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31 gennaio 2008

La Corte Europea chiede nuove leggi per il crimine elettronico


Si è conclusa con una sentenza del tutto inaspettata e ambigua la causa Telefonica-Promusicae rinviata dal giudice nazionale dinanzi alla Corte di Giustizia Europea. Ancora un caso di legato alle banche dati e alle società di telecomunicazione, che si snoda sempre sugli stessi punti di discussione, al momento ancora irrisolti. La questione di merito vede la Promusicae, associazione rappresentativa di artisti e cantanti in difesa del loro diritto d'autore, scontrarsi con la società di telefonia spagnola, Telefonica, per ottenere i dati personali degli utenti che illegalmente scaricano dati dalla rete. Viene così chiesto alla Corte Europa di pronunciarsi sulla questione se il diritto comunitario - e in particolare la direttiva sul commercio elettronico 2000/31/CE, la direttiva 2001/29/CE e 2004/48/CE sull’armonizzazione e il rispetto della legislazione del diritto d’autore e la direttiva 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche - vadano interpretati nel senso di istituire l’obbligo di comunicare dati personali in un procedimento civile.

Dal suo canto, la Corte Europea emette un testo che, volutamente, si presta a diverse interpretazioni, mentre univoco è lo scenario che esso apre per il mondo della cybernetica e della comunicazione virtuale. Come molti hanno già evidenziato, se da una parte la Corte di Giustizia afferma l'impossibilità per la giurisprudenza Europea di intervenire per garantire il rispetto del diritto di autore, dall'altra ammette l'inesistenza di norme che obblighino le società di telecomunicazione o i server a comunicare i dati personali degli utenti.
Premettendo che il diritto comunitario ( in particolare l'art.5 della direttiva 2002/58/CE) demanda agli Stati la possibilità adottare disposizioni legislative volte a limitare i diritti della riservatezza dei dati - se esistono esigenze di salvaguardia della sicurezza nazionale, della difesa, della sicurezza pubblica, e la prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati (sic!) , nonché per la tutela dei diritti e delle libertà altrui - non è esclusa la possibilità per i legislatori nazionali di prevedere l’obbligo di divulgare dati personali nell’ambito di un procedimento civile. La Corte così ammette che il diritto comunitario non vieta né impone agli Stati di emanare leggi che possano obbligare le società di telecomunicazione e i server a comunicare i dati degli utenti. Un chiarimento che può autorizzare un'azione legale per il rispetto del diritto d'autore qualora esistano dei casi di necessità - come può avvenire in ambito penale - oppure può indicare che al momento non esiste il reato perché non esiste la legge ( nullum crimen sine lege ). Infatti la sentenza conclude con l'invito agli Stati nazionali di chiarire, nelle fasi di recepimento delle direttive, la giusta interpretazione delle norme, garantendo sempre "un equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario", nel rispetto del principio della proporzionalità.

La Corte di Giustizia così prende atto dello stato di confusione e di incertezza in cui si trovano i giudizi nazionali, e decide di rimettere ai legislatori nazionali la stesura di una normativa più completa, che vada a colmare le lacune esistenti in tema di protezione dei dati personali nelle trasmissioni telematiche e nelle comunicazioni. Per cui, se da un parte blocca le pretese della Promusicae nei confronti degli utenti di Telefonica, dall'altra apre nuove strade per agire contro il crimine telematico che "minaccia" la società civile. Una di queste potrebbe essere l'inasprimento delle pene contro la violazione del diritto d'autore su un altro livello di giudizio, come quello penale, oppure ad una maggiore liberalizzazione dei server che dovranno così aprire i propri archivi alle Autorità investigative in maniera automatica. Ad ogni modo, quello che la Corte Europea chiede è un'accelerazione nei lavori di stesura della "Carta di internet" e così del codice giuridico sulle attività telematiche e sul cybercrimine. Non può esistere tuttavia un corpo di leggi che regolamenti il crimine elettronico ed informatico, senza una "carta costituzionale" che riconosca dei diritti inviolabili come l'accesso alla rete e la condivisione dei dati. Queste due clausole infatti consentono di trasformare il web, che è una struttura piramidale, in una tela, in una struttura orizzontale, che cresce e si sviluppa in virtù dell'adesione di sempre nuovi soggetti ed entità e con lo scambio reciproco dei dati.
Nel momento in cui sarà posto un controllo alla circolazione delle informazioni, sarà istituito il nuovo regime, la nuova usura, una nuova fonte di reddito per le major delle telecomunicazioni. I grandi server saranno le nuove "centrali rischi", in quanto immense banche dati di miliardi di soggetti che navigano, esplorano, comunicano e lavorano attraverso la rete. Per realizzare tutto questo bastano dei piccoli cavilli legali, basta il riconoscimento da parte di un Governo che il crimine elettronico è un reato penale e che la violazione del diritto di autore, costituisce una minaccia per la tutela altrui. Sappiamo bene chi detta le regole del gioco, e dinanzi alla totale inesistenza di salvaguardia dei Governi sui suoi cittadini,corriamo veramente il rischio di superare quel piccolo limite previsto dalla legge.

30 gennaio 2008

Uranio impoverito: un crimine contro l'umanità

Rinascita Balcanica intervista Domenico Leggiero (nella Foto), responsabile del comparto Difesa dell’Osservatorio Militare, incaricato al Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Responsabile Nazionale per le Forze Armate in seno al Comitato Permanente sulla tutela dei diritti dei lavoratori delle Forze Armate e di Polizia. Collaboratore e ricercatore da lungo tempo negli studi degli effetti dell'uranio impoverito sul corpo militare esposto a contaminazione, Domenico Leggiero lancia la proposta di trasferire le ricerche effettuate in questi anni sulla situazione della popolazione civile dei Balcani. "Un confronto diretto tra chi ha studiato il problema, e le parti in causa: lo Stato Italiano, il Governo della Repubblica Srpska ed i rappresentanti Americani sul territorio" , sarebbe "non solo giusto ma anche politicamente corretto" - dichiara Domenico Leggiero.

Perché è stato riconosciuto un risarcimento danni per i militari italiani e non per la popolazione civile colpita dai bombardamenti?
Perchè i militari italiani dovranno essere risarciti dall'Italia in quanto vertici militari e governo dell'epoca avevano ignorato l'effetto delle munizioni all'uranio impoverito. I civili dovrebbero essere risarciti da chi effettivamente ha utilizzato l'armamento all'uranio impoverito sulla popolazione civile: Gli Stati uniti d'America. Ad ogni modo, gli Stati che hanno prodotto e utilizzato tali armi non si vogliono assumere le responsabilità perchè si tratta di una strage i cui autori sono, a pari merito, i Governi degli stati partecipanti alle missioni ed i vertici militari. Se venisse riconosciuto un risarcimento vorrebbe dire che vi è una colpa e, le colpe, non possono essere degli Stati che si definiscono "democratici". Non ultima anche una più venale riflessione: a quanto ammonterebbe il danno da risarcire e, soprattutto, nel momento in cui si riconosce un risarcimento ai popoli dei Balcani, per quale motivo non si dovrebbe risarcire anche l'Iraq e l'Afghanistan? credo proprio che il "risarcimento", per questi stati, rappresenti l'antitesi della guerra "di pace" che hanno fatto in vari teatri internazionali.

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Lei considera una condizione inaccettabile "risarcire la popolazione civile dei Balcani per un danno ambientale che l'Italia non ha commesso", essendo le bombe all'uranio impoverito di produzione statunitense. Perché ritiene inaccettabile condannare l'Italia per il bombardamento dei Balcani?

L'Italia non è condannabile per le bombe per il semplice fatto che non ha utilizzato quel tipo d'armamento che neanche produce. Però ne conosce gli effetti e avrebbe dovuto informare i propri militari del rischio che correvano, cosa che non ha fatto. Pertanto, deve assumersi le responsabilità e risarcire tutti i propri "dipendenti" lasciati senza misure di prevenzione. Gli effetti delle bombe all'uranio, seppur conosciute dagli Stati Maggiori erano ignorate dai politici e dal Governo, la consapevolezza della pericolosità delle armi all'uranio è stata nascosta dai militari italiani. In Italia però, gli alti gradi militari, non hanno mai pagato per le loro malefatte.

Quali sono secondo lei le Istituzioni e le entità direttamente responsabili dei danni dell'Uranio impoverito?
Primi tra tutti i Paesi i cui eserciti hanno utilizzato armi all'uranio impoverito anche se, questa sostanza, era già stata messa al bando da una risoluzione ONU del 1989 proposta proprio dagli Stati Uniti d'America. La NATO è, a mio parere, direttamente responsabile, l'ONU, d'altro canto, dovrebbe essere il garante universale di eventuali soprusi tra Stati membri. Per questo motivo, le denunce degli stati colpiti dovrebbero essere fatte alla NATO e la richiesta di giustizia all'ONU. Quest'ultima dovrebbe approvare una risoluzione che impegna gli Stati che hanno utilizzato le armi all'uranio a risarcire ed agli stati membri dell'alleanza una eventuale quantificazione del danno ambientale e successiva bonifica

Molte organizzazioni hanno condotto studi e ricerche sui danni dell'uranio provocati sul corpo militare, come l'Osservatorio Militare. Che lei sappia, tali ricerche sono state effettuate anche tra la popolazione civile dei Balcani bombardata?
Avevamo chiesto permessi per portare avanti un progetto organico in tal senso ma non ci è stato permesso dall'Italia, potremmo portare la nostra esperienza nei Balcani se solo uno degli Stati interessati da mandato per affrontare e studiare il problema sui civili con gli stessi criteri adottati per i militari.

Perché in questi anni non è stato portato all'attenzione degli Organismi Internazionali il problema dell'Uranio impoverito nei Balcani?Vi sono stati degli ostacoli? E se sì, quali?
L'utilizzo di uranio impoverito nella costruzione di armi, consente alle centrali atomiche di smaltire l'uranio derivante dalla lavorazione per la produzione di energia in prodotto economico attivo mentre invece, se si dovesse smaltire come rifiuto e scoria nucleare avrebbe un costo altissimo: ciò che dovrebbe essere un alto costo di produzione viene trasformato in grande reddito produttivo. Dietro la fabbricazione delle armi all'uranio vi è la necessità di smaltire grandi quantità di uranio impoverito prodotto dalle centrali nucleari (per ogni chilogrammo di uranio arricchito per la produzione di energia, 995 grammi diventeranno uranio impoverito da smaltire come rifiuto nucleare.

Come molti sanno, le Nazioni Unite hanno emesso una risoluzione che definisce le armi all'uranio impoverito pericolose e dannose. Crede che l'Onu andrà fino in fondo a tale questione?
L'ONU potrà anche farlo ma, fino ad ora, non mi risulta che gli Stati Uniti si siano mai adeguati ad una risoluzione dell'ONU riguardante l'utilizzo di armamenti non convenzionali.

Secondo lei, in questi anni l'opinione pubblica è stata informata in maniera adeguata o i media hanno fatto molta disinformazione?
L'opinione pubblica conosce il problema solo in parte ed i media (normalmente controllati dai governi, parlano del problema in modo distorto e strumentale.

Oggi conduciamo la battaglia contro l'uranio impoverito, mentre le popolazioni dell'Iraq e della Palestina vengono bombardate con armi "non convenzionali". Gli Stati continuano a non imparare dai loro errori e le Nazioni Unite restano inerti. Crede che sia giusto ipotizzare l'esistenza di un "crimine invisibile" che gioca proprio sui lunghi tempi e sulla difficoltà di condurre dei processi contro tali armi?

E' certamente un crimine quello che abbiamo documentato e provato sull'utilizzo di uranio impoverito. L'Iraq e l'Afghanistan stanno subendo danni certamente superiori a quelli causati in Europa (la reazione poteva essere incontrollabile). Non credo che gli Stati continuano a non imparare dai propri errori, credo invece che gli Stati non vogliono vedere ciò che non conviene vedere per i grandi interessi economici che la cosa comporta.

Secondo lei queste campagne contro l'uranio impoverito, possono essere utilizzate dalle società di armamenti per rendere illegali le vecchie armi e introdurne altre, con nuovi investimenti da parte dei governi?
No, Le armi all'uranio impoverito vengono prodotte per smaltire uranio derivante da lavorazione nucleare, in questo caso, le fabbriche si adeguano all'offerta del mercato. L'uranio impoverito si trova anche a costo zero mentre gli altri elementi per la costruzione di armi hanno dei costi particolarmente elevati.

Ritiene che sarebbe utile organizzare una Conferenza nella Republika Srpska per avere un confronto diretto con le Istituzioni locali e la popolazione?
Non solo sarebbe giusto ma politicamente corretto, ritengo anche importante un confronto proprio tra chi ha studiato il problema, e le parti in causa: lo Stato Italiano, il Governo della Repubblica Srpska ed i rappresentanti Americani sul territorio.

Crede che sia possibile organizzare delle operazioni congiunte, tra corpi militari e popolazione civile, per avere il riconoscimento dei danni?
Sono le folle che muovono i Governi, la giustizia il mondo. Credo che un'azione del genere non solo sia necessaria ma indispensabile per capire, conoscere e crescere nel rispetto dei diritti umani e dell'ambiente in cui viviamo.

Possiamo affermare, infine, che queste le armi all'uranio impoverito sono un crimine come l'umanità?

Non solo lo affermiamo ma lo dimostriamo in modo chiaro ed inequivocabile.

Rinascita Balcanica

29 gennaio 2008

L'Opec del Gas: una mossa strategica della Russia


Dopo la firma dello storico accordo concluso tra la Gazprom e il Governo serbo, nonché con la società petrolifera austriaca MOV, la Russia rilancia il progetto dell'Opec del Gas, che raccoglierà i principali Paesi esportatori di gas. Lo annuncia il quotidiano russo Kommersant, che rende noto come la Russia stia creando, come fase preliminare della formazione dell'Opec del Gas, un'organizzazione dei maggiori Esportatori di Gas all'interno della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) . Tale iniziativa è stata promossa, non a caso, dal consiglio direttivo della Gazprom e proposto dal deputato Valery Yazev, nel 2006. Stando a quanto riportato dal Kommersant, la Russia presenterà lo statuto dell'Associazione Internazionale dell'Organizzazione Non Governativa del Gas ( MANNGO) in occasione del Forum della Comunità Economica Eurosiatica che si terrà a Pietroburgo all'inizio del prossimo aprile.
Tale organizzazione, sebbene non sia stata ufficialmente definita come la base dell'Opec - essendo l'Opec del gas una proposta del Governo Iraniano, e non ancora approvata dal Cremlino - renderà ancora più forte la posizione della Russia all'interno del futuro cartello. La MANNGO avrà infatti sede in Russia, e sarà amministrata da un segretario, con carica triennale, nominato da Mosca.

Nasce con lo scopo principale di "creare le condizioni adatte per l'equa distribuzione delle reddito derivante dall'esportazione di gas all'interno dei Paesi produttori ed esportatori", ponendo a carico dell'organizzazione le attività di manutenzione dell'attuale rete di trasporto, nonché di "promuovere l'armonizzazione della legislazione dei membro del MANNGO nei settori dell'esplorazione, della produzione, del trattamento, del trasporto, dello stoccaggio e della distribuzione di gas". La cosa interessante da notare è che l'organizzazione può avere vita con la sola partecipazione di due o tre Stati membri del CSI, e , considerando che Kazakhstan e Tajikistan sono già d'accordo a discutere la carta, mentre la Bielorussia la sta ora esaminando, possiamo ritenere che la MAANGO di fatto è già nata, e sarà la prima e autorevole risposta della Russia alla crescente richiesta di idrocarburi.

Non dobbiamo dimenticare inoltre come tale proposta giunge a breve distanza dalla conclusione da parte di due storici contratti che consentiranno alla Russia di porre delle solide basi per estendere la propria presenza in Europa ed per portare a termine il progetto dell'Opec del Gas.
Ricordiamo infatti che la Gazprom ha firmato un contratto per l'acquisto del 51% della Società Petrolifera Serba, NIS, per una somma di 400 milioni di euro, con l'impegno di reinvestire nella società circa 500 milioni di euro. L'accordo intergovernativo, prevede inoltre la costruzione di un oleodotto dalla capacità di 10 miliardi di metri cubi all'anno che attraverserà la Serbia, e di un centro di stoccaggio internazionale; in contropartita la Serbia entrerà a far parte del Consorzio per la costruzione del South Stream percependo circa 200 milioni di dollari come diritti di transito sul territorio. Contestualmente la Gazprom firma un accordo con la società petrolifera austriaca MOV acquisendo il 50% della Central Europe Gas Hub, controllata della OMV Gas International. Considerando il particolare contesto politico in cui tale accordo si inserisce, molti analisti hanno visto nell'accordo tra la Serbia e la Russia una sorta di scambio "Kosovo contro petrolio", visto che Mosca si dichiara pronta ad appoggiare Belgrado e a prendere gli eventuali provvedimenti come risposta alla dichiarazione unilaterale dello Stato del Kosovo.
Senz'altro quella della Russia è stata una contro-risposta, in chiave energetica, alle intimidazioni di Brussel e di Washington contro Belgrado, nonché un tentativo di sfruttare la divisione che si sta venendo a creare all'interno dell'Unione Europea e del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sulla decisione del riconoscimento dello Stato del Kosovo, in caso di un'autoproclamazione da parte di Pristina. La Russia cerca così di far leva sul suo grande potere contrattuale e sulla sua influenza sul bilancio energetico degli Stati Europei, per lanciare un messaggio deciso e diretto, che va al di là delle semplice parole pronunciate da Putin.

Allo stesso modo, alla vigilia dell'incontro di Berlino per giungere ad un accordo sulla bozza della prossima risoluzione contro l'Iran, il Governo iraniano propone all'Unione Europea di diventare il principale fornitore di gas del gasdotto europeo Nabucco. Parallelamente, lo stesso Governo, si riavvicina al progetto dell'Opec del Gas grazie al rilancio dello stesso da parte della Russia. Non dimentichiamo che fu proprio Putin a decidere di sospendere temporaneamente i lavori sull'Opec del gas data l' "immaturità dei tempi", gesto che fu interpretato da alcuni analisti vicini a Teheran come un tentativo di Mosca di distogliere Ahmadinejad da ogni accordo con gli Stati Uniti per avvicinarsi invece ad un accordo bilaterale con la Russia, che avrebbe garantito il controllo dell'Asia Centrale e del mercato energetico europeo. Stranamente tale progetto viene rilanciato, a poco tempo dalla decisione del Consiglio di sicurezza dell'Onu sulle nuovi sanzioni contro l'Iran e sull'esito della Missione UE in Kosovo. Proprio considerando le implicazioni sul piano energetico possiamo intuire a pieno la strategia della Russia nella risoluzione delle due crisi internazionali. Da una parte infatti vi è l'Unione Europea, con le sue divisioni politiche e la grande sete di energia, dall'altra vi è la Russia che può giocare due carte vincenti, quali la Serbia - paese strategico per eccellenza, sia dal punto di vista geopolitico, che energetico, aprendo così a Mosca le porte del mercato Europeo - e l'Iran - secondo paese produttore di Gas e partner indispensabile per avere il controllo dell'Asia Centrale e dell'Europa allo stesso tempo.

25 gennaio 2008

Dopo una tangentopoli cade il Goveno: una storia già vissuta


Termina con un grande spettacolo al Senato, il barcollante Governo Prodi che non è riuscito a reggere l'ultimo e assestato colpo delle dimissioni del Ministro della Giustizia, Clemente Mastella. La bagarre e gli insulti durante le votazioni hanno solo dimostrato quanta tensione e quanta paura si avvertiva tra quei banchi di Palazzo Madama, convocato per decidere sulla fiducia "esplicita e motivata" nei confronti del Governo. Cusumano dice "Sì" al Governo Prodi, affermando la sua libertà politica e la sua volontà di fare il bene del Paese, scatenando così la rissa tra i Senatori. Un gesto che non è stato compreso né accettato dai colleghi, quanto meno dai giornalisti che hanno subito rilanciato i titoli sul "traditore".
Dinanzi a quanto accaduto quest'oggi, e gettando uno sguardo agli eventi delle scorse settimane, non possiamo che rimanere disorientati e atterriti dalla bassezza degli atti intimidatori nei confronti del Parlamento italiano. Hanno gettato calunnie, diffamazioni e assurda propaganda per ritrarre la perfetta immagine del Paese corrotto, in declino, ai margini della sostenibilità civile.

Forse non tutti hanno notato una sorta di parallelismo tra gli eventi di queste ultime settimane con quelli del 1992, eppure gli elementi in comune sono tanti ed evidenti, ma probabilmente si è cercato di nascondere questa verità perché ciò che viene dopo fa veramente paura. Un'altra tangentopoli sotterranea ha messo in ginocchio l'Italia, una pianificata e programmata strategia volta a colpire gli anelli più deboli del meccanismo, per poi farli crollare al momento dovuto. A nessuno è sembrato strano il fatto che delle grandi indagini sui "massoni" d'Italia, sulle "caste" sono state condotte alla luce del sole, seguite costantemente dalle telecamere e dai giornali, che sono riusciti a ricostruire in maniera magistrale cosa sia accaduto tra le alte sfere del potere. Nessuno si è chiesto perché magistrati come la Forleo e De Magistris sono stati presentati quasi come eroi nazionali che hanno condiviso con tutti i media le loro vicissitudini e i loro contrasti con "i poteri" , mentre i Giudici Borsellino e Falcone agivano in maniera silenziosa indagando sulle fiduciarie svizzere e lussemburghesi che facevano da lavanderie per i soldi della mafia e dell'alta finanza.
E ancora, nessuno si è chiesto perché Napoli è stata gettata nel caos in quel modo, senza alcuna dignità e senza alcun rispetto per i cittadini, lasciando che tutti i media del mondo vedessero come "gli italiani non sanno riciclare i rifiuti". Ricordiamo solo per un attimo il panico creato in Italia dal terrorismo, dalle morti improvvise e dai suicidi del 1992: stesso risultato, anche se con dinamiche diverse. Non dimentichiamo per le parole di Bettino Craxi pronunciate dinanzi al Parlamento, nè le speculazioni sulla lira di Soros. Non dimentichiamo la riunione del Britannia, e nemmeno il dolore dell'Italia che si frantumava per l'avvento della Grande Europa.


Ebbene, la nostra voce fuori dal coro, vuole ricordare a tutti gli italiani che il clientelismo politico, la corruzione, la manipolazione e persino i rifiuti di Napoli, sono sempre esistiti nella nostra piena consapevolezza. Allora perché adesso si grida alla scandalo, perché si decide di arrestare la moglie del Ministro della Giustizia per uno scandalo di "Asl" , perché si lascia cadere il Governo e si festeggia. Forse perché la propaganda ci ha di nuovo ingannato, e ci ha lasciato credere di combattere contro il male che si annida tra i nostri rappresentanti in Parlamento e non permette di Governare il Paese. Ecco che un'altra tangentopoli si è abbattuta sull'Italia, per destabilizzare un Governo e crearne un altro. Allora, nel 1992, si arrivò alla ratifica di Maastricht, data ricordata da tutti come l'inizio della politica eurocrate-liberista che ha devastato la nostra economia. E ora, cosa dobbiamo aspettarci?
A rispondere a questa domanda ci ha già pensato il nostro intramontabile Senatore Cossiga, che, dopo aver votato a favore del Governo, trasmette in una nota il suo verdetto. "Sembra che Mario Draghi, gia' socio della Goldman & Sachs, nota grande banca d'affari americana, oggi Governatore della Banca d'Italia sia il vero candidato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di un "Governo istituzionale" - riporta l'Agenzia Agi - E cosi' avra' modo di svendere, come ha gia' fatto quando era Direttore Generale del Tesoro, quel che resta dell'industria pubblica a qualche cliente della sua antica banca d'affari".
Un tale monito, lungi dall'essere considerato come assoluta verità, deve indurci a riflettere, a capire il perché in pochi giorni è stata decisa, programmata e portata a termine, la destabilizzazione del Governo Prodi, quando per decisioni ben più delicate non è stato battuto ciglio conferendo a scatola chiusa la fiducia. Tutto questo, per giunta, durante una delle congiunture economiche più svantaggiose di questi ultimi vent'anni, talmente pericolosa che rischia di gettare la nostra economia nella recessione. Non ha alcun senso logico e morale, lasciar cadere il Governo ora che l'economia è maggiormente vulnerabile, ora che l'Italia può essere colpita da speculazioni o, nella peggiore delle ipotesi, vedersi sfiduciata sulle piazze finanziarie. E così, mentre i media internazionali parlano dell'Italia come Paese corrotto e in declino, gli investimenti diminuiscono, le garanzie di solvibilità si indeboliscono, e i severi giudizi delle Agenzie di consulenza si pagano amaramente.

E' chiaro che dinanzi all'esigenza di stabilità, la decisione sul nuovo Governo potrebbe ricadere proprio su un tecnico, per garantire il normale funzionamento dello Stato, nonché per approvare leggi e provvedimenti senza tuttavia avere alcun mandato da parte del popolo. Sappiamo bene che la Costituzione stabilisce che la legittimazione deriva sempre dal Parlamento, ma, come la storia ci insegna, gli schieramenti della Sinistra italiana hanno portato a termine maggiori progetti di legge durante il Governo Tecnico che nel corso della loro legislazione. I nuovi tecnici potranno così promulgare tutte le leggi necessarie al prossimo Governo, e all'Italia stessa per entrare in una nuova epoca della storia degli Stati moderni. Questo perchè ogni sconvolgente cambiamento economico, è sempre stato accompagnato da forti destabilizzazioni, e l'attualità più recente conferma questo assioma della storia.

Oggi cade il Governo, cade la dignità dell'Italia, e forse - per fortuna - cade anche il mito della casta che ha influenzato e manipolato fin troppo la nostra opinione pubblica. Con la casta dovrebbero cadere anche tutti i "filistei", attori di una storia tragico-comica, di una finta resistenza politica che ormai non ha più senso di esistere. Vorremmo così chiedere a questi blog che raccolgono 200.000 firme, cosa decideranno di fare ora che il loro nemico è stato sconfitto? Accoglieranno Draghi o altri per lui a ricoprire un'Alta carica Istituzionale, o inizieranno una nuova raccolta di firme?
La differenza tra propaganda e resistenza è molto sottile, così com'è sottile la differenza che passa tra la tangentopoli e il colpo di Stato. Bisogna prestare attenzione alle parole che utilizziamo per definire la nostra battaglia per la democrazia perché potremmo ritrovarci facilmente dalla parte del carnefice e non della vittima.

24 gennaio 2008

Crisi globale: la Russia non crollerà

La riunione del World Economic Forum (WEF) di Davos, nella blindata Svizzera, si apre all'insegna delle più pessimistiche previsioni sullo stato dell'economia mondiale, che non tarderanno a divenire realtà. Il rischio è molto alto e le probabilità di una recessione globalizzata sono sempre più alte. Rischiamo un serio strangolamento del credito, oltre ad rallentamento generalizzato a causa del declino statunitense, che difficilmente potrà essere compensato dalla produzione e dai consumi delle economie emergenti. India e Cina restano secondo gli analisti i pilastri incrollabili dell'economia reale, che, nonostante la recessione, conserveranno una crescita del 6% anziché dell'8%, mentre i Paesi industrializzati sfioreranno in maniera stentata l'1 o il 2%, per una media del 4% che lascia ancora margini di recupero. Ciò che tuttavia turba, più di ogni altra cosa è l'instabilità finanziaria e monetaria che potrebbe amplificare in alcune zone del mondo l'impatto della crisi, come i Paesi produttori di petrolio e le Borse Asiatiche, paradisi borsistici degli speculatori.

Un tale timore viene confermato dal banchiere George Soros nel suo intervento al vertice di Davos. Quasi beffardamente, cerca di giocare d'anticipo sulla prospettiva della crisi globale, affermando che la crisi dei subprime ha innescato un meccanismo che provocherà la fine dello status del dollaro come valuta di riserva del mondo. Premettiamo che George Soros rappresenta uno dei più grandi speculatori dell'epoca moderna, proprietario della più vasta rete bancaria e finanziaria d'Europa, direttamente collegata alla famiglia Rothschild nelle cui mani confluisce un patrimonio industriale e finanziario immenso. "L'attuale crisi segnala così la fine di un sistema basato sull'espansione del credito basato sul dollaro come valuta di riserva". Criticando duramente il sistema finanziario mondiale che ha lasciato a ruota libera e senza controlli le Banche (sic!), Soros mette in guardia gli operatori finanziari dell'affidarsi al dollaro come moneta di riserva. L'intervento di un tale personaggio, protagonista delle più grandi tornate speculative della storia, può avere il duplice significato che i potenti banchieri hanno deciso di rivedere le proprie strategie di investimento, o che riusciranno a lucrare, anche in questo caso, su una situazione di crisi diffusa.

Secondo Nouriel Roubini, ex consigliere economico del Presidente Clinton,stima che "sarà la crisi più difficile degli ultimi vent' anni anche se non eguaglierà la famosa crisi del 1929", perché la recessione americana porterà a nuovi e successivi crolli del dollaro, intravedendo dei margini di ripresa solo nel prevedibile abbassamento dei prezzi delle materie prime, che contribuirà a ridurre l'inflazione. Questo non in relazione alle contromisure adottate dalla Federal Reserve, giunte ormai in ritardo, ma dal crollo della domanda e dei consumi che costringerà il livello dei prezzi al ribasso. L'economia mondiale, dunque, non riuscirà a sfuggire alla spirale negativa degli Stati Uniti in quanto è direttamente determinata dall'interconnessione (domanda-offerta) tra USA e Cina, per cui se la domanda americana crolla, allora l'economia cinese produce di meno, in quanto l'Europa e il Giappone non sono in grado di compensarla. In tutto questo, sono pochi gli esempi di eccellenza che consentiranno di reggere l'impatto della crisi, e uno di questi è proprio la Russia che potrebbe trarre dalla percezione di una crisi globale, l'occasione di affermare la sua superiorità finanziaria oltre che politica.

Il Vice-Premier russo, nonché Ministro delle Finanze, Alexeï Koudrine ha commentato la riunione di Davos affermando che "la Russia parteciperà al programma collettivo del Fondo Monetario internazionale volto ad attenuare le conseguenze della crisi finanziaria internazionale", senza tuttavia intervenire per appianare eventuali squilibri negli altri Stati. La Russia si conferma così un punto di riferimento per l'economia euro-asiatica, essendo uno dei pochi governi che sia riuscito, in un periodo di grave crisi valutaria e finanziaria, a stabilizzare la propria moneta, e ad aumentare la redditività del Fondo di stabilizzazione - che ha raggiunto nel gennaio 2007 i 160 miliardi di dollari - in relazione al rincaro del valore dei Bonds statali esteri che, reagiscono alla crisi, offrendo sempre maggiori interessi. È possibile dedurre che la crisi si ripercuote positivamente sulla redditività degli investimenti del Fondo, in Paesi come Germania, Austria, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Stati Uniti, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Portogallo. Si sta così accreditando sempre più la tesi che la Russia diventi, sullo sfondo della crisi americana, un'oasi di pace per i capitali stranieri. Non dobbiamo dimenticare inoltre che la Russia detiene la carta strategica delle risorse energetiche, che si traduce nel relativo monopolio della fornitura di gas naturale, oltre al consolidamento della rete per la distribuzione del petrolio, in particolar modo verso il mercato europeo. Mosca ricopre infatti il ruolo di catalizzatore e regista allo stesso tempo nelle dinamiche geopolitiche mondiali, in particolar mondo nel continente euro-asiatico e in quello Sud Americano, che rappresentano i centri nevralgici per l'energia. Elementi chiave della strategia russa si confermano essere l'Iran, che sta negoziando il proprio diritto al nucleare civile con la ratifica degli accordi di fornitura del gas al Nabucco e al South Stream, nonché la Serbia e il Kosovo, giunti dinanzi al bivio se affidarsi alle premure degli Stati Uniti o a quelle della Russia. La risoluzione dei due casi, che probabilmente sarà contestuale e relativamente equilibrata, decreterà la vittoria dell'uno o dell'altro, e dunque l'apertura di nuove chances per l'America o il consolidamento della Russia come potenza incontrastata.

22 gennaio 2008

Il terrorismo non ha salvato l'America


Lunedì nero per le borse dopo il grande flop del piano di emergenza di Bush. Vengono confermate le paure e i timori di chi, ancor prima dell'11 settembre parlava di crisi sistemica. La risposta delle borse è stata molto chiara. Troppo poco e troppo tardi, ma soprattutto inutile se i meccanismi e le strutture maggiormente responsabili di quanto accaduto sono rimaste impunite e al potere.

Il rischio recessione per gli Stati Uniti e il grande bluff del "piano di emergenza" presentato dal Presidente George Bush, diffonde il panico nelle borse e nelle principali piazze finanziarie. In calo le Borse europee con un margine di riduzione degli indici borsistici di oltre il 7%, bruciando in poche ore più di 400 miliardi di euro di capitalizzazione, con operazioni di svalutazione che hanno interessato principalmente i titoli bancari, ed in particolare Bnp Paribas, Ubs Bank, Société Générale e Commerzbank, anche se i dati più preoccupanti derivano dalle borse asiatiche che subiscono l'effetto di ritorno dello scoppio della bolla speculativa occidentale. Crolla Hong Kong, Singapore, Shanghai e Mumbai, con un crollo del 15% delle . Si salva invece Wall Street che è rimasta chiusa per il Martin Luther King Day, evitando così il peggio agli Stati Uniti, già devastati dal pessimismo e dalla incombente recessione. Dinanzi a noi lo scenario finanziario dell'11 settembre, senza tuttavia alcun attacco terroristico che ha sconvolto e ha manipolato la percezione degli eventi e degli shock sul mercato globale. Stranamente, lo scorso venerdì, la Banca Mondiale riceve una telefonata intimidatoria che annuncia un grave attentato nei confronti della Sede di Washington , tale da provocare la chiusura degli uffici per precauzione.

Secondo gli analisti, il piano di salvataggio dell'economia - una manovra di circa 150 miliardi di dollari - presentato dal Presidente George Bush e dal Governatore della Federal Reserve Bernard Bernanke, non salverà gli Stati Uniti da un baratro che è talmente evidente ed innegabile, da spingere le più alte Istituzioni americane ad intervenire d'urgenza, con sgravi fiscali, incentivi agli investimenti, riduzione dei tassi di interessi e aumento della base monetaria. E così, a dispetto delle dichiarazioni di George W. Bush che annuncia un piano di rilancio dell'economia di 1% del PIL, la Borsa ha subito di nuovo uno dei lunedì più neri di questi ultimi anni. La mobilitazione d'emergenza delle classe politiche e delle Istituzioni monetarie non hanno convinto gli investitori, né i cittadini americani che percepiscono ormai come inutili le misure volte a sostenere le classi più povere, con uno sgravio fiscale nei confronti di circa 90 milioni di persone, oltre all'invio di un assegno di 800 dollari per ogni contribuente, una detrazione di 1.600 dollari per l'acquisto della prima casa. Si stima tuttavia che tali sgravi potranno essere sostenuti solo fino al 2010, e in ogni caso, l'immissione sul mercato di una tale ricchezza potrà avere come effetto quello di drogare il prodotto interno lordo di almeno 2 punti senza garantire una vera ripresa dell'economia. Allo stato attuale, un rialzo dettato da un intervento così drastico, e artificiale, non può essere duraturo, in quanto la crisi strutturale tende inevitabilmente a riportare l'economia al di sotto dell'equilibrio economico. Per cui la manovra di recupero del Governo degli Stati Uniti sembra più che altro un tentativo di propaganda, volto a camuffare una grave crisi globale in una sofferenza congiunturale che potrebbe essere affrontata con una manovra di breve periodo.


La risposta delle borse è stata molto chiara. Troppo poco e troppo tardi, ma soprattutto inutile se i meccanismi e le strutture maggiormente responsabili di quanto accaduto sono rimaste impunite e al potere. Gli stessi incentivi del Governo Statunitense andranno a vantaggio delle stesse entità economiche che controllano il settore bancario e finanziario, e manovrano le operazioni speculative che hanno innescato la grande crisi di liquidità dei subprime. Ormai l'economia statunitense è allo sbaraglio e sono molti gli investitori esteri che comprano in maniera aggressiva negli Stati Uniti, approfittando della svendita delle società nonché del dollaro, che ha reso gli investimenti altamente competitivi. Solo l'anno scorso, gli investitori esteri hanno versato una somma record di circa $414 miliardi in assicurandosi così società, fabbriche, attraverso fondi di investimento di privati o aste pubbliche, mentre durante le prime due settimane del 2008 le sono stati investiti $22.6 miliardi in società americane, svendute per oltre la metà del loro valore attuale. Se la recessione aumenta e il dollaro cade ulteriore, il ritmo potrebbe accelerare ancora di più. Il dollaro debole ha fatto delle società e delle proprietà americane l'investimento più conveniente in termini globali, soprattutto per l'Europa e per il Canada, per l'Arabia Saudita e la Russia, nonché per i grandi esportatori come Cina e Germania .I beneficiari più evidenti sono sempre le banche di Wall Street come Merrill Lynch, Citigroup e Morgan Stanley che hanno venduto le loro proprietà ai fondi governativi dell'Asia e del Medio Oriente per compensare le clamorose perdite sui mercati bancari. Le entità giapponesi, cinesi, indiane, nonché arabe e emirate, hanno investito nel settore immobiliare, in quello siderurgico, energetico e in quello alimentare. Stiamo così assistendo in America ad un silenzioso movimento, quello del capitalismo statale, dove le grandi potenze "socialiste" di un tempo, stanno acquistando di sana pianta l'America capitalista.

Il lunedì nero ha così confermato le paure e i timori di molti che anni fa, già prima del crollo delle Torri Gemelle, cominciarno a parlare di crisi sistemica e della grande bolla finanziaria causata dall'inesistenza di qualsiasi controllo sulle pratiche speculative e sul valore della moneta in circolazione. Allora, un grande attentato terroristico coprì il crollo delle Borse che si è avuto a pochi mesi di distanza, come naturale conseguenza del disfacimento del sistema globale. Oggi possiamo dire che non è stato il terrorismo a far crollare le borse, ma qualcosa che è radicato così profondamente nel nostro sistema economico che continua ancora oggi a rivelare i suoi lati oscuri.

La consapevolezza che viviamo in un sistema malato si sta diffondendo sempre più, e lo si percepisce nelle piccole cose, con l'aumento dei costi bancari, sino alle grandi Istituzioni. Il Presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker ha osato pronunciare la parola fatidica di recessione, mentre il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (FMI) Dominique Strauss-Kahn ha stimato per la sua parte lunedì che la crisi causata dal rallentamento della crescita americana è estremamente "seria", e potrebbe mettere in ginocchio i paesi emergenti, perché continua sempre più a deteriorarsi: ora non si può più escludere una tale eventualità. Finalmente in Fmi ammette che si è materializzata la recessione che tutti hanno previsto, e che non passerà senza conseguenze anche nella zona Europea, che abbasserà la crescita del blocco europeo intorno al 2%. Almunia e Juncker hanno discusso persino l'idea di un piano di sostegno alla congiuntura in Europa, comparabile a quello degli Stati Uniti, in vista di una situazione economica ancora più rischiosa. Tuttavia, Juncker ha riconosciuto che i Paesi europei potrebbero ricorrere agli "stabilizzatori automatici, per attutire l'effetto dei rallentamenti economici, che autorizzano i Paesi che hanno migliorato i propri conti pubblici a non compensare il minor gettito fiscale dovuti ad un deterioramento dell'economia medianti i tagli della spesa pubblica, ammettendo la possibilità da parte dello Stato di sostenere le imprese e la produzione.

A questo punto, sebbene i Paesi Asiatici sembrano essere l'anello più debole, essendo destinazione di speculazioni finanziarie e operazioni di carry trade, rappresentano quegli attori che sono in grado di sostenere la crescita globale, mantenendo stabile la domanda di energia e di risorse, e immettendo sul mercato merci e prodotti. In assenza della spinta produttiva di queste economie, la recessione potrebbe essere ben più pericolosa.

21 gennaio 2008

I nuovi surrogati dei mutui


Da un'inchiesta del portale della Regione Lazio dedicato ai consumatori, viene rilevata la triste situazione del mercato bancario italiano, che smentisce le proiezioni del Governo e della Banca d'Italia. Il rapporto stilato conferma come le Banche italiane continuino ad abusare del loro potere contrattuale, a discapito di imprese e famiglie sempre più in difficoltà e patologicamente dipendenti dal debito. Le leggi come sempre vengono eluse, raggirate, mentre si attende che nuovi contratti e forme di indebitamento sorgano dalle ceneri dei vecchi sistemi "criminalizzati".
Il Portale consumatore analizza infatti le forme di trasferimento dei contratti bancari stipulati, smentendo così il rispetto della legge Bersani, e della stessa finanziaria 2008, che escludono la pattuizione di commissioni od oneri a carico del cliente. Tra i casi esaminati, vi rientra la surroga, e dunque il trasferimento di un contratto bancario presso un'altra banca che entra così nei diritti del primo creditore. Stando ai dati rilevati, continuano a rimanere molto alti i costi notarili e le commissioni applicate per la sottoscrizione del nuovo mutuo presso un'altra banca in via automatica, tale che, quella eventuale differenza nei tassi di interesse viene del tutto compensata dai maggiori costi.
Allo stesso modo, viene esaminata la rinegoziazione dei mutui, che permette di modificare il tasso e la durata del prestito per ridurre l'ammontare della rata. Un'operazione che la Banca effettua in maniera gratuita, proprio perché l'effetto di riduzione della rata resta nel "breve periodo", ma rischia di aumentare il peso dei tassi di interesse cumulati nel tempo. Per tale motivo, tali "opzioni" per alleggerire il carico di spese delle famiglie, sono quelle più pericolose, perché rischiano di simulare di fatto un "mutuo perpetuo", proprio a causa delle continue rinegoziazioni a cui i cittadini sono costretti, non riuscendo spesso a sostenere i costi bancari. Infine, viene in qualche modo preferito, "come male minore", il regime della sostituzione del mutuo, che permette di trasferire il prestito presso una nuova banca e modificare, la durata, il tipo di tasso, e l’importo del finanziamento, con la possibilità di riunire più finanziamenti in un'unica rata. Restano tuttavia i costi e gli oneri notarili per estinguere il vecchio mutuo e negoziarlo nel nuovo Istituto di credito, e ciononostante resta l'opzione più utilizzata dai clienti della banca, nell'impossibilità di poter effettuare la surroga ad un costo adeguato.


Occorre tuttavia sottolineare come i regimi di "migrazione" dei mutui da una banca all'altra siano le nuove forme di marketing promozionale delle Banche, che sfruttano le regole della concorrenza per ampliare e diversificare i propri contratti bancari. Infatti è stato chiarito che dal regime semplificato dell'iter della surroga nasceranno molti prodotti dedicati, come l'"opzione posticipo rata", il "mutuo Orizzonte" - per chi vuole vendere la propria casa e acquistarne un'altra - , i mutui per le aste immobiliari, con la condizione sospensiva della vincita della gara, i mutui perpetui che possono ricadere sulle generazioni future. Lo scenario dinanzi a noi è così vario, studiato per stupire e per soddisfare ogni piccole, e inesistente, bisogno dei clienti.
In ogni caso, osserviamo che la decisione di trasferire il mutuo viene indotta da campagne pubblicitarie non del tutto trasparenti, che disinformano e manipolano i cittadini, che non hanno a disposizione tutti i mezzi per definire la convenienza o meno nel tempo del trasferimento. Non dimentichiamo, inoltre che, data l'alta concentrazione della rete bancaria nelle mani di pochi, esiste una grande standardizzazione delle condizioni contrattuali e la differenza nei costi è solo apparente: il sistema bancario può essere considerato come un grande supermercato, in cui le offerte e i "3X2" sono del tutto previsti e studiati in maniera di compensarsi a vicenda. Nei fatti, non esiste una concorrenza o una differenza tale da giustificare il trasferimento del mutuo da una banca all'altra, ma una finzione creata a tavolino dai gruppi bancari che decidono di sottoscrivere dei cartelli.
Per rispondere ad una tale sensazione di impotenza, intervengono le Associazioni di Consumatori e le norme di liberalizzazione del Governo, che non fanno altro che creare delle norme "sintetiche" per contenere i costi del mutuo, che nei fatti si rivelano inefficienti e inutili. Ancora oggi, a distanza di anni, non esiste una vera salvaguardia da parte dello Stato sul sistema bancario, sul diritto alla casa, sulla sostenibilità delle spese bancarie, che si cumulano sempre più in maniera esponenziale tra carte di credito e finanziamenti.
Le finanziarie occasionali e i prestiti al consumo di moltiplicano sempre di più, spesso appartengono allo stesso Gruppo Bancario che decide di differenziare le condizioni contrattuali come semplice tecnica pubblicitaria.
Questa è dunque la grande vittoria delle Banche, dopo la crisi dei subprime, dopo lo scandalo della crisi del credito, e il rischio insolvenza del sistema bancario. Le Banche cambiano, decidono di rilanciare la propria immagine, e lo fanno pattuendo a tavolino con Associazioni di consumatori e Governi i muovi "prodotti" che, con grande flessibilità, possono adattarsi alle tasche degli italiani.

18 gennaio 2008

Il WEF avverte sul possibile crollo dei prezzi


L'economia mondiale potrebbe affrontare un periodo di stagnazione non a causa della crisi energetica, bensì della crisi finanziaria globale. Lo rileva il rapporto Global Risks 2008, redatto dal World Economic Forum (WEF) che sarà discusso in occasione della conferenza annuale che si terrà a Davos a fine gennaio. Senza molta diplomazia, il rapporto rileva che il mondo affronterà il più alto rischio di recessione di questi ultimi 10 anni, facendo sicuramente leva sulle crisi politiche che si sono concentrate in punti geopolitici stratetigici. Tuttavia, tale rischio, stando la lettera degli esperti, deriva dalla crisi finanziaria che ha travolto, di conseguenza ogni settore del sistema economico globale, facendo così, il settore energetico un veicolo della crisi e non semplicemente una causa scatenante.

Gli Stati Uniti sono stati l'epicentro di un terremoto che ben presto si è esteso, come un domino, in ogni Paese del Mondo. Ricordiamo infatti come tra il 2005 e il 2007 il deficit commerciale dell'America e così la svalutazione del dollaro, ha compromesso la stabilità dell'equilibrio finanziario del mondo. Ben presto, la svalutazione monetaria ha rivelato la speculazione sui tassi di interesse, e così sui titoli che la Federal Reserve e le più grandi Banche nordamericane ed europee contribuivano a diffondere, senza alcuna garanzia o controvalore. La debolezza del mercato finanziario, ha poi prodotto i suoi effetti su quello bancario, e così sui mutui, sul credito, sui consumi, sui salari, bloccando di conseguenza la produzione.

Il rapporto così avverte che un "crash" sui prezzi - ossia una caduta libera in seguito al raggiungimento del picco di inflazione - potrebbe provocare una crisi finanziaria globale nel 2008. Il WEF stima che questo rischio è molto vicino, con una probabilità del 20%, e un eventuale crollo del valore dei beni potrebbe causare un danno di bilioni di dollari. Una tale previsione, sebbene così dura e "apocalittica", non è così inverosimile né tanto lontana, considerando che le fasi di evoluzione dell'economia sono sempre più ravvicinati nel tempo e viaggiano con velocità impressionanti. Come abbiamo avuto modo di spiegare più volte, la nostra economia si trova in una fase di recessione molto complessa, come quella della stagflazione, durante la quale ogni politica di intervento risulta inefficace o estremamente dannosa. È infatti quella fase in cui l'alta inflazione, provoca un'iniziale espansione dell'economia e poi una sua riduzione in seguito al blocco della crescita dei salari che sostengono i consumi e così la produzione.
Attualmente, per stessa ammissione di Confindustria e della Banca d'Italia, l'Italia si trova in una fase di stagflazione, così come gli Stati Uniti. Il blocco della produzione, provoca stagnazione ma anche il collasso dei prezzi, a seguito dell'eccessiva offerta rispetto alla domanda. Ebbene, qualora i prezzi dovessero cominciare a diminuire in maniera drastica, si avrebbe l'effetto contrario, in quanto vi sarebbe la svalutazione della produzione industriale, delle risorse, e delle ricchezze di uno Stato. A rendere ancor più critica la situazione saranno le speculazioni, che già si preparano, nascoste dalla virtualità delle contrattazioni della borsa e dell' alta finanza. Questo lo sanno bene tutte le entità economiche, soprattutto quelle sovranazionali che hanno maggiore potere sulle sorti dell'economia. Lo sa l'Opec, che ha sorriso in maniera beffarda quando Bush ha "timidamente" chiesto di aumentare la produzione di petrolio perché l'America soffriva l'aumento dei prezzi. Lo sa la Federal Reserve, che ha ridotto i tassi, aumentato l'offerta di moneta, ma ad un certo punto si è fermata e ha chiesto al Congresso di aumentare la politica fiscale. E lo sa anche la Banca Centrale Europea, che non ha toccato i tassi di interesse, in attesa che sia il mercato a imporglielo di conseguenza.

Per cui, dato tale scenario, la recessione si diffonderà prima negli Stati Uniti e poi in Europa, mentre la crescita di Cina e India saranno lievemente rallentate. Mentre, per quanto riguarda la Russia, il rapporto della WEF prevede un impatto negativo derivante dalla riduzione della richiesta di materie prime ed energie, a causa del calo della produzione. Gli analisti russi si sono soffermati su quello che il rapporto chiama "concetto di 2009", secondo il quale la recessione negli Stati Uniti porterà il prezzo del petrolio ai minimi storici, tale da trasformare, improvvisamente, l'eccedenza di esportazione in un'eccedenza di importazione, tale che deteriorerà anche il valore del rublo. Tale previsione, viene in qualche modo esclusa dalla Russia, così come dagli produttori di petrolio, che vedono i prezzi del greggio e dell'oro in continua ascesa, oltre i limiti storici raggiunti in passato. Questo in relazione alla crescente dipendenza dei Paesi occidentali nei confronti degli idrocarburi, e degli insufficienti investimenti nelle tecnologie di energia alternativa. Infatti, anche se gli Stati Uniti potrebbero rallentare la loro economia, la crescita annuale del 6% della Cina continuerebbe a trainare la richiesta del petrolio.




A confermare invece la tesi del vicino ribasso dei prezzi, è l'osservazione che i Paesi produttori di petrolio, sono restii ad effettuare investimenti rischiosi nella ricerca di nuovi pozzi di petrolio. La stessa Banca Internazionale Goldman Sachs, dopo aver preannunciato un rialzo dei prezzi del greggio oltre i 100$, afferma che nel 2008 un barile di petrolio costerà intorno ai 95$ per diminuire ancora in futuro. D'altro canto, è la stessa legge economica "speculativa" che afferma che, raggiunto il vertice del rialzo, i prezzi cominciano a diminuire, a causa delle forze che spingono la domanda ad eguagliare l'offerta, dopo un lungo periodo di eccedenza. Inoltre, sebbene i prezzi del petrolio potrebbero non turbare i piani degli investitori e dei consumatori, il dato più preoccupante è la crisi sul mercato finanziario che contribuisce a gonfiare ancora di più la bolla speculativa. Le grandi Banche internazionali continuano ad effettuare le svalutazioni del proprio capitale, come l'ennesima di Merrill Lynch che si aggiunge così a quelle effettuate da Ubs Bank e Citigroup, mentre la sfiducia nel mercato finanziario si espande sempre di più. Nel momento in cui si espanderà la recessione negli Stati Uniti, deprimendo così anche l'attrattività del mercato degli investimenti, si arresterà anche l'acquisto di titoli e derivati legati al dollaro, che rappresentano, sostanzialmente, il cuore di tutto il sistema finanziario. Sarà allora che si avvertirà la svendita dei titoli, la riduzione dei tassi di interesse passivi e così anche la riduzione dei prezzi. Un'eventualità questa che risiede nella natura stessa del mercato, che è in continuo movimento, tra espansioni e contrazioni, per raggiungere un equilibrio di lungo termine che rispecchia perfettamente lo stato delle ricchezze e delle risorse del pianeta. È ovvio che al momento le regole del mercato sono truccate, manipolate, distorte, e non rispettano il reale stato dell'economia mondiale. Tuttavia, la completa incapacità dei governi a governare la crisi, dimostra come il sistema è altamente instabile e potrebbe improvvisamente cambiare il proprio trend.

17 gennaio 2008

Derubata la Banca Centrale d'Albania

"Non abbiamo alcun potere sull'oro sequestrato durante il regime comunista, l'ultima parola spetta al governo". La Banca d'Albania, con queste parole, si esprime sugli obblighi nei confronti dei cittadini albanesi che sono stati espropriati delle loro ricchezze durante il regime, motivando tale decisione sulla base della sua costituzione, ex novo, a partire dal 1992. Spetta ora al governo albanese esprimersi su tale questione e prendere una decisione in merito alla distribuzione dell'oro confiscato.


Con la costituzione del sistema democratico in Albania, nel 1992, la Banca d`Albania - oltre a cambiare il suo nome, da Banca dello Stato Albanese a Banca d`Albania - ha cambiato soprattutto i suoi obblighi, perché, a partire da quest`anno, la banca inizia la sua "esistenza" ex novo. Fonti ufficiali dell`Autorità Centrale Finanziaria confermano dunque che "la Banca d`Albania non ha ereditato nessun debito arretrato dello Stato albanese o della stessa banca, e ciò implica che non riconosce alcuna pretesa delle parti sulla proprietà dell'oro, di cui essa dispone presso il Tesoro dello Stato". La legge del 1992, che regolamenta il funzionamento della Banca Centrale, ha riconosciuto alla Banca d'Albania la possibilità di comprare e vendere oro, altri metalli preziosi, per conto suo e per conto di terzi. Possiede tuttavia l'oro, assieme alla relativa documentazione e ha il potere di custodia su di esso come parte del Tesoro dello Stato, senza tuttavia avere alcun obbligo di restituzione nei confronti dei suoi precedenti possessori, non avendo potere sulla destinazione del tesoro. Ogni tipo di intervento sulla redistribuzione dell'oro potrà avvenire solo attraverso legge speciale.

Tali misure sono state stabilite non solo dalla legge del 1992, ma anche dalla Costituzione dell'Albania, all'interno della quale veniva specificato che "dopo due o tre anni dall'entrata in vigore della Costituzione, occorreva approvare la legge per la Restituzione delle proprietà mobili e dell' oro". Tuttavia, la legge per la regolamentazione della restituzione dell'oro è stata approvata nel 2004 - ben 6 anni dopo rispetto alla prescrizione della Costituzione - e delega il Parlamento ad emanare una legge speciale per eseguire di fatto la redistribuzione delle ricchezze, anche se la Costituzione, al suo interno, già riconosce di fatto la proprietà e gli obblighi che lo Stato ha nei confronti dei cittadini. Così sono trascorsi 9 anni, e non sono stati restituiti né l'oro, né il compenso finanziario dei beni mobili confiscati durante il comunismo in base alla legge sul tassazione straordinaria. Si stima che la riserva valutaria della Banca d`Albania è di circa 2 miliardi di dollari, all'infuori della quantità d'oro, di cui non si conosce l'ammontare preciso, visto che viene considerato come un importante segreto bancario.

Aspettando dunque che sia il governo ad prendere un`iniziativa sulle procedure di restituzione, la Banca d'Albania agirà solo in applicazione di un decreto approvato dal Parlamento albanese.
Il vuoto legislativo sta creando dissensi e inquietudini tra i cittadini albanesi, che chiedono delle spiegazioni al Parlamento albanese, e allo stesso tempo alla Banca d`Albania di rispettare la Costituzione, e dunque restituire l` oro. L'Associazione “Proprietà con giustizia”, che ha promosso l'iniziativa per ottenere la restituzione del metallo prezioso alle famiglie a cui esso appartiene, dichiara attraverso il suo Presidente Agim Toro, che "la banca non deve aspettare il decreto parlamentare per agire, ma deve distribuire l`oro alle famiglie".
Allo stesso modo si è espresso il Segretario Generale dell'Associazione degli ex-proprietari, affermando che “non si riesce a capire perchè il Governatore della Banca d`Albania non restituisce l`oro, quando è la stessa Costituzione che lo prevede", infatti - continua il Segretario Generale - esistono l'inventario e i processi verbali dei sequestri, tutto è rimasto intatto, per cui non c`è alcuna ragione per cui questa ricchezza non venga restituita ai legittimi proprietari”. Il Governatore della Banca d'Albania Ardian Fullani replica affermando che occorrerà aspettare l`approvazione della legge da parte del Parlamento, e che "il ruolo della Banca Centrale resta quello della custodia del tesoro e non della sua alienazione" .

Sorge a questo punto il dubbio se la Banca d`Albania possieda ancora oro a sufficienza per risarcire gli ex-proprietari. Non vi è la certezza che la Banca d'Albania disponga di quest'oro e che non sia stato utilizzato durante questi anni, né quale sia la quota di legittima proprietà del Tesoro. Le stime delle Associazioni parlano di 273 tonnellate d'oro confiscato, che, valutato all'attuale quotazione dell'oro ammonterebbe a circa 8,7 miliardi di dollari. In ogni caso, una tale quantità d'oro, non può essersi dissolta senza lasciare dietro di sé qualche traccia, in quanto, qualora sia stata immessa nel circuito bancario al fine di creare capitale anche 100 volte superiore, è stato senz'altro tracciato. Il Parlamento albanese, non a caso, ha deciso di porre il segreto bancario sulla questione dell'oro, e rinvia all'infinito una decisione che spetta di diritto al popolo albanese, in base alla lettera costituzionale. E così, una ricchezza che appartiene agli albanesi da oltre 60 anni, sembra essere misteriosamente scomparsa dopo la caduta del regime comunista e l'Istituzione della Repubblica, e la creazione di una nuova entità come Banca Centrale, che eredita il patrimonio e le competenze, ma non i debiti e le obbligazioni nei confronti dei cittadini. È chiaro dunque il tentativo di nascondere uno dei capitoli più bui della storia dell'Albania, che ha pesantemente influito anche sull'attuale situazione del Paese, in balia dell'influenza dell'entità economiche internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Un mistero così importante, da tenere nascosto a tutti i costi, come la morte di un Colonnello del Sismi, che decise di suicidarsi di ritorno dall'Albania...

16 gennaio 2008

L'Iran finge la guerra e firma contratti


Il tour in Medioriente di Bush lascia dietro di sé non pochi dubbi sul futuro dell'equilibrio mondiale e della crisi petrolifera. Un Presidente Americano visita il Medioriente tormentato dalle guerre che lui stesso ha causato e combattuto, e non incontra sul suo cammino né proteste né attentati. È stato più che altro il viaggio di un padrone nelle sue terre, popolate da fantasmi, ma ricchi di petrolio. Presso la corte del Principe Saudita lancia il messaggio del pericolo di recessione degli Stati Uniti a causa dell'elevato prezzo del petrolio, e in risposta riceve un ironico rifiuto, per ricordare che le speculazioni sull'oro nero non viene fatto dai produttori di petrolio, ma da altre entità economiche. Come tra due amici di "vecchia data" la discussione si chiude con la "strana rassegnazione" di Bush e la firma di un accordo di miliardi di dollari per la vendita di sistemi militari di difesa. Tanto per giustificare quel megalomane acquisto di armi da parte dell'Arabia Saudita - molto probabilmente necessario a perfezionare ben altre operazioni finanziarie - Bush e il principe saudita guardano all'Iran, come potenziale nemico in un probabile conflitto non così tanto lontano.
"L'Iran è il principale sponsor del terrorismo", dichiara Bush rivolgendosi ad Abu Dhabi, emirato con molteplici rapporti con il regime iraniano, "le azioni dell'Iran minacciando ovunque la sicurezza delle nazioni e per questo gli Stati Uniti stanno rafforzando i loro impegni a lungo termine con i nostri amici nel Golfo, e riunendo amici attorno il mondo per affrontare questo pericolo prima che sia troppo tardi". Vorremmo però capire, di quale nemico stiamo parlando, considerando che l'Iran, coperto dal silenzio dei media, è riuscito a difendere la propria posizione sul piano internazionale, sia per quanto riguarda il suo ruolo di produttore, ed esportatore di gas, sia per quanto riguarda la questione del nucleare.

Infatti, proprio mentre Bush accusa Teheran di aver tentato di attaccare le navi statunitensi nel Golfo di Ormuz, l'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica (AIEA) ha annunciato che ha trovato un accordo con l'Iran per risolvere tutti i problemi rimasti in sospeso sul programma nucleare del Paese, redigendo un "documento di lavoro" destinato a chiarire la posizione dell'Iran nelle prossime settimane. In particolare le attività passate sull'utilizzo di plutonio e Polonium 210, sulla produzione dell'uranio arricchito, e soprattutto su degli studi supposti legati ad un programma nucleare militare. Così i giochi di guerra di cui parla il Pentagono, potrebbero sembrare un chiaro tentativo di sabotaggio delle trattative in seno al Consiglio di Sicurezza dell'Onu di mettere fine al capitolo nucleare, soprattutto in risposta alle pressioni della Russia.

Ma ciò che risolve la posizione dell'Iran è la regolamentazione della sua posizione all'interno del mercato del gas, con l'annuncio della probabile ripresa del rifornimento nei confronti della Turchia, come affermato la scorsa settimana dal Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan, riattivando il gasdotto dalla città di Tabriz, nel nord-ovest dell'Iran, fino ad Ankara. La ripresa del rifornimento viene ora resa incerta dalla decisione da parte del Turkmenistan di interrompere le sue consegne quotidiane, di circa 20 e 25 milioni di m3, cosa che porterebbe ad interrompere anche le esportazioni turche di gas verso la Grecia. Malgrado i problemi attuali di approvvigionamento, l'Iran spera di aumentare l'esportazione, soprattutto grazie al nuovo gasdotto in Armenia, che dovrebbe trasportare circa 3 milioni di m3 di gas al giorno. Allo stesso modo Tehran ha firmato con Damasco un protocollo per esportare ogni anno tre miliardi di m3 di gas verso la Siria, e con la Malaysia, lo scorso mercoledì, un accordo di circa sei miliardi di dollari per lo sviluppo di due giacimenti di gas "offshore", Ferdos e Golshan, situati nel Golfo. L'Iran si è dunque impegnato con Ankara a far fronte alle esportazioni di gas dirette in Europa, potendo contare, in un certo senso, sul supporto della Russia nel rifornimento verso Turchia e Russa, come richiesto dalla società turca Botas per far fronte alle consegne sul mercato europeo. La Turchia, in attesa della risoluzione dei problemi del Turkmenistan, compra il gas naturale liquefatto dall'algerina Sonatrach, per un totale di oltre 80 milioni di m3 di gas.


I rapporti tra Iran e Russia sembrano essere ormai consolidati, stando a quanto dichiarato dal Ministro del petrolio dell'Iran, Gholamhossein Nozari, secondo cui la Gazprom è interessata a sviluppare e a finanziare delle attività di esplorazione e progetti di gasdotti. Allo stesso modo anche il gruppo italiano Edison e il regime di Teheran hanno appena firmato un accordo per l'esplorazione del blocco petrolifero di Dayer, situato nel Golfo, con un investimento di 107 milioni di dollari. Grazie a questo accordo, il gruppo italiano potrebbe garantirsi un accordo di fornitura di 42 milioni di metri cubi di gas da immettere sul mercato europeo, attraverso un gasdotto che attraversa la Turchia, la Grecia o l'Albania.


Considerando tali prospettive, possiamo intendere le parole del Ministro degli Esteri Massimo D'Alema, che ha dichiarato che il presidente americano George Bush ha usato toni ''inutilmente allarmanti sulla pericolosità dell'Iran". È chiaro dunque che l'allarmismo provocato dal Presidente americano per rilanciare il pericolo iraniano diventa sterile e fine a se stesso, non avendo alcun riscontro non solo tra gli alleati, ma anche con la reale situazione internazionale.
Gli Stati ora hanno sete di petrolio, di gas, di energia, e classificano i propri partner a seconda dei vantaggi che possono offrirgli, sebbene occorre sempre rispettare il classico antagonismo voluto dall'America. Tuttavia, non esiste alcun nemico iraniano, né alcuna minaccia di terrorismo, ma solo i problemi del sistema capitalistico dinanzi all'imminente crisi energetica, che non ha una soluzione nel breve termine.

11 gennaio 2008

La UE frena le cooperative


La Commissione critica la legislazione italiana delle cooperative non mutualistiche, e prepara una lettera di avvertimento per il governo italiano, criticando le agevolazioni fiscali concesse alle cooperative italiane. Lo rende noto il Sole24ore, riportando alcune indiscrezioni provenienti da Bruxelles.
Secondo la commissaria Ue alla Concorrenza, Neelie Kroes, le agevolazioni concesse alle cooperative sulla base del principio della mutualità prevalente e della dimensione delle cooperative sono da considerarsi aiuti di Stato. Dopo aver analizzato l'impatto delle leggi di sostegno alle cooperative, la Commissione Europa può infatti riservarsi il diritto di escludere parte degli incentivi deliberati qualora siano ritenuti eccessivi.

Il Regolamento CE n. 659/1999 del Consiglio Europeo del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del trattato CE, prevede infatti che " se la Commissione ritiene che un regime di aiuti non sia, o non sia più, compatibile con il mercato comune emette una raccomandazione" che propone "modificazioni sostanziali del regime di aiuti, l'introduzione di obblighi procedurali o l'abolizione del regime di aiuti". Nel caso in cui lo Stato nazionale dovesse non adeguarsi a tali prescrizioni scatterebbe la procedura di infrazione. L'intervento della Commissione Europea ha avuto origine da una denuncia della Federdistribuzione sulla possibile distorsione della concorrenza, nel campo della grande distribuzione, da parte dell'intervento dello Stato. Qualora lo Stato membro, in questo caso l'Italia, non dovesse uniformarsi ai "suggerimenti" proposti dalla Commissione, scatta la vera e propria procedura d'infrazione nei confronti del Paese, ma probabilmente non scatterà alcuna procedura di restituzione degli aiuti dalle imprese alle casse dello Stato.

Sulla base di tale regolamento, la Commissione Europea può in pieno diritto esaminare il regime degli aiuti di Stato previsto e prescrivere le dovute modifiche da apportare, a cui il Governo deve attenersi. Con riferimento alla normativa per le cooperative, l'Unione Europea considera aiuti di Stato l'esenzione delle tasse sui profitti imputati a riserva legale per oltre il 70% . Si chiede dunque di ridurre la facoltà di imputare i riserva i profitti non oltre il 30% , soprattutto per le cooperative che presentano più di 250 soci e hanno un fatturato di 50 milioni di euro. Allo stesso modo, sono considerati aiuti di Stato illegali le deducibilità per le coop a carattere "non mutualistico", ad esclusione dei ristorni posti a favore dei soci e delle imputazioni a riserva indivisibili, nei limiti dell'ammontare della riserva legale. Una decisione in tal senso da parte dell'Unione Europea potrebbe senz'altro dare una risposta all'esigenza di maggiore trasparenza all'interno della normativa delle cooperative, colpita recentemente da continue e molteplici attacchi dalla scena politica. Occorre osservare che, sebbene le cooperative siano espressione di un antico legame tra la politica e le imprese, costituiscono una parte fondamentale del tessuto economico italiano.

Le cooperative si sono sviluppate e sono cresciute come una vera grande società, ma hanno riunito sotto di sé tante piccole imprese consentendo loro di non essere inglobate dai grandi gruppi societari multinazionali. Tale fenomeno continua ad essere importante per l'Italia, tuttavia secondo l'Unione Europea rischia di sfociare in forme di clientelismo o parassitismo che danneggia la libera concorrenza nel mercato della produzione e della distribuzione industriale o agroalimentare. Si rischia tuttavia che, a causa della classica e patologia influenza di entità economiche e politiche, una costola importante dell'economia italiana rischia di morire. Tra cooperative "Bianche, rosse, verdi" - socialiste, cattoliche o laiche - l'opinione pubblica continua ad attaccare la "cooperazione italiana" , che esiste una oltre un secolo e producono il 7% del PIL, con più di 12 milioni di associati. Ci sono dunque numerose pressioni, dalla disinformazione alla propaganda, dalle regole comunitarie alle dinamiche di globalizzazione, che vogliono limitare il fenomeno delle cooperative, che, per la loro struttura, riescono a competere con i grandi giganti in virtù dell'unione di tante piccole entità.

Secondo la Commissione Europa, al contrario, per finanziare e stimolare l'innovazione nelle piccole e medie imprese, occorre innanzitutto dare impulso agli investimenti transnazionali dei fondi di venture capital, e superare così le regolamentazioni nazionali di mobilitazione dei capitali e di investimento tra zone di confine. I fondi di investimento potranno così penetrare nelle piccole realtà imprenditoriali, superando quei limiti che inducono a rinunciare ad investire all'infuori della loro giurisdizione di origine. Per tale motivo essere di fare in modo che le strutture di venture capital che hanno un buono funzionamento siano adottate e riconosciute negli altri Stati membri. La Commissione invita gli Stati membri, a riconoscere reciprocamente l'esistenza dei fondi di venture capital esteri, in modo da garantire un differente finanziamento delle attività delle piccole imprese. L'Europa indica dunque nei mercati finanziari e borsistici i canali di finanziamento, incentivando la deregolamentazione transnazionale, mentre limita e censura sempre di più l'ingerenza dello Stato nel settore economico. Si cerca così di far diventare la cooperazione un fenomeno di piccole dimensioni, mentre le grandi cooperative devono essere convertite in società di capitali, che, in quanto tale, devono competere con le regole di mercato.

10 gennaio 2008

Operazione Bernanke


Grazie ad una rocambolesca operazione della Tela, la Etleboro è venuta in possesso di un'importante documentazione che dimostra l'esistenza di transazioni che hanno ad oggetto US Treasury Checks emessi dalla Federal Reserve Bank. Dinanzi a noi si apre l'ennesimo canale virtuale finanziario, ma stavolta i soggetti coinvolti ricoprono un ruolo di importanza primaria sulla scena internazionale. Un cittadino di Singapore , Teo Hui Kiat, deposita presso la Federal Reserve dei titoli emessi dal Tesoro Americano dal valore nominale di oltre US$ 500.000.000, presenti sulla piazza finanziaria svizzera. Sulla base della documentazione che vi mostriamo la Federal Reserve prende in custodia i suddetti titoli, per un valore complessivo di 1 miliardo di dollari, emettendo un "custodial safekeeping receipt" ( ricevuta di deposito ) , autenticato dalle firme del Governatore Bernard Bernanke e del Vice-Governatore Roger W. Ferguson. I titoli, oggetto dell'operazione, circolano al momento sulle piazze finanziarie svizzere, e sono utilizzati in programmi di trading.
Come noto, tutti i programmi di rating sono tassativamente vietati dagli organi internazionali, essendo operazioni che, movimentando grandi somme di denaro a fronte dell'emissione di un titolo virtuale - spesso inesigibile e infruttuoso - nascondono tentativi di speculazione e di riciclaggio. Allo stesso tempo, notiamo che la prassi dei controlli da parte delle Istituzioni è rigida e impenetrabile, proteggendo spesso il sistema vizioso Trader-Istituto di credito. La crisi subprime ha appunto dimostrato il fallimento del sistema di supervisione e di controllo delle Istituzioni governative sul sistema bancario e finanziario. Così il mancato intervento da parte dell'Istituto di vigilanza equivale ad una complicità, lasciando il sospetto che sia l'ente emittente stesso ad utilizzare il titolo per scopi estranei a quanto stabilito dai regolamenti del mercato e dalle leggi nazionali e internazionali.
Occorre infatti considerare che tali titoli di debito al portatore, denominati per cifre molto elevate, possono essere utilizzati - nonostante siano le società di Trading a reperirli e certificarne la validità - da parte di Banche, Fondazioni e Multinazionali per creare grandi fondi dal nulla, medianti i quali costituire assets, liquidità e tesorerie. Il tutto viaggiando sul limite della legalità consentita e al di sopra delle normali condizioni stabilite per le transazioni, anche se dall'ammontare irrisorio. Un paradosso che sfiora l'assurdo, considerando che proprio recentemente le misure di contrasto al riciclaggio e al finanziamento illecito sono state inasprite, in relazione alla necessità di controllare ed eliminare le fonti di finanziamento al terrorismo.

A rivelare l'illiceità dell'operazione dovrebbe essere la fonte emittente dei titoli stessi - facendo così ricorso alle liste dei titoli non validi esistenti sul mercato - oppure lo scopo della transazione: rappresentano questi i controlli che la Banca Centrale e o l'Istituto di credito dovrebbe effettuare per garantire sicurezza e trasparenza sul mercato. Qualora tuttavia, i controlli non vengano fatti e si venga a creare una rete tra i diversi attori che va a eliminare e nascondere le tracce, è ovvio che il cerchio si chiude e non esiste entità che può intervenire. È da tali meccanismi, chiusi e inavvicinabili dai Governi stessi, che scaturiscono le speculazioni su scala globale, la creazione del denaro e il finanziamento ai conflitti mondiali. Questo e nient'altro. Al di là della rete bancaria e finanziaria, circondata da una costellazione di società, non esiste altro canale per i cosiddetti terroristi o per i criminali: ogni operazione portata a termine accade perché è il sistema che lo permette, in quanto le regole all'interno cui muoversi sono prestabilite. Per tale motivo, possiamo affermare che la guerra finanziamento del terrorismo è la più grande bufala che i nostri politici abbiano inventato, per dimostrare il loro impegno nella lotta contro il crimine, contro le truffe o la corruzione. Da tempo però queste illusioni sono svanite, perché il sistema ha fallito, ha rivelato delle falle e tutti noi dobbiamo pagare ora per tali errori.

Ci attendiamo invece dalla pubblicazione di tale documentazione che il sistema americano prenda una decisiva posizione su questo tipo di transazioni, e chiarisca il perché dei titoli oggetto di operazioni di trading sono stati ufficialmente accettati dalla Federal Reserve Bank. Come dimostrato nelle fasi iniziali di questa indagine, la Gazprombank, il Tesouro Nacional do Brasil nonché la Petrobras, hanno ringraziato la Tela per il contributo alla lotta contro le frodi finanziarie, prendendo così una posizione chiara sulla natura e la funzione dei collaterali presi in considerazione. Una risposta della Federal Reserve è ora indispensabile e critica allo stesso tempo, perché può arrivare a far luce sul grande paradosso del terrorismo, della crisi dei subprime e del crollo del dollaro.

09 gennaio 2008

L'avanzata della Russia


Mentre sale la tensione nel Golfo dopo la diffusione della notizia da parte della CNN sul probabile tentativo di sabotaggio delle vedette iraniane contro la marina militare statunitense, cominciano a riaffiorare i primi segnali di inquietudine sulla scena internazionale. L'Iran nega qualsiasi segnale di ostilità, mentre gli Stati Uniti cercano di presentare le prime prove a dimostrazione dell'attacco, solo per avere una valida motivazione per giustificare un intervento militare. Stranamente, si riapre il capitolo Iran, dopo la parziale battuta d'arresto delle trattative del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e dell'Agenzia Internazionale dell'Energia Nucleare, in cui la Russia - da fiero opposizione degli Stati Uniti - ha avuto un importante ruolo nell'alimentare la propaganda iraniana. Allo stesso tempo, si placano i toni di secessione all'interno dei Balcani, dopo che l'Onu, in coordinamento con l'Unione Europea, cercherà di emettere una risoluzione nel quadro della giurisdizione internazionale. E' da notare come questi due eventi, si siano evoluti di pari passo in questi ultimi mesi, secondo una logica di compensazione reciproca: l'Iran perde centralità nella propaganda occidentale, proprio quando diventano critiche le trattative per il Kosovo. A scandire i tempi e le modalità di questo gioco mediatico sono sempre la Russia e gli Stati Uniti, che con il loro antagonismo danno l'impressione che esista una sorta di equilibrio delle forze a livello internazionale.

Tuttavia, parlare di antagonismo sembra eccessivo, in quanto la Russia, soprattutto in tempi recenti, sembra che si sia avvicinata molto agli Stati Uniti, come dimostrato dal successo della figura di Putin nell'opinione pubblica americana, che stima e teme questo "uomo di Stato" che lotta per una nazione. Putin, eletto "persona dell'anno" dal Time, viene ritratto come "un Presidente americano" del passato, ispirato dagli interessi statalisti e non privati. Ecco che la Russia, consapevole della propria forza, si presenta agli Stati Uniti come un valido partner, con il quale arrivare alla risoluzione dei conflitti del mondo, e dunque all'equa ripartizione delle zone di influenza. Questa interpretazione darebbe così un senso logico alle tante contraddizioni della Russia, che da una parte dichiara ostilità nei confronti di Organismi Occidentali come l'OCSE, stralcia il Trattato sulle forze convenzionali in Europa (FCE) e critica la NATO, e dall'altra continua a mantenere degli stretti rapporti economici e militare con i singoli componenti.

Risuona in maniera alquanto strana la notizia , resa nota dallo Stato Maggiore della Marina, secondo cui nella giornata di oggi, dalla stazione navale Mar Grande di Taranto salpano due unità navali della Federazione Russa, il cacciatorpediniere Admiral Chabnenko e il rimorchiatore d’altura Nickolay Chiker, che insieme alla fregata Espero e il pattugliatore di squadra Bersagliere svolgeranno un addestramento nel mar Jonio. La presenza nel Mediterraneo della Marina russa viene giustifica nel quadro della cooperazione internazionale tra i due Stati, "per accrescere l’interoperabilità degli equipaggi". Una notizia, dello stesso contenuto, viene diffusa dall'Agenzia russa RIAN, secondo cui sono stati dislocati nel Mediterraneo la portaerei Su-33 e degli elicotteri di combattimento, per operazioni di addestramento. La spedizione, che ha avuto inizio il 5 dicembre, sarebbe così volta ad "per assicurare una presenza navale nelle aree strategiche marittime chiavi e stabilire le condizioni per la sicurezza della navigazione dei vascelli. La flotta nel Mediterraneo, secondo il Ministro della Difesa Ministro Anatoly Serdyukov, rappresenta la quarta nave da guerra dislocata nelle acque internazionali, insieme a sette unità della Russian Northern, del Mar Nero e delle Black Fleets, così come 47 aeroplani e 10 elicotteri, pronti a intervenire da una distanza di 12,000 miglia. Questo dispiegamento di forze è stato annunciato da Putin durante lo scorso agosto, che ha ristabilito i voli di perlustrazione strategici, considerando che, dopo il crollo dell'Unione sovietica ed il caos economico e politico che ne è conseguito, per molti anni la Russia è rimasta priva di difesa.

I comunicati trasmessi dal Governo russo, non lasciano alcun dubbio sullo scopo di difesa delle esercitazioni militari, infondendo così il timore che la Russia sia pronta ad ogni evenienza, e così anche ad intervenire in un eventuale conflitto. Tuttavia, non bisogna dimenticare che gli interessi che la Russia intende difendere sono di natura prettamente economici, e riguardano il controllo dei corridoi per l'instradamento delle fonti energetiche sino in Europa. La vera competizione che dunque si gioca è intorno alle autostrade del petrolio, tra la pipeline atlantica del Baku-Tblisi-Ceyhan connessa poi al Nabucco, e quella del South Stream connessa alla Bourgas-Alexandroupolis, entrambi sponsorizzati dalla Russia.

È chiaro che, mentre l'Iran rappresenta un Paese fornitore che si vende al miglior compratore, i Balcani, si posizionano come crocevia per accedere al mercato europeo attraverso l'Adriatico o la regione balcanica. L'instabilità a livello internazionale, si sta così ripercuotendo, con piccoli e deboli segnali di destabilizzazione, proprio nei Balcani dove, da un giorno all'altro, cambiano i programmi politici e i protagonisti. L'Albania sembra perdere quel ruolo di "super-potenza energetica" dopo che è stato chiaramente bloccato il progetto della grande centrale termoelettrica di Fier, e cominciano a sorgere i primi dubbi sulla fattibilità di una centrale nucleare proprio in quella zona. La posizione della Serbia continua ad essere sospesa tra integrazione e secessione, mentre il rapporto con la russa Gazprom, per l'ingresso nel consorzio South Stream, diventa sempre più stretto. Il Ministro degli esteri sloveno Dimitrij Rupel dichiara che l'Europa è disponibile a velocizzare le tappe verso l'adesione della Serbia, ma viene presto contraddetto dall'Olanda, secondo la quale "non sarà possibile la firma dell’Asa finché non sarà chiarita la posizione dei criminali di Guerra". Infine, la Macedonia decidere di liberalizzazione la cittadinanza distribuendo passaporti ai cittadini albanesi di confine, mentre imperversa in Kosovo il conflitto tra comunità serba e albanese.
Esiste dunque una dilagante sensazione di tensione, resa ancora più critica dall'avvicinarsi della crisi petrolifera e monetaria, in vista della recessione statunitense. In tutto questo, le grandi potenze giocano il ruolo di registi delle crisi che si alternano, restando pur sempre legate dal desiderio comune di controllare la distribuzione delle risorse e delle ricchezze.

08 gennaio 2008

Il dollaro internazionale sulle ceneri di Bretton Woods


All'indomani della visita di George Bush in Medioriente, ritorna lo spettro di un conflitto con l'Iran, come risposta alla crisi petrolifera e alla grave svalutazione del dollaro. Secondo le notizie fornite dal media statunitense CNN, citando le fonti della Difesa americana, delle navi iraniane avrebbero effettuato delle manovre giudicate ostili contro tre navi americane all'interno dello stretto strategico di Ormuz. Le cinque vedette iraniane si sarebbero avvicinate a circa 200 metri dalle navi della Marina americana, preannunciate dal messaggio radio "sto per attaccarvi, esploderete tra pochi minuti".
Il presunto attacco da parte iraniana, reso assurdo e alquanto inverosimile dalla segreta rivelazione di un uomo del Pentagono alla CNN, è stato tuttavia sufficiente a creare la giusta atmosfera di tensione in un'area strategica e sensibile, come il Golfo di Ormuz. Stiamo parlando infatti dello stretto attraverso il quale avviene l'instradamento del petrolio dei paesi del Golfo verso gli oleodotti dell'Arabia Saudita sino in Turchia, per un quantitativo di oltre il 20-25% della produzione mondiale di brut. Non dimentichiamo che il 23 marzo del 2007, Teheran prese in ostaggio 15 componenti della marina britannica, accusati di aver violato le acque internazionali all'interno dello stesso Golfo, e allora l'ammiraglio Habibollah Sayyari dichiarò che l'Iran "non aveva alcun progetto di blocco dello stretto di Ormuz, ma era pur sempre pronta a condurre qualsiasi operazione necessaria per difendere i propri interessi". Una tale decisione da parte del Governo iraniano, potrebbe avere conseguenze che molto più gravi della realizzazione del piano nucleare, in quanto potrebbe catapultare il mercato del petrolio in uno scenario di oltre 250 dollari al barile di greggio, come stabilito da Standard and Poor's nell'agosto del 2006. Il blocco del golfo potrebbe arrestare l'offerta mondiale di brut, con l'inevitabile recessione dell'economia mondiale, come accaduto tra il 1980 e il 1982.
Se una sospensione dell'Iran delle sue esportazioni di petrolio provocherebbero un rialzo del 30%, il blocco comprometterebbe la stabilità dell'intera economia mondiale. Questo lo scenario che secondo gli esperti americani spingerebbe gli Stati Uniti ad appoggiare un eventuale conflitto tra Israele e Iran, che andrebbe così a capovolgere una situazione di crisi ormai compromessa dal continuo inasprimento delle politiche dell'Opec e della svalutazione del dollaro.

In realtà, la propaganda del probabile conflitto iraniano potrebbe creare il diversivo ideale per nascondere e neutralizzare il rischio più spaventoso del totale deprezzamento del dollaro, che trascinerebbe nel baratro intere economie. La guerra che tutti percepiscono non sempre corrisponde al reale andamento dei fatti, gran parte di essa rappresenta solo lo sfondo di eventi ben più radicali e rivoluzionari.
Occorre dunque riflettere alle reali alternative che si profilano dinanzi agli Stati Uniti, ossia se lasciare fallire non solo l'America ma l'intero sistema, oppure azionare un meccanismo di autodifesa che possa cambiare la forma ma non la sostanza del sistema. In tale meccanismo, svolge un ruolo importante anche la propaganda e la minaccia di un conflitto iraniano, ma non è l'unica soluzione o l'unico aspetto a cui bisogna fermarsi. La svalutazione del dollaro ha visto sorgere lo spettro per gli Stati Uniti e per il gruppo di Paesi che detengono le loro riserve in dollari, dell'inflazione e della perdita della fiducia e della credibilità presso gli investitori stranieri. Questi sono infatti condannati a temere l'erosione del valore dei loro titoli e delle loro valute, che hanno subito continue svalutazioni, non solo in seguito alla dismissione delle stesse per differenziare le tesorerie, ma anche a causa dell'assurda politica monetaria della Federal Reserve che ha riempito il mercato internazionale di carta straccia.
Il dollaro, essendo una valuta di riserva, è stato utilizzato in questi anni come strumento politico e democratico, riuscendo ad influire sugli investimenti e sulla politica economica degli Stati ad esso agganciati. Basti pensare alla banche centrali dell'Asia e ai problemi che Paesi come Iran e Corea del Nord stanno affrontando a causa dell'embargo bancario. Stampando dollari su dollari, carta su carta, ha finanziato conflitti e ricostruzioni, privatizzazioni e fusioni, e ora il mondo intero si trova nella situazione tale di detenere una valuta riserva che non ha alcun valore. Più il dollaro si indebolisce, e più si indebolisce il sistema capitalistico, perché a quel punto occorre istituire la moneta di riferimento che dovrà sostituirlo.
È da notare che al momento non esiste una valuta in grado di ricoprire lo stesso ruolo, considerando che il rublo è ancora fortemente instabile, lo Yuan svalutato, mentre l'Euro è forte solo per luce riflessa del fallimento del dollaro. I paesi dell'Unione Europea non sembrano infatti essere disposti ad affrontare la responsabilità di divenire una valuta di riserva, da tesorizzare, essendo più che altro una valuta numeraria e commerciale.

Viene così presentata la teoria di Fred Bergsten, l'economista americano che sta elaborando una soluzione al problema del dollaro. Egli infatti ha proposto la creazione da parte del Fmi di "Diritti di Emissione speciali" ( Special Drawing Right - SDRs) all'interno dei quali depositare i dollari detenuti dai diversi Paesi. I diritti di emissione speciali rappresentano uno strumento di riserva internazionale assegnati proporzionalmente alla loro quota nel FMI. Furono creati nel 1969 per sostenere il sistema di parità fissa di Bretton Woods. Ogni paese aderente al sistema doveva infatti disporre di riserve ufficiali, denominate in oro e in titoli della banca centrale accettati su larga scala, in modo tale da garantire il riacquisto della moneta nazionale sui mercati dei cambi internazionali, e sostenere il proprio tasso di cambio. Allora, l'offerta internazionale dei due grandi valori di riserva, l'oro ed il dollaro, si rivelò insufficiente per sostenere l'espansione del commercio e l'evoluzione finanziaria. La comunità internazionale ha deciso di creare un nuovo valore di riserva mondiale, garantito dal FMI. Con la creazione di Bretton Woods, le grandi monete sono passate ad un regime di tasso di cambio variabile, mentre per garantire le quotazioni sui mercati furono introdotti i prestiti su scala internazionale.

Gli SDRs si limitano ora ad essere un'unità di conto del FMI e di altri organismi internazionali, non costituiscono una moneta, né un credito sul FMI, bensì un credito virtuale sulle monete dei paesi membri del FMI. Il convertibilità tra SDRs e valute viene così stabilita da accordi di scambio stabiliti tra i Paesi membri, e può avvenire anche quando il FMI designa i paesi membri dalla posizione più forte ad acquistare dei SDRs del Paese membro dalla posizione più debole. È per tale motivo dunque che Bergsten propone di ricorrere di nuovo agli SDRs per acquistare dollari e frenarne il crollo, agendo sui mercati internazionali come se vi fosse un parziale regime di parità fissa. I paesi che hanno così l'esigenza di apprezzare le loro valute contro il dollaro potranno cambiare i propri dollari a fronte di SDRs, garantiti dal FMI.

Tale soluzione, presa senz'altro in circostanze di grave crisi potrebbe portare alla creazione di quella che può essere la valuta internazionale virtuale, una moneta per eccellenza che agirebbe a livello globale, riportando il sistema monetario agli anni '50-'60. Come confermato da molti analisti, Bretton Woods è ormai fallita da tempo, e a rivelarne la sua fallibilità sono proprio le crisi di iperinflazione che si susseguono ormai con una cadenza sempre più frequente. Bretton Woods ha così perpetrato quella decisione della Federal Reserve di agganciare la valuta riserva al petrolio, e ora quella decisione si è rivoltata contro di noi con tutta la sua violenza. La reazione del sistema è tuttavia già pronta, in quanto le grandi Istituzioni monetarie internazionali stanno già ricorrendo ai ripari, nel tentativo di proteggere il crollo del dollaro e di istituire la nuova moneta globale in un futuro non così lontano. Molti collaterali denominati per miliardi di dollari sono già in circolazione sui mercati finanziari, scambiati dalle entità bancarie ed economiche come perfetti surrogati del dollaro. Presto inonderanno le riserve valutarie di tutti i Paesi, compromettendo ancor più il loro legame inscindibile con l'economia americana, e consentendo agli Stati Uniti di frenare e controllare l'andamento del dollaro in maniera pilotata. La guerra, in tutto questo, rappresenta solo l'inganno ideale per spingere ad acquistare titoli sui mercati, sulla cresta dell'onda della speculazione petrolifera.