La riunione del World Economic Forum (WEF) di Davos, nella blindata Svizzera, si apre all'insegna delle più pessimistiche previsioni sullo stato dell'economia mondiale, che non tarderanno a divenire realtà. Il rischio è molto alto e le probabilità di una recessione globalizzata sono sempre più alte. Rischiamo un serio strangolamento del credito, oltre ad rallentamento generalizzato a causa del declino statunitense, che difficilmente potrà essere compensato dalla produzione e dai consumi delle economie emergenti. India e Cina restano secondo gli analisti i pilastri incrollabili dell'economia reale, che, nonostante la recessione, conserveranno una crescita del 6% anziché dell'8%, mentre i Paesi industrializzati sfioreranno in maniera stentata l'1 o il 2%, per una media del 4% che lascia ancora margini di recupero. Ciò che tuttavia turba, più di ogni altra cosa è l'instabilità finanziaria e monetaria che potrebbe amplificare in alcune zone del mondo l'impatto della crisi, come i Paesi produttori di petrolio e le Borse Asiatiche, paradisi borsistici degli speculatori.
Un tale timore viene confermato dal banchiere George Soros nel suo intervento al vertice di Davos. Quasi beffardamente, cerca di giocare d'anticipo sulla prospettiva della crisi globale, affermando che la crisi dei subprime ha innescato un meccanismo che provocherà la fine dello status del dollaro come valuta di riserva del mondo. Premettiamo che George Soros rappresenta uno dei più grandi speculatori dell'epoca moderna, proprietario della più vasta rete bancaria e finanziaria d'Europa, direttamente collegata alla famiglia Rothschild nelle cui mani confluisce un patrimonio industriale e finanziario immenso. "L'attuale crisi segnala così la fine di un sistema basato sull'espansione del credito basato sul dollaro come valuta di riserva". Criticando duramente il sistema finanziario mondiale che ha lasciato a ruota libera e senza controlli le Banche (sic!), Soros mette in guardia gli operatori finanziari dell'affidarsi al dollaro come moneta di riserva. L'intervento di un tale personaggio, protagonista delle più grandi tornate speculative della storia, può avere il duplice significato che i potenti banchieri hanno deciso di rivedere le proprie strategie di investimento, o che riusciranno a lucrare, anche in questo caso, su una situazione di crisi diffusa.
Il Vice-Premier russo, nonché Ministro delle Finanze, Alexeï Koudrine ha commentato la riunione di Davos affermando che "la Russia parteciperà al programma collettivo del Fondo Monetario internazionale volto ad attenuare le conseguenze della crisi finanziaria internazionale", senza tuttavia intervenire per appianare eventuali squilibri negli altri Stati. La Russia si conferma così un punto di riferimento per l'economia euro-asiatica, essendo uno dei pochi governi che sia riuscito, in un periodo di grave crisi valutaria e finanziaria, a stabilizzare la propria moneta, e ad aumentare la redditività del Fondo di stabilizzazione - che ha raggiunto nel gennaio 2007 i 160 miliardi di dollari - in relazione al rincaro del valore dei Bonds statali esteri che, reagiscono alla crisi, offrendo sempre maggiori interessi. È possibile dedurre che la crisi si ripercuote positivamente sulla redditività degli investimenti del Fondo, in Paesi come Germania, Austria, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Stati Uniti, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Portogallo. Si sta così accreditando sempre più la tesi che la Russia diventi, sullo sfondo della crisi americana, un'oasi di pace per i capitali stranieri. Non dobbiamo dimenticare inoltre che la Russia detiene la carta strategica delle risorse energetiche, che si traduce nel relativo monopolio della fornitura di gas naturale, oltre al consolidamento della rete per la distribuzione del petrolio, in particolar modo verso il mercato europeo. Mosca ricopre infatti il ruolo di catalizzatore e regista allo stesso tempo nelle dinamiche geopolitiche mondiali, in particolar mondo nel continente euro-asiatico e in quello Sud Americano, che rappresentano i centri nevralgici per l'energia. Elementi chiave della strategia russa si confermano essere l'Iran, che sta negoziando il proprio diritto al nucleare civile con la ratifica degli accordi di fornitura del gas al Nabucco e al South Stream, nonché la Serbia e il Kosovo, giunti dinanzi al bivio se affidarsi alle premure degli Stati Uniti o a quelle della Russia. La risoluzione dei due casi, che probabilmente sarà contestuale e relativamente equilibrata, decreterà la vittoria dell'uno o dell'altro, e dunque l'apertura di nuove chances per l'America o il consolidamento della Russia come potenza incontrastata.