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14 dicembre 2007

Mifid e Sepa mettono a rischio il credito cooperativo


Mentre il vertice di Lisbona proclama l'Europa degli Stati, presso le Banche Centrali e le Associazioni bancarie si accendono i riflettori sulla Sepa e sul Mifid, le Costituzioni dell'Europa dei Banchieri. Sorge il pericolo per le realtà locali bancarie, che rischiano di perdersi nei circuiti sovranazionali.

"Le banche italiane pronte per la SEPA, al via l'area unica dei pagamenti in euro" . Questo è l'oggetto dell'Intervento del Direttore Generale Fabrizio Saccomanni tenutosi presso l'Assemblea dell'ABI lo scorso 12 dicembre. "La realizzazione della SEPA rappresenta il necessario complemento dell'introduzione della moneta unica e del processo di integrazione finanziaria europea", afferma Saccomanni. Il sistema bancario nazionale, proprio come è avvenuto con il passaggio all'euro, dovrà predisporre tutti i meccanismi di raccordo tra le istituzioni e riformulare tutte le procedure e i tempi della migrazione dei sistemi e degli strumenti nazionali in relazione ai nuovi standard europei. La SEPA, sistema dei pagamenti dell'area euro, coordinerà i movimenti bancari e finanziari dei Paesi membri e introdurrà i nuovi meccanismi paneuropei, che consentirà la realizzazione di trasferimenti transnazionali superando le problematiche legate ai tempi per la disponibilità e alla compatibilità dei sistemi recettivi. Rappresenta, così, la logica continuazione dell'euro, mentre il Mifid è l'evoluzione finale del sistema dei regolamenti europei. Cessa di esistere l'obbligo di concentrazione degli scambi, mentre l'intermediario diventa istituzione all'interno dei singoli mercati: questi dovrà garantire sempre "la miglior soluzione" all'investitore, in quale dovrà accettare il rischio e la responsabilità dell'investimento. Passano in secondo piano le Banche Centrali come organi di vigilanza, mentre vengono eletti ad istituzione le Associazioni di Consumatori, che avranno nella "class action" il sistema di difesa per eccellenza dei risparmiatori e degli investitori. Nuove infrastrutture, nuovi canali, nuovi operatori, ma soprattutto nuove logiche di governance degli istituti bancari che, da operazioni di organizzazione "nazionale", si trasformeranno in politiche globali e stransnazionali. Ecco che i circuiti bancari, valutari e borsistici avranno la loro perfetta dimensione nelle piattaforme internazionali, gestite da società private specializzate.
Occorre osservare che, quando si parla di riforma della governance del sistema bancario, non ci si riferisce solo ai gruppi bancari commerciali, organizzati secondo una struttura piramidale, bensì a tutta la costellazione delle banche che costituiscono il tessuto economico. In un'economia come quella italiana esiste una vera multinazionale bancaria, che è il Network del credito cooperativo, che al momento sono dei "piccoli colossi nelle aree territoriali" in virtù della continuità del supporto alle piccole e medie imprese. Il loro mercato si amplia non solo in maniera orizzontale, con nuove adesioni e accorpamenti, ma anche in maniera verticale, perché è riuscito a dare un maggiore sostegno organizzativo e produttivo alle imprese, che hanno trovato così nella Banca cooperativa uno strumento "solidale" di sviluppo. Questo successo è da attribuire proprio alle mille sfumature che riesce ad assumere il rapporto banca-impresa, in grado di cogliere le esigenze e i problemi individuali e di trovare una giusta soluzione, nei limiti della sostenibilità e degli standard bancari. La caratteristica più interessante e particolare del credito cooperativo è proprio la sua anormalità rispetto alla standardizzazione delle politiche di credito imposte dai gruppi bancari.

Tale peculiarità, vista nell'ottica del Mifid e della stessa Basilea 2, sono dei "bug", delle distorsioni che vanno corrette per far sì che l'intero sistema sia perfettamente coordinato. "Permane la difficoltà di assicurare una conduzione unitaria e condivisa delle iniziative di sistema. Stenta ad affermarsi una visione strategica". Queste le parole di Saccomanni, che si fa interprete della linea politica della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea che dovranno applicare la direttiva MIFID. Infatti, secondo Saccomanni, le piccole e medie imprese sono una realtà troppo complessa da essere affrontata con i mezzi "poco organizzati" del credito cooperativo, e per tale motivo occorre una coordinazione a livello nazionale e sovranazionale delle politiche della concessione del credito e dei prestiti. Primo tra tutti è l'esigenza di riqualificare la “rete di sicurezza” del credito cooperativo, considerando che le iniziative di "Federcasse" e delle "Federazioni locali" per la gestione dei rischi delle banche associate - come il Fondo di Garanzia dei Depositanti e il Fondo di Garanzia degli Obbligazionisti del credito cooperativo - sembrano non essere adeguati. Sebbene siano progetti interessanti, a parere della Banca d'Italia, peccano di rigidità e burocrazia dettata dai vincoli della Federazione, e soprattutto non rispondono agli standard di Basilea 2 e del Mifid.

Le banche di credito cooperativo, al pari delle banche popolari, non sono state ancora interessate dalla riforma del diritto societario, che andrebbe ad intaccare i principi portanti del voto capitario, in base al quale ciascun socio, a prescindere dal numero e dal valore delle azioni detenute, dispone di un solo voto ; del limite al possesso di azioni della banca, secondo cui nessun socio può detenere azioni in misura superiore allo 0,50% del capitale sociale; della previsione di un numero minimo di soci, che non può essere inferiore a duecento ; e dell'istituto del gradimento, per cui il consiglio di amministrazione può rigettare la domanda di ammissione a socio. Vi è in atto infatti una lunga discussione che cerca di impedire la possibilità di trasformare le banche popolari quotate nei mercati regolamentati in società per azioni di diritto speciale, consentendo all'autonomia statutaria di fissare limiti al possesso azionario, al voto proporzionale e alle deleghe di voto. Tra le proposte di legge presentate nel corso della XIV legislatura in materia di riforma delle banche popolari si cerca di eliminare proprio la limitazione al diritto di voto dei soci, il voto capitario e la clausola di gradimento, che, stando agli esperti, "rappresenterebbero un disincentivo all’investimento nelle banche stesse", dimenticando invece che rappresentano questi degli strumento di democrazia economica in stretto rapporto con il territorio e al servizio delle famiglie e delle piccole e medie imprese. Per tale questione, la Commissione europea ha anche avviato il primo stadio della procedura d’infrazione con l’Italia in materia di banche popolari, la cui normativa risulterebbe essere contraria alla libertà di circolazione dei capitali, e sarebbe discriminante per gli investitori esteri che volessero divenire azionisti una banca cooperativa. L'Italia al momento è riuscita a difendere e a proteggere la legge sulle Banche Popolari e il credito cooperativo, ma non sappiamo ancora per quanto si riuscirà a resistere alle pressioni della Commissione Europea, soprattutto in vista dell'attuazione della normativa del MIFID. Il credito cooperativo, dunque, sebbene non sarà ancora interessato da una riforma della base legislativa e regolamentare, sarà riformato dal punto di vista organizzativo interno, agendo sulla struttura telematica del Network, al fine di controllare le politiche di credito decise dai singoli Istituti.
Verrà dunque spezzato quello stretto legame banca-impresa, spesso interpersonale, che il credito cooperativo era riuscito a creare, in maniera tale da rastrellare dal mercato i capitali delle piccole imprese, che al momento sono le più difficili da controllare.
Queste, per la loro eterogeneità e diversità, rappresentano l'eccezione del prototipo "utente-consumatore", ma proprio per tal motivo è necessario uniformare innanzitutto le condizioni e i contratti del credito cooperativo.