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21 dicembre 2007

La fine di Bretton Woods e dell'Onu


Il fallimento delle Nazioni Unite sulla questione del Kosovo e la crisi del credito rappresentano due importanti segnali che preannunciano in qualche modo la riforma delle grandi Istituzioni Internazionali. L'era di Bretton Woods è ormai finita e il crollo del dollaro ne è la causa e allo stesso tempo l'effetto, e i più alti dirigenti delle Istituzioni che rappresentano si preparano a scrivere un nuovo codice di regole e di diritto. La necessità di riforma emerge non a caso in occasione della conferenza tenutasi a Roma, presso la Banca d'Italia, dal Governatore della Banca centrale d'Israele Stanley Fischer, dal titolo "Reforms of the Bretton Woods Institutions", alla presenza del Governatore Mario Draghi, del Ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa . La riforma della Banca Mondiale, nonché del Fondo Monetario Internazionale, parte dalla necessità di modificare la distribuzione delle quote e del sistema di rappresentanza in seno all'FMI in senso più favorevole ai paesi emergenti, "in modo da consentire a questi ultimi di avere un ruolo nei meccanismi decisionali dell'Istituzione". Secondo Stanley Fischer per migliorare la governance degli Organismi Internazionali occorrerà inserire alcuni Paesi che non fanno parte del G7 nello steering committee del FMI, in particolar modo Paesi emergenti che si sono ora affermati come economie in continuo sviluppo.
Questo perché, con la crisi internazionale del credito scatenata dalla sfiducia e dal collasso dei mutui subprime ha alterato l'equilibrio valutario internazionale in maniera sensibile: da un lato gli Stati Uniti con un rischio di recessione stimato dalla FED intorno al 50%, e dall'altra la Cina e la Russia, che rafforzano la crescita della propria economia e così anche della propria valuta. La destabilizzazione della valuta statunitense come moneta di riferimento sta avvenendo anche nel mercato petrolifero. Secondo quanto riporta l'Agenzia UPI, il governo iraniano sta rifiutando nelle sue contrattazioni di petrolio il Dollaro statunitense ritenuto come "valuta inattendibile", mentre Ria Novosti riporta una dichiarazione del Ministro iraniano del Petrolio Gholamhossein Nozari che motiva il cambiamento degli strumenti di regolamento degli scambi di petrolio affermando che "il dollaro non è più una moneta affidabile". "In linea con la nostra politica di vendere petrolio in valute differenti da quella del dollaro, le vendite di greggio a fronte di dollari sono state completamente eliminate", ha affermato Nozari. Allo stesso modo, in seno all'OPEC si sta facendo strada la volontà di utilizzare differenti valute straniere, come l'euro e il rublo. Infatti il gigante russo Lukoil e la stessa Gazprom sarebbero infatti pronte e scambiare i propri prodotti a fronte di rubli, mentre il Venezuela di Hugo Shavez ritiene impossibile l'utilizzo del dollaro come moneta di scambio. Si è dunque creata all'interno dell'OPEC un'accesa discussione tra i produttori di petrolio anti-americani e l'Arabia Saudita, che resta ancora il più grande sostenitore degli Stati Uniti sia economicamente che politicamente, dichiarando così che "continuerà a fissare il prezzo di greggio in dollari negli Stati Uniti". Tali provvedimento potrebbero portare all'assoluta svalutazione del dollaro, indebolendo di conseguenza anche le Istituzioni che su di esso hanno basato la propria legittimazione, appunto come Bretton Woods che fissò il dollaro come valuta di riferimento per il petrolio.

Il continuo indebolimento del dollaro ha causato l'impoverimento degli Stati che presentano dei deficit commerciali, a favore dei Paesi in via di sviluppo che hanno fatto così scorta di moneta e titoli. Al momento, nonostante le prudenti stime della Banca Mondiale, la Cina, insieme alla Russia, rappresentano le economie che sono riuscite più velocemente a riscattare il proprio debito nei confronti del FMI, e oggi hanno il potere di destabilizzare il dollaro scorporando dalle proprie riserve i dollari derivanti dai surplus della bilancia dei pagamenti.
Per tale motivo, onde consentire al sistema di sopravvivere e di perpetuarsi, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale dovranno aprire le porte dei propri consigli direttivi ad altri Stati che non possono definirsi solo "Paesi in via di sviluppo". Inoltre, la riforma potrebbe inoltre portare ad inglobare all'interno di tali Istituzioni sovranazionali, i centri di ricerca statistica nazionali, che rappresenta uno strumento fondamentale per disinformare e manipolare le informazioni economiche dei singoli Stati.
Questo, se realistico, potrebbe cambiare gli stessi equilibri politici internazionali, dove i vecchi nemici divengono delle controparti in affari. Equilibri che sono stati già pesantemente compromessi con l'estromissione delle Nazioni Unite nella risoluzione di casi di rilevanza internazionale, come la questione del Kosovo. L'impotenza di una tale Istituzione, nata con lo scopo di dare a tutti i Paesi del mondo uno strumento giuridico per risolvere le proprie controversie, decreta il suo fallimento. Come ricordato dal Governo russo, la mancanza di una presa di posizione sullo status del Kosovo, e sulla stessa Missione UE che è stata programmata in sostituzione di quella delle Nazioni Unite, danneggerà la credibilità dell'ONU.
Qualora, inoltre, si arriverà ad una situazione di crisi insostenibile all'interno dei Balcani, le Nazioni Unite saranno ritenute in qualche modo direttamente responsabili, tale che la Comunità Internazionale esigerà la creazione di un'altra Istituzione. È innegabile infatti che in questi anni l'ONU è stato continuamente oggetto di scandali e denunce, diminuendo sempre più la sua forza e le sue competenze sulle questioni internazionali. Gli Stati hanno così scavalcato le Nazioni Unite, decidendo in maniera unilaterale la risoluzione dei propri conflitti internazionali: oggi il Kosovo è l'ennesima frontiera sulla quale cadrà innanzitutto la credibilità dell'ONU. Sulle sue ceneri verrà creato un nuovo organismo, che detterà un nuovo ordine mondiale, con un nuovo codice economico, giuridico e militare, un'entità molto vicina ad un Parlamento Internazionale con maggiori poteri decisionali ed esecutivi, che limiterà sempre più la possibilità di ricorrere alle sue decisioni gettando le basi per una nuova società.

20 dicembre 2007

Il Kosovo è ora un problema della Comunità Europea


Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU non si pronuncia sull'indipendenza del Kosovo, dichiarando così un profondo dissenso tra le parti. Il testimone ora passa all'Unione Europea, pronta a farsi carico delle proprie responsabilità, mentre si fa strada all'interno della Comunità Internazionale una seconda interpretazione della risoluzione ONU 1244 che ammetterebbe l'Indipendenza del Kosovo.


Si è svolta a porte chiuse l'Assemblea del Consiglio di sicurezza dell'ONU che ha oggi esaminato il rapporto della troika sulle trattative diplomatiche dello statuto del Kosovo. A presiedere la riunione il Ministro degli Affari Esteri italiano Massimo D'Alema, che, alla chiusura dei lavori, non nega l'esistenza di un profondo dissenso tra le parti, che sfocia così in immobilismo e impotenza da parte dell'Onu. Se da una parte la Russia preme per un prolungamento dei negoziati tra Belgrado e Pristina, nella prospettiva che si possa giungere ad un reale compromesso, dall'altra le controparti negano che sia possibile giungere ad una definizione del status del Kosovo tramite una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Viene così sancita la resa dell'Onu che dichiara l'impossibilità di giungere ad un accordo, vedendo dinanzi a sé solo negoziati interminabili su posizioni che sembrano inconciliabili. Il Premier serbo Vojislav Kostunica, dinanzi a questi primi risultati si dichiara pessimista e preoccupato, vedendo così dinanzi a sé "il peggiore degli scenari con conseguenze imprevedibili non solo per la regione ma per il mondo intero". Allo stesso tempo il Presidente kosovaro Fatmir Sjdiu saluta la "non decisione" dell'Onu come la chiusura di un ciclo, che porterà da ora in poi ad "intraprendere il cammino legislativo verso una futura indipendenza".
Il rifiuto dell'Onu di prendere una posizione sul diritto o meno per il Kosovo di dichiarare la propria indipendenza rappresenta il vero fallimento di trattative diplomatiche condotte in lunghi anni, e ancor più la distruzione delle Nazioni Unite come organismo internazionale.
Il testimone ora passa all'Unione Europea, pronta a farsi carico delle proprie responsabilità e a definire lo Status per un territorio che è innanzitutto "europeo". Infatti l'Europa accompagnerà il Kosovo in un "processo verso qualcosa che non può essere definito come piena indipendenza" ma come un'autonomia "sotto supervisione e responsabilità internazionale", dichiara Massimo D'Alema aggiungendo che "il governo italiano consulterà il Parlamento prima di un'eventuale decisione sul riconoscimento del Kosovo". Ciò significa che l'Unione Europea, in accordo con gli Stati Uniti, ha già deciso sull'avvenire del Kosovo, come dimostra la programmazione di una missione di 1200 uomini, tra giuristi, magistrati e forze di polizia, che potrebbero così avere il compito di definire il processo giuridico-normativo del nuovo Stato. È avvenuto così un silenzioso ed improvviso cambio di potere che ha legittimato l'Unione Europea come entità competente per seguire il proseguimento delle negoziazioni e per implementare il futuro status del Kosovo.
"Se la Russia non cambierà opinione, Stati Uniti ed europei sono pronti ad andare avanti, convinti che la risoluzione 1244, che stabilì la presenza dell'Onu in Kosovo, non precluda la messa in atto del piano", ha dichiarato l'ambasciatore americano Zalmay Khalilzad.

Tali parole rispecchiano infatti la scuola di pensiero che si sta ora facendo strada all'interno della Comunità Internazionale, secondo cui esisterebbe una seconda interpretazione della risoluzione ONU 1244 che ammetterebbe l'Indipendenza del Kosovo. Secondo l'Agenzia Birn, è stato elaborato uno studio legale e tecnico della risoluzione ONU da parte di un Comitato di esperti in seno alla Commissione Europea. Un documento che non è stato ancora reso pubblico, ma è stato diffuso tra i rappresentanti dell'Unione Europea, trovando così una sua attuazione in seguito al fallimento della Troika di intermediazione con la decisione della missione UE in Kosovo. Stando all'analisi giuridica del testo normativo, la risoluzione non preclude l'indipendenza del territorio o il suo riconoscimento da parte di altri stati. La 1244 rimarrà così inviolata anche in seguito alla dichiarazione dell'indipendenza del Kosovo in quanto non si esclude specificamente l'indipendenza del territorio kosovaro. Il fatto che la norma si riferisce al Kosovo come " parte integrante della Repubblica Federale della Jugoslavia (attuale Repubblica della Serbia)" , viene considerato dagli esperti legali come "una clausola non fondata sulla sovranità e dell'integrità territoriale della FRY", e questo in relazione al fatto che "l'integrazione del Kosovo alla Serbia è citata solo nel preambolo della Decisione", e, secondo gli esperti europei, le referenze contebute nella parte introduttiva alle risoluzione del Consiglio di Sicurezza "non possono essere considerate come base legislativa". Inoltre, il documento precisa che la risoluzione presume in qualche modo "un processo finale per la decisione del Kosovo senza predeterminarne l'esito".

Il comitato europeo prevede così che una dichiarazione unilaterale dell'indipendenza avrà luogo nel momento in cui è stato fatto qualsiasi sforzo per giungere ad un compromesso che rispetti l'esigenze di entrambe le parti. Così, "agire con l'obiettivo di perfezionare il processo di definizione dello Status del Kosovo è molto più compatibile con le reali intenzioni della norma 1244, che con la continuazione delle trattative", afferma il documento prospettando così "un approccio che risolverà una questione frustrante per entrambe le parti". Gli esperti infine raccomandano i membri dei Paesi Europei di seguire lo stesso iter del precedente del Montenegro per riconoscere il Kosovo, lasciando ai singoli parlamenti nazionali la decisione sulla questione di merito. Il riconoscimento dello Stato sarà l'atto finale, sancito dalle leggi internazionali, che perfezionerà la creazione dello Stato del Kosovo all'interno del territorio europeo. Allo stesso modo, non esiste alcun impedimento giuridico alla Missione UE in Kosovo, che sarebbe la legittima sostituzione della presenza delle forze della KFOR, come stabilito dalla risoluzione 1244.
Una tale interpretazione "alternativa" è stata tuttavia già rifiutata dalla Russia, nella persona del Ministro degli Affari Esteri Sergey Lavrov che ha duramente criticato questa lettura giuridica forzata. Così come è stata presentata, la Risoluzione 1244 non solo decreterà la legittimità dell'indipendenza del Kosovo ma non danneggerà gli altri Stati Europei alle prese con i movimenti secessionisti, trattandosi una norma "specifica" e "valida" sono in un determinato contesto geopolitico.

In ogni caso, lo strappo della Unione Europea appare sempre più un'azione programmata e studiata in ogni suo dettaglio, e non più una decisione presa dinanzi ad una situazione insostenibile in seno alla comunità kosovara. La disinformazione e la propaganda hanno avuto in questo caso un ruolo molto sporco, perché hanno spinto l'opinione pubblica ad accettare la presa di posizione della Comunità Europea. Allo stesso tempo, un comitato di esperti legali - di cui non è stato reso noto né il nome né la sua costituzione - ha preparato il quadro legale che rigira le parole della risoluzione a proprio favore. L'interpretazione arbitraria diventa un diritto, l'applicazione distorta un dovere. Trasformare le parole, dando loro un significato diverso da quello che le parti hanno voluto esprimere, rappresenta un vero crimine, è una manipolazione della volontà degli Stati espressa dinanzi ad un'Assemblea Internazionale. L'Unione Europea oggi non ha alcun potere, nè diritto per decretare il significato di una decisione di diritto internazionale, e la sua azione, premeditata e autoritaria, rappresenta un oltraggio alla sovranità degli Stati.

Rinascita Balcanica

19 dicembre 2007

Decreto flussi: la legalizzazione della tratta degli immigrati


Quello di oggi è stato il secondo "click day" del decreto flussi, realizzando un altro record di richieste telematiche inoltrate al cervellone del Viminale. Migliaia di moduli sono stati registrati in tempo reale dalla grande Banca Dati del Ministro degli Interni per ottenere uno dei 170 mila ingressi asseganti dal decreto flussi 2007, ai lavoratori extracomunitari provenienti dai Paesi con cui l’Italia ha sottoscritto accordi bilaterali.
Stando ai risultati del Ministero dell'Interno, il sistema informatico del Ministero dell’Interno nella giornata di oggi ha ricevuto 136.567 domande per i nulla osta, che si aggiungono ai 352.955 richieste giunte nella giornata del 15 dicembre. Una vera partecipazione di massa che ha movimentato Associazioni, Patronati e migliaia di singoli individui per entrare a far parte della lista privilegiata redatta dal Ministero per la regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari. È stata definita come singolare gara per l'assegnazione di posti di lavoro, ma si è rivelata una lotteria, una scommessa, affidando al caso la possibilità di entrare nelle liste. Il Viminale ha infatti sottolineato che non esiste alcuna corsia preferenziale per l'invio delle domande, seguendo il criterio cronologico in base alla data di arrivo delle domande. Per cui, qualora alcune domande siano contestuali, avverrà un inserimento a pettine, ossia in base allo spazio disponibile in quell'istante. Per tale motivo, sono già pronti i ricorsi dei patronati e delle associazioni contro il Governo italiano per contestare l'esclusione dal database, con il rischio che l'efficiente macchina del Viminale si riveli una grande truffa.

Le procedure stabilite e i limiti del sistema informatico non sono tuttavia gli unici problemi che il progetto del Ministero degli Interni può generare. La gara indetta per la pianificazione dei flussi di migrazione, potrebbe infatti rivelarsi un piano del Governo per schedare e tracciare tutti gli immigrati che non hanno un permesso di soggiorno, creando così un database contenente tutte le informazioni degli immigrati che si trovano adesso sul suolo italiano e che potrebbero entrare come regolari. Tale tecnica viene infatti spesso usata per tracciare sul web crimini di pedofilia e pirateria, utilizzando dei sistemi elettronici che fanno da specchio e permettono di acquisire i dati degli utenti. Non è da escludere che questo sia un tentativo dello Stato per monitorare lo stato attuale di lavoratori extracomunitari senza permesso di soggiorno, mediante una procedura immediata e non eccessivamente dispendiosa. Tali operazioni in grande stile sono studiate e programmate per raggiungere obiettivi molto più importanti e profondi di quelli sono apparentemente dichiarati. Lo Stato italiano può dare così prova di fornire un'assistenza agli immigrati e al mercato del lavoro, mentre i Paesi di origine possono utilizzare tale iniziative come propaganda. Occorre considerare che chi aderisce a tali iniziative, sono per la maggior parte persone che sono disposte a fare un viaggio clandestino pur di raggiungere quel "paradiso" che hanno visto in televisione. Abbandonano la propria vita, vendono la casa per poi giungere in Italia, dove saranno così derubati di ogni loro avere.

In realtà, nessuno saprà mai quante domande saranno realmente prese in considerazione: la telematica è qualcosa di veramente astratto. Mentre tutti inseriranno i propri "veri" dati, nella speranza di vedersi attribuire un posto di lavoro regolare e ottenere un permesso di soggiorno, lo Stato registrerà le loro posizioni acquisendo dati sensibili e personali, molto difficili da reperire considerando che si tratta di popolazioni che non sono state ancora schedate dal sistema di informazione europeo. Dai dati anagrafici, a quelli professionali, sino a quelli sui loro movimenti, i loro interessi, realizzando così un controllo totale su una classe di persone che, sino ad oggi, sono state completamente all'oscuro dei sistemi di tracciamento.
È chiaro che chi cerca lavoro compila tale modulo di richiesta, ha un'istruzione media, e cerca di ottenere un onesto permesso di soggiorno, cosa che non può dirsi per criminali e trafficanti, che resteranno sempre invisibili a questi controlli. I dati raccolti verranno successivamente utilizzati come strumento per il controllo e la sicurezza, fungendo da archivio di riferimento per confrontare i dati di coloro che saranno eventualmente arrestati o fermati. Il decreto flussi rientra così nei progetti di lotta al terrorismo programmati da direttive europee e internazionali, volti a costruire in maniera legale dei database che, opportunamente classificati mediante delle categorie, saranno un'arma per controllare le masse e velocizzare le procedure di ricerca e di arresto. Dunque, un progetto volto a fornire maggiori opportunità e certezze agli immigrati, nonché alle stesse imprese italiane, si rivela un'arma a doppio taglio, da utilizzare contro gli stessi clandestini qualora venissero violate le regole. Infatti, così facendo lo Stato ha la possibilità di espellere più facilmente le persone e importare nuova manodopera a basso costo in maniera clandestina, senza che tuttavia nessuno se ne accorga. Per cui sebbene da un lato si combatte per garantire la sicurezza dello Stato, dall'altro si perfeziona ancora di più la truffa ai danni degli emigranti extracomunitari. Il crimine sta proprio nel riuscire a controllare maggiormente la clandestinità da parte dello Stato, senza fermarla mai: coloro che saranno espulsi, o decideranno di lasciare l'Italia, verranno sostituiti con nuovi flussi. Dal sistema piramidale partirà la direttiva di effettuare una retata e controllare le zone frequentate da clandestini, e in un solo giorno potrebbero essere espulsi, per esempio, anche 8800 clandestini - uno per ogni comune che ha accettato la sua assunzione - mentre altri 8800 potrebbero essere pronti a sbarcare sulle nostre cose. Un perfetto coordinamento che consentirà di rendere il mercato del lavoro degli immigrati extracomunitari assolutamente flessibile, senza che lo Stato sia costretto ad offrire cittadinanza o pensionamento. Tutto questo è controllato dal Sic, un sistema che controlla i piani demografici e le merci in movimento, segnalando la necessità di aumentare i dazi doganali o diminuirli, inasprire le condizioni di assunzione o lasciare che alcuni entrino in maniera illegale, lasciando che sia poi il mercato a riassorbirlo.
Considerando l'esistenza di tali meccanismi, studiati e programmati in ogni suo aspetto, la politica e la partecipazione pubblica perde molto significato. Prima esisteva la lotta perenne tra destra e sinistra, mentre oggi esiste la democrazia diretta e la rete. In realtà, ogni operatore economico, dalle imprese ai lavoratori, dai politici alle Istituzioni, possono agire solo all'interno di un determinato contesto di opportunità, delimitato da un budget e da regole predefinite.

17 dicembre 2007

Fomentatori e conferenzieri


Il blocco degli autotrasportatori ha messo in crisi l'intero sistema logistico italiano danneggiando ogni settore economico, dall'industria alla distribuzione. Le prime critiche sollevate sono proprio contro l' organizzazione degli scambi e del sistema dei trasporti, che porta i tir a viaggiare vuoti e congestionare così il traffico su strada. E tra i più accaniti sostenitori della disorganizzazione italiana è Beppe Grillo, che dal suo blog interpreta lo sciopero degli autotrasportatori come una logica conseguenza della pessima gestione della linea logistica.

"Il trionfo dell’ignavia dei governi. Esistono decine di migliaia di piccole aziende padronali". Sono queste le parole di Beppe Grillo con le quali si apre la discussione sulla pessima organizzazione degli scambi e del sistema dei trasporti, che porta i tir a viaggiare vuoti e congestionare così il traffico su strada. Un'osservazione questa che scaglia sui governi la colpa dell'inefficienza dei trasporti italiani, e risponde alla necessità di avere a tutti i costi un colpevole. Non di può negare che la facilità con cui si possono bloccare le strade italiane è molta, considerando che il trasporto delle merci è prevalentemente orientato su strada. Una realtà che l'Italia eredita dagli investimenti del passato, nonché dalla sua conformazione territoriale, che rende difficili i collegamenti trasversali tra le dorsali tirreniche e adriatiche. Trasferire, al momento, il trasporto su rotaia o nei porti, porterebbe comunque delle inefficienze perché le linee ferroviarie o i porti non riuscirebbero a smistare una grande quantità di merci, e dovrebbe comunque ricorrere ai tir per completare il percorso di consegna. Le imprese ovviamente scelgono la soluzione che costa meno e che garantisce tempi più brevi. Tra l'altro, rafforzare le infrastrutture è diventato difficile, se non impossibile in Italia, considerando gli elevati costi e la necessità di combattere con le comunità locali che non vogliono veder deturpato il proprio territorio. E' alquanto strano vedere che gli stessi partiti e movimenti che hanno attaccato durante la TAV della Torino-Lione, oggi si trovano a condannare gli autotrasportatori che bloccano la circolazione su strada.

Come molti hanno proposto - tra cui lo stesso Beppe Grillo - una soluzione potrebbe essere quella della realizzazione di una piattaforma informatica, un database, mediante la quale organizzare le consegne e il trasporto delle merci. Il sistema informatico avrebbe così la capacità di conoscere la capacità e lo sfruttamento dei singoli container, distribuendo in maniera intelligente la merce da consegnare sui differenti mezzi di trasporto e completando, nel miglior modo possibile, il processo logistico. Una proposta senz'altro intelligente e utile, se avesse alle spalle un protocollo e un codice di regolamentazione dettato dallo Stato, e se a gestire la piattaforma non siano società private. È fin troppo facile proporre di costruire un sistema elettronico per le piccole e medie imprese, senza precisare come e chi dovrebbe realizzarlo. Il risultato sarebbe comunque un'arma a doppio taglio, perché la piattaforma, sebbene offra un servizio pubblico assolutamente indispensabile, andrebbe a creare un monopolio nelle mani di entità private. I sistemi informatici senza regole e senza diritti non fanno altro che legittimare delle entità, che hanno alle spalle delle micro-nazioni e dei gruppi di potere.La "rete" non è la struttura adatta a gestire informazioni pubbliche e dati che riguardano l'intera collettività, perché accentra il potere sulle informazioni nelle mani di coloro che detengono il controllo del sistema informatico. Inserendo tutte le attività all'interno di un sistema cybernetico saremo schiavizzati e usurati dalle regole in base al quale sono state impostate le procedure e i regolamenti di utilizzo. Per lo stesso motivo, è inutile parlare di "carta dei diritti" per la rete se il sistema non permette di agire al di fuori di regole precostituite e non approvate da alcun Parlamento o entità istituzionale. Oggi chi parla di rete non sa neanche quello che dice perché non conosciamo i veri sviluppi di sistemi cibernetici che possono essere centralizzati.

Dunque, occorre innanzitutto redigere un protocollo che rispecchia le leggi nazionali, i principi di tutela dell'interesse generale e dell'iniziativa privata, sulla base del quale studiare la burocrazia e le procedure per inserire e classificare i dati. Vista tale esigenza, è necessario che siano i Centri di Ricerca Nazionali a curare la progettazione e la gestione delle piattaforme, che i software siano omologati e certificati, e che tutte le procedure rispettino i diritti individuali. In tal modo si dovrà vietare di creare un sistema giuridico e penale "virtuale" che consenta l'isolamento dalla visibilità, o che permetta la creazione di monopoli, favorendo le imprese che possono maggiormente competere. Allo stesso modo occorre concentrare nei Cnr il monitoraggio delle vendite del patrimonio nazionale, controllando che le società private continuino a rispettare l'interesse generale e senza trasformarsi in lavatrici di denaro.
Attualmente, tuttavia, tutti i progetti di informatizzazione sono state affidate a società private come la IBM o la Microsoft, che possono acquisire i dati contenuti nella piattaforma, in mancanza di qualsiasi legge o regolamentazione. Sistemi telematici applicati ai trasporti sono state già create in Paesi esteri, ma hanno causato più distorsioni che altro, lasciando fallire centinaia di piccole agenzie di trasporti che non hanno sopportato la concorrenza sleale delle società maggiori. Come spesso accade, le privatizzazioni sono una vera arma nelle mani delle entità private, perché se da un lato garantiscono una gestione più efficiente, dall'altra tendono a sostituirsi di fatto allo Stato. Questo perché i Governi preferiscono esternalizzare i servizi e perdere qualsiasi tipo di responsabilità o di onere nella gestione o nella manutenzione dell'infrastruttura.

Per tale motivo, riteniamo che sia giusto sollevare discussioni su tali temi, ma occorre prestare attenzione alla disinformazione. Il Blog di Grillo, per esempio, sta assumendo le dimensioni di un media d'informazione di massa, ma nei fatti è un fenomeno sintetico, un hobby della domenica, un argomento da salotti, che riesce a controllare le masse per evitare che si cada nell'estremismo. Aldilà dell'aspetto comico di Beppe Grillo, è un personaggio che si adatta bene alla situazione italiana, perché i politici stanno diventando degli attori, dei buffoni, dei personaggi che hanno come funzione quella di creare una finta opposizione al potere. Di Pietro, Travaglio, la stessa Brambilla, sono delle icone che rispecchiano come ruolo quello di erigersi a paladini della giustizia, rispondendo invece a ben altri padroni.

14 dicembre 2007

Mifid e Sepa mettono a rischio il credito cooperativo


Mentre il vertice di Lisbona proclama l'Europa degli Stati, presso le Banche Centrali e le Associazioni bancarie si accendono i riflettori sulla Sepa e sul Mifid, le Costituzioni dell'Europa dei Banchieri. Sorge il pericolo per le realtà locali bancarie, che rischiano di perdersi nei circuiti sovranazionali.

"Le banche italiane pronte per la SEPA, al via l'area unica dei pagamenti in euro" . Questo è l'oggetto dell'Intervento del Direttore Generale Fabrizio Saccomanni tenutosi presso l'Assemblea dell'ABI lo scorso 12 dicembre. "La realizzazione della SEPA rappresenta il necessario complemento dell'introduzione della moneta unica e del processo di integrazione finanziaria europea", afferma Saccomanni. Il sistema bancario nazionale, proprio come è avvenuto con il passaggio all'euro, dovrà predisporre tutti i meccanismi di raccordo tra le istituzioni e riformulare tutte le procedure e i tempi della migrazione dei sistemi e degli strumenti nazionali in relazione ai nuovi standard europei. La SEPA, sistema dei pagamenti dell'area euro, coordinerà i movimenti bancari e finanziari dei Paesi membri e introdurrà i nuovi meccanismi paneuropei, che consentirà la realizzazione di trasferimenti transnazionali superando le problematiche legate ai tempi per la disponibilità e alla compatibilità dei sistemi recettivi. Rappresenta, così, la logica continuazione dell'euro, mentre il Mifid è l'evoluzione finale del sistema dei regolamenti europei. Cessa di esistere l'obbligo di concentrazione degli scambi, mentre l'intermediario diventa istituzione all'interno dei singoli mercati: questi dovrà garantire sempre "la miglior soluzione" all'investitore, in quale dovrà accettare il rischio e la responsabilità dell'investimento. Passano in secondo piano le Banche Centrali come organi di vigilanza, mentre vengono eletti ad istituzione le Associazioni di Consumatori, che avranno nella "class action" il sistema di difesa per eccellenza dei risparmiatori e degli investitori. Nuove infrastrutture, nuovi canali, nuovi operatori, ma soprattutto nuove logiche di governance degli istituti bancari che, da operazioni di organizzazione "nazionale", si trasformeranno in politiche globali e stransnazionali. Ecco che i circuiti bancari, valutari e borsistici avranno la loro perfetta dimensione nelle piattaforme internazionali, gestite da società private specializzate.
Occorre osservare che, quando si parla di riforma della governance del sistema bancario, non ci si riferisce solo ai gruppi bancari commerciali, organizzati secondo una struttura piramidale, bensì a tutta la costellazione delle banche che costituiscono il tessuto economico. In un'economia come quella italiana esiste una vera multinazionale bancaria, che è il Network del credito cooperativo, che al momento sono dei "piccoli colossi nelle aree territoriali" in virtù della continuità del supporto alle piccole e medie imprese. Il loro mercato si amplia non solo in maniera orizzontale, con nuove adesioni e accorpamenti, ma anche in maniera verticale, perché è riuscito a dare un maggiore sostegno organizzativo e produttivo alle imprese, che hanno trovato così nella Banca cooperativa uno strumento "solidale" di sviluppo. Questo successo è da attribuire proprio alle mille sfumature che riesce ad assumere il rapporto banca-impresa, in grado di cogliere le esigenze e i problemi individuali e di trovare una giusta soluzione, nei limiti della sostenibilità e degli standard bancari. La caratteristica più interessante e particolare del credito cooperativo è proprio la sua anormalità rispetto alla standardizzazione delle politiche di credito imposte dai gruppi bancari.

Tale peculiarità, vista nell'ottica del Mifid e della stessa Basilea 2, sono dei "bug", delle distorsioni che vanno corrette per far sì che l'intero sistema sia perfettamente coordinato. "Permane la difficoltà di assicurare una conduzione unitaria e condivisa delle iniziative di sistema. Stenta ad affermarsi una visione strategica". Queste le parole di Saccomanni, che si fa interprete della linea politica della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea che dovranno applicare la direttiva MIFID. Infatti, secondo Saccomanni, le piccole e medie imprese sono una realtà troppo complessa da essere affrontata con i mezzi "poco organizzati" del credito cooperativo, e per tale motivo occorre una coordinazione a livello nazionale e sovranazionale delle politiche della concessione del credito e dei prestiti. Primo tra tutti è l'esigenza di riqualificare la “rete di sicurezza” del credito cooperativo, considerando che le iniziative di "Federcasse" e delle "Federazioni locali" per la gestione dei rischi delle banche associate - come il Fondo di Garanzia dei Depositanti e il Fondo di Garanzia degli Obbligazionisti del credito cooperativo - sembrano non essere adeguati. Sebbene siano progetti interessanti, a parere della Banca d'Italia, peccano di rigidità e burocrazia dettata dai vincoli della Federazione, e soprattutto non rispondono agli standard di Basilea 2 e del Mifid.

Le banche di credito cooperativo, al pari delle banche popolari, non sono state ancora interessate dalla riforma del diritto societario, che andrebbe ad intaccare i principi portanti del voto capitario, in base al quale ciascun socio, a prescindere dal numero e dal valore delle azioni detenute, dispone di un solo voto ; del limite al possesso di azioni della banca, secondo cui nessun socio può detenere azioni in misura superiore allo 0,50% del capitale sociale; della previsione di un numero minimo di soci, che non può essere inferiore a duecento ; e dell'istituto del gradimento, per cui il consiglio di amministrazione può rigettare la domanda di ammissione a socio. Vi è in atto infatti una lunga discussione che cerca di impedire la possibilità di trasformare le banche popolari quotate nei mercati regolamentati in società per azioni di diritto speciale, consentendo all'autonomia statutaria di fissare limiti al possesso azionario, al voto proporzionale e alle deleghe di voto. Tra le proposte di legge presentate nel corso della XIV legislatura in materia di riforma delle banche popolari si cerca di eliminare proprio la limitazione al diritto di voto dei soci, il voto capitario e la clausola di gradimento, che, stando agli esperti, "rappresenterebbero un disincentivo all’investimento nelle banche stesse", dimenticando invece che rappresentano questi degli strumento di democrazia economica in stretto rapporto con il territorio e al servizio delle famiglie e delle piccole e medie imprese. Per tale questione, la Commissione europea ha anche avviato il primo stadio della procedura d’infrazione con l’Italia in materia di banche popolari, la cui normativa risulterebbe essere contraria alla libertà di circolazione dei capitali, e sarebbe discriminante per gli investitori esteri che volessero divenire azionisti una banca cooperativa. L'Italia al momento è riuscita a difendere e a proteggere la legge sulle Banche Popolari e il credito cooperativo, ma non sappiamo ancora per quanto si riuscirà a resistere alle pressioni della Commissione Europea, soprattutto in vista dell'attuazione della normativa del MIFID. Il credito cooperativo, dunque, sebbene non sarà ancora interessato da una riforma della base legislativa e regolamentare, sarà riformato dal punto di vista organizzativo interno, agendo sulla struttura telematica del Network, al fine di controllare le politiche di credito decise dai singoli Istituti.
Verrà dunque spezzato quello stretto legame banca-impresa, spesso interpersonale, che il credito cooperativo era riuscito a creare, in maniera tale da rastrellare dal mercato i capitali delle piccole imprese, che al momento sono le più difficili da controllare.
Queste, per la loro eterogeneità e diversità, rappresentano l'eccezione del prototipo "utente-consumatore", ma proprio per tal motivo è necessario uniformare innanzitutto le condizioni e i contratti del credito cooperativo.

12 dicembre 2007

Uno sciopero che vale più di un contratto


Il grande sciopero degli autotrasportatori rischia di bloccare il totale approvvigionamento di carburante e di prodotti alimentari. Il ministero dei Trasporti ha deciso in serata di precettare i camionisti impegnati nello sciopero, proclamato dalle Associazioni Cna Fita e Confartigianato, che perpetuerà il fermo del trasporto sino alla mezzanotte di venerdì. Il Governo minaccia la sospensione dall'Albo o la revoca dell'iscrizione, e addirittura la reclusione sino a 4 anni con arresto facoltativo. Alla dura reazione delle autorità risponde la Conftrasporto dichiarando che l'autotrasporto non è un servizio pubblico ma di carattere privato, e per tale motivo esula dal garantire un servizio minimo di rifornimento e di distribuzione di carburante e merci. Tra i sindacati e le associazioni di categoria continua tuttavia ad aleggiare un'aria di sfida e di indifferenza, mentre le reazioni del Governo sono poco più paragonabili ad un secchio versato su incendio. L'intero sciopero, che ha volutamente emulato la grande azione coordinata degli autotrasportatori francesi, viene difeso come un atto dovuto e legittimo da parte di una categoria che subisce il rincaro del prezzo dei carburanti e delle autostrade, oltre alle pessime condizioni lavorative e salariali. Viene lanciato come un'azione intimidatoria volta a spuntare un maggiore potere contrattuale, ma si trasforma ben presto in panico e caos nelle città e nelle strade.

I distributori di benzina vengono saccheggiati, i supermercati svuotati, in preda alla corsa delle scorte, proprio come se l'intera nazione si stesse preparando per un periodo di grave crisi. L'emergenza "scorte" è scattata ancora prima del previsto, il panico e l'effetto domino hanno giocato un grande ruolo nell'ingigantire la crisi innescata dallo sciopero. Grande responsabilità va attribuita ai media, che hanno lanciato notizie e comunicati sempre più allarmanti, affermando che lo sciopero si sarebbe protratto oltre se non si fosse raggiunto un accordo, e trasmettendo le immagini del blocco delle principali vie di trasporto. Tuttavia, sembra alquanto assurdo che chi ha organizzato tutto questo non ne conoscesse gli effetti, e ha manipolato i media e l'informazione per movimentare oltre alle forze politiche, anche la popolazione. È fin troppo evidente che questo sciopero, organizzato in questo modo, senza una chiara informazione sui servizi minimi offerti e sulle garanzie per i settori di sussistenza della comunità, non è giustificato, da nessun tipo di problema sindacale e contrattuale.

Questo gioco va infatti ad innescare un continuo processo di rialzo dei prezzi, soprattutto dei generi alimentari, sulla scia della speculazione che viene fatta nei giorni caldi di crisi. Allo stesso modo, molti settori economici subiscono dei danni, in seguito al forzato blocco della produzione o della distribuzione, subendo delle conseguenze assolutamente sproporzionate rispetto al problema sociale da affrontare e risolvere. Per non parlare poi delle solite "lacrime da coccodrillo" delle false vittime, come la Fiat che annuncia il blocco degli stabilimenti di Fiat Auto, dove la produzione si è fermata per la mancanza di componenti lasciando inoccupati 17.000 lavoratori: sarebbe questo uno di quei casi rarissimi in cui la Fiat si ferma per responsabilità di altri. Anche il sistema di approvvigionamento dei prodotti agricoli rischia di cedere, con danni che si ripercuoteranno sull'intera filiera produttiva considerando che si tratta di beni altamente reperibili. Nei prossimi giorni, il peggio potrebbe ancora venire se la disinformazione continua e se le persone prenderanno d'assalto i mercati e i supermercati, senza poi alcuna ragione apparente.
La posta in gioco, dunque, non è solo una vittoria sindacale, in quanto il disagio provocato dallo sciopero si è trasformato in vero e proprio sabotaggio, o meglio, in un vero e proprio esperimento che potrebbe risuonare come "prove tecniche" della crisi petrolifera. Consideriamo infatti che lo sciopero italiano degli autotrasportatori di massa è stato preceduto da un simile evento in Francia, tra l'altro in un particolare momento storico e politico per entrambi i paesi, nonché per l'Europa. La Francia deve superare lo scoglio delle grandi riforme imposte dall'Unione Europea e la diffusa sfiducia nei confronti del neo-Presidente Sarkozy, mentre l'Italia deve nascondere la magra credibilità del suo Parlamento che approva con due voti di differenza una legge importante come quella della sicurezza. Tra l'altro, l'intero Governo è bersagliato da scandali, tangenti e legami con strane logge massoniche, con truffe per barcarotta e operazioni di riciclaggio, mentre i soli a restare in piedi sono le classi politiche della magistratura e dei "giustizionalisti". L'intera opinione pubblica è inoltre rivolta alla precaria situazione dei Balcani, che minacciano guerra, e del Medioriente, per il quale non sono ancora svaniti i programmi di invasione e guerrafondai degli Stati Uniti.

In tale situazione, si chiede alla popolazione di "immedesimarsi" con grande realismo in quello che potrebbe accadere se il rifornimento di gas e petrolio fosse interrotto anche per soli 4 giorni, e dunque se non fossero portati a termine accordi strategici di cooperazione energetica. Quella che noi tutti definiamo "massa", indistintamente, sa benissimo cosa accade in Iraq, in Afghanistan, conosce il significato della "guerra per il petrolio", e nonostante questo non fa nulla per fermarla o per delegittimare i propri politici. Questo significa che nessuno è disposto a rinunciare al proprio stile di vita consumista e sicuro, e, consapevolmente, legittima tali personaggi a fare tutto ciò che è in loro potere per risolvere il problema. L'Unione Europea, ben cosciente dell'appoggio e del sostegno dei suoi cittadini, sta agendo per porre sotto il proprio controllo il Kosovo, per garantirsi una colonia ambientale nei Balcani, il rifornimento di gas con Algeria e Russia, e il petrolio del Caucaso e della Libia. Tale esigenza spiega le recenti pressioni in seno al vertice EU-Africa di Lisbona per giungere alla redazione di un protocollo di comune accordo su fronti molto delicati, come quello energetico e produttivo, a fronte di una liberalizzazione dei flussi emigratori. C'è dunque da chiedersi se oggi possiamo parlare di semplice sciopero o di sabotaggio coordinato?

11 dicembre 2007

La lotta dei lavoratori contro l'usura del tempo


Mentre la Francia minaccia ancora scioperi e il blocco della circolazione contro la riforma dei regimi speciali di pensione, l'Italia manifesta in difesa dei diritti dei suoi lavoratori. Le manifestazioni di massa dei lavoratori da sempre accompagnano i problemi dell'economia degli Stati, e rappresenta proprio questo il dato allarmante. Nonostante lo sviluppo e l'elevata industrializzazione dei Paesi occidentali, le lotte per la difesa dei diritti del lavoro sono sempre le stesse. Ciò significa che mentre le nostre società aumentano le capitalizzazioni, diventano sempre più globalizzate e ricche, i lavoratori ancora lottano per la sostenibilità dei salari, per il diritto alla pensione, per la sicurezza e la stabilità del lavoro.
I licenziamenti, le delocalizzazioni, la rinegoziazione dei contratti sono legittime politiche della gestione delle risorse umane, tale che la disoccupazione e la insufficienza del livello dei salari sono considerate delle normali conseguenze a cui dovrà rimediare il mercato.
Purtroppo oggi non assistiamo più all'evoluzione dell'economia, ma al suo continuo regresso, in quanto il sistema economico basato sulle grandi società che basano il loro potere sulla massa di lavoratori è attualmente insostenibile. Giorno dopo giorno cresce nei lavoratori la consapevolezza, e così anche la paura, che i propri diritti sono destinati ad essere ridotti sempre più, divenendo merce di scambio per i sindacati nei confronti delle società e dei Governi. Gli scioperi non sono più frutto della "coscienza di classe", ma della manipolazione dei rappresentanti dei lavoratori, che hanno di fatto già preso accordi con il consiglio di amministrazione delle società o con il governo per ratificare l'ennesimo protocollo welfare o la rinegoziazione dei contratti nazionali. Quella in atto è solo una gara d'appalto truccata, perché il contratto è stato già firmato e lo sciopero serve solo a controllare le masse.
In Francia oggi si lotta per evitare l'armonizzazione, e così la perdita dei regimi speciali di pensionamento delle diverse categorie; allo stesso modo l'Italia protesta per avere dei livelli salariali sostenibili e maggiore sicurezza. In realtà tutti i lavoratori oggi lottano contro l'usura del tempo di lavoro, quello che Marx definiva plusvalore, e che oggi è divenuto necessario per compensare l'inefficienza delle grandi strutture societarie globalizzate e mal gestite dai loro iperfinanziati dirigenti.
Sono infatti state elaborate nuove proposte di direttiva europea che intendono aumentare la durata del lavoro settimanale dalle 48 ore fino alle 65 ore, imponendo in capo all'impresa il solo obbligo di ottenere l'accordo individuale dei lavoratori. L'accordo dovrebbe essere valido un anno, di volta in volta rinnovabile, ma, considerando le minacce di licenziamento e delocalizzazione, questo accordo non farà nessuna fatica ad essere ottenuto. In ogni caso, se tale direttiva venisse adottata, la definizione di disoccupazione scomparirà perché sarà quasi impossibile distinguere il tempo di lavoro "attivo" dal periodo di disoccupazione, in quanto il lavoratore sarà sottomesso ad una flessibilità totale, tale da divenire molto più vicino al ritmo di lavoro dello schiavo.
Tale provvedimento, aggiungendosi alla controversa direttiva Bolkestein, dovrà "fare dell'Europa la zona più competitiva del mondo di qui 2010", stando a quanto affermato da José Manuel Barroso. L'obiettivo di aumentare la competitività europea, riducendo il costo del lavoro per le imprese, andrà ad imporre un regime lavorativo non molto lontano da quello della Cina comunista. Identica motivazione si nasconde nelle politiche europeo di allargamento "forzato" verso i paesi che praticano il "dumping sociale e fiscale" per spingere al ribasso i salari, i diritti dei lavoratori e la fiscalità delle imprese. Infatti, la riduzione dei diritti dei lavoratori e l'ampliamento verso gli Stati ad economia povera, innesca una schiacciante concorrenza salariale, che spiazzano le società occidentali. Le imprese europee sono così divenute eccessivamente "garantiste", incatenate dall'eccessiva burocrazia e legislazione sul lavoro, rigide e paralizzate da leggi "troppo vecchie" per essere all'avanguardia. Sebbene questo può essere in parte vero, ricordiamo che quelle leggi hanno garantito la sostenibilità della vita per i cittadini europei in questi anni di ripresa economica, in cui l'economia interna girava in virtù di un perfetto equilibrio tra produzione, consumi ed esportazioni. Oggi, invece, quelle leggi sembrano essere inadatte, anche perché non esiste alcun equilibrio nelle nostre economie occidentali, in cui consumiamo più di ciò che produciamo, e importiamo più di quello che esportiamo. Per cui, chi ha davvero fallito: le leggi dei lavoratori o il sistema economico delle multinazionali?

Secondo l'Unione Europea sono le leggi ad essere sbagliate e per tale motivo è stata elaborata la direttiva Bolkestein che, insieme con la direttiva sul tempo lavorativo, riporta indietro i diritti dei lavoratori di più di un secolo. Non dimentichiamo che la stessa Costituzione Europea prevedeva alcune norme che impongono agli Stati membri di creare le "condizioni necessarie alla competitività dell'industria per incoraggiare un ambiente naturale favorevole all'iniziativa ed allo sviluppo delle imprese" , nonché eliminare ogni restrizione amministrativa, finanziaria o giuridica che ostacolerebbe la creazione di PME", ( articolo III-279). Inoltre era previsto che l'unione "ricerca la flessibilità della mano d'opera e del mercato del lavoro", (articolo III-203) e crea le "condizioni necessarie alla competitività dell'industria" (articolo III-279 ). Tali principi rendono dunque molto chiaro il piano europeo nei confronti del mercato del lavoro degli Stati membri, ossia pressioni al ribasso dei salari, liberalizzazione dei contratti e delle regole del mercato del lavoro, privatizzazione dei servizi pubblici. Questo porterà inevitabilmente a aumentare sempre più le ore lavorative, a creare dei lavoratori sempre più flessibili, a diffondere insicurezza sociale e precariato, salari insostenibili e dunque stagflazione negli Stati, la scomparsa della disoccupazione "statistica" e così anche dei sussidi e dei sostegni ai disoccupati, per concludere infine con la sostituzione dei sistemi pensionistici e previdenziali pubblici con quelli assicurativi e bancari.
In tutto questo, le multinazionali saranno sempre più avvantaggiate, perché potranno maggiormente estendere la propria struttura societaria senza limiti fisici, senza vincoli giuridici, potranno delocalizzare e chiudere gli stabilimenti in zone ad alto salario, per aprirli in regioni a basso salario, restando pur sempre nell'ovattato e sicuro spazio economico europeo.

10 dicembre 2007

La manipolazione del sapere come etnocidio


Annunciati nuovi rincari per l'utilizzo di utenze e di servizi pubblici locali, che vanno così ad aggiungersi agli aumenti delle bollette di luce, gas e carburanti. Sarà la bolletta dell'acqua e per lo smaltimento dei rifiuti a pesare in particolar modo sul bilancio degli italiani, con aumenti che vanno dall'8 all'11%. Secondo le stime delle associazioni di consumatori l'aumento dei costi è stato di ben 1.216 euro, in relazione alla forte perdita di potere di acquisto. Dinanzi a tale situazione, le Associazioni "certificano" le norme della Finanziaria che istituiscono il "Mister Prezzi" , ossia un sistema per verificare, controllare e eventualmente prevenire i prezzi, ma non i loro aumenti. Il potere sanzionatorio delle anomalie e delle speculazioni è solo potenziale, in quanto non è stato previsto un meccanismo automatico volto a cautelare i cittadini dall'eccessivo potere dei cartelli e delle società che offrono dei servizi in una situazione di monopolio. Il rincaro inarrestabile dei prezzi, imputabile senz'altro al caro-petrolio, è anche il risultato della concentrazione dell'offerta dei servizi e delle utenze in società private, dopo il fallimento della gestione statale. Eppure ci avevano detto che le privatizzazioni erano il miracolo economico, qualcosa che avrebbe ottimizzato i servizi ed eliminato gli sprechi. In realtà, quando multinazionali spietate, appoggiate dal Governo degli Stati Uniti e dalla Comunità Europea, riescono a privatizzare l'acqua, un bene comune, vuol dire che noi, in quanto Stato, abbiamo fallito su ogni fronte. I nostri politici non ci rappresentano più e lasciano che siano le associazioni di categoria come Adusbef o Transparency Internationational ad essere i nostri portavoce, a lottare contro il male. Così oggi, mentre tutti gli italiani e tutto il mondo lotta contro il petrolio, aumenta il prezzo dell'acqua e si fanno sempre più forti le pressioni per una privatizzazione dello sfruttamento delle rete idrica.
Grazie alle leggi e alle direttive, possono diventare i legittimi proprietari di beni appartenenti all'intera comunità, per poi imporre tariffe e prezzi e modalità di utilizzo.
Le popolazioni così da cittadini, diventano utenti, e poi schiavi, perché il loro lavoro diventa un semplice strumento per poter consumare, per poter sopravvivere. Hanno inventato parole come integrazione, riforme, lotta alla mafia, che in realtà sono il frutto di concetti studiati dalle società di comunicazione e di marketing per manipolare l'opinione pubblica ed indurla ad accettare la perdita dei propri diritti. È un crimine invisibile. Non possiamo vederlo, non possiamo toccarlo, ma si impossessa di noi, del nostro sapere e delle nostre ricchezze, sotto gli occhi di Autorità e controllori. Non possiamo difenderci, né reagire, ma avvertiamo un senso di impotenza che si trasforma in rabbia, che può scatenare gli istinti più pericolosi, dal vandalismo alla violenza, dal sabotaggio all'omicidio: è quella forza che riesce a trascinare migliaia di persone nelle piazze, pronte a scontrarsi contro la polizia come un mare in tempesta.
Anche se incredibile e inaccettabile, ma dietro le nostre leggi e i nostri partiti esistono menti raffinatissime che ci usano continuamente. Nel tempo si sono vestiti di autorità e hanno colonizzate le nostre università, le nostre imprese, e tutti i "centri di sapere" per tenere le redini della nostra evoluzione e governarla. Grazie ai "signori" e ai "dottorini",che mantengono le chiavi delle cultura e chiudono le porte dello sviluppo dell'uomo, abbiamo solo aumentato il progresso dei computer o delle tecnologie che servono a controllarci. Hanno così costruito una falsa istruzione, piena di bugie e di menzogna, costruita sulla continua speranza in un mondo migliore. La manipolazione del nostro pensiero è quello che i Greci chiamavano Etnocidio, concetto che è stato ormai cancellato. In realtà i nostri antenati hanno costruito civiltà molto più evolute delle nostre, che sopravvivono in virtù del furto e del saccheggio delle ricchezze altrui, fomentando guerre e dirigendo poi le gare d'appalto delle privatizzazione.

La disinformazione e la manipolazione è un dictat, gestita dalla regia di forze invisibili che filtrano sempre più le notizie da accreditare. Il web - che al momento viene identificato come fonte della controinformazione - è controllato avendo costruito un sistema automatizzato che ci impone di agire all'interno di regole ben precise, dettate da coloro che ormai sono i monopolizzatori avendo ideato sofware e reti senz'altro più avanzate. La rete è il nostro "regno dei cieli" dove i falchi sono Google ed Ebay, e un domani la situazione potrebbe capovolgersi al punto tale che saranno "gli abissi" il nostro limite ultimo, cosicchè i pesci saranno in vantaggio rispetto a noi. Potrebbe stupire sapere che il Vangelo Secondo Tommaso è più avanzato della nostra società, la Bibbia e i testi sacri sono il cuore della nostra umanità. Per tale motivo, i Ministri del culto detengono un potere che è molto più grande di quel che possiamo immaginare. Il Vaticano, ha al suo interno una vera organizzazione criminale, ha creato la massoneria, le sette e altre religioni per disinformare. Il cuore del sistema criminale è il Vaticano, protetto da convenzioni e da trattati che lo riconoscono come Stato, senza tuttavia imporgli gli obblighi e i doveri che di solito incombono sulle altre Nazioni. È stato allora deciso di fare del Vaticano uno Stato affinchè custodisse i segreti del significato dell'esistenza dell'uomo. Attualmente, non appartiene formalmente alla Comunità Europea - e per questo motivo non è obbligato a rispettare direttive e regolamenti anti-riciclaggio - ma lo Ior ha una grande influenza sulla Banca Centrale Europea. Riesce ad esercitare il suo potere sui governi, estorcendo gli esoneri fiscali e la riservatezza sulle operazioni finanziarie, e non ha mai alzato un dito per ottenere una Costituzione Europea che cauteli i diritti dei cittadini europei e non delle Banche. Deve dunque far riflettere che, all'interno di una Comunità di Stati che si definisce, per la maggior parte dei casi, "cattolica" , non è stato scritto che "l'uomo ha diritto di mangiare", prima di "avere diritto ad essere libero".

05 dicembre 2007

Ritornano le spie e il nemico russo


Ci hanno etichettato come cospirazionisti, come complottisti e come fanatici dei misteri massonici, eppure oggi un ex Presidente italiano, afferma che l'attentato dell'11 settembre è stato organizzato dalla Cia e dal Mossad. Nessun politico risponde, la stampa lascia correre, e nessuno raccoglie la provocazione per replicare. Tuttavia, in quelle parole, così sottili e mirate vi è il grido di Francesco Cossiga, il solo che richiama l'attenzione sulla montatura giornalistica del messaggio "Bin Laden contro Berlusconi" . Questo vuol dire che il complotto riemerge come "finzione mediatica" e si ritorce contro coloro che hanno collaborato a costruirlo. La caduta dei miti del terrorismo e di Al qaida spinge così le persone e vedere il vero volto della guerra, fatta per il petrolio e per il gas, per il dollaro e l'euro. Cambia il nemico che occorre combattere, e cambia anche il modo di fare la guerra, che diventa sempre più invisibile, cinematografica e indolore. Ritornano le spie, le intelligences, la guerra Fredda, ritorna il nemico russo e il mito dell'Occidente che lotta contro l'Oriente. Non a caso, oggi, a distanza di dieci anni - durante i quali abbiamo visto i Balcani e l'Iraq in fiamme - la Comunità Internazionale ancora discute dello Status del Kosovo, dei Conflitti in Medioriente.

In questo clima di tensioni, gli Stati Uniti dirigono ancora una volta le conferenze di pace per la Palestina, fomentano una guerra nella regione del Kurdistan e in Pakistan, mentre decidono di congelare la questione del nucleare dell'Iran, fermo così ad un punto di non ritorno. Ancora un altro scenario di incertezza, di inquietudine, mentre le materie prime e il petrolio continuano ad andare alle stelle, sempre di più, ingrassando i bilanci della "Sorelle petrolifere" che cavalcano così la cresta della speculazione. Tuttavia, occorre prestare attenzione ai nuovi leader e a quelli che consolidano sempre più la propria posizione sulla scena internazionale. Non dimentichiamo che mentre gli Stati Uniti perdono terreno e credibilità nella Comunità Internazionale, la Russia si afferma come Nazione forte, pronta a confrontarsi non solo sul mercato monetario e petrolifero, ma anche in quello politico. Il su ruolo si rivela determinante soprattutto nei Balcani, avendo mostrato risolutezza e decisione nella difesa della posizione della comunità serba, sia in Kosovo che in Bosnia. La Russia ha infatti deciso di rispondere al progetto dello scudo antimissilistico degli Stati Uniti, in Polonia e nella Repubblica Ceca, costruendo alcune installazioni anti-missili in Serbia, sul fiume Drina. Allo stesso modo la NATO, discuterà in occasione del prossimo Summit di Bucarest la possibilità si allargare il progetto per lo scudo anche il Europa Sud-Orientale, e in particolare in Bulgaria, in Romania, in Croazia, in Italia,in Grecia e in Turchia.
Il mito della guerra fredda è dunque ritornato, al soldo dei servizi segreti, pagati per fare il lavoro sporco. Le reti di informazione vengono rispolverate e la legge della "spia che controlla la spia" vieni ristabilita. L'ordine è tassativo: disinformare, manipolare, propagandare, creare confusione. La posta in gioco è il nuovo mercato energetico, per soddisfare il fabbisogno delle economie industrializzate che aumenta sempre di più, mentre la crisi e il malcontento avanza tra i cittadini europei, che giorno dopo giorno aprono nuovi fronti di lotta, tra scioperi e guerriglie cittadine. La situazione europea preoccupa molto, e ciò che turba di più questa quiete apparente sono i movimenti indipendentisti, che chiedono più autonomie per le zone di confine, e accolgono intorno a sé maggiori adesioni. Deve far riflettere, infatti, come molti dei Paesi Europei cominciano a ritrattare la loro posizione sul Kosovo, invitando le parti a raggiungere un compromesso, senza prendere "decisioni precipitose": è ovvio che si teme la ritorsione sull'opinione pubblica di una secessione che violi l'integrità e la sovranità degli Stati. Da un giorno all'altro l'Europa potrebbe risvegliarsi tra le fiamme dei movimenti che vogliono la propria autonomia, magari finanziate e fomentate da entità esterne che mirano ad ottenere le risorse di determinati territori. Si scatenerebbe il caos e i nostri politici sarebbero condannati al rogo dalle sommosse popolari.

In un certo senso, tuttavia, è a questo punto che vogliono spingerci. Il malcontento per il malessere economico ha bisogno di un capro espiatorio, alla massa occorre un nemico a tutti i costi, per placare la sua ira. Per questo vogliono convincerci che esistono delle lobbies, che nient'altro sono che i nostri politici, ma in realtà vogliono solo gettare in pasto alla massa delle "fazioni perdenti" per poi sostituirsi sul trono dei vincitori. Disinformare e screditare, disinformare e fare propaganda, fin quando non si perde il senso del discorso, fino a che non saremo completamente confusi e saremo costretti a scegliere il male minore.
Oggi infatti ci chiedono se vogliamo l'inflazione, il caro-petrolio, la sussistenza dei salari, o se vogliamo la guerra, le multinazionali e i Banchieri. Ci chiedono se vogliamo combattere gli "stati canaglia" o se vogliamo abolire i paradisi fiscali. I primi nascondono le arme di distruzione di massa, fomentano le guerre e finanziano il terrorismo, mentre gli altri riciclano danaro, cancellano utili e archiviano i bilanci. Perché è stata inventata la parola "Paradiso Fiscale" e com'è possibile che nessun governo non abbia mai condannato questi Stati, non li abbia mai isolato e imposto un embargo? Al contrario, è stata isolata la Serbia per non aver consegnato Karadzic. Per tanto tempo, ci hanno fatto credere che in Venezuela esiste un clima di dittatura, una tesi smentita dal fatto che Chavez è stato sconfitto ad un referendum per la riforma Costituzionale.

Questa è la disinformazione, e ci chiediamo perché Cossiga , invece di parlarci della Cia e del Mossad, non ci spiega perché i Paradisi fiscali non sono essi degli Stati canaglia. Tutto il marcio di centinaia di multinazionali si racchiude, spesso, in un isolotto del Pacifico, all'interno di una server room. Perché allora, invece di bombardare l'Iraq, non hanno deciso di attaccare i paradisi fiscali, dove viene riciclato il danaro sporco che serve a finanziare il terrorismo? Abbiamo così preferito massacrare la popolazione irakena, inneggiare alla guerra sanguinaria di liberazione per il ritrovamento delle armi di distruzione di massa, abbiamo creato "le carte da poker" con i nemici irakeni, abbiamo costruito la grande sceneggiata per il ritrovamento di Saddam Hussein. Il risultato è che dopo dieci anni di guerra, cerchiamo ancora un nemico da combattere, per garantire il nostro benessere, come se fossimo condannati ad un eterno circolo vizioso.

03 dicembre 2007

La Russia avanza e l'America indietreggia


Abbiamo assistito ad un'altra domenica di elezioni, anche queste segnate dalla disinformazione e dalla speculazione dei media. La Russia va al voto per il rinnovo della Duma con circa il 60% di affluenza, confermando pienamente la fiducia al suo Presidente, con il 65% dei voti, sfatando così i miti della astensionismo elettorale e dell'esistenza del movimento anti-Putin. Dopo che Mosca ha rifiutato la presenza degli osservatori dell'OCSE per vigilare sulle elezioni, è entrata in azione la propaganda per denunciare irregolarità e brogli. Giornalisti di fama internazionale, che lanciano sentenze e veleni, sono in realtà dei pappagalli - quelli che gli ebrei chiamano "argentur" - perchè "ripetono senza sapere cosa dicono", vanno in terre straniere, soprattutto quelle dell'est, presentandosi come delle istituzioni, ma sono sempre degli "stranieri". Sono elementi completamente estranei, non conoscono nulla della cultura e della società in cui vivono, e, pur di conquistare qualche pagina, sono disposti a dire qualsiasi cosa, fomentando la disinformazione. Leonardo Coen, inviato di Repubblica, definisce Putin come uno "Zar di Russia" , amplificando le notizie e parlando di democrazia, per dare così l'idea che si stia formando a Mosca un regime dittatoriale. Desideriamo dunque sapere da Leonardo Coen quale Paese europeo esercita la democrazia, spiegando quale ruolo hanno le Commissioni della Comunità Europea e quale invece il Parlamento Europeo zittito dai veti dei Commissari. Qual è dunque il ruolo dei grandi inviati di guerra, quando vengono sequestrati, lasciando sul debito pubblico il peso del pagamento del riscatto, mentre il giornale si arricchisce con le pubblicità dei soci, dei padroni, dei baroni e dei professori.
Questi stessi giornalisti, che definiscono le elezioni in Russia come "antidemocratiche", si sono affrettati ad annunciare la vittoria di Hashim Thaci in Kosovo. E proprio lì, dove il monitoraggio delle elezioni era affidato agli Osservatori dell'OCSE, alla Kfor, alla Umnik , e poi a tutti i giornalisti occidentali e alle Associazioni finanziate dalle grandi fondazioni, sono stati riscontrate delle forti irregolarità e brogli elettorali. Nonostante molte delle autorità locali avevano avvisato la comunità internazionale del rischio di brogli, nessuno ha ascoltato e nessun media ha sollevato il dubbio una volta chiuse le urne. Fatto sta che, nel Kosovo "strettamente monitorato", occorre ripetere le elezioni per ben 31 circoscrizioni: una notizia questa che è rimasta completamente all'oscuro dei media. Ci chiediamo, dunque, come sia possibile che la situazione sia sfuggita al loro controllo, nonostante sia stata garantita una sicurezza al 101%, considerando che il kosovari e i serbi non possono azzardare alcuna mossa senza il permesso degli "osservatori atlantici".
Oggi si cerca di contestare il risultato della Russia, ma conosciamo bene le elezioni democratiche dell'Occidente, dove non esiste mai un vero vincitore senza il colpo di scena finale. Non dimentichiamo cosa è accaduto alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2001, quando, tra polemiche e forti dubbi, George Bush si proclama vincitore dinanzi agli occhi del mondo intero. Quello che non tutti sanno è che quattro delle maggiori testate giornalistiche internazionali, hanno effettuato, a loro spese, il riconteggio delle schede elettorali, scoprendo una sconcertante verità. L'11 settembre del 2001 , i quattro grandi media si preparavano a dare l'annuncio mondiale che Bush era stato sconfitto da Al Gore, e che non era il legittimo Presidente degli Stati Uniti. Una notizia questa che avrebbe sconvolto l'America, cambiando anche il destino dell'equilibrio mondiale, considerando che la famiglia guerrafondaia dei Bush avrebbe perso la credibilità e la leadership del Governo statunitense. Tuttavia, un altro evento scosse l'attenzione dei media, qualcosa dei ben più incredibile e sconvolgente che ha consolidato ancora di più la posizione di George Bush: un attentato da parte di fantomatici dirottatori di Al qaida che hanno distrutto due grattacieli in acciaio e cemento. Non a caso, pochi mesi dopo, una ricostruzione dei fatti ha dimostrato che si è trattato una demolizione controllata. Sorge, a questo punto, il dubbio che non esistano le coincidenze, che nulla è stato lasciato al caso, e, soprattutto, che è stato realizzato negli Stati Uniti qualcosa in cui tutti fino ad allora avevano fallito. È stata creata la prima dittatura invisibile della storia, basata sulla disinformazione e sulla paura, senza che nessuno se sia accorto. Nasce Al Qaida, il terrorismo, da combattere con la guerra perpetua, il controllo della massa, l'accentramento dei poteri nelle mani di pochi: puro totalitarismo. L'attacco all'America è stato così organizzato da chi voleva la guerra, perchè non ha avuto il coraggio di ammettere la propria sconfitta dinanzi alla sua gente, nonostante i grandi mezzi e la potenza che da sempre vanta.

I demiurghi di questo assurdo piano, sono divenuti ambasciatori di pace, profeti della democrazia ed esportatori di civiltà. La loro presenza in ogni Stato è divenuto un diritto, una pretesa da rispettare se non si vuole divenire un "paese canaglia" o anti-democratico. Nessuno invece dice che coloro che rappresentano la democrazia sono il ritratto del "fallimento" delle Carte costituzionali e di ogni principio democratico. Basti pensare che l'Italia ha al momento un governo che si basa sui voti degli Italiani nel Mondo, e potrebbe essere dichiarato illegittimo da un momento all'altro, se si andassero a ricontrollare tutte le schede elettorali. Ricordiamo infatti i video che dimostrano la manipolazione delle schede, per non parlare dei conteggi del Quirinale, e la continua rinegoziazione della fiducia al Governo. Non sono questi dunque gli esempi autorevoli di democrazia, non sono questi gli "osservatori" che possono giudicare o dettare legge nei confronti degli altri Stati. Non dimentichiamo che i nostri politici hanno svenduto il patrimonio statale promulgando dei decreti ministeriali, hanno patteggiato con gli Stati Uniti l'utilizzo del territorio italiano da parte degli Inglesi e degli Americani. Il marcio è dentro i nostri stessi governi, e per trovare corruzione e dittatura non occorre cercare molto lontano, cercando in Russia, in Ucraina o in Kosovo, qualcosa che già esiste ed è ovunque.
Noi tutti della Tela vorremmo fare i migliori auguri al Presidente Vladimir Putin, un uomo che è stato in grado di portare avanti un progetto unico nel suo genere, e di riconquistare l'onore e la credibilità che era stata sottratta alla Russia. La Russia ha ritrovato la sua strada, e oggi è temuta e rispettata, perchè quel servizio segreto Ortodosso è oggi rinato e ha creato una forte dissidenza che sarà il vero ago della bilancia dei poteri in Europa.