione di un Fondo strategico per gli investimenti francesi, un fondo sovrano per la Francia, destinato a sostenere le imprese strategiche durante la crisi, con un'iniziale dotazione di 20 miliardi di euro, senza tuttavia stabilire con certezza la capitalizzazione. Il fondo pubblico francese dovrebbe aiutare le imprese in difficoltà, e beneficerà delle risorse della Cassa dei depositi, del Tesoro francese, che gestirà il fondo, ma anche di contributi pubblici o privati. Sarkozy ha inoltre aggiunto che questo fondo sovrano "alla francese" è pronto a stringere alleanze con fondi sovrani europei o stranieri, garantendo la " trasparenza" degli impieghi e dei finanziamenti e un "maggior sfruttamento dell’effetto di leva". L’idea di Sarkozy è apparsa agli stessi economisti francesi un "azzardo megalomane" che non si adatta bene all’attuale struttura dell’economia della Francia, essendo una macchina di consumo di investimenti e solo in maniera marginale di creazione di capitali.

Bisogna infatti considerare che i fondi sovrani fin d'ora esistenti sono stati creati dai Governi di Paesi che dispongono di un eccesso di risparmio, grazie allo sfruttamento di importanti risorse petrolifere (come Medio Oriente, Russia o Norvegia), di eccedenze di bilancio (Singapore) o di riserve di cambio delle banche centrali (Cina). Questi fondi gestiscono attivi considerevoli, la cui somma totale è difficile da valutare, anche perché ciascun Governo pone una certa riservatezza sull’argomento. Esiste solo una stima del FMI secondo cui il valore dei loro attivi oscilla tra i 1.900 e 2.800 miliardi di dollari, mentre per l'UNCTAD, gli attivi sarebbero di circa 5.000 miliardi di dollari. Cifre davvero assurde, che, a confronto il fondo sovrano di Sarkozy sembra alquanto "misero", e in grado di coprire a malapena le necessità delle piccole e medie imprese: per questo forse sarà ideale per sostituire il ruolo delle banche, che sembrano abbiano chiuso i propri canali.

Sarkozy però non si scoraggia, e afferma che "se lo fanno i Paesi fornitori di petrolio, i cinesi e i russi, non c'è ragione perché la Francia non lo possa fare anche la Francia al servizio di una politica industriale degna di questo nome (!!!) ". Precisa inoltre che lo scopo non è quello di finanziare "imprese non solvibili", ma di stabilizzare il capitale di imprese che hanno un futuro, che dispongono di "know-how" e di tecnologie chiave e che potrebbero essere "prede allettanti per predatori che vogliono approfittare della svalutazioni in borsa momentanea". Per cui, secondo il Governo francese, mettendo a capitale questi 20 miliardi di euro si andrebbe a creare "uno strumento di dissuasione" per lanciare il messaggio secondo cui "lo Stato dispone di mezzi per intervenire in situazioni di rischio per l'industria francese". A nostro parere, l’iniziativa francese, pur avendo un campo d’azione limitato - a dispetto di quanto voglia far credere la megalomania di Sarkozy - potrebbe essere una proposta più ragionevole rispetto alla cosiddetta manovra europea: sarebbe infatti prevedibile che ogni Stato membro decida di mettere da parte dei fondi straordinari per la propria economia, a seconda anche delle diverse strutture ed esigenze.

Ritornando al caso italiano, contribuire al fondo con l’1% del suo PIL sarebbe un sacrificio immane da chiedere ai contribuenti italiani, che invece sarebbero più disponibili a profondere i propri risparmi per le loro amate "piccole e medie imprese". Tra l’altro l’Italia ha le capacità di riprendersi dalla crisi anche da sola, anche senza l’aiuto dell’Europa sanguisuga, perché è riuscita a superare momenti peggiori nella sua storia. E non parliamo solo del secondo dopoguerra, ma anche degli anni ’90 quando l’attacco speculativo sulla lira e le manovre straordinarie per entrare in Europa hanno richiesto (e avuto) immani sacrifici da parte degli italiani. Come dice anche "Le Monde", "l’Italia è abituata alle crisi", e forse proprio per questo risponde meglio di ogni altro Paese europeo alla grande depressione. Il quotidiano francese - con grande amarezza e cattiveria - ammette che l’Italia oggi è il Paese europeo che sta meglio (sic!), perché "il settore industriale tiene ancora, la bilancia commerciale è soddisfacente, i consumatori non sono schiacciati dai debiti e la politica delle banche è rimasta classica". L’invidia dei francesi - come i vecchi tempi di Bartali - non ha mai fine, e spinge "Le Monde" a mettere in guardia l' Italia, perché "il Governo italiano non può più giocare con la svalutazione e l'inflazione come aveva fatto in passato, trasformando le recessioni ‘in casi ordinari’ ". Afferma infine che l’economia italiana ha comunque un PIL solo del'1,1% e un debito pubblico molto alto, insieme ad un forte tasso di disoccupazione, e se non sta attenta potrebbe addirittura uscire dall'area euro.

Tuttavia, se la Francia e la Germania stanno soffrendo di una crisi di liquidità e la relativa chiusura dell'accesso al credito, al punto che lo Stato dovrà sostituirsi al sistema bancario, l'Italia ha dalla sua parte una rete di Banche più o meno stabile e diversificata, che va dalle Banche Popolari e le Casse Cooperative, ai Confidi e le Banche commerciali. La forza delle banche italiane da una parte ci può tranquillizzare, dall'altra ci preoccupa. Potrebbero sentirsi talmente forti, in un momento di grande debolezza per le imprese, da decidere di fare delle manovre azzardate che cominciano a circolare tra gli ambienti della finanza. Tra queste vi è la possibilità che le Banche entrino a far parte dell'azionariato delle imprese: questa è già una proposta di legge e anche un'alternativa che spesso è stata valutata.
Alessandro Profumo, Presidente di Banca Unicredit, afferma infatti che l’ingresso delle banche nel capitale delle imprese è una soluzione che si può valutare, anche perché la crisi spinge a fare cose "che in tempi normali sono da evitare". "Le Banche potrebbero farsi promotori, in via diretta, di iniziative di ristrutturazione spesso alquanto complesse, come la vendita dell’azienda o la chiusura di rami, la separazioni di fasi produttive", afferma Profumo, precisando che non tutte le aziende sono meritevoli di un aiuto così determinante, e dunque solo di quelle che hanno un futuro, e per le quali il costo del fallimento «può essere più alto di quello di far vivere un’azienda in difficoltà» . Lancia dunque l’idea di «un capitalismo territoriale » che recepisca la «specificità italiana» e si sviluppi nel solco del progetto «Impresa Italia » che prevede l’erogazione di 5 miliardi alle Pmi, e una cooperazione strategica con Confidi. Ci si chiede però come potranno le banche, in piena crisi finanziaria, aiutare le imprese. Secondo alcuni sarà la "mafia" a procurare la liquidità che occorre alla finanza per entrare negli azionariati e cominciare a scalare le aziende. Noi aggiungiamo, alla mafia anche le "fondazioni", perchè sono i nostri "fondi sovrani" occulti, nascosti nelle pieghe più celate della finanza e dell'economia italiana.

20 novembre 2008

La politica asimmetrica di Russia e UE


Le direttrici degli equilibri tra il blocco euro-occidentale e quello russo cambiano. L'Eulex ottiene il consenso di Russia e Serbia per il dispiegamento in Kosovo, mentre l'Ossezia e l'Abkhazia una prima opportunità di ottenere delle trattative di pace. Un nodo politico che lega Mosca e Bruxelles, e confluisce poi nel patto energetico che si sta delineando: l'UE chiede l'indipendenza dalle fonti russe, mentre Mosca offre investimenti e corridoi dell'Energia.

Dispiegare la missione Eulex in Kosovo ed iniziare le negoziazioni di pace per il Caucaso. Queste le nuove direttrici degli equilibri tra il blocco euro-occidentale e quello russo, estremi della nuova politica estera "asimmetrica" che guideranno la cooperazione tra Bruxelles e Mosca. Infatti, se da una parte l’Europa è riuscita ad ottenere un consenso sulla missione giuridica in Kosovo, approvata dalla Russia e dalla Serbia, dall’altra Mosca ha ottenuto il parziale riconoscimento dell’aggressione della Georgia nei confronti dell’Ossezia del Sud, nonché l’inizio, con la riunione di Ginevra, delle discussioni sul conflitto georgiano. Se da una parte è stato confermato che la Comunità Internazionale difende la sovranità della Georgia, dall’altra si apre uno spiraglio sulla sicurezza dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhasia con la presenza delle forze russe e UE per garantire l’implementazione della pace. Forse pochi si aspettavano questa sorta di accordo bilaterale di non belligeranza tra le due potenze, venutosi a creare proprio nel momento di completa assenza degli Stati Uniti, che sono riusciti ad ottenere solo rinvii ad oltranza.

Tra tutti, sono senza dubbi gli albanesi del Kosovo ad aver subito maggiormente il contraccolpo di questo strano assestamento degli equilibri internazionali, e cercano ora di rivendicare quel diritto di auto-determinazione, a cui hanno rinunciato quando sono scesi a patti con la Nato e i terroristi dell’UCK. Hanno chiesto l’indipendenza e l’hanno avuta, hanno preteso una Costituzione e un Governo e sono stati creati proprio per loro, insieme ad una bandiera e a dei passaporti. Ovviamente sono stati manipolati dai grandi demiurghi che avevano già previsto come strappare il Kosovo alla Serbia per poi militalizzarlo e trasformarlo in una rocca forte militare a presidio dei grandi corridoi che attraversano i Balcani. Oggi, tuttavia, gli albanesi si svegliano da una sorta di torpore e decidono di scendere in piazza per protestare contro il proprio Governo - lo stesso che hanno difeso nonostante le terribili accuse che gravano su ognuno dei membri - e contro l’Unione Europea che intende insediarsi in Kosovo senza rispettare, a loro dire, "il volere del popolo". La situazione è talmente paradossale, che gli stessi albanesi non possono credere di essere stati completamente raggirati. Credevano di aver creato uno Stato, invece hanno fatto una base militare perpetua, una prigione d’oro in cui ci si sono rinchiusi con le loro stesse mani: i loro documenti sono inutili, le loro istituzioni non sono accreditate né riconosciute, mentre la loro economia è fortemente arretrata e monopolizzata dal contrabbando e dalla criminalità. Solo oggi, all’indomani del dislocamento dell’Eulex si rendono conto che lo Stato che hanno proclamato indipendente è una provincia satellite di un "Governo ombra" che non si conosce, con una instabilità interna ben peggiore della Bosnia Erzegovina.

Questi anche se sembrano dettagli, rappresentano invece degli importanti segnali per capire verso quale direzione stanno evolvendo gli eventi. I Balcani, così come il Caucaso, rappresentano le valvole di sfogo dell’instabilità dell’Europa e la loro pacificazione, in nome di un accordo innaturale, equivale alla firma dell’armistizio e della partnership tra UE e Russia, mettendo da parte gli Stati Uniti. Qualcosa che si era già avvertito nell’aria in occasione del vertice di Nizza, per poi essere confermata al G20 di Washington. Dopo il gelo della guerra nel Caucaso, gli accordi di partnership tra le due potenze sono nati con diverse premesse e presupporti. Dinanzi allo spettro della crisi economico-finanziaria, la cui responsabilità è stata senza dubbio addossata all’Amministrazione Bush, Russia e Unione Europea sembrano avvicinare le loro posizioni, benché Mosca desideri una svolta ben più netta, sulla riforma del sistema finanziario mondiale e delle istituzioni finanziarie come la Banca mondiale ed il FMI. Una conciliazione che sembra sia iniziata a parire dalle trattative per la cooperazione energetica, e delle "strade del petrolio" che la Russia costruirà proprio per l’Europea. All’indomani della pubblicazione del piano strategico per la sicurezza energetica dell'UE sino al 2030, è sempre più evidente che, quei punti di contrasto con Mosca, si apprestano a divenire sempre più dei punti di contatto.

Il piano, che si snoda su sei punti principali, prevede innanzitutto la creazione di una rete energetica sovranazionale che fa da interconnessione delle diverse reti elettriche dei Paesi membri, stanziando 2.000 miliardi di euro ben sapendo, tuttavia, che allo stato attuale è avvero difficile da attuare. Tale progetto, confluisce poi a sua volta nel piano Community Gas Ring, elaborato dalla Commissione Europea al fine di riunire tutte le reti energetiche e gassifere dell'Europa prima "in una tela energetica" e dopo “in un anello energetico". La Commissione cerca infatti di risolvere il problema della dipendenza energetica verso la Russia, con lo sviluppo di un corridoio che tagli l’Europa Sud Orientale per instradare le riserve del Mar Caspio e del Vicino-Oriente verso l'UE, di strette relazioni con i Paesi del Mediterraneo da cui importare gas ed elettricità, di trattative supplementari per il trasporto di gas verso l'Europa centrale ed orientale.
In tal senso si sta già muovendo per costruire il suo "corridoio del sud" che potrà attingere dalle riserve di gas del Turkmenistan e del Kazakistan, ma anche dall'Azerbaigian, mediante la costruzione di un nuovo gasdotto che attraversa il Mar Caspio, la Turchia ed i Balcani per poi salire verso l'Austria. A tal fine, il 2 dicembre la Commissione europea lancerà la procedura d'approvazione dell'accordo commerciale transitorio con il Turkmenistan, che permetterà di acquistare gas senza intermediari. Allo stesso modo, l’anno prossimo verrà creato un consorzio tra le più grandi società europee, "Caspian Development Corporation (CDC)", che dovrà occuparsi delle operazioni di acquisto, del trasporto e della vendita del gas del bacino del Caspio, nonché della creazione di infrastrutture. Per ciò che riguarda la partnership del Mediterraneo verrà estesa la cooperazione gassifera e petrolifera con la Libia, e probabilmente anche con l'Iraq, mentre le direttrici "nord-meridionali" dovranno realizzare un collegamento con i Paesi baltici e del Mediterraneo.

Ovviamente, il piano energetico europeo è stato fortemente criticato dalla Russia, ritenendo che si basa su ragioni puramente politiche e non su necessità economiche: trasportare verso l'Europa gas della Libia sarà molto più costoso che importarne dalla Russia, e allo stesso modo trattare con il Turkmenistan, ancora legato da accordi presi con Mosca, senza passare attraverso Gazprom è alquanto impossibile. Per cui, se l'UE ha cercato con ogni modo di dare ad intendere che non ha bisogno della Russia dal punto di vista energetico, Mosca diplomaticamente si offre come un partner da cui trarre benefici e di cui non può fare a meno. Si ritorna così alla questione di sempre, ossia al fallimento ormai decennale dei progetti dei gasdotti europei, come il Nabucco, che non possono contare su delle fonti di approvvigionamento, e alla rapida e tenace opera dei consorzi di partnership russe.
Diventa di nuovo protagonista il Nord Stream, che deve collegare il porto russo di Vyborg al porto tedesco di Greifswald attraverso il Mar Baltico, e deviano le tratte dei Paesi del Nord Europea come la Polonia. Non a caso, il Primo Ministro russo Vladimir Putin, pochi giorni prima del vertice di Nizza, aveva infatti affermato che “l'Europa deve decidere se ha bisogno o no del gasdotto del Nord Stream che passa sotto il Mar Baltico, e se ne non ha bisogno, costruiremo impianti di rigassificazione per il mercato mondiale, oltre che europeo, ma questo costerà di più", precisa con una forte vena polemica, ricordando che l’opera costa alla Gazprom ben 7,4 miliardi di euro e forse sarà ancora più costosa in vista della crisi finanziaria. Il promemoria di Putin non poteva essere più stringato ed opportuno, visto che non si è fatta attendere la replica del rappresentante della Commissione europea a Mosca, Marc Franco, che precisa come l’UE non abbia mai "messo in dubbio la necessità degli investimenti nel progetto Nord Stream". La sottile polemica di Putin fa certamente trasparire come i vecchi contrasti sono divenuti fonte di investimento reciproco, a partire dall’aspetto energetico sino a quello meramente politico. I Balcani e il Caucaso diventeranno probabilmente terreno di confronto bilaterale, mentre i corridoi che questi vedranno attraversare saranno destinati alle esportazioni della Russia e alle importazioni dell’UE.

19 novembre 2008

Quei “bravi ragazzi” della CIA


La CIA rende pubblico un rapporto secondo il quale le forze estremiste kosovare, ex membri dell’UCK, sono pronti a colpire i politici serbi e funzionari dell’amministrazione internazionale. Un rapporto che cerca di mettere in guardia il Governo serbo, ma potrebbe anche nascondere il tentativo di rafforzare la militarizzazione della provincia e la presenza di forze internazionali.

Estremisti kosovari, ex membri dell’Uck, (Ushtria Clirimtare e Kosov), finanziati da terroristi arabi stanno preparando un attentato, per colpire politici serbi e funzionari dell’amministrazione internazionale.” Questo quanto dichiarato dalla Cia nel suo ultimo rapporto, inviato alla polizia serba. “Le cellule di estremisti non guardano più solo ai serbi e alla città di Belgrado come principali nemici - si legge nel rapporto - ma il suo sguardo si è esteso più a Ovest, su Washington e Bruxelles. Appartengono a un gruppo di fondamentalisti islamici e, in quanto tali, hanno come unico scopo quello di attaccare tutti i ‘non credenti’. Ci sono le prove - continua - che i componenti del gruppo facevano parte dell’UCK, che a sua volta aveva diretti contatti con Al Qaeda.” Nel rapporto non sono stati specificati i nomi dei possibili politici nel mirino dei terroristi, ma evidenzia con certezza che saranno colpite le più alte cariche delle Istituzioni Internazionali, del Governo serbo nonché obiettivi sensibili, preannunciando così per il Kosovo "uno scenario da Afghanistan". I possibili ‘covi’ degli estremisti, individuati sono Dakovica, Srbica, Vucitrn. I politici albanesi del Kosovo ora hanno un ruolo molto importante perchè possono controllare la situazione anche a proprio vantaggio, ma questo forse non durerà ancora per molto, in quanto l’equilibrio interno potrebbe degenerare. Gli estremisti, secondo la CIA, credono di avere la strada libera davanti a sé dal momento che l’indipendenza del Paese non è stata ancora perfezionata, e difficilmente lo sarà nel breve periodo.
Con questo rapporto sembra che l’America abbia finalmente confermato la sua impotenza nel controllare la situazione locale e internazionale, informando di questo la Serbia, che non potrà controllare parte del territorio. Come sempre, quando le cose non vanno o dopo il fallimento di una politica che ha impoverito i popoli, si accusa Al Qaeda, e dopotutto è sempre più facile riversare la colpa sul terrorismo, i movimenti estremisti e la criminalità organizzata. Ora si rievoca una vecchia storia e si terrorizza di nuovo il popolo serbo, parlando di possibili attacchi estremisti, quando in realtà tutt’oggi in Kosovo, molte persone muoiono a causa dell'uranio impoverito lanciato nei bombardamenti del ’99 da parte della Nato, quindi dell’America stessa. Come riportato in un rapporto dal titolo “La Nato uccide ancora persone in Kosovo”, i malati di cancro in Serbia sono triplicati dopo i bombardamenti, e il numero è destinato a crescere sempre più a causa dei proiettili imbottiti di uranio impoverito, che si trovano in oltre 112 siti in tutto il Kosovo. L’UNSP ha stilato una mappa, presentata a Ginevra, che ha confermato che la Nato ha gettato 31.000 proiettili all’uranio impoverito, violando le convenzione internazionali per i diritti umani, mentre secondo l’esercito Jugoslavo sarebbero 50.000 i proiettili lanciati in 78 giorni di bombardamento, mentre fonti russe riportano una cifra ben più elevata, pari a 90.000 proiettili radioattivi.

Secondo una ricerca condotta dall’ospedale di Kosovska Mitrovica, nel 2005 i malati erano il 38% in più rispetto al 2004. La media mondiale registra il 6% di malati di cancro, ogni 1000 abitanti, mentre in Kosovo la percentuale è decisamente più alta, pari al 20% della popolazione. Lo stesso ospedale di Pristina ha confermato che i casi di cancro maligno sono aumentati, e solo tra il 2004 e il 2005 sono stati evidenziati 3500 casi di cancro tra i cittadini albanesi, come dichiarato dal direttore dell’istituto radiologico a Pristina, Dzavit Bicaj. Non bisogna poi dimenticare i danni subiti dalle truppe della KFOR dislocate in Kosovo: sono oltre 150 i militari italiani che si sono ammalati, in stanza a Dakovica e Decani, dove sono stati esposti ad una massiccia concentrazione di radiazioni, maggiore rispetto a qualsiasi altra zona del Kosovo. Tra il 2000 e il 2004, diversi team di esperti hanno condotto numerose indagini sul territorio del Kosovo e di Metohija, per analizzare la radioattività delle terre, delle acque, della vegetazione e degli animali, rilevando che tutti i luoghi colpiti dai bombardamenti avrebbero dovuto essere evacuati per questioni di sicurezza. Finora, però, nessuna legge regolamenta quelle zone. I rilievi ha dimostrato che la radioattività beta e gamma ha superato i limiti di quella consentita, ritrovando tracce radioattive persino nel latte di mucca, e per neutralizzare la radioattività di un territorio sono necessari almeno 250 anni.

Da questo punto di vista, è proprio inutile che la CIA parli ora di pericolo islamico in Kosovo, dopo che ha letteralmente ignorato gli avvertimenti delle intelligence europee e dei Balcani che denunciavano la pericolosità dei movimenti di estremismo islamico che si venivano a creare nella provincia. Per anni il governo della ex Jugoslavia ha combattuto i movimenti estremisti del Kosovo e della Bosnia, e per questo è stata persino bombardata. Stati Uniti e Europa hanno preso le loro posizioni nei Balcani affermando di portare la democrazia, ma oggi diventa sempre più evidente che la situazione sta sfuggendo dal loro controllo. In Kosovo aumentano sempre di più gli attacchi dimostrativi, e non solo verso il popolo serbo che si trova nel nord della provincia, ma persino contro gli Uffici delle missioni Internazionali, che evidentemente hanno sottovalutato la pericolosità di queste "cellule dormienti". Dopo aver dichiarato che la “situazione potrebbe essere fuori dal loro controllo”, non è da escludere che sarà aumentata la militarizzazione del territorio usando l’alibi di Al Qaeda per dislocare quante più forze militari a controllo del territorio. Non dimentichiamo che, nei piani dell’America, il Kosovo doveva divenire la base statunitense nell’Europa Orientale per eccellenza: un progetto questo che resta a tutti gli effetti ancora valido. La Cia non è mai stata una "buona amica" della Serbia, quindi bisogna sempre prendere con le pinze questi consigli gratuiti dei "benefattori" che hanno devastato e inquinato un intera provincia.

17 novembre 2008

Obama, il nuovo presidente degli “invisibili”


Barack Obama sceglie YouTube per diffondere il suo messaggio settimanale ai cittadini americani, sostituendo a tutti gli effetti la televisione i media. Obama si proclama la guida dell’ideologia del World Wide Web, che in reltà non rappresenta altro che una ragnatela su cui il ragno tesse il suo potere.

Mentre tutti noi credevamo che gli Stati Uniti fossero sull’orlo del fallimento, persi nel baratro dei loro debiti, i poteri invisibili che si nascondono dietro al Governo americano si sono già attivati per rilanciare il "new deal". Sono già in atto strategie e sotterfugi per evitare di pagare un debito che ha raggiunto livelli inestimabili, come quelle di non riconoscere più i documenti da loro stessi firmati. Un rischio che è stato in qualche modo ventilato durante i colloqui del G20, come si può intendere facilmente dalle parole dei Sarkozy e Berlusconi, i quali ricordano che l’America non deve sottrarsi alle sue responsabilità nella crisi finanziaria che ha colpito l’intero sistema economico mondiale. L’America, anche se avrà un nuovo Presidente, ha sempre gli stessi problemi, lo stesso sistema di potere legato a sua volta ad entità che reggono i pezzi di questa potenza in frantumi. Così mentre George Bush è divenuto il capro espiatorio della crisi USA, Barack Obama viene proclamato come la guida di una rivoluzione possibile, della democrazia diretta nata dall’ideologia del World Wide Web, che, come abbiamo sempre spiegato, non rappresenta altro che una ragnatela su cui il ragno tesse il suo potere.

Con Obama siamo entrati ufficialmente nell’era della "rete", in cui le entità invisibili stabiliscono le nuove regole, abbandonando nel fallimento le vecchie convinzioni, che ormai non hanno più credibilità. Il nuovo mondo sarà questa realtà sintetica, fatta di avatar e piattaforme virtuali, costruita sui nuovi media di Google e You Tube, e il nuovo sistema economico costituito sulla monetica, le unità intellettive, e le attività virtuali. Le nuove nazioni saranno costruite da social forum, le nuove entità costituite attraverso i server e le nuove galassie all’interno del cyberspazio. Molti tuttavia ignorano la pericolosità di questo sistema, che divide nettamente la parte materiale da quella immateriale dell’economia, considerando che il mondo occidentale ha investito il 98% nelle sue risorse nel sistema materiale garantito dall’equilibrio di domanda e offerta. Al contrario, lo sviluppo dell'internet si basa sul proliferare di utenti e sull'accesso alla rete, senza alcuna regolamentazione che garantisca che la struttura virtuale sia una perfetta immagine speculare dell’apparato economico: siamo dinanzi alla più grande usura criminale mai esistita.

Per lanciare il nuovo sistema, viene presentato al mondo intero il Presidente globale, che sceglie di intervenire, per la prima volta, dinanzi ai rappresentanti dei più importanti Stati del mondo utilizzando You Tube. Una scelta del tutto politica, dettata non solo da una mera sponsorizzazione nei confronti di un sostenitore della campagna elettorale, quale è stato appunto Google - a dispetto del fatto che Obama dice di non avere dietro di sé lobbies - ma dall’intenzione di legittimare la moderna e "giovane" classe politica, che usa i nuovi strumenti di telecomunicazione, rivolgendosi ai cybernauti e non al tradizionale pubblico mediatico. Non sceglie così la CNN, bensì You Tube, il grande network e monopolista delle pubblicazioni video, divenuto ormai il media della cyber-generation. Lancia così il messaggio della sua grande "rivoluzione", che cambierà il mondo e cancellerà addirittura delle "inutili" riunioni tra i grandi del mondo, che creano caos e un grande spreco di risorse. Mentre alcuni scrivono "Obama predica l'avvento delle reti sociali e della democrazia diretta", noi affermiamo che non crediamo nelle rivoluzioni dal basso fatte grazie alla multinazionale "Google". Il concetto è che Obama, dopo la sua emersione dal basso, è stato comunque finanziato e adesso anche lui vuole fare l'uomo della svolta. Ma prima deve pagare i debiti, dichiarare la falsità dei Bond del Tesoro Americano che hanno impestato le tesorerie degli Stati, fermare la stampa illegale dei dollari e ammettere che il suo sistema economico è fallito.

Come la caduta del comunismo ha causato il fallimento di interi continenti, così il crollo del capitalismo e l’avvento della società virtuale, dovrà portare ad un reale del passato. Senza questa fase di purgatorio, sarà inutile proclamare la nuova era: internet è la gente, You Tube non è democrazia, ma un network accentrato nelle mani di pochi, un mezzo per monopolizzare gli stessi media, dalle radio ai giornali. You Tube è un sistema dove individui sconosciuti applicano la censura a loro piacere, è una società privata, che paga le tasse come tutti, ha un proprietario e un consiglio di amministrazione. Perché definire You Tube una democrazia, se in realtà la democrazia è una struttura di potere, che nei fatti non esiste, bensì esistono le società, gli usi e costumi, e la rivoluzione non ha mai cambiato l’aspetto sostanziale di una nazione, la cui evoluzione dipende dalla fede, dalla cultura e dalle risorse economiche. In realtà, i rivoluzionari che sono su You Tube sono tutto all'infuori di essere rivoluzionari, sono i soliti "utili idioti" che non fanno altro che contribuire al rafforzamento di questa nuova società. Grazie a loro, stanno costruendo una nuova società e una nuova religione, senza eserciti o bombe, ma con leggi scritte in America ma applicate in tutto il mondo. È chiaro che l’effetto sarà quello di far credere al popolo di aver scelto il proprio destino, quando in realtà lo si è reso solo partecipe di un grande cinema, la sua trama è stata già scritta.

Non si può illudere fino a questo punto le persone: predicare la rivoluzione basandosi su di un concetto sbagliato è pur sempre un reato, o meglio un crimine invisibile. Ciò che rende You Tube speciale da ogni altro sito è senz’altro il suo essere globale, ma rappresenta pur sempre una struttura informatica leader, che oggi non teme rivali, e può essere definita già un "gruppo di potere", al pari dei "Banchieri" e delle "massonerie" di cui tanto si parla. Da un certo punto di vista, è più facile per la controinformazione demonizzare Bush, affermare che un Presidente americano ha bombardato Paesi in nome del terrorismo, e non ammettere che è il "sistema America" ad aver dichiarato guerra al mondo. Bisogna avere memoria, e ricordare ciò che è stato fatto in Vietnam, Iraq, Serbia e Kosovo, ed ogni volta vi è stato un Presidente diverso che ha fatto la stessa scelta. Obama non è "il nuovo", ma è semplicemente espressione di ciò che hanno creato in America in questi ultimi anni, ossia una nazione virtuale che si proclama ancora una volta una democrazia, come è accaduto secoli fa. Il web non è un pianeta sconosciuto, ma l’immagine della nostra società che può essere manipolata più facilmente e quando si vuole: è lo splendido coronamento del grande progetto degli invisibili, che sono riusciti finalmente a nascondersi dietro ad uno specchio.

L’America è fallita e dovrebbe avere almeno il coraggio di ammetterlo come fece la Russia, che accettò la derisione l’umiliazione per riprendersi. Ora non sarà certo il Presidente Obama a cancellare la memoria dei serbi, degli iracheni e degli afghani, non sarà certo lui a cambiare gli equilibri su cui si basa l’attuale geopolitica. Se oggi fa finta di ignorare il Capo di Stato italiano, mostrando indifferenza, un domani non avrà certo lo stesso atteggiamento nel chiedere le basi del Mediterraneo per bombardare un altro Stato. Chissà se Barack Obama, il Presidente degli invisibili, sarà capace di contrastare il sistema delle lobbies, di sfogliare gli scritti di Tesla, oppure rimarrà solo un simbolo dei poveri, di cui vuole cambiare il mondo ma non ha un esercito.

14 novembre 2008

Il made in Italy che non c'è


L'italianità è senz'altro qualcosa che ci appartiene, e dunque va difeso e sviluppato. Tuttavia in questi anni il mondo degli "italiani all’estero" è diventato solo un cunicolo di vipere e di affaristi senza scrupoli, uno sterminato labirinto di millantatori, che hanno usurato degli ideali per i propri interessi. Oggi bisogna invece rilanciare l’imprenditoria italiana che ha le capacità per diffondersi nel mondo, partendo innanzitutto dalle risorse che i mercati e i governi esteri possono offrire.

Sentiamo sempre più spesso parlare di italicità, di italianità e ancora di "made in italy" come un bene che appartiene al popolo italiano e sul quale bisogna, dunque, bisogna investire. Lo Stato italiano cerca ormai da anni di colmare quella abissale lacuna della frammentazione del suo popolo a causa delle grandi migrazioni, e bisogna ammettere che ci riesce con risultati davvero scarsi, mentre il resto viene affidato spesso all’iniziativa individuale delle comunità che si vengono a creare. L’apparato istituzionale, il cosiddetto "Sistema Italia" ha delle risorse davvero minime rispetto al territorio che dovrebbe coprire, anche perché stiamo parlando dell’intero globo. Da questo punto di vista, l’Italia è uno dei pochi Stati al mondo, se non l’unico, ad avere una cittadinanza globale, che direttamente o indirettamente tende a rispecchiarsi nell'ideale dell’italianità. Un fenomeno opposto è invece la cosiddetta "fuga di cervelli", ossia il desiderio di fuggire da una realtà che non garantisce una dignitosa carriera o in certi casi la sostenibilità del tenore di vita. L’italiano all’estero è così l’incarnazione della storia e delle contraddizioni del nostro Paese, è l’impulso alla scoperta, al viaggio e all’esportazione di sapere e cultura, ma è anche il dolore del passato, il malessere del presente e l’insicurezza nel futuro. Su questo siamo tutti d’accordo: l’italianità ci appartiene ed è qualcosa da difendere. Ma cosa significa oggi essere italiano all'estero, e perchè si deve sempre parlare di italiani d’Argentina oppure degli italo-americani?

Sembra ormai inevitabile ridursi a parlare di sagre, di feste popolari della "Little Italy", ad organizzare tombolate, "partite di calcetto" e commemorazioni della "Ellis Island". Le Associazioni di italiani all’estero che si trovano nel continente americano, sono per la maggior parte iniziative di italiani di seconda o terza generazione, in qualche modo destinate a scomparire con l’allungarsi delle generazioni. La cultura e le tradizioni che cercano di tramandare ormai si sono disperse nella commistione di usi e costumi del luogo, creando così una lingua e dei riti che nei fatti non esistono in Italia, non appartengono alla cultura italiana come tutti noi la conosciamo. Anche se va loro il merito di aver ricostruito un’identità nazionale tutta personale, non si può costruire su queste comunità un legame con la "madre patria", né un ponte economico. Sono realtà chiuse, che nascono e muoiono all’interno degli stessi quartieri italiani, costruiti ai margini delle periferie delle metropoli. Le Camere di Commercio, gli Istituti ICE, i Consolati e le Ambasciate molto spesso non hanno alcun contatto con queste entità, che in qualche modo restano legati all’immagine che si sono costruiti.

Ancora diversa è poi la realtà degli "italiani" che all’estero hanno creato la loro ragione di vita, scrivendo libri sulle grandi emigrazioni, intavolando discussioni sulla politica e l’economia italiana quando sono stati i primi ad abbandonare il Paese. Si definiscono la ricchezza ripudiata dallo Stato, e molto spesso si traducono solo in grandi studiosi "del modo ideale di imbrogliare il prossimo". Chiedono che siano create scuole italiane per mantenere la cultura italiana, e allo stesso tempo sono contrari alla creazione nel di scuole straniere e di "commistioni" con gli immigrati nel loro Paese. In questi anni, abbiamo avuto molte esperienze di questi famosi patrioti, di questi grandi condottieri di prosciutti, di sagristi e esperti di "panettonate", che si fanno strada negli uffici dei Ministeri sulla falsa riga degli studi "per creare laboratori di intelligenze". Teorie trite e ritrite, manoscritti e carta straccia, che ritraggono solo frustrazioni di pseudo-globalizzazioni inesistenti, tutte belle "storie" che sono da sempre terreno fertile di tanti personaggi che marciano sull’italianità per interessi personali, un po’ per propaganda e speculazione fine a sé stessa, un po’ perché inconsapevolmente cavalcano cavalli di battaglia sbagliati. Anche nel mondo degli italiani all’estero, è stata dunque creata una sorta di lobby che ha ridotto quest’universo sterminato di cultura ed impresa, alle solite sceneggiate nostalgiche che da anni non aggiungono niente di nuovo e non contribuiscono allo sviluppo del Paese. Sul cosiddetto "made in italy" vi sono migliaia di processi in corso, battaglie e controversie per rivendicare la paternità nel nome, dei marchi e delle denominazioni.

La verità è che gli "italiani all’estero" finanziati dallo Stato non sono uniti, sono un cunicolo di vipere e di affaristi senza scrupoli, uno sterminato labirinto di millantatori, che mettono a ferro e fuoco i Ministeri solo per spillare quattro spiccioli allo Stato, come sempre moralmente ricattato per la sua inefficienza e la sua assenza. Il Ministero degli Italiani nel Mondo, così come la Farnesina, sono ormai inondati da progetti di data base, di media, di quotidiani, di piattaforme multimediali, di uffici di rappresentanza e di intermediazione. Possiamo però assicurarvi che ognuno di essi si sgonfia in un mero processo di copy and paste, di produzione di informazione fine e sé stessa, e solo nel migliore dei casi di esternalizzazione dei servizi ad entità private. Molte "aziende" che abbiamo avuto l’occasione di conoscere, oltre ad avere grandi buchi neri nei loro bilanci con milioni di euro di finanziamenti scomparsi, sono ancorate alle menzogne sul business italiano, che loro stessi hanno contribuito a distruggere.

Saremmo veramente curiosi di vedere cosa hanno fatto in tutti questi anni queste vacche grasse malaticce, vorremo anche conoscere le aziende che sono riusciti a crescere grazie a queste strutture. In realtà non c’è nulla dietro questa italicità, dietro questo "made in Italy" e l’associazionismo italiano. Molte spesso vi sono tante aziende straniere - cinesi, turche, greche, romene, inglesi, belgi - che usano questi marchi "italici" e hanno conquistano i mercati esteri : cosa ha fatto lo Stato italiano, con tutte le strutture che ha finanziato, per proteggere il vero "made in Italy" ed impedire che imprenditori esteri si potessero impossessare della nostra immagine. Un tempo, i muratori italiani andavano in giro per il mondo e aprivano ristoranti, e se alla fine dovevano servire "la pasta con il kechup" non aveva importanza, perché bisognava vendere. Oggi invece, il mercato della ristorazione all’estero è nelle mani di albanesi e romeni, che parlano benissimo l'italiano e, con le loro insegne italiche, hanno invaso il mercato. Dinanzi a tale situazione, oltre alle timide dichiarazioni di deputati degli italiani nel mondo, c’è il totale immobilismo ed indifferenza.

In realtà, dovremmo imparare dai francesi, dai tedeschi e dai russi, che entrano nei mercati esteri tramite società logistiche, avvocati, professionisti e consulenti, con le tecnologie e il loro sapere e le loro risorse. In un certo senso bisogna rilanciare l’imprenditoria italiana che ha la capacità e la forza di diffondersi nel mondo, traendo beneficio dalle risorse umane e materiali estere. Il potenziale strategico non va cercato negli italiani residenti in loco, ma nelle popolazioni indigene che condividono la cultura Italiana, e hanno un forte sentimento verso l’Italia. Da questo punto di vista, occorre concentrare l’attenzione sui mercati prossimi, vicini logisticamente con i quali è possibile sviluppare una rete di scambi immediata, indotta spontaneamente dalla specializzazione dell’economia. In questo, bisogna rifarsi alle vecchie teorie di Keynes e Ricardo, individuando nello scambio delle risorse il mezzo per coltivare "la ricchezza delle nazioni".
L’interscambio deve essere lo scopo ultimo dei progetti da realizzare, facendo ricorso a strumenti informatici, a servizi di intelligence economica, per creare infine delle Camera di Commercio transnazionali e virtuali. Progetti che devono essere controllati direttamente dalle alte Istituzioni dello Stato, come arma economica per la conquista dei mercati. Coordinando le strutture di sistema già esistenti, che non riescono a muoversi perché intrappolate nella loro stessa burocrazia, queste entità virtuali devono dare un reale supporto all'imprenditoria italiana utilizzando le strutture logistiche e i poteri locali. L’immagine delle imprese italiane dovrebbe essere di netto distacco rispetto al classico "made in italy", ridotto ai classici stereotipi del "prodotto tipico" , per ampliarsi alle conoscenze, alle tecnologie e ai modelli industriali dell’Italia.