Motore di ricerca

29 febbraio 2008

Banche e paradisi fiscali: vicina la grande tangentopoli


L'Europa sta ribollendo e resta carica di tensione , preparandosi al grande scandalo del fallimento dei paradisi fiscali e delle Banche che riuscirà così a scatenare l'ennesima tangentopoli per destabilizzare i centri di potere.

È da tempo ormai che la nostra organizzazione conduce una serie di inchieste che hanno portato alla luce una preziosa documentazione, grazie al sacrificio degli uomini della Tela. Documenti inediti e importantissimi, che hanno costretto governi e grandi società a prendere una posizione sulla loro veridicità, e così delle grandi Istituzioni hanno dovuto rispondere alle domande di una piccola organizzazione. Abbiamo parlato di collaterali, di derivati, di creazione di somme di danaro dal nulla per ricapitalizzare Banche e società, vi abbiamo mostrato il volto oscuro della crisi subprime e dei bonds emessi e venduti dai Brokers a nome di grandi fondi di investimenti e di gruppi bancari. Ma abbiamo anche annunciato la grande tangentopoli europea che porterà alla caduta di molte teste, per coprire grandi interessi e destabilizzare i centri di potere.

Ora i nodi vengono al pettine, e i danni sono talmente catastrofici che diventerà quasi impossibile nasconderli, e la prima ad essere colpita è stata proprio la UBS Bank, banca depositaria dei famosi titoli Petrobras dichiarati non validi dalla stessa società. Ebbene, ieri una rivolta degli azionisti nella UBS non è riuscita a chiedere una ispezione interna, e quindi adesso sarà un giudice a stabilirla, per verificare cosa nascondono nei loro archivi, in quei titoli. Si alza così la tensione intorno ai paradisi bancari ed europei, e scoppia il caso della "lista del Liechtenstein", dove gli inquirenti chiedono che venga consegnato l’elenco dei contribuenti italiani che hanno un conto bancario nel piccolo principato. C'è chi già ha urlato "Fuori i nomi", per rendere noto all'opinione pubblica, prima delle elezioni, i nomi dei politici italiani che avevano delle posizioni nel paradiso fiscale e bancario del Liechtenstein.Vengono già effettuati dei blitz da parte dei carabinieri per verificare la validità delle fideiussioni emesse dalla Banca di Roma, e ben presto ne sentiremo delle belle. Le televisioni e i paparazzi sono già pronti a fare i loro scoop da 4 soldi, a creare nuovi fenomeni mediatici su i Vip che hanno evaso le tasse, mentre man mano la tangentopoli andrà a logorare quella specie di classe politica che è sopravvissuta dopo l'ultima devastazione.

Un grande scandalo, dunque, che riuscirà così a scatenare una tangentopoli, per poi imporre alla riforma del Liechtenstein, che probabilmente servirà ai grandi affaristi per impossessarsi di una grande fetta delle banche del Principe e, subito dopo quelle di Montecarlo . L'Europa sta ora ribollendo, e presto vedremo come una serie di banche sarà costretta a dichiararsi fallita: tutto è deciso a tavolino ed è ormai in corsa, non lo si può più impedire. Le piccole banche saranno costrette a piegarsi e cambierà anche il sistema del credito per le piccole e medie imprese, per far posto all'economia dei grandi numeri. Tutto questo è la nostra economia basata sul riciclaggio di denaro, sui collaterali, e buoni del tesoro, sulle grandi somme di denaro che spostano capitali da un continente all'altro, creano capitalizzazioni, e poi fusioni, acquisizioni e ancora soldi inesistenti. La più grande contraddizione risiede proprio nel fatto che, i governi e le banche, per dare l'illusione di trasparenza e regolarità impone ai cittadini e alle piccole imprese, regole e procedure bancarie assurde. Così mentre le Banche realizzano transazioni per milioni di dollari e scambiano collaterali al portatore, un semplice cittadino deve riempire moduli su moduli, per poter ritirare i propri soldi, oppure gli viene vietato di usare denaro contante o di emettere assegni.

Sul mercato bancario vaga oggi, come mina vagante, un'enorme massa di titoli al portatore , e tra non molto miliardi di dollari verranno bruciati all'interno dei circuiti finanziari. Tutti richiamano alla calma, alla stabilità, ma non possiamo più credere ai nostri politici, perché sono collusi con il sistema che sta crollando sotto gli occhi di tutti, negando l'evidenze, nascondendo la verità, calpestando tutte le leggi. Saremo curiosi di sapere chi avrà il coraggio di condannare quelle banche in fallimento, chi avrà il coraggio di entrare nei loro archivi, e quale politico sarà capace veramente di dire "i nomi" , e di andare fino in fondo, per non lasciare da solo chi è passato dall'altra parte della barricata e accogliere i più deboli e far fuggire i grandi. Nessuno si alzerà per condannare l'etnocidio italiano dei mutui.
Lo scempio che si sta consumando sulla pelle degli italiani non ha nessun paragone nella storia. Nel nostro Paese, le serrande degli imprenditori si stanno chiudendo, mentre i tribunali non si schierano mai accanto al cittadino, al piccolo risparmiatore, mentre i Governi emanano leggi "salva banche", leggine che servono solo a salvare il salvabile, e lasciare tutto nelle mani di pochi. In fondo siamo falliti un po' tutti, perchè, mentre i nostri Stati crollano, siamo troppo impegnati a creare un nemico inesistente. E così abbiamo creato delle missioni di pace, delle campagne militari per esportare pace: i nostri militari sono diventati dei criminali, usano la guerra per guadagnare denaro. Come possiamo essere eserciti di pace, se non abbiamo una risorsa energetica, come possiamo dire che siamo un potenza mondiale se nella nostra stessa terra non siamo cittadini. Siamo divisi, combattiamo uno contro l' altro, siamo pieni di odio, siamo egoisti perchè crediamo di essere migliore dell'altro, ed è lì che gli invisibili agiscono e ci sfruttano.

28 febbraio 2008

L'Italia ostaggio delle Banche


Il progressivo impoverimento dei cittadini italiani è un fenomeno che sta prendendo sempre più piede nella nostra economia. La perdita del potere d'acquisto dei salari, a causa dell'inflazione e del rincaro dei prezzi, non è tuttavia la sola causa che ha spinto a livelli di "sopravvivenza" i cittadini italiani. Il nostro sistema economico è infatti ostaggio di una dittatura bancaria che riversa sulla vita dei cittadini le loro perdite e le speculazioni disastrose, con raggiri e inganni che nascondono il marcio che cova tra le Banche.

Analizzando in maniera più approfondita la lobby bancaria italiana, scopriamo che quanto più caos e deficit vi è, maggiormente le Banche diventano padrone del sistema economico e della vita dei cittadini. Scatta infatti la trappola dell'usura, che si accresce utili e ricchezza consumando linfa vitale dai problemi e dalle difficoltà delle piccole imprese, i piccoli risparmiatori. Vi sono infatti dei processi in atto che permettono alle Banche di guadagnare enormi somme di danaro proponendo titoli ed investimenti fallimentari in partenza e venduti come grandi affari.
Quanto è accaduto con lo scandalo dei Bond Argentini ne è un chiaro esempio. Allora, grandi Banche attraverso i loro brokers e intermediari, hanno venduto titoli di debito argentini pur sapendo che tutto stava crollando: gli Istituti di credito non hanno potuto mai negare di non essere a conoscenza del crack argentino che avrebbe portato al fallimento dello Stato. Tuttavia, continuarono a chiudere investimenti, apponendo in molti casi sui documenti di "consapevolezza del rischio dell'operazione" firme false. In questo modo le Banche sono riuscite a rubare i risparmi di piccoli investitori che, in buona fede, hanno investito in vere e proprie truffe orchestrate dalle stesse banche. L'esempio che vi proponiamo in questo testo è una storia realmente accaduta, portata alla nostra attenzione da un piccolo imprenditore, membro della Tela, che da anni sta combattendo contro le Banche per impedire il saccheggio delle proprie proprietà. Una storia che mostra non solo il potere incontrastato delle Banche, che possono ottenere ciò che vogliono usando ogni tipo di mezzo, ma anche la manipolazione del sistema giudiziario, che diventa uno strumento nella mani del potere bancario contro i singoli cittadini.

Il nostro piccolo imprenditore detiene da circa 14 anni un piccolo casa in Toscana, e da un anno, la Banca ha acceso un'ipoteca di primo grado nei confronti di un suo affine per un ammontare di circa 350.000€ in maniera completamente arbitraria. In altre parole, vi sono prove certe ed inconfutabili che l'ipotetico mutuatario non ha mai apposto nessuna firma di garanzia in favore di terzi, tale che i documenti di sottoscrizione del mutuo possono dirsi assolutamente falsi. Anzi, in un confronto che si è tenuto presso la sede generale della Banca, in presenze di funzionari dirigenti e dei rispettivi legali, lo stesso impiegato che si è occupato della pratica ha affermato "di non aver mai visto l'intestatario del mutuo" e che "le firme apposte sui documenti in possesso della Banca non appartengono al soggetto". Nonostante questa inconfutabile verità, l'ipoteca è un atto che è ancora all'esame della Procura , e il Giudice non ha ancora preso una decisione in merito. Tutto questo è accaduto perché l'impiegato della Banca ha affermato che l'imprenditore - proprietario della villa ipotecata - aveva affermato che avrebbe portato con sé una persona per chiudere l'ipoteca, spacciandola per un suo parente (quello che poi è divenuto mutuatario), presso la sede di una società privata industriale. Questa persona, sempre a dire dell'impiegata della Banca, avrebbe apposto le firme di garanzia sullo scoperto che aveva la società nei confronti della Banca. Teniamo a precisare che nessuno dei membri della famiglia dell'imprenditore ha mai percepito soldi da questa società, e che tutti documenti in mano alla banca e depositati presso la magistratura , sono assolutamente falsi, per stessa ammissione dell'impiegato della banca.

Come può dunque accadere che un Tribunale, in possesso di tutti le prove necessarie per annullare l'ipoteca e condannare la Banca non prende una decisione? È chiaro che il potere delle Banche è molto più forte di quello della giustizia, dei diritti dei cittadini e dell'autorevolezza dello Stato. Immaginate, quindi cosa potrebbe accadere se l'imprenditore si vedesse imporre un'ipoteca sull'unica casa di proprietà in suo possesso. Potrebbe perdere innanzitutto ogni tipo di garanzia bancaria per la propria attività di impresa, avendo già un'ipoteca accesa a suo carico, e mentre segue le assurde vicende giudiziarie, spendendo soldi e tempo, subirebbe ancora maggiori danni per la perdita di opportunità, per danni morali ed economici. Basta infatti che un funzionario, per coprire le esposizioni dei propri clienti che non sono giustificate, prepari un dossier su un cittadino qualunque che ha una proprietà in grado di garantire il debito. Avendo accesso, mediante le centrali di rischio bancarie ad ogni tipo di dato riguardante i cittadini, il nostro funzionario può falsificare documenti e avviare delle pratiche nella totale inconsapevolezza dei cittadini. Invitiamo dunque tutti i cittadini a prestare molta attenzione ai funzionari bancari che possono in qualsiasi momento manipolarti per coprire interessi più forti. Questo ormai accade perché tutti i sistemi di controllo sono effettivamente saltati e le Banche, in questo caso la fanno da padrona sempre più spudoratamente.
Oggi è possibile controllare e tracciare transazioni da poche centinaia di euro, compilando moduli per l'anti-riciclaggio, ma non esiste alcun tipo di vigilanza sulla protezione dei dati sensibili dei cittadini e sulle manovre dei singoli funzionari, che agiscono così come cellule impazzite all'interno del sistema bancario, rimanendo sempre sotto il controllo della dirigenza bancaria. Gli organi di controllo sono ormai organi di proprietà delle stesse Banche, come la Banca d'Italia, posseduta dalle fondazioni bancarie che di regola dovrebbero essere controllate. Dunque, qualsiasi politica di risanamento del Paese si faccia, non arriverà mai a regolamentare il mercato bancario per imporre un sistema di controllo dei flussi di denaro presso i grandi gruppi. Ormai, tutto è concentrato nelle mani dei gruppi bancari e le Banche sono le vere proprietarie di tutte le più importanti aziende italiane. Allo stesso tempo, sono anche proprietarie del sistema giudiziario, un organo che dovrebbe essere al di sopra delle parti.

27 febbraio 2008

Balcani: il punto cieco del sistema economico occidentale


Il dollaro tocca i suoi minimi storici, mentre il petrolio sfiora record mai raggiunti, mentre l'OPEC propone di passare all'euro e abbandondare definitivamente la moneta statunitense. In tutto questo lo stravolgimento dei Balcani è assolutamente necessario sia all'Europa che agli Stati Uniti per riaffermare la loro egemonia geopolitica, prima che il mercato finanziario li abbondoni del tutto.

I rincari del prezzo del petrolio sembrano non cessare più, e dopo aver raggiunto il record assoluto storico dei 101,70 dollari si attesta al nuovo record di 102,08 dollari sul mercato di New York. Un'escalation che segue di pari passi la svalutazione del dollaro, che per la prima volta nella storia, è arrivata a 1,5057 dollari. Le premesse sono alquanto critiche, al punto che l'OPEC potrebbe presto abbandonare il dollaro per scegliere l'euro come moneta ufficiale di scambio, a partire dalla prossima consegna del Middle East Economic Digest (MEED). L'annuncio è stato fatto dall'attuale segretario generale dell'OPEC, il libico Abdallah al Badri, riportato dall'agenzia britannico Reuters, ed ha avuto subito evidenti conseguenze: fissare in euro il prezzo del petrolio attirerebbe sulla moneta europea una tale massa di capitali che decreterebbe la totale svalutazione del dollaro. D'altro canto, la sola dichiarazione di Abdallah Badri, ha accelerato la rimonta dell'euro sino a 1,48 dollari, per giungere poi a sfiorare il suo massimo storico. L'accentramento dei capitali sulla zona euro, porterà alle stelle la percentuale di inflazione e le stesse operazioni speculative, oltre a capovolgere di fatto il baricentro del sistema finanziario e petrolifero.

È chiaro che il controllo del petrolio, e così delle pipeline e delle contrattazioni, rischia di passare nelle mani dell'Europa, sulla scia di una "bolla monetaria" che sta portando l'euro a livelli storici mai toccati. Parliamo di "bolla monetaria" in quanto questi rialzi, improvvisi e a ritmi così sostenuti, sono innaturali e dettati da manovre speculative che causano un eccessivo scambio di moneta virtuale: uno shock esogeno, come il ribasso delle borse asiatiche, avrebbe un impatto sui mercati finanziari europei amplificati, bruciando una maggiore massa monetaria a causa dell'elevata volatilità. Si può inoltre parlare di bolla monetaria, in quanto, in questo momento, l'euro è solo lo specchio del fallimento del dollaro, perché cresce e si rafforza solo in funzione dell'indebolimento di un'alta moneta, e non perché la sua economia si espande e diventa meta di investimenti esteri. Al contrario, l'Unione Europea si sta allargando sempre di più al fine di trarre un vantaggio economico nello sfruttamento delle economie emergenti dell'Europa Orientale, e degli Stati "cuscinetto" rispetto alla Russia. Per tale motivo assistiamo all'evoluzione del "nuovo sistema Europa" che sta agendo anche come "entità politica" sovranazionale, cercando di porsi al di sopra delle Nazioni Unite. Ci riferiamo ovviamente a quanto sta accadendo nei Balcani, dove la Repubblica della Serbia viene aggredita per creare al suo interno un protettorato euro-atlantico, o meglio un vero e proprio Stato "apolide". Il Kosovo si presta a divenire l'ennesimo stato fantoccio attraverso il quale far transitare traffici illeciti ed operazioni di riciclaggio di denaro sotto la stretta sorveglianza delle entità economiche europee e statunitensi, come affermato dallo stesso Rappresentante russo presso la Nato Dmitri Rogozin.

Nei Balcani oggi si sta giocando non solo una partita politica tra le forze occidentali e quelle russe, ma anche uno scontro economico, in quanto i progetti dei gasdotti europei passano proprio attraverso la sfera politica. Infatti, mentre l'Europa annuncia il dispiegamento della Eulex nel Nord del Kosovo, la Serbia rafforza la collaborazione economico-energetica con la Russia, ratificando l'accordo tra Gazprom e la NIS per la realizzazione del tratto serbo del South Stream. Secondo il portavoce di Gazprom Sergei Kouprianov, la costruzione del gasdotto verrà terminata nel 2012 ed il South Stream sarà messo in servizio in 2013, esattamente quando entrerà in funzione il progetto Nabucco. L'antagonismo tra i due progetti viene tuttavia compromessa dalla constatazione della stretta dipendenza degli Stati europei che dovrebbero costruire il Nabucco rispetto ai rifornimenti della Russia. Così, nella giornata di lunedì il Primo Ministero ungherese Ferenc Gyurcsany firma un accordo con le controparti russe affermando che i due progetti non si escluderebbero tra di loro e che vi sono tutte le condizioni per creare una joint-venture per la costruzione del troncone ungherese del gasdotto South Stream. Allo stesso tempo, Kouprianov ha annunciato che Gazprom sarebbe ormai disposto a studiare tutte le proposte di partecipazione al gasdotto Nabucco, "sebbene non veda ancora l'utilità economica di questo progetto al quale manca una reale base di risorse". Infatti, sebbene l'euro cresca rapidamente, l'Unione Europea non è ancora riuscita ad assicurarsi una fonte di energia adeguata per sostenere in eguale modo la sua economia.

Qualsiasi tentativo di risolvere l'empasse, viene invalidato dalla Russia che muove le sue pedine "diplomatiche" ed energetiche per chiudere l'Europa su se stessa. È un circolo vizioso che sembra non avere fine e rischia di divenire assurdo. Consideriamo infatti che Gazprom controlla il 70% dei rifornimenti di gas che giungono in Europa attraverso i suoi gasdotti, e che si sta muovendo per sabotare pian piano tutti i progetti che riescano a bypassare la Russia. È giunta così in Serbia, in virtù di un tacito accordo Mosca-Belgrado che concede il passaggio dei gasdotti a fronte del sostegno in sede del Consiglio di Sicurezza dell'ONU contro la proclamazione del Kosovo. Ben presto giungerà anche in Georgia, considerando che il Cremlino sta ora appoggiando le richieste dell'ex-repubbliche secessioniste sovietiche dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud per ottenere l'indipendenza dallo Stato georgiano e l'annessione alla Russia. Una mossa strategica che darebbe alla Gazprom un trampolino di lancio per stabilire l'ennesimo collegamento tra Mar Caspio e Mar Nero e fare concorrenza alla pipeline anglo-turca-americana , Bakou-Tblissi-Ceyan, che aggira la Russia.
Non dimentichiamo infine il Kosovo, che, pur non avendo risorse petrolifere, è un tassello importante per questo complicato rebus geopolitico. Stiamo assistendo infatti alla militarizzazione del territorio kosovaro da parte degli Stati Uniti che, nel giugno del 1999, dopo il bombardamento della Jugoslavia, hanno occupato un terreno di 1,000 acri nel Kosovo del sud-est ad Urosevic, vicino il confine macedone, e hanno costruito il Campo Bondsteel, la più grande base militare degli Stati Uniti fin dalla guerra in Vietnam. La base militare di Bondsteel è, inoltre estremamente importante per proteggere uno dei più importanti corridoi di collegamento tra l'Occidente e l'Oriente, in cui il gasdotto AMBO - il gasdotto trans-balcanico che instraderà il gas del mar Caspio - sarà il principale baricentro.

Non vi è dubbio, dunque, che lo stravolgimento dei Balcani è assolutamente necessario sia all'Europa che agli Stati Uniti per riaffermare la loro egemonia geopolitica, prima che il mercato finanziario li abbondoni del tutto. La Comunità Europea, le commissioni e i comitati di esperti, nonché gli Stati Uniti con il suo braccio armato, hanno dato vita ad un precedente catastrofico al solo scopo di proteggere i propri interessi, il proprio sistema politico ed economico ormai in completo fallimento.

26 febbraio 2008

In Kosovo, lo scontro tra Russia e Stati Uniti


Diventa sempre più acceso lo scontro tra Mosca e Washington sull'indipendenza del Kosovo. Dopo le proteste della popolazione serba contro le pressioni provenienti dalla comunità internazionale, giungono le prime reazioni che fanno dei Balcani la nuova terra di scontro di Russia e Occidente. Alle intimidazioni provenienti dal Rappresentante della Unione Europea Javier Solana e dall'ambasciatore americano dell'ONU Zalmay Khalilzad, risponde Dmitri Rogozin, rappresentante permanente della Russia vicino alla NATO, Sergei Lavrov e lo stesso Vladimir Putin.

Le parole del Presidente Putin sono state taglienti e decise, e hanno messo in guardia l'Occidente sulle gravi e imprevedibili conseguenze che il riconoscimento dello Stato del Kosovo potrebbe avere al sistema delle relazioni internazionali . "Il precedente del Kosovo è un precedente inquietante che peggiora l'insieme del sistema delle relazioni internazionali, creato durante i secoli - dichiara Putin al vertice della Comunità degli Stati indipendenti - può provocare una reazione a catena di avvenimenti imprevedibili". Un impatto, tuttavia, che non viene considerato da quegli Stati che riconoscono l'indipendenza del Kosovo, e non sono coscienti delle conseguenze dei loro atti, come osservato dal Presidente russo. "In fin dei conti, è un'arma a doppio taglio che potrebbe ritorcersi contro di essi da un giorno o l'altro".
Al monito di Putin, si è affiancato quello di Dmitri Rogozin, rappresentante permanente della Russia vicino alla NATO, che, in seguito alla decisione delle truppe della Kfor di chiudere i confini settentrionali del Kosovo per impedire l'ingresso di funzionari serbi, ricorda che "in nessun caso la NATO può fare della politica" e deve agire "mantenendo una posizione neutrale". Rogozin avverte, inoltre, che "l'evoluzione del dialogo tra la Russia e la NATO potrebbe essere abbastanza drammatica", senza nascondere la possibilità di un intervento armato qualora l'Unione Europea adotti una posizione uniforme sul riconoscimento del Kosovo e la Nato oltrepassi il suo mandato in Kosovo. "Il processo del riconoscimento dell'indipendenza unilaterale della provincia del Kosovo è probabilmente finanziato dai soldi del traffico di droga", dichiara Rogozin aggiungendo che il Kosovo è diventato non solo una base per il commercio della droga in Europa, "ma anche un laboratorio di massa", considerando che "le enormi somme di danaro potrebbero essere usate per scopi politici per sostenere l'indipendenza del Kosovo", magari "comprando semplicemente" certi politici europei. Rogozin minaccia, dunque, che se queste informazioni si dimostreranno corrette, "non è da escludere che ci sarà uno scandalo politico sulla corruzione di uomini di governo con i soldi della droga". Uno scenario non così tanto assurdo, visto che "quando delle forze estremistiche salgono al potere, bisogna sempre cercare i soldi sporchi" - dichiara Rogozin - " e i soldi sporchi arrivano in Europa soprattutto mediante il traffico di droga".

Le minacce di Rogozin non cadranno certo nel vuoto, e lasciando il dubbio che le intelligences, appartenenti ai servizi segreti ortodossi, siano già in azione per scatenare contro i governi europei, una grande tangentopoli. La strategia di Mosca, determinata a bloccare il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, potrebbe giocare, dunque, principalmente su minacce trasversali, colpendo l'Europa e l'America in punti nevralgici, oppure sfruttando i movimenti indipendentisti e secessionisti a proprio vantaggio. Prima di ogni cosa, la Russia potrebbe far leva sul sostegno dell'indipendenza dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud, ex-repubbliche sovietiche, le quali dopo aver acquisito il loro diritto all'autodeterminazione potrebbero di seguito far richiesta per l'annessione alla Russia. Allo stesso modo, Mosca si dichiara pronta a sostenere l'indipendenza dei serbi del Kosovo che non desidera vivere in una provincia indipendente, e contemporaneamente "non permetterà il riconoscimento internazionale" del Kosovo.
La Russia, imponendo il suo diritto di veto, renderà impraticabile ogni tentativo del Consiglio della Sicurezza dell'ONU di riconoscere il Kosovo, e coopererà con tutti gli Stati che si oppongono all'indipendenza. Tale presa di posizione da parte del Cremlino è ormai necessaria, nonché inevitabile, considerando la grande vicinanza con il Governo di Belgrado, e l'intenzione di bloccare l'avanzata degli Stati Uniti all'interno dei Balcani con un'aggressione verso la sovranità della Serbia.La Russia non può permettere, infatti, che gli Stati Uniti avanzino nel cuore dei Balcani, insediando le proprie basi militari all'interno di una regione circondata dal territorio serbo, e in uno Stato che è da sempre vicino alla Russia. Sono stati già predisposti i piani di costruzione dell'enorme base militare statunitense di Bondsteel, vicino Urosevac, facendo così del Kosovo una piattaforma di riferimento per gli Stati Uniti che avranno accesso all'Europa orientale, e all'Asia centrale.

Non bisogna, infine, trascurare l'aspetto economico-energetico della crisi del Kosovo, che vede, ancora una volta, le due potenze scontrarsi per garantirsi il controllo delle vie di sbocco dei mercati energetici. Ricordiamo infatti che il Kosovo non ha petrolio ma la sua ubicazione è strategica rispetto alla pipeline trans-balcanica, il cosiddetto gasdotto AMBO, che si potrà collegare alla base militare di Bondsteel. Il consorzio di diritto statunitense Albanian Macedonian Bulgarian Oil Corporation che instraderà il petrolio del Mar Caspio dal porto di Burgas, attraversando la Macedonia, sino al porto di Valona, per essere poi immesso sul mercato europeo, e in particolare verso Rotterdam e la costa orientale degli Stati Uniti. Quando la pipeline AMBO diventerà operativa entro il 2011, diventerà parte del corridoio Est-Ovest critico per la regione, includendo autostrade, ferrovie, gasdotti e fibre ottiche per le telecomunicazioni.
Un tale progetto non può che divenire in contrasto con l'altrettanto ambizioso progetto russo del South Stream che utilizzerà il territorio serbo per instradare verso l'Europa il petrolio del Mar Caspio, proprio grazie all'accordo firmato nella giornata di oggi in forza del quale verrà creata una joint venture serbo-russa per costruire il tratto parte della conduttura del gasdotto che transita attraverso la Serbia per oltre 400 km e avrà una capacità di almeno 10 miliardi di metri cubi all'anno di gas. Il memorandum prevedrà anche la costruzione di un deposito di stoccaggio sotterraneo di gas presso Banatski Dvor, in Vojvodina, e l'acquisto il pacchetto di maggioranza della Società petrolifera serba Naftna Industria Srbije (NIS).
Non vi è alcun dubbio, dunque, che è proprio nei Balcani che si sta venendo a creare un terreno di scontro tra Russia e Stati Uniti, in nome di una guerra fredda che forse non è mai finita. La Serbia costituiva da tempo l'ultima resistenza alla colonizzazione totale dei Balcani da parte degli Stati Uniti e ora è stata colpita con un evidente violazione delle leggi internazionali e il tradimento da parte degli Stati Europei che tradiscono, per l'ennesima volta, un rapporto di fratellanza che dura da anni.

25 febbraio 2008

L'ultranazionalismo e la bandiera dell'ignoranza


La creazione del cosiddetto Stato del Kosovo comincia ad avere le prime catastrofiche conseguenze, che diventeranno sempre più evidenti man mano che l'effetto domino si estenderà dai Balcani agli Stati europei e dell'Asia centrale. La situazione che si sta venendo a creare rischia di sfociare nell'assurdo, nel caos completo e non basteranno le dichiarazioni di circostanza dei diplomatici statunitensi che affermano che "il Kosovo non rappresenta un precedente".

In ogni parte del mondo si sta sollevando una bandiera per chiedere l'indipendenza, la secessione e l'annessione ad altri Stati, di comunità che si definiscono "etnie" con il sovrano diritto di autodeterminazione dei popoli. Chi ha parlato di "Vaso di Pandora" non ha dato un'immagine tanto diversa dalla realtà, in quanto la crisi potrebbe degenerare al punto che si chiederà la revisione dei confini territoriali, per ridiscutere così secoli di Conferenze di pace, di guerre mondiali e di conflitti che hanno portato all'attuale configurazione dei continenti.
Nella totale confusione delle proteste e delle manifestazioni, comincia a diffondersi tra i media parole come "ultra-nazionalismo", che non hanno alcun significato in sé ma servono per classificare quei movimenti che vogliono opporsi al saccheggio degli Stati tramite l'indipendentismo, nel tentativo di difendere la propria integrità nazionale. E così che il pappagallismo si è riprodotto equamente tra i giornalisti, ripetendo questa parola senza una cognizione di causa, tale che tutti quelli che protestano in maniera dura sono definiti ultranazionalisti. Se chiedete ai giornalisti perchè hanno scritto questa parola, ognuno avrà motivazioni diverse, e proporrà una storia diversa.

In realtà questi termini servono per lo più a costruire nuovi nemici temporali. Esistono infatti delle strutture che elaborano e diffondono delle parole che sono in grado di manipolarci. Le informazioni e le notizie sono controllate da computer, che classificano in base a delle parole chiave ogni tipo di dato - estratto da articoli, libri, ricerche e pubblicazioni - per dar così vita a delle diverse tipologie di classi e di gruppi ideologici. Gli analisti utilizzeranno poi questi schemi prestabiliti, per cui la loro analisi viene elaborata su preconcetti stabiliti. Stiamo parlando di vere e proprie centrali di controlli linguistici, collegate ai centri di informazione, e gestite da grandi società di comunicazione che diventano dei veri e propri laboratori che creano parole per poi smistarle ai media. Questi faranno poi il resto, e come pappagalli ripeteranno quanto gli viene riferito, diffondendo la teoria del nemico. Oggi si parla facilmente di genocidi, di massacri, e di possibili attacchi proprio per tenere alta la tensione, mentre si carica eccessivamente di significato un episodio o la dichiarazione di un uomo politico, per accreditare una determinata tesi. Le parole che di volta in volta vengono introdotte per spiegare nuovi fenomeni, sono termini quasi inventati, frutto di studi ben collaudati. Ad ogni singolo evento, caratteristica sociale o situazione, viene attribuito un nome, e mentre la nostra società va verso una dimensione "cybernetica", considerata come un'evoluzione, costruiscono una realtà che è solo frutto della demagogia.
Non esistono tuttavia delle chiare leggi sui crimini economici, o mezzi legali per impedire la manipolazione delle parole e dei concetti al fine di incriminare il cittadino, e così per fare disinformazione. In questo modo, i grandi gruppi possono in qualsiasi momento cambiare le regole del gioco, senza che nessuno possa reagire, e nella perfetta normalità. Non dimentichiamo infatti che il sistema giuridico degli Stati viene concentrato sempre di più presso la Comunità Europea, costituita da una schiera di commissioni e nella quale i cittadini sono considerati dei semplici utenti.

Oggi vengono definiti nazionalisti tutti coloro che si oppongono alle cosiddette riforme, oppure ultranazionalisti quelli che chiedono il rispetto delle integrità territoriali. Stranamente, in tutti i popoli ci sono dei nazionalismi o degli ultranazionalismi, quasi a voler dire che ogni Stato sbaglia a prendere determinate posizione che sono contrarie "ai concetti prestabiliti". Guardando i reportage trasmessi in questi giorni dai media statunitensi o europei, quello che sta accadendo in Serbia o a Mitrovica viene definito come "scandaloso", e così anche i giornalisti si trasformano in attori che si meravigliano del fatto che la gente protesta e decide di assaltare le ambasciate. Per queste persone, sarebbe naturale che uno Stato accetti un'usurpazione del proprio territorio, dopo aver combattuto secoli di guerre per stabilizzare i propri confini. Il Segretario di Stato degli USA, Condoleeza Rice, in un'intervista,si meraviglia del fatto che il popolo serbo decide di protestare contro l'ambasciata americana, o di bruciare la bandiera. Forse la Signora Rice si aspetta che il popolo serbo ringrazi l'America dopo aver seminato in questi anni solo conflitti e guerre all'interno dei Balcani, dopo aver criminalizzato la Serbia e condotto un'assurda campagna mediatica della disinformazione. Io credo che ci si deve più meravigliare del fatto che la Comunità Internazionale stia permettendo l'aggressione di uno Stato, o del fatto che ancora oggi esistono dei giornalisti che si prestano a questo gioco.

D'altro canto, non possiamo aspettarci in futuro di sentire da parte dei nostri politici di "aver sbagliato", perché diranno solo che "combattono in nome e per conto della democrazia", anche se non sanno bene che cosa sia. Personaggi come Fini, Berlusconi, e D'Alema sono uomini che, in un giorno non molto lontano, scompariranno dalla scena politica, per il semplice fatto che essa non esisterà più, perchè domani dovremo difenderci da nemici invisibili, ossia dei piccoli centri di potere gestiti nello spazio cybernetico. Al suo interno vengono costruite milioni di piramidi, attraverso la costruzione di forum e blog controllati da un'entità centrale, e la loro intromissione e tale da attuare un vero e proprio etnocidio che porterà in futuro alla cancellazione delle nostre parole. In questo modo trasformano la nostra mente, il nostro pensiero, e la nostra società: se fino a 15 anni fa divorziare era considerato una tragedia famigliare, oggi in Irlanda se divorzi almeno due volte non rientri nella normalità dello stardard mediatico che viene diffuso.

La Russia attacca la disinformazione degli Stati Uniti


Un botta e risposta tra il Sottosegretario di Stato americano, Nicholas Burns, e il rappresentante russo presso la NATO, Dmitri Rogozin . Alle parole del diplomatico statunitense che propone l'ingresso del Kosovo all'interno dell'Alleanza Atlantica, risponde Rogozin affermando che la Russia userà ogni suo mezzo per risolvere la crisi balcanica. ( Foto: Dmitri Rogozin e Nicholas Burns )

Nicholas Burns ha affermato che il nuovo Stato del Kosovo dovrà essere riconosciuto al più presto possibile come membro delle Nazioni Unite. "Io sosterrò tale obiettivo, e sarò sempre di quest'opinione", dichiara Burns aggiungendo che, prima di tale traguardo, trascorrerà ancora molto tempo, in quanto alcuni Stati "sicuramente nei primi tempi ostacoleranno questa iniziativa", ma alla fine, "il Kosovo diventerà membro dell'ONU", conclude Burns. "L'obiettivo ultimo è questo e tutti noi dobbiamo lavorare per la stabilità e la pace dei Balcani, perchè i popoli che vi vivono, la meritano", afferma Burns. Anche noi siamo dell'opinione, come il "professore" , che sempre ci dà delle lezioni, ma dobbiamo chiederci il motivo per cui è cosi preoccupato per il Kosovo quando sappiamo bene le sue intenzioni circa la possibilità di creare delle aziende in Kosovo insieme con la Signora Madeleine Albright, la stessa che - "dio la benedica" - decise di bombardare la Serbia, "per la pace", naturalmente. Uomini di professione per la pace come Burns, non ci lasceranno mai in "pace" . Anche i popoli dei Balcani vogliono la pace, ma vorrebbero crearla da soli, nella propria terra. Non meritano questo, secondo loro?

Dalla sicurezza di tali affermazioni, possiamo notare che Nicholas Burns non sembra affatto preoccupato del fatto che la Serbia e la Russia non permetteranno che tale proposta giunga all'interno del Consiglio di Sicurezza, in quanto membri dell'ONU, e assicura che il Kosovo entrerà nella NATO. Non occorre una grande mente per capire che lo scopo degli Stati Uniti è di far diventare il Kosovo un membro della NATO. Per tale motivo, non ci stupiamo molto quando il rappresentante russo presso la NATO, Dmitri Rogozin, afferma che "Burns dichiara sempre il falso". Infatti, non a caso, lo stesso Burns, senza vergogna, dichiara che "gli Americani sono amici dei serbi", e poi con un'ipocrita doppia faccia aggiunge : "Noi rispettiamo il popolo serbo, ma la Serbia si deve adeguare ai cambiamenti nella realtà in cui vive, e deve dichiararsi pronta a vivere in pace con tutti i cittadini del Kosovo". Affermare ciò, in un momento così delicato per la Serbia, è una totale mancanza di rispetto. In verità, siamo abituati a questi cowboy, con cui abbiamo convissuto per anni, in situazioni ben più difficili per la politica serba.

Nicholas Burns afferma che distruggere un'ambasciata è "un atto non civile", dando lezioni di civiltà non solo alla Serbia ma anche alla Russia, alla quale chiede di essere più responsabile "con le dichiarazioni pubbliche sul kosovo". Ed è proprio con responsabilità che Dimitri Rogozin, ha affermato che "Burns non deve più mentire in pubblico". Rispondendo agli attacchi nei confronti del Governo russo sulle dichiarazioni sul Kosovo, ha aggiunto che la Russia ha intenzione di usare la forza militare per calmare la situazione balcanica. "La Russia ha abbastanza autorità politica e morale, sopratutto nei Balcani e nel mondo, per proteggere la sua posizione con mezzi di pace e senza usare la forza militare", dichiara Rogozin. Egli inoltre aggiunge che se la situazione nei Balcani si svilupperà senza seguire una via legittima e senza rispettare gli accordi presi presso il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, allora vuol dire che vivremo in un mondo che non viene guidato con legislazione internazionale, ma dal diritto della forza e della violenza, anche militare.

Subito dopo, a modo suo, facendo sempre il professore, Burns dichiara alla Fox Tv che "Mosca deve richiamare Rogozin, per la sua dichiarazione senza nessuna responsabilità". "In Kosovo i russi non sono presenti, e non fanno niente per aiutare i kosovari", ha dichiarato subito dopo Burns commentando la forte replica della Russia, che non ha escluso di usare la forza militare in Kosovo se le missioni della EU e della NATO non rispetteranno la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Conoscendo bene, dunque, i modi del "professore" Burns, anche Rogozin ha risposto allo stesso modo. "Consiglio al Signor Burns di farsi preparare meglio i suoi commenti la prossima volta, di usare fonti più sicure per le proprie informazioni, e così non farà diffamazione e dirà evidenti falsità", dichiara Rogozin. Nicolas Burns, reso cieco dai soldi che devono arrivare dal Kosovo nelle sua tasche, ha perso i freni che, nella diplomazia e nella professione, devono sempre esistere. Il suo prossimo lavoro dovrebbe essere come rettore dell'Università, ma a Pristina, perché la sua consulenza - come è stato facile constatare - non serve a nessun altro, ma solo ai kosovari.

Biljana Vukicevic

22 febbraio 2008

Il futuro di Pristina nelle parole di Sanda Raskovic-Ivic


Il quotidiano Rinascita ha incontrato ieri l’ambasciatrice della Repubblica di Serbia, Sanda Raskovic-Ivic, a cui ha rivolto alcune domande sulla situazione del Kosovo, dopo l’annunciata secessione. Il quotidiano “Rinascita” sostiene da anni la sovranità nazionale della Serbia e la sua integrità territoriale. Da tempo ci opponiamo dalle pagine del nostro giornale al tentativo secessionista messo in atto dai kosovaroalbanesi. Ora il dado è tratto.

Quali ritiene possano essere gli scenari che si apriranno dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo?
“Dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo non si interromperà il rapporto diplomatico con l’Italia, soltanto io sarò richiamata a Belgrado perché siamo delusi e arrabbiati del sostegno alla secessione. Torno a Belgrado per consultarmi con il governo e per decidere quali saranno le prossime mosse da intraprendere dopo le decisioni del vostro esecutivo. L’Italia è considerata un Paese amico dalla Serbia. Il vostro Paese ci ha sempre sostenuto nel nostro cammino e i rapporti bilaterali rimangono sempre molto buoni. Per questo abbiamo sperato che l’Italia non portasse avanti questo atto di riconoscimento unilaterale”.

Cosa pensa della missione Ue “Eulex”, che prevede l’invio di un contingente di circa 2.000 uomini tra forze di polizia, magistrati europei, ecc., nel Kosovo?
“È una missione verso la quale non abbiamo niente in contrario ma siamo contrari al modo in cui viene ad inserirsi nella regione. La missione Eulex è giunta in Kosovo senza una decisione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e visto che la risoluzione 1244 del 1999 è nata in seno al Consiglio di Sicurezza, questa dovrebbe essere implementata per riportare lo Stato di diritto e garantire il ritorno dei rifugiati. D’altronde anche l’Unmik ha fallito non riuscendo ad ottemperare ai suoi doveri. Dopo l’espulsione di 250.000 serbi soltanto 1226 sono tornati in Kosovo, mentre 256 chiese sono state distrutte. A tutto questo bisogna aggiungere la terribile pulizia etnica compiuta a Pristina, una città che allora comprendeva 250.000 abitanti, di cui 41.000 serbi. Oggi invece i serbi rimasti sono soltanto 87 sugli attuali 600.000 abitanti. In sostanza, la presenza degli albanesi si è quasi triplicata mentre i serbi non esistono quasi più. Gli unici serbi rimasti sono molto anziani, incapaci di deambulare e di spostarsi fino in Serbia, non avendo neanche dei parenti nella madre patria. Gli albanesi a Pristina hanno occupato invece gli appartamenti e le terre dei serbi, e hanno costruito tutto senza dare un soldo ai legittimi proprietari serbi. Per quanto riguarda, Eulex ritengo che fallirà perché non ha gli strumenti per operare. Eulex sarà una missione completamente dipendente dalla volontà del governo di Pristina. Gli albanesi quando vorranno potranno dire agli europei grazie tante, andate a casa che non abbiamo più bisogno di voi. Ma c’è un’altra cosa, da sottolineare: Eulex sarà soltanto un sostegno per il governo albanese e nient’altro”.

In sostanza viene applicato il piano dell’inviato dell’Onu, Martti Ahtisaari?
“Sì è proprio questo il principio che muove la missione Eulex. Tutta la questione tirata fuori dal Consiglio di Sicurezza è molto pericolosa per quello che potrebbe causare. L’opposizione alla dichiarazione unilaterale di indipendenza non è portata avanti soltanto dalla Russia e dalla Serbia ma adesso anche dalla Cina e da altri otto Paesi. I contrari alle strategie albanesi ritengono che la soluzione migliore sia quella di continuare i negoziati. D’altronde le trattative nell’isola di Cipro che vedono contrapposte le due comunità quello greco-cipriota e quella turco-cipriota proseguono da quasi quarant’anni, come quelle per il Nagorno-Karabakh continuano da dieci anni, così come i negoziati fra israeliani e palestinesi proseguono anch’essi da alcuni decenni.

Ritiene che vi siano delle differenze nella politica estera dei governi europei che si sono succeduti in questi anni?
“Sono sicura di questo per quanto riguarda ad esempio la Francia. Visto che il presidente Jacques Chirac era molto diverso dall’attuale capo dell’Eliseo, Nicolas Sarkozy. La Francia è stato infatti uno dei primi Paesi a sostenere la secessione del Kosovo. La Merkel è più cauta anche se ha mostrato di voler seguire la politica americana. La Germania non ha riconosciuto immediatamente l’indipendenza. I più disponibili alle richieste degli albanesi sono stati invece Francia e Gran Bretagna. Gli spagnoli hanno avuto un attitudine diversa, poiché devono rispettare il diritto internazionale e se non lo facessero aprirebbero il vaso di Pandora nella loro terra, con la Catalogna e i Paesi Baschi”.

Vi sono differenze in politica estera fra il governo Berlusconi e quello guidato da Prodi?

“È molto difficile notare delle differenze. In un’intervista al quotidiano serbo Vecernje Novosti, il presidente Berlusconi aveva dichiarato che mai avrebbe riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Lo stesso aveva fatto due anni fa il ministro degli Esteri Gianfranco Fini, durante un nostro incontro con lui. In quel contesto aveva affermato di avere molti dubbi sul riconoscimento dell’indipendenza. L’altro giorno però Fini ha appoggiato il ministro D’Alema e il capogruppo di Forza Italia non voleva firmare la richiesta di un gruppo di senatori che avevano chiesto la presenza del capo della Farnesina alla Camera per discutere della questione. Prodi è sempre stato un grande amico della Serbia e ha spinto il nostro Paese verso l’Unione europea, lo stesso ha fatto D’Alema. Ma in queste ultime settimane a causa della grande pressione statunitense il governo dimissionario ha deciso di seguire la politica americana”.

Cosa pensa di fare il governo serbo anche a livello diplomatico per affrontare la situazione attuale in Kosovo?
“Innanzitutto, verranno ritirati gli ambasciatori dai vari Paesi per consultazioni, ma non solo. Siamo arrabbiati e vogliamo studiare le prossime mosse per fare fronte alla situazione. Il ritiro avverrà soltanto in quei Paesi che hanno approvato la secessione, con gli altri non avverrà la stessa cosa. C’è una cosa che pavento però: il popolo serbo è molto ferito e per questo temo il boicottaggio dei beni albanesi in Serbia, come il denaro nelle banche, ecc. Spero tuttavia che questo non avvenga”.

Alcuni hanno parlato persino di un piano della Serbia per tagliare l’elettricità al Kosovo qualora realizzasse la secessione.
“Il Kosovo è una piccola regione che dipende dalla Serbia per quanto riguarda cibo, acqua ed elettricità. L’attuale Stato fantoccio è legato però agli Stati Uniti che hanno scritto tutte le sue leggi. Gli Usa hanno redatto la dichiarazione di indipendenza e adesso scriveranno anche la Costituzione. Washington fa di tutto per raggiungere i suoi obiettivi. E questa è una cosa molto triste perché quelli che erano i criminali di guerra, i ricercati, i terroristi, i contrabbandieri di sigarette sono diventati i più importanti uomini politici del Kosovo. Mentre per il nostro governo democratico questo non è avvenuto. Stati Uniti e Unione europea preferiscono la mafia albanese e questo è molto preoccupante”.

Il ministro degli Esteri serbo, Vuk Jeremic, ha dichiarato che Belgrado farà di tutto per impedire che il Kosovo secessionista possa avere la sua rappresentanza all’Osce o in seno all’Onu.
“Certamente, è questo ciò che ha dichiarato Jeremic. Non vedo come il Kosovo possa sedere alle Nazioni Unite visto che Cina e Russia hanno detto che bloccheranno qualsiasi progetto di adesione. Non capisco il sostegno degli Stati Uniti e dell’Ue. In particolar modo, quello dell’Unione europea che equivale al sostegno ad un progetto condannato al fallimento. Il Kosovo sarà uno Stato fantoccio per sempre, poiché Cina e Russia non lasceranno che entri a far parte delle Nazioni Unite. E per l’Osce il problema è simile”.

C’è ancora uno spiraglio per giungere ad una soluzione, anche sul piano diplomatico?
“Lavoreremo molto sul piano diplomatico. Il pericolo vero è che è stato aperto il vaso di Pandora ed in particolare è nato il sogno della “Grande Albania”. Un sogno questo che ha più di 130 anni. È stato il presidente Usa George W. Bush in visita a Tirana nei mesi scorsi a puntare a questo progetto dicendo che adesso che gli albanesi hanno guadagnato l’indipendenza del Kosovo possono credere nella nascita della Grande Albania. Penso che se un giorno il Kosovo dovesse unirsi all’Albania questo potrebbe provocare un’enorme pressione su Macedonia occidentale e Grecia. Abbiamo visto infatti gli striscioni degli albanesi della Grecia, giunti a Pristina, che dichiaravano che non può esistere l’Albania senza Ciamuria (regione del nord della Grecia)”.

Quale sarà il futuro dei serbi rimasti in Kosovo?
“La questione del Kosovo settentrionale è ancora aperta. Il diritto all’autodeterminazione è stato garantito dall’Onu soltanto al popolo albanese ma non a quello serbo. A nord del fiume Ibar - in un’area geografica equivalente al 10% del Kosovo- Metohija - vivono 55.000 serbi e 3.000 albanesi. Per questo, i kosovaro-serbi non vogliono sottostare al dominio di Pristina così come i kosovaro-albanesi non accettano quello di Belgrado. Vi sarà poi un’enorme pressione sulle piccole enclave e questo è già iniziato. Per esempio, in villaggio è stata picchiata brutalmente una donna anziana e intimidita, distruggendo tutte le suppellettili della sua casa. In un’altra piccola enclave un anziano è stato malmenato e per questo la gente è spaventata. I serbi temono la violenza e pensano di fuggire via. D’altronde questo è il modus operandi degli albanesi. Venti anni prima che Milosevic diventasse presidente, quando era ancora uno studente, queste cose già avvenivano”.

Andrea Perrone

21 febbraio 2008

Kosovo : ordinario delirio Italiano


Il Kosovo ha risvegliato qualcosa, e ha dato inizio ad una nuova era, quella della destabilizzazione dei territori che, nella migliore delle ipotesi porterà alla ridefinizione dei confini territoriali. Il vaso di Pandora si è aperto, e noi italiani ancora discutiamo su cosa c'è da fare. L'Italia è un protettorato a tutti gli effetti, è una cosa innegabile.

Siamo ormai arrivati alla frutta, è giunto il tempo di pagare i conti, e tutti scappano. I "grandi" hanno già svuotato i conti correnti e hanno fatto sparire il bottino, mentre i vassalli continuano a gridare. Il vaso di Pandora si è aperto, e noi italiani ancora discutiamo su cosa c'è da fare. Massimo D'Alema ormai è un fuori legge, parla di Kosovo e Serbia dimenticando di aver bombardato quelle terre con l'uranio impoverito, e ripete a pappagallo il copione degli Stati Uniti: l'Italia è un protettorato a tutti gli effetti, è una cosa innegabile. Mentre il mondo crolla dinanzi a loro, gli italiani giocano a pallone, figli della Mastercard, nipoti di un conto corrente, cugini del telefonino, e amanti della politica. Sono perseguitati dalla spazzatura di Napoli, dai manganelli degli esattori, dalla giustizia settarista, dai comici bugiardi manipolatori, e dagli artisti "culattoni" , e l'unica cosa di cui sanno parlare gli italiani è la questione della morale.
In fondo non abbiamo altra scelta se abbiamo uomini come Di Pietro, che prende il lavoro "a gratis" della gente, e si fa paladino della Giustizia, va sbandierando l'Italia dei Valori, e parla di espropriare le TV di Berlusconi solo per fare campagna elettorale. Oppure come Borghezio che, per la propaganda della Lega, parla del "popolo della Padania", di uno Stato senza nazione, quando poi fino a pochi anni fa c'era solo palude e debiti in Lombardia. È chiaro che tutto si dice solo per dire, tanto la benzina sale, e salirà ancora fino a quando la gente riuscirà a sopportare un tale peso.
Così, per alimentare ancora di più il delirio dei quotidiani e delle agenzie di stampa di questi giorni, arriva Cossiga a parlare di Ustica come se fosse un fatto di gossip, ma oltre a fare notizia tra i curiosi, non aggiunge nulla di nuovo per chi è dell'ambiente. Lo aveva detto il colonnello del Sismi Guglielmo Sinigaglia tanti anni fa, descrivendo punto per punto cosa successe quella notte. Fu isolato e additato, diventò barbone, e ora è costretto a fare i cestini per campare. Il "grande picconatore" non ha detto nulla di nuovo, e ha solo deviato l'attenzione sulla grande catastrofe che si sta avvicinando.
Lo striscione innalzato dai manifestanti serbi
di fronte all’ambasciata Usa a Belgrado

Mentre si scatenerà sui governi la più grossa tangentopoli europea, gli indipendentisti di tutto il mondo si stanno organizzando per il risveglio di una classe nuova, di quelli che per anni hanno nascosto la loro bandiera, di quelli che per anni hanno negato la loro stessa esistenza. L'Europa si sta sgretolando sotto i colpi di un fallimento controllato, proprio come fu per l'Unione Sovietica: dato che siamo alla disfatta economica, meglio finire secondo le proprie regole e non di quelle altrui. Il Kosovo ha risvegliato qualcosa, e ha dato inizio ad una nuova era, quella della destabilizzazione dei territori che, nella migliore delle ipotesi porterà alla ridefinizione dei confini territoriali. Nel cuore dell'Europa è stata infatti creata un nuovo Medio Oriente riproducendo il modello secessionistico della Palestina, e quello destabilizzante della Bosnia e dell'Iraq: ancora una volta uno Stato sovrano, con un suo equilibrio interno, viene colpito per poi essere frazionato in "cantoni etnici", in modo da sfruttare i rancori e i conflitti latenti per poter poi imporre un sistema di potere imperialistico ed egemonico, che va a vantaggio degli interessi militari ed economici delle entità internazionali. "Tutti pagheranno per l'attacco alla sovranità della Serbia", disse il Governo serbo nel giorno della proclamazione dell'indipendenza del Kosovo. Mai altre parole furono così adatte per annunciare il caos sull'Europa. Tutti quanti si aspettavano che la Serbia avrebbe risposto con le armi, ma è riuscita a mettere in grande difficoltà l'Occidente e Bush, i cui missili invisibili stanno lanciando sono l'aumento dei prezzi, che colpisce ogni giorno i Paesi silenziosamente.
La nostra crisi tuttavia cova da tempo, tra inflazione, debito pubblico, crisi di liquidità e fallimenti, solo che non ha ancora trovato un canale per sfogare i suoi effetti. Fino a quando voi sarete disposti a sopportare questo peso, quante altre persone innocenti moriranno perché non hanno accesso alle cure, e quante si suicideranno per debiti e fallimenti. È questa l'Europa dei popoli? Noi abbiamo avuto il coraggio di scegliere e di dire NO. Da tempo abbiamo abbandonato questo paese, ma noi almeno abbiamo avuto il coraggio di fare le valigie e di sopportare una vita di umiliazioni, di vendette e di tradimenti. Da tutto il mondo sono pervenute e-mail sul sito di Rinascita Balcanica, molti si sono uniti a noi, a questa nostra grande Tela. Da anni raccogliamo con i denti e con le unghie i documenti che dimostrino ogni loro crimine, al costo di pagare un grande prezzo.

19 febbraio 2008

Northern Rock: la nazionalizzazione delle perdite


Il Governo britannico ha annunciato che "il governo, con la consultazione della Banca di Inghilterra e del Financial Servizi Authority (FSA) avrebbe presentato un testo di legge che rimette la Northern Rock nel settore pubblico", temporaneamente, ha precisato, per farla divenire privata non appena i mercati finanziari si saranno stabilizzati. Si chiude così il grande giallo della Northern Rock, a cui si deve il grande merito di aver portato alla luce la grande bolla immobiliare dei mutui subprimes, e della crisi di liquidità nel settore bancario.

È giunta nella giornata di domenica la legge di emergenza del Governo britannico necessaria per nazionalizzare Northern Rock, ritenuta la sola soluzione per risarcire gli azionisti della banca e garantire la sua solvenza. Una nazionalizzazione che sarà solo momentanea, come dichiarato dal Governo Britannico, al fine di preservare gli interessi dei cittadini inglesi che hanno sottoscritto mutui e depositi con la Northern Rock, che ora rischia il fallimento. Non si vedevano misure così drastiche in un'Inghilterra liberista e capitalista, dal 1970, e probabilmente è stata dettata da un'evidente situazione di emergenza che rischia di compromettere non solo i crediti e le ipoteche dei singoli cittadini, ma l'intero settore del credito immobiliare, per poi scatenare un effetto a catena disastroso sul mercato finanziario. Stiamo infatti parlando della banca che ha provocato la scorsa estate la corsa agli sportelli dei cittadini inglesi, non appena si cominciò a diffondere il timore che la Banca non poteva far fronte ai propri crediti. Dal fallimento della Northern Rock è esplosa infatti la crisi dei mutui subprimes, che ha aperto "il vaso di pandora" del mercato bancario e finanziario, rivelandone tutte le sue manipolazioni, le sue distorsioni e le sue contraddizioni.

La posta in gioco, legata alla rovina della Northern Rock, è molto più elevata di quanto non si pensi, e rischia di scatenare un effetto domino all'interno di tutto il sistema bancario, considerando che anche delle grandi banche d'affari hanno garantito la sua solvenza, e che al suo interno sono confluiti la maggior parte dei crediti bancari e immobiliari ad alto rischio. Per tale motivo, il Governo britannico ha ritenuto insufficiente l'offerta del consorzio guidato dal gruppo Virgin del miliardario Richard Branson, che, con il dirigente di Northern Rock Paul Thompson, aveva studiato un piano di correzione "ad interim". Virgin aveva annunciato di voler immettere nella Banca circa 1,6 miliardi di euro per poi inglobarla con la sua società bancaria Virgin Money, mentre Paul Thompson, che sperava di ottenere il posto di direttore generale, ha previsto di impiegare 668 milioni di euro, dei nuovi capitali, per ridurre i debiti delle operazioni della banca, per rimetterla in corso. Tuttavia, il Ministro delle Finanze Alistair Darling ha annunciato improvvisamente che "il governo, con la consultazione della Banca di Inghilterra e del Financial Servizi Authority (FSA) avrebbe presentato un testo di legge che rimette la Northern Rock nel settore pubblico", temporaneamente, ha precisato, per farla divenire privata non appena i mercati finanziari si saranno stabilizzati. In realtà, il Governo Britannico non ha avuto molta scelta, in quanto da tempo ha cercato una soluzione valida dal settore privato, che tuttavia non era possibile senza l'instaurazione di una forma di sostegno pubblico, come aveva infatti consigliato Goldman Sachs che propinava una soluzione privata sovvenzionata dai fondi pubblici.

Così, la Gran Bretagna, per evitare di "rimetterci la faccia" e così la propria credibilità, decide di far pesare sul tesoro britannico le decine di miliardi di sterline dei debiti della Northern Rock. Secondo gli analisti inglesi, una tale scelta, sebbene possa sembrare giusta in nome della "credibilità del sistema bancario inglese", non è quella più giusta dal punto di vista economico-finanziario, in quanto occorreranno degli anni prima che la Northern Rock possa rimborsare il Tesoro britannico di un tale debito, e molto probabilmente questo debito non sarà pagato. Stando alle stime correnti, la Northern Rock ha preso in prestito circa 26 miliardi di sterline, ossia 35 miliardi di euro, dalla Banca di Inghilterra a partire dalla metà di settembre, quando chiese alla banca centrale britannica di salvarla dal fallimento causato dalle ripercussioni della crisi del credito. Allo stesso modo sia la dirigenza sia azionisti della Northern Rock hanno espresso la sua profonda delusione che sperava in una soluzione presa sul mercato privato, apportando le dovute svalutazione e far ricadere sui risparmiatori e i cittadini l'insolvenza della banca. Anche dalla stampa giungono delle feroci critiche, come dal "Financial Time" che giudica la decisione "delicata, difficile e non ideologica", mentre la stampa britannica afferma che "la credibilità del governo Brown in materia economica ha subito un duro colpo".

Siamo così all'epilogo del grande giallo della Northern Rock, a cui si deve il grande merito di aver portato alla luce la grande bolla immobiliare dei mutui subprimes, e della crisi di liquidità nel settore bancario. Una crisi tuttavia derivante non dalla crisi del credito, e dunque dall'insolvenza dei mutuatari, ma dalla continua cartolarizzazione di crediti rischiosi, posti a garanzia di bonds e obbligazioni utilizzati poi dalle Banche per ottenere aperture di linee di credito e ricapitalizzazioni. Di conseguenza, l'insolvenza dei mutui ha causato anche il crollo a catena delle garanzie interbancarie: la banche hanno dichiarato la loro insolvenza, non potendo pagare con liquidità, hanno rinviato tutti i loro crediti. Interviene a questo punto lo Stato che, dopo aver fatto fronte con le dovute garanzie l'insolvenza della Northern Rock, decide di nazionalizzarla. Mentre dunque le politiche liberiste hanno portato alla privatizzazione del patrimonio dello Stato e delle sue ricchezze, il fallimento del sistema capitalistico e la mancanza di controlli hanno causato la nazionalizzazione dei debiti e delle perdite. Un'azione questa pianificata per evitare di pregiudicare il sistema bancario privato e camuffare quanto più possibile il disastro a cui stiamo assistendo sul mercato finanziario internazionale.

13 febbraio 2008

I Rothschild tentano la scalata alla russa Rosbank


Chiuso il capitolo del grande crack di 5 miliardi di euro e messa a tacere i media sul processo per riciclaggio di denaro nel caso Sentier 2, Société Generale si prepara a rimettere in sesto il proprio bilancio e a lanciare una storica scalata sulla banca russa Rosbank.

Société Generale annuncerà il prossimo 21 febbraio l'aumento di capitale per 5,5 miliardi di euro destinati alla copertura della perdita di 7 miliardi stimata a poca distanza del crack causato dal broker Jérôme Kerviel. La ricapitalizzazione avverrà con l'emissione di nuove azioni che avranno un valore vicino al 40% del valore di Borsa attuale, destinate in particolar modo agli azionisti già esistenti in virtù della clausola preferenziale - che permette loro di sottoscrivere una nuova azione per quattro detenute alla data del 20 febbraio. L'operazione sarà garantita da JP Morgan e Morgan Stanley , definita senza alcun rischio. Società Generale ha inoltre rivisto al rialzo l'impatto dei subprimes, stimando delle perdite che si attestano intorno ai 2,6 miliardi di euro per l'anno 2007, che andranno ad abbattere innanzitutto il reddito fiscale da versare allo Stato francese.

L'apparente ripresa di Société Generale viene immediatamente seguita dalla notizia secondo cui la Banca d'Affari posseduta dal Gruppo Rothschild stia tentando di scalare la banca russa Rosbank, dopo che il tribunale di Cipro ha sollevato l'interdizione sulla vendita delle azioni della società russa. La liberatoria del tribunale permette così a Société Generale di acquisire il controllo della banca russa fin da questa settimana, come confermato dal quotidiano russo Vedomosti. Non dimentichiamo infatti che Société Generale aveva acquistato nel 2006 il 20% delle azioni di Rosbank da Vladimir Potanine e Mikhaïl Prokhorov, stabilendo la possibilità di poter acquistare oltre il 30% in più per 1,7 miliardi di dollari nei periodi successivi. Con la medesima transazione, circa il 69,9% delle azioni di Rosbank sono state vendute dalla società cipriota Km Tecnology, collegata del fondo di investimento Km Invest. L'operazione era stata deliberata solo in parte dai suoi principali azionisti, ossia da Mikhaïl Potanine (Presidente del CdA della Banca) e non da Vladimir Prokhorov che, mediante il suo gruppo Onexim, aveva presentato un ricorso presso i tribunali di arbitraggio di Mosca, delle isole Vergini britanniche e di Cipro ottenendo un'interdizione di vendita su quasi tutti gli attivi di Km Invest, tra cui quelli di Rosbank. Interdizione che tuttavia è stata eliminata dalla decisione del tribunale di Limassol (Cipro), andando a liberare anche la vendita di Rosbank, che potrà essere assorbita facilmente da Société Generale.

Secondo la stampa russa, l'opposizione del consiglio di amministrazione proveniva in realtà dalla società di Stato russa impegnata nel settore delle esportazioni di armi, Rostekhnologuii, che cercava di impedire che la presa del controllo di Rosbank da parte della Société Generale potesse compromettere la discrezione e la riservatezza dei conti segreti utilizzati dalla società. In tal caso, riportando sempre quanto affermato dal Vedomosti sulle dichiarazioni di un azionista della banca, "i commercianti di armi russo possono impedire al banchiere francese di prendere il controllo di Rosbank" . È infatti subito giunta la dichiarazione del direttore di Rostekhnologuii, Sergei Tchemezov, che si è opposto ad una operazione bancaria che sottrarrebbe al gruppo pubblico per gli armamenti la Rosbank , che rappresenta la banca di riferimento della società di armamenti avendo un struttura corporativa con la partecipazione di entità private e pubbliche. I funzionari militari che possiedono dei conti presso Rosbank, hanno già espresso le loro più profonde preoccupazioni sulla possibilità che Société Generale possa, con la scalata, avere accesso ai segreti di stato. Secondo alcuni analisti, nonostante l'opposizione di Rosoboronexport, la decisione difficilmente potrà essere modificata o annullata. Infatti, dopo che il Servizio federale antitrust e la Banca centrale ha rilasciato le licenze per l'acquisizione della partecipazione di controllo, sollevare un rifiuto ai francesi provocherebbe uno scandalo internazionale.

Quello che si presenta dinanzi alle mire espansionistiche del gruppo Rothschild, dunque, non è solo la possibilità di prendere il controllo della seconda rete bancaria della Russia - per 1,2 miliardi di euro, 600 agenzie, e la copertura dell' 80% del territorio - ma anche di acquisire il controllo delle eventuali informazioni riservate del consorzio per l'esportazione di armi posseduto dallo Stato russo. In ogni caso, il gruppo francese riuscirà ad estendere ancora di più la propria presenza sul mercato russo, già consolidato dalle collegate della Banque Société Générale Vostok (BSGV) e Rusfinansbank. Un mercato che al momento è una delle piazze più stabili ed importanti di questi ultimi anni, che non ha subito ancora gli sconvolgimenti degli scandali dei mutui subprimes e della crisi dei derivati. Così, mentre l'attività degli investitori internazionali sui mercati in sviluppo diminuisce a causa dei problemi di liquidità, la Russia si conferma ancora una volta una straordinaria eccezione, tale da far gola ad un colosso bancario come Société Generale.

12 febbraio 2008

Gazprom: uno Stato all'interno dello Stato


L'ultimatum nei confronti dell'Ucraina rappresenta senz'altro la risposta della Russia all'Unione Europea che sta orchestrando sul futuro del Kosovo una fitta rete di propaganda e di pressioni invisibili nel tentativo di entrare in Kosovo in violazione della risoluzione 1244 dell'Onu, che sottopone la provincia serba del Kosovo alla giurisdizione controllata delle Nazioni Unite. La replica della Russia è stata a più riprese decisa, drastica, ma anche diplomatica, ricordando sempre la prevalenza del diritto internazionale su quello della Comunità Europea che non ha alcun potere né in Serbia e né in Kosovo. Ora interviene l'arma energetica, che, mediante il cavallo di troia dell'Ucraina, potrebbe cercare di mettere in seria difficoltà l'Europa. Nelle mani della politica diplomatica russa vi è così la potente arma della Gazprom, concepita come "uno Stato all'interno dello Stato", uno strumento per risollevare l'economia russa in seguito al crollo dell'URSS, per poi divenire una leva diplomatica.

Molti hanno cercato di ricostruire la storia del gigante russo, e tra le righe delle versioni ufficiali e ufficiose, si può leggere una strategia pianificata in maniera preventiva e poi attuata nel corso di più di 15 anni ad opera delle oligarchie russe, che, mediante i servizi segreti ortodossi sono riusciti a controllare il patrimonio energetico russo e a fermare ogni possibile infiltrazione da parte di investitori esteri che hanno cercato di impadronirsi delle azioni di Gazprom. Le cronache di questi lunghi anni di ripresa economica per la Russia, si sono altalenate tra la privatizzazione e la nazionalizzazione della società petrolifera, tra scandali politici e retate contro la corruzione e le mafie interne. È stata invece una lunga e chirurgica operazione che ha portato all'epurazione delle classi dirigenti e alla selezione delle entità economiche che potevano detenere un potere così grande. Un'interessante versione della storia della Gazprom proviene da due autori russi, Mikhail Zygar , inviato speciale del Kommersant, e Valery Panyushkin del Vedomostisu, all'interno del loro libro "Gazprom, la nuova arma russa". La maggior parte dei media parla della fondazione di Gazprom come una scelta politica del Presidente Mikhail Gorbachev che, nel luglio 1989, unì i ministeri del petrolio e del gas e nominò Gazprom come ente responsabile per la produzione, la distribuzione e la vendita di gas. In realtà , e più precisamente, fu Viktor Chernomyrdin a concepire Gazprom come un'entità non totalmente pubblica con una partecipazione privata. Stando a quanto dichiarato dall'allora Ministro del Gas Egor Gaidar, "Chernomyrdin non fu uno sciocco", in quanto vide che il vecchio sistema di governance stava cadendo a pezzi, considerando che il Ministero sovietico dell'energia era un sistema collegato direttamente al potere autoritario e vigeva "finché gli ordini venivano eseguiti".
Quando agli sgoccioli degli anni '80 l'autorità cominciò ad indebolirsi, Chernomyrdin ebbe l'idea di preservare l'industria del petrolio sottraendola al potere autarchico e sottoponendolo a quello meramente capitalistico. Ma così facendo, tutto il potere della Russia fu rimesso nelle mani di Gazprom - per lasciarlo in standby nel periodo dei grandi sconvolgimenti - che fu così controllata per molto tempo dalle oligarchie vicine al Kremlino e al servizio segreto ortodosso, stabilendo inoltre criteri rigidi e severi circa la possibilità di ingresso di un investitore estero. Chernomyrdin ideò una riorganizzazione molto complessa, di dimensioni colossali, ma soprattutto "un sistema talmente forte che anche se fosse stato gestito da uno stupido, non sarebbe mai stato distrutto". Modello per eccellenza fu la compagnia petrolifera italiana Eni, valutata dal dirigente russo come una delle società petrolifere statali strutturate "a prova di incompetenti".

Per realizzare tale piano, occorreva superare la resistenza Nikolay Ivanovich Ryzhkov, uno degli ultimi e tra i più importanti economisti della Perestroika, che non riusciva a concepire la possibilità di conferire il patrimonio di uno Stato nelle mani di un'entità privata, e che in quel periodo era eccessivamente preoccupato dal livello dei prezzi e dell'inflazione per pensare oltre la possibilità del fallimento. Chernomyrdin infatti si rifiutò di entrare all'interno del Governo come dirigente di Gazprom e come Ministro del Gas, per creare invece una società privata. La sua proposta provocò in un primo momento stupore, ma dopo poco giunse la notizia che "il progetto di trasformare il Ministero dell' industria del benzina in società sarebbe stata discussa durante la riunione del Consiglio dei Ministri sovietico". Vi fu così un vero e proprio braccio di ferro tra i membri del Consiglio, che ancora credevano di avere un potere indiscusso sull'Unione Sovietica, e la proposta di Chernomyrdin fu l'unica idea lungimirante negli ultimi periodi, in cui il terrore del crollo economico si faceva sempre più vicino. Da quel momento in poi, non appena Gazprom cessò di essere un Ministero, gli eventi cominciarono a sfuggire al controllo del Governo. Il Primo Ministro Ryzhkov stabilì che i prezzi dei beni alimentari e dei beni nell'URSS erano artificialmente bassi e che occorreva raddoppiarli, se non triplicarli: nel giro di pochi mesi la situazione divenne insostenibile e fu necessario imporre un sistema di distribuzione del cibo mediante delle schede. Il 26 dicembre 1990 Ryzhkov andò in pensione, e il suo successore Valentin Pavlov tentò di porre rimedio alla crisi economica con una svalutazione del rublo, ma la riforma valutaria devastò i risparmi e le ricchezze di tutti i cittadini russi.

L'Unione sovietica stava crollando e pian piano tutte le Repubbliche cominciarono a non riconoscere più il Consiglio dei Ministri Sovietico né l'autorità che rappresentava. Fu inutile il tentativo di fare il colpo di stato per cacciare Presidente sovietico Mikhail Gorbachev, ad opera del Vice-Presidente sovietico Gennavy Yanayev, del Presidente del KGB Nikolai Kryuchkov e il Ministro della Difesa Dmitri Yazov, nonché il Primo Ministro Pavolov. Il potere passò nelle mani del Presidente della Russia Boris Yeltsin che riuscì a raccogliere intorno a sé le ultime forze politiche il favore dell'esercito, ma l'Unione sovietica e tutti i suoi ministeri erano ormai cessati di esistere. Ma la Gazprom resto in piedi, come entità indipendente da quel potere centrale che non esisteva più. Il suo immenso patrimonio - che comprendeva una rete di pipeline di 160 000 Km, 350 impianti di estrazione e 270 di raffinazione, migliaia di giacimenti e di depositi sotterranei, e che permetteva di produrre 800 miliardi di metri cubi di gas all'anno - perse un terzo dei suoi depositi ed un quarto della capacità dei suoi impianti, ma è sopravvissuto, a differenza dell'Unione Sovietica. Da allora cominciò la scalata del potere di Gazrpom al Cremlino, organizzata dal Ceo di Gazprom Rem Ivanovich Vyakhirev che riunì accanto a sé il Primo Ministro russo Evgeny Primakov, il Sindaco di Mosca Yuri Luzhkov e Vladimir Gusinsky, proprietario dei media indipendente NTV. Fu più che altro una resistenza nei confronti dei tentativi di Yeltsin di sostituire il consiglio direttivo della Gazprom per porlo sotto il suo controllo, consigliando il deputato Vyacheslav Sheremet.

Il Kremlino fece dunque pressioni sul Consiglio di Amministrazione della Gazprom, che era partecipata dello Stato russo per il 37.4%, per eleggere 5 deputati, e non 4, tra cui anche Viktor Chernomyrdin nel Consiglio direttivo, che aveva il compito di divenire il cavallo di Troia all'interno di Gazprom contro Primakov e Luzhkov. Ivanovich Vyakhirev riuscì a far prevalere la sua scelta di eleggere 4 deputati - al fine di non permettere al Kremlino di prenderne il controllo nonostante la società era partecipata solo per il 40% dallo stato russo, ma Chernomyrdin fu eletto Presidente. Una decisione che non piacque al Governo russo e decretò l'inizio di una guerra intestina che aveva come obiettivo di riportare la Gazprom nelle mani dello Stato e sottrarla al controllo delle oligarchie sovietiche.
La battaglia aperta tra Gazprom ed il Cremlino iniziò nel 1999, quando la società riportò più di 1.8 miliardi di dollari di perdite e ciò implicò che la Gazprom non avrebbe finanziato le successive elezioni politiche, ma soprattutto che gli utili della società venivano deviati verso il finanziamento di entità economiche e di personaggi politici che avrebbero dovuto prendere il controllo del Cremlino. Venne così il momento di porre fine al controllo di Gazprom da parte di Ivanovich Vyakhirev, e Dmitry Medvedev, divenne presidente del Consiglio di Amministrazione e il Primo Ministro Vladimir Putin venne proposto da Boris Yeltsin.

La sostituzione di Chernomyrdin e il modo in cui avvenne fu del tutto inaspettata, considerando che Putin chiese di incontrare nel suo ufficio Vyakhirev accompagnato da agenti della sicurezza nazionale e da capi dell'esercito, mostrando all'ex dirigente Gazprom un dossier completo contenente informazioni compromettenti su di lui e sui suoi collaboratori, che avrebbero provocato scandali e scalpore nell'opinione pubblica. Le dimissioni di Chernomyrdin valsero a Vladimir Putin l'onorificenza "per i servizi resi allo Stato per lo Sviluppo dell'Industria del Gas russa, assicurando l'approvvigionamento stabile dell'energia all'Economia del Paese e sicurezza nel Lavoro". Successivamente fu la volta di Vyakhirev, sostituito da Alexey Miller che divenne così Presidente della Gazprom, e pian piano plasmò la sua commissione di dirigenza della Gazprom. Quella che si venne a creare fu una società con una struttura basata sulla "casta" e su una stretta cerchia di persone nelle cui mani venne affidato la gestione di una major petrolifera che ha deciso la risurrezione dell'economia russa.

A partire dall'aprile 2001 Gazprom acquistò la NTV, di Vladimir Gusinsky, tale che il 25% del capitale della holding Media Most venne trasferita alla Gazprom Media, divenuta poi parte della Gazprombank. Il Governo russo mantenne la partecipazione di maggioranza del 38.37% della società petrolifera che forniva il 25% del gettito fiscale russo e l'8% del PNL. Allo stesso tempo venne resa difficile la possibilità per gli investitori di acquistare azioni Gazprom, solo attraverso Azioni Depositarie ad un prezzo superiore a quello pattuito per investitori nazionali. Dopo il fallimento della scalata alla Rosneft - attualmente controllata dallo Stato - e alla Yukos, nel 2005 Gazprom ha acquistato il 72.633% della compagnia petrolifera Sibneft consolidando la posizione della major russa sia nel mercato interno che in quello Globale. Al momento la struttura proprietaria della Gazprom vede il Comitato di proprietà statale russo come azionista di controllo (38.37315 % ), la Rosneftegaz ( 10.73985 %), la Gerosgaz ( 2.92997 %) la E.ON Ruhrgas (2.5 %), Gazfond (3.22159 %), Nafta Moscow (2.12502 %) e infine la Bank of New York e investitori internazionali ( 4.42218 %). Nella storia della Gazprom e nelle sue vicissitudini si nascondono le strutture di potere che hanno creato la Tela russa, ossia il servizio segreto ortodosso, all'interno del quale confluì la dissidenza al regime ed esponenti dei servizi paralleli il cui ruolo era quello di reperire il maggior numero di informazioni per ricattare e manipolare personaggi politici e dirigenti societari. Tale struttura sta nel tempo affiorando, come dimostrato dalle improvvise campagne per combattere corruzione o collusione delle classi politiche ormai scomode. Le inchieste della Tela e della Etleboro hanno tuttavia portato alla luce tale realtà, rivelando così il sottile filo esistente tra entità economiche ed intelligence deviate.

11 febbraio 2008

Gazprom ed energia: i veri armamenti della Russia


Vladimir Putin fa il suo bilancio e denuncia la corsa agli armamenti dei Paesi Occidentali, nel timore che possa minacciare la stabilità futura della Russia. Nelle sue parole una forte enfasi sulle nuove conquiste della Russia e sulle minacce "militari" che incombono sulla Russia, lanciando di risposta un monito alle forze occidentali che cercano di influire in maniera invisibile sulla politica interna russa con subdole interferenze allo scopo di controllare le risorse energetiche del Paese.


L'ultimo discorso di Vladimir Putin presso il Consiglio di Stato come Presidente, prendendo la parola nella veste solenne del Cremlino davanti ai più alti funzionari politici russi, ministri e governatori, ha presentato la strategia della Russia e le sfide che occorrerà cogliere alle soglie del 2020, aprendo così la campagna elettorale per il suo erede Dmitri Medvedev. Una cornice strategica all'interno della quale la "nuova spirale degli armamenti" in cui gli Stati si preparavano ad entrare, rappresenta una vera metafora dell'attuale situazione politica ed economica degli Stati. Infatti mentre la Nato e l'Unione Europea si spingono sempre più oltre i confini dell'Europa Orientale e del Vicino Oriente, con nuove installazioni missilistiche e basi militari, la Russia deve prepararsi ad introdurre delle nuove armi, più sofisticate di quelle possedute dagli altri Stati per rendere lo Stato autosufficiente e sempre meno dipendente dalle importazioni esterne di tecnologie. Una corsa agli armamenti "indotta" da forze esterne, per spingere così la Russia a rispondere in ugual misura, cominciando proprio dalla mancata ratifica del Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa (CFE).

Il reciproco desiderio di prevalere ha creato quello che Putin definisce un circolo vizioso, molto pericoloso che potrebbe portare caos e conflitti tra l'Occidente e la Russia, fino a risvegliare i rancori di una Guerra Fredda che non è mai finita. A sciogliere tale enigma, è lo stesso Putin ricordando che ciò che preoccupa più di ogni altra cosa gli Stati è "l'odore di gas e petrolio", che detta le regole e le leggi dei conflitti internazionali. Questa potrebbe essere la vera nuova arma che Mosca sarà pronta a sfoderare per piegare la volontà politica degli Stati che minacciano direttamente e indirettamente gli interessi della Russia. E così, in calce al suo monologo percepito da Washington come una chiara minaccia alla Nato e ai Paesi che vi partecipano, avverte l'Ucraina dicendo che sarà esposta a contromisure drastiche se non pagherà i suoi debiti nei confronti di Gazprom. Un monito che è rivolto anche all'Europa, considerando che l'Ucraina rappresenta un passaggio obbligato dei gasdotti che servono il mercato europeo: l'interruzione della fornitura di gas nei confronti dello Stato ucraino si traduce automaticamente in un parziale blocco dell'erogazione di carburante anche nei confronti dell'Europa.

È la Gazprom, dunque, l'arma non convenzionale della Russia, essendo riuscita a riportare a risollevare l'economia di un'intera nazione, sin dall'inizio del suo crollo. Infatti, all'alba della fine del comunismo in Russia, Viktor Chernomyrdin decise di creare la Gazprom all'oscuro del Ministro del Gas, Egor Gaidar, ben sapendo che il vecchio sistema di Governo della Russia stava cadendo a pezzi, e che con il crollo del potere centrale vi sarebbe stato lo sgretolamento di ogni struttura che faceva ad esso capo. È stata così fondata una società petrolifera con una organizzazione più complessa e una struttura colossale che aveva l'ENI come modello, ma che tuttavia non era una società del Tesoro Russo e che dipendesse direttamente dalle sorti del Governo e della Nazione stessa. Quando la URSS cessò di esistere, la Gazprom rimase in piedi come società compartecipata dallo Stato Russo e da entità private, nelle cui mani fu rimesso il potere di creare una nuova classe dirigente che avrebbe guidato lo Stato. Da allora fu guerra aperta tra il Cremlino e la Gazprom, che, dopo essere stata creata all'interno dello Stato russo come società per azioni, doveva ridiventare statale per servire gli interessi della nazione. La dirigenza di Putin ha completato le ultime fasi del programma concepito negli anni '80 da Chernomyrdin, e ha consacrato nelle mani del Cremlino una delle più grandi società petrolifere a controllo dello Stato che sia mai esistita. Alla sua influenza e al suo potere Putin rimette il futuro di quella nazione che ha contribuito a far rinascere, con tutte le sue contraddizioni e i suoi problemi, ma con un bilancio finale che dipinge un'economia che ha pagato i propri debiti e resta ferma dinanzi al terremoto degli altri Stati.

Intorno al potere della Gazprom oggi ruotano le vecchie e le nuove alleanze. In tale ottica va letto infatti l'incontro tra il Primo Ministro polacco Donald Tusk, in visita a Mosca, e il Presidente Putin. Un incontro per discutere delle sorti dello scudo antimissilistico in Polonia ma anche del progetto russo-tedesco del gasdotto Nord Stream. Partecipato da Gazprom per il 51%, e dai gruppi tedeschi Eon e BASF, e dall'olandese Gasunie, il consorzio del Nord Stream è coordinato dall'ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder ed è destinato ad instradare il gas del Mar Baltico che, aggirando la Polonia, andrebbe a servire direttamente il mercato europeo. Tusk così chiede di ridiscutere il tracciato del Nord Stream e di sposare un progetto battezzato "Amber" che dovrebbe attraverso l'Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia e la Germania. Putin si dichiara, tuttavia molto sfavorevole ad un progetto ritenuto inaccettabile per la Russia, mentre Tusk deve ammettere di aver fallito nel suo tentativo di dissuadere la Russia . Il Cremlino così impone la sua volontà a Varsavia, riconoscendole senza alcun problema il diritto ad ospitare le installazioni missilistiche statunitensi, ma negandole la possibilità di avere uno sbocco diretto sulle pipeline del gas russo.

È questa dunque l'arma a doppio taglio nelle mani della Russia, che ironizza "sulla corsa agli armamenti" per poi rilanciare una carta vincente che ribalta la situazione e rivela lo scopo di tanta propaganda militare. Non dimentichiamo che l'economia russa è tra le poche che non è stata colpita dalla cosiddetta crisi finanziaria dei subprimes, né dalla crisi dei derivati e dei collaterali, e la stabilità della sua moneta è garantita sempre più dalle sue riserve energetiche. Una superiorità che traspare con molta evidenza dai mercati internazionali e che inevitabilmente ha un impatto anche sul piano politico. Come ha ricordato il Vice Primo Ministro russo Serghei Ivanov, intervenendo a Monaco di Baviera alla Conferenza internazionale sulla Sicurezza, "la Russia non cerca un confronto aperto con gli Stati Uniti" , "né sarà una minaccia alla sicurezza degli altri paesi", ma "la sua influenza continua ad aumentare". "Non abbiamo come obiettivo quello di ricomprare tutta la Vecchia Europa coi nostri petrodollari", sottolinea il Ministro russo, "i paesi europei continuano a parlare di liberalizzazione dei propri mercati" nei confronti degli investimenti russi, che tuttavia sono stimati ancora su un rapporto di 1 a 10. Allo stesso tempo, Serghei Ivanov ribadisce l'opposizione di Mosca nei confronti della secessione del Kosovo e della missione della Ue, ritenute delle decisioni che scavalcano il volere degli Stati Uniti e vanno al di là del diritto internazionale. Facendo ricorso al suo diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, il Cremlino minaccia di fermare ogni operazione che costituisce un pericolo per gli equilibri internazionali. La Russia si prepara così a divenire la vera antagonista degli Stati Uniti, e così della cd. Comunità Internazionale, fatta dalla Nato e dal Fondo Monetario Internazionale, per imporre un equilibrio sulla scena Internazionale. D'altro canto, è evidente che il processo in corso, che porta alla dipendenza dell'Europa rispetto alla Russia, è inarrestabile e il suo esito è inevitabile: le dichiarazioni suicide dei nostri politici in questo momento sono solo aria al vento e non oltre 15 giorni Paesi come l'Italia annunceranno i rincari di benzina ed energia, per continuare a spingere al rialzo fino a quando saremo disposti ad accettare le condizioni imposte.


06 febbraio 2008

Riciclaggio e bolla derivati, qualcosa di marcio nella finanza


All'indomani della bufera dei derivati scatenata dalle speculazioni di un broker, Société Generale è ora nell'occhio del ciclone. Si è aperto infatti dinanzi al tribunale di Parigi il processo "Sentier 2", nell'ambito della vasta inchiesta sulle operazioni di riciclaggio tra Francia ed Israele in cui sono coinvolte quattro banche tra cui Société generale, ed il suo Presidente Daniele Bouton, insieme con Barclays France, National Bank of Pakistan e Société marseillaise de crédit (SMC) , con più di 138 inquisiti .
Le indagini sono partite dalla scoperta di una rete di riciclaggio nel quartiere parigino di Sentier, e ben presto è stata allestita presso il Palazzo di giustizia una sala aperta al pubblico che ha ospitato ben 142 accusati, tra persone fisiche e giuridiche. L'inchiesta aperta dal Giudice parigino va ben al di là di una truffa di derivati e di futures, aprendo così uno squarcio all'interno della fitta rete finanziaria esistente tra fondazioni, banche e fiduciarie , che ha costruito un meccanismo di creazione di denaro e di riciclaggio per miliardi di euro. Meccanismo basato sullo scambio di titoli collaterali, spesso invalidi o privi di garanzia, ma accreditate e depositati presso grandi Banche allo scopo di registrare delle capitalizzazioni o delle riserve di denaro che nella realtà non esistono. Questo grazie alla complicità di una rete di broker e di società di Trading, che hanno alle loro spalle studi fiduciari e notarili in qualità di garanti e di coordinatori dello scambio dei titoli.

Il sistema è sempre lo stesso, ed è quello che abbiamo avuto modo di spiegare più volte nel corso delle nostre inchieste sul traffico di collaterali falsi sulle piazze svizzere, per poi essere depositati presso le securities di grandi Banche d'affari. Infatti, dinanzi al giudice di Parigi sono finiti sotto inchiesta cinque reti, quattro composte da società e intermediari finanziari, e la quinta di associazioni cultuali o umanitarie israeliane, che hanno riciclato denaro, abusando dei beni e dell'attività sociale e statutaria, ed emettendo fatture false per progetti mai realizzati e prestazioni mai offerte. Gli assegni emessi in funzione di tali fatture sono stati poi depositati in banche o in uffici di cambio in Israele, ed in particolare presso Société Generale, Barclays France, National Bank of Pakistan e Société marseillaise de crédit (SMC) , accusate di non avere sorvegliato sull'emissione e il trattamento degli assegni accettati dagli uffici di cambio israeliano ed ancora meno gli sborsi in contanti effettuati sui conti delle imprese o delle associazioni cultuali. Stando alla ricostruzione della procura, le somme riciclate da Société Generale, Barclays France, SMC e la National Bank of Pakistan sono state valutato rispettivamente per 32 milioni di euro, 24 milioni di euro e 2,6 milioni per le due ultime, per operazioni poste in essere tra il 1998 e il 2001. Su tali eventi è stata aperta in passato l'inchiesta denominata "Sentier 1" per il quale Société Generale si costituì come parte civile, come vittima dunque della fronde posta in essere da associazioni e società.
Ciò che ha indotto i giudici parigini all'apertura di un processo "Sentier 2" è stata la constatazione dell'evidente assenza di controllo da parte delle Banche, soprattutto in relazione agli stringenti controlli anti-riciclaggio previsti dalle normative. Sospetti che sono stati amplificati e confermati dal crack della scorsa settimana che ha visto un semplice broker aprire delle posizioni in future per circa 50 miliardi di euro - ossia per un ammontare di denaro pari al PIL di Stati come il Marocco, il Vietnam e la Slovacchia - che avrebbe dovuto allertare le autorità in qualche modo per segnalare l'evidente abuso e il rischio di un collasso.

Sorge a questo punto la chiara conferma di come una banca agisca in maniera del tutto arbitraria e senza alcun tipo di controllo, riuscendo ad eludere regole e norme internazionali, che - a quanto pare - vengono rigidamente imposte solo alle piccole imprese o a soggetti privati. Inoltre, il caso "Sentier" non è che la punta dell'iceberg di un sistema finanziario basato sulla carta straccia, sul nulla e su di un meccanismo di creazione di denaro mediante riciclaggio di titoli e di titoli senza alcun valore. Non è da escludere, inoltre, che i due casi che coinvolgono la Société Generale siano in qualche modo collegati, da quel sottile filo che unisce l'alta finanza dei sistemi informatici, con il mondo del Trading e dei cdd. "brokers da marciapiede". Infatti, da una parte abbiamo delle grandi Banche che stranamente sono coinvolte in un sistema di riciclaggio di titoli e fatture false emesse da associazioni umanitarie e da fondazioni, e dall'altra parte abbiamo le stesse banche che con poche transazioni bruciano miliardi di dollari, svalutando e cancellando riserve imputate a capitale forse perché "inesistenti".
In ogni caso, l'inchiesta che in questi mesi è stata portata avanti dalla Tela si è rivelata non solo giusta, ma estremamente attuale, in quanto ha perfettamente previsto e annunciato che la scoperta di titoli e collaterali falsi avrebbe ben presto portato alla destabilizzazione dei sistemi finanziari di Banche e società che ne fanno uso. Non dimentichiamo che a poco tempo dalla denuncia dell'esistenza di Bonds Petrobras non validi sulle piazze finanziarie svizzere, e depositate presso la Ubs Bank, questa ha annunciato una forte svalutazione delle riserve, ed è stata poi ben presto sfiduciata sul molti mercati come advisor.
Recentemente la Tela ha portato alla luce documenti e certificati bancari che dimostrano il coinvolgimento dei dirigenti della Federal Reseve in transazioni che hanno ad oggetto Buoni del Tesoro Americano, sui quali non è giunta tuttavia alcuna ufficiale smentita come più volte richiesto. Allo stesso modo, la nostra inchiesta ha scoperto la stessa rete di traffico di collaterali per milioni di Yen che vede coinvolto il Tesoro del Giappone e la International Industrial Development Organization. Dinanzi alla nostra segnalazione, il Ministero delle Finanze Giapponese ha subito risposto prendendo le dovute distanze sui Bonds presi in considerazione.

Quanto sta accadendo sul mercato finanziario internazionale desta comunque una grande preoccupazione, in quanto stiamo assistendo ad un'improvvisa escalation che sta portando alla luce quanto c'è di più oscuro nell'alta finanza. I mutui subprime negli Stati Uniti e in Inghilterra, derivati e riciclaggio in Francia, speculazioni e carry trade sui mercati asiatici. I crolli dei mercati borisistici si susseguono con sempre maggiore frequenza, e per tale motivo dobbiamo attenderci tempi difficili per le nostre deboli economie, gonfiate dall'inflazione e dalle speculazioni finanziarie, danneggiate dalla stagnazione e dal crollo di salari e consumi. I progetti di riforma che le Istituzioni europee o Americane ci propongono, segnata dalla liberalizzazione dei mercati finanziari ( come la MiFID) che non porterà certo alla costituzione di sistemi finanziari etici e sicuri, ma solo ad un controllo delle transazioni nelle mani di poche entità economiche. È per tale motivo che la Tela non si arrende nella sua inchiesta dei collaterali e chiede alle piccole imprese e ai professionisti di unirsi, per costruire uno spazio economico piccolo ma maggiormente etico e sicuro.