All'indomani della visita di George Bush in Medioriente, ritorna lo spettro di un conflitto con l'Iran, come risposta alla crisi petrolifera e alla grave svalutazione del dollaro. Secondo le notizie fornite dal media statunitense CNN, citando le fonti della Difesa americana, delle navi iraniane avrebbero effettuato delle manovre giudicate ostili contro tre navi americane all'interno dello stretto strategico di Ormuz. Le cinque vedette iraniane si sarebbero avvicinate a circa 200 metri dalle navi della Marina americana, preannunciate dal messaggio radio "sto per attaccarvi, esploderete tra pochi minuti".
Il presunto attacco da parte iraniana, reso assurdo e alquanto inverosimile dalla segreta rivelazione di un uomo del Pentagono alla CNN, è stato tuttavia sufficiente a creare la giusta atmosfera di tensione in un'area strategica e sensibile, come il Golfo di Ormuz. Stiamo parlando infatti dello stretto attraverso il quale avviene l'instradamento del petrolio dei paesi del Golfo verso gli oleodotti dell'Arabia Saudita sino in Turchia, per un quantitativo di oltre il 20-25% della produzione mondiale di brut. Non dimentichiamo che il 23 marzo del 2007, Teheran prese in ostaggio 15 componenti della marina britannica, accusati di aver violato le acque internazionali all'interno dello stesso Golfo, e allora l'ammiraglio Habibollah Sayyari dichiarò che l'Iran "non aveva alcun progetto di blocco dello stretto di Ormuz, ma era pur sempre pronta a condurre qualsiasi operazione necessaria per difendere i propri interessi". Una tale decisione da parte del Governo iraniano, potrebbe avere conseguenze che molto più gravi della realizzazione del piano nucleare, in quanto potrebbe catapultare il mercato del petrolio in uno scenario di oltre 250 dollari al barile di greggio, come stabilito da Standard and Poor's nell'agosto del 2006. Il blocco del golfo potrebbe arrestare l'offerta mondiale di brut, con l'inevitabile recessione dell'economia mondiale, come accaduto tra il 1980 e il 1982.
Se una sospensione dell'Iran delle sue esportazioni di petrolio provocherebbero un rialzo del 30%, il blocco comprometterebbe la stabilità dell'intera economia mondiale. Questo lo scenario che secondo gli esperti americani spingerebbe gli Stati Uniti ad appoggiare un eventuale conflitto tra Israele e Iran, che andrebbe così a capovolgere una situazione di crisi ormai compromessa dal continuo inasprimento delle politiche dell'Opec e della svalutazione del dollaro.
In realtà, la propaganda del probabile conflitto iraniano potrebbe creare il diversivo ideale per nascondere e neutralizzare il rischio più spaventoso del totale deprezzamento del dollaro, che trascinerebbe nel baratro intere economie. La guerra che tutti percepiscono non sempre corrisponde al reale andamento dei fatti, gran parte di essa rappresenta solo lo sfondo di eventi ben più radicali e rivoluzionari.
Occorre dunque riflettere alle reali alternative che si profilano dinanzi agli Stati Uniti, ossia se lasciare fallire non solo l'America ma l'intero sistema, oppure azionare un meccanismo di autodifesa che possa cambiare la forma ma non la sostanza del sistema. In tale meccanismo, svolge un ruolo importante anche la propaganda e la minaccia di un conflitto iraniano, ma non è l'unica soluzione o l'unico aspetto a cui bisogna fermarsi. La svalutazione del dollaro ha visto sorgere lo spettro per gli Stati Uniti e per il gruppo di Paesi che detengono le loro riserve in dollari, dell'inflazione e della perdita della fiducia e della credibilità presso gli investitori stranieri. Questi sono infatti condannati a temere l'erosione del valore dei loro titoli e delle loro valute, che hanno subito continue svalutazioni, non solo in seguito alla dismissione delle stesse per differenziare le tesorerie, ma anche a causa dell'assurda politica monetaria della Federal Reserve che ha riempito il mercato internazionale di carta straccia.
Il dollaro, essendo una valuta di riserva, è stato utilizzato in questi anni come strumento politico e democratico, riuscendo ad influire sugli investimenti e sulla politica economica degli Stati ad esso agganciati. Basti pensare alla banche centrali dell'Asia e ai problemi che Paesi come Iran e Corea del Nord stanno affrontando a causa dell'embargo bancario. Stampando dollari su dollari, carta su carta, ha finanziato conflitti e ricostruzioni, privatizzazioni e fusioni, e ora il mondo intero si trova nella situazione tale di detenere una valuta riserva che non ha alcun valore. Più il dollaro si indebolisce, e più si indebolisce il sistema capitalistico, perché a quel punto occorre istituire la moneta di riferimento che dovrà sostituirlo.
È da notare che al momento non esiste una valuta in grado di ricoprire lo stesso ruolo, considerando che il rublo è ancora fortemente instabile, lo Yuan svalutato, mentre l'Euro è forte solo per luce riflessa del fallimento del dollaro. I paesi dell'Unione Europea non sembrano infatti essere disposti ad affrontare la responsabilità di divenire una valuta di riserva, da tesorizzare, essendo più che altro una valuta numeraria e commerciale.
Viene così presentata la teoria di Fred Bergsten, l'economista americano che sta elaborando una soluzione al problema del dollaro. Egli infatti ha proposto la creazione da parte del Fmi di "Diritti di Emissione speciali" ( Special Drawing Right - SDRs) all'interno dei quali depositare i dollari detenuti dai diversi Paesi. I diritti di emissione speciali rappresentano uno strumento di riserva internazionale assegnati proporzionalmente alla loro quota nel FMI. Furono creati nel 1969 per sostenere il sistema di parità fissa di Bretton Woods. Ogni paese aderente al sistema doveva infatti disporre di riserve ufficiali, denominate in oro e in titoli della banca centrale accettati su larga scala, in modo tale da garantire il riacquisto della moneta nazionale sui mercati dei cambi internazionali, e sostenere il proprio tasso di cambio. Allora, l'offerta internazionale dei due grandi valori di riserva, l'oro ed il dollaro, si rivelò insufficiente per sostenere l'espansione del commercio e l'evoluzione finanziaria. La comunità internazionale ha deciso di creare un nuovo valore di riserva mondiale, garantito dal FMI. Con la creazione di Bretton Woods, le grandi monete sono passate ad un regime di tasso di cambio variabile, mentre per garantire le quotazioni sui mercati furono introdotti i prestiti su scala internazionale.
Gli SDRs si limitano ora ad essere un'unità di conto del FMI e di altri organismi internazionali, non costituiscono una moneta, né un credito sul FMI, bensì un credito virtuale sulle monete dei paesi membri del FMI. Il convertibilità tra SDRs e valute viene così stabilita da accordi di scambio stabiliti tra i Paesi membri, e può avvenire anche quando il FMI designa i paesi membri dalla posizione più forte ad acquistare dei SDRs del Paese membro dalla posizione più debole. È per tale motivo dunque che Bergsten propone di ricorrere di nuovo agli SDRs per acquistare dollari e frenarne il crollo, agendo sui mercati internazionali come se vi fosse un parziale regime di parità fissa. I paesi che hanno così l'esigenza di apprezzare le loro valute contro il dollaro potranno cambiare i propri dollari a fronte di SDRs, garantiti dal FMI.
Tale soluzione, presa senz'altro in circostanze di grave crisi potrebbe portare alla creazione di quella che può essere la valuta internazionale virtuale, una moneta per eccellenza che agirebbe a livello globale, riportando il sistema monetario agli anni '50-'60. Come confermato da molti analisti, Bretton Woods è ormai fallita da tempo, e a rivelarne la sua fallibilità sono proprio le crisi di iperinflazione che si susseguono ormai con una cadenza sempre più frequente. Bretton Woods ha così perpetrato quella decisione della Federal Reserve di agganciare la valuta riserva al petrolio, e ora quella decisione si è rivoltata contro di noi con tutta la sua violenza. La reazione del sistema è tuttavia già pronta, in quanto le grandi Istituzioni monetarie internazionali stanno già ricorrendo ai ripari, nel tentativo di proteggere il crollo del dollaro e di istituire la nuova moneta globale in un futuro non così lontano. Molti collaterali denominati per miliardi di dollari sono già in circolazione sui mercati finanziari, scambiati dalle entità bancarie ed economiche come perfetti surrogati del dollaro. Presto inonderanno le riserve valutarie di tutti i Paesi, compromettendo ancor più il loro legame inscindibile con l'economia americana, e consentendo agli Stati Uniti di frenare e controllare l'andamento del dollaro in maniera pilotata. La guerra, in tutto questo, rappresenta solo l'inganno ideale per spingere ad acquistare titoli sui mercati, sulla cresta dell'onda della speculazione petrolifera.
Il presunto attacco da parte iraniana, reso assurdo e alquanto inverosimile dalla segreta rivelazione di un uomo del Pentagono alla CNN, è stato tuttavia sufficiente a creare la giusta atmosfera di tensione in un'area strategica e sensibile, come il Golfo di Ormuz. Stiamo parlando infatti dello stretto attraverso il quale avviene l'instradamento del petrolio dei paesi del Golfo verso gli oleodotti dell'Arabia Saudita sino in Turchia, per un quantitativo di oltre il 20-25% della produzione mondiale di brut. Non dimentichiamo che il 23 marzo del 2007, Teheran prese in ostaggio 15 componenti della marina britannica, accusati di aver violato le acque internazionali all'interno dello stesso Golfo, e allora l'ammiraglio Habibollah Sayyari dichiarò che l'Iran "non aveva alcun progetto di blocco dello stretto di Ormuz, ma era pur sempre pronta a condurre qualsiasi operazione necessaria per difendere i propri interessi". Una tale decisione da parte del Governo iraniano, potrebbe avere conseguenze che molto più gravi della realizzazione del piano nucleare, in quanto potrebbe catapultare il mercato del petrolio in uno scenario di oltre 250 dollari al barile di greggio, come stabilito da Standard and Poor's nell'agosto del 2006. Il blocco del golfo potrebbe arrestare l'offerta mondiale di brut, con l'inevitabile recessione dell'economia mondiale, come accaduto tra il 1980 e il 1982.
Se una sospensione dell'Iran delle sue esportazioni di petrolio provocherebbero un rialzo del 30%, il blocco comprometterebbe la stabilità dell'intera economia mondiale. Questo lo scenario che secondo gli esperti americani spingerebbe gli Stati Uniti ad appoggiare un eventuale conflitto tra Israele e Iran, che andrebbe così a capovolgere una situazione di crisi ormai compromessa dal continuo inasprimento delle politiche dell'Opec e della svalutazione del dollaro.
In realtà, la propaganda del probabile conflitto iraniano potrebbe creare il diversivo ideale per nascondere e neutralizzare il rischio più spaventoso del totale deprezzamento del dollaro, che trascinerebbe nel baratro intere economie. La guerra che tutti percepiscono non sempre corrisponde al reale andamento dei fatti, gran parte di essa rappresenta solo lo sfondo di eventi ben più radicali e rivoluzionari.
Occorre dunque riflettere alle reali alternative che si profilano dinanzi agli Stati Uniti, ossia se lasciare fallire non solo l'America ma l'intero sistema, oppure azionare un meccanismo di autodifesa che possa cambiare la forma ma non la sostanza del sistema. In tale meccanismo, svolge un ruolo importante anche la propaganda e la minaccia di un conflitto iraniano, ma non è l'unica soluzione o l'unico aspetto a cui bisogna fermarsi. La svalutazione del dollaro ha visto sorgere lo spettro per gli Stati Uniti e per il gruppo di Paesi che detengono le loro riserve in dollari, dell'inflazione e della perdita della fiducia e della credibilità presso gli investitori stranieri. Questi sono infatti condannati a temere l'erosione del valore dei loro titoli e delle loro valute, che hanno subito continue svalutazioni, non solo in seguito alla dismissione delle stesse per differenziare le tesorerie, ma anche a causa dell'assurda politica monetaria della Federal Reserve che ha riempito il mercato internazionale di carta straccia.
Il dollaro, essendo una valuta di riserva, è stato utilizzato in questi anni come strumento politico e democratico, riuscendo ad influire sugli investimenti e sulla politica economica degli Stati ad esso agganciati. Basti pensare alla banche centrali dell'Asia e ai problemi che Paesi come Iran e Corea del Nord stanno affrontando a causa dell'embargo bancario. Stampando dollari su dollari, carta su carta, ha finanziato conflitti e ricostruzioni, privatizzazioni e fusioni, e ora il mondo intero si trova nella situazione tale di detenere una valuta riserva che non ha alcun valore. Più il dollaro si indebolisce, e più si indebolisce il sistema capitalistico, perché a quel punto occorre istituire la moneta di riferimento che dovrà sostituirlo.
È da notare che al momento non esiste una valuta in grado di ricoprire lo stesso ruolo, considerando che il rublo è ancora fortemente instabile, lo Yuan svalutato, mentre l'Euro è forte solo per luce riflessa del fallimento del dollaro. I paesi dell'Unione Europea non sembrano infatti essere disposti ad affrontare la responsabilità di divenire una valuta di riserva, da tesorizzare, essendo più che altro una valuta numeraria e commerciale.
Viene così presentata la teoria di Fred Bergsten, l'economista americano che sta elaborando una soluzione al problema del dollaro. Egli infatti ha proposto la creazione da parte del Fmi di "Diritti di Emissione speciali" ( Special Drawing Right - SDRs) all'interno dei quali depositare i dollari detenuti dai diversi Paesi. I diritti di emissione speciali rappresentano uno strumento di riserva internazionale assegnati proporzionalmente alla loro quota nel FMI. Furono creati nel 1969 per sostenere il sistema di parità fissa di Bretton Woods. Ogni paese aderente al sistema doveva infatti disporre di riserve ufficiali, denominate in oro e in titoli della banca centrale accettati su larga scala, in modo tale da garantire il riacquisto della moneta nazionale sui mercati dei cambi internazionali, e sostenere il proprio tasso di cambio. Allora, l'offerta internazionale dei due grandi valori di riserva, l'oro ed il dollaro, si rivelò insufficiente per sostenere l'espansione del commercio e l'evoluzione finanziaria. La comunità internazionale ha deciso di creare un nuovo valore di riserva mondiale, garantito dal FMI. Con la creazione di Bretton Woods, le grandi monete sono passate ad un regime di tasso di cambio variabile, mentre per garantire le quotazioni sui mercati furono introdotti i prestiti su scala internazionale.
Gli SDRs si limitano ora ad essere un'unità di conto del FMI e di altri organismi internazionali, non costituiscono una moneta, né un credito sul FMI, bensì un credito virtuale sulle monete dei paesi membri del FMI. Il convertibilità tra SDRs e valute viene così stabilita da accordi di scambio stabiliti tra i Paesi membri, e può avvenire anche quando il FMI designa i paesi membri dalla posizione più forte ad acquistare dei SDRs del Paese membro dalla posizione più debole. È per tale motivo dunque che Bergsten propone di ricorrere di nuovo agli SDRs per acquistare dollari e frenarne il crollo, agendo sui mercati internazionali come se vi fosse un parziale regime di parità fissa. I paesi che hanno così l'esigenza di apprezzare le loro valute contro il dollaro potranno cambiare i propri dollari a fronte di SDRs, garantiti dal FMI.
Tale soluzione, presa senz'altro in circostanze di grave crisi potrebbe portare alla creazione di quella che può essere la valuta internazionale virtuale, una moneta per eccellenza che agirebbe a livello globale, riportando il sistema monetario agli anni '50-'60. Come confermato da molti analisti, Bretton Woods è ormai fallita da tempo, e a rivelarne la sua fallibilità sono proprio le crisi di iperinflazione che si susseguono ormai con una cadenza sempre più frequente. Bretton Woods ha così perpetrato quella decisione della Federal Reserve di agganciare la valuta riserva al petrolio, e ora quella decisione si è rivoltata contro di noi con tutta la sua violenza. La reazione del sistema è tuttavia già pronta, in quanto le grandi Istituzioni monetarie internazionali stanno già ricorrendo ai ripari, nel tentativo di proteggere il crollo del dollaro e di istituire la nuova moneta globale in un futuro non così lontano. Molti collaterali denominati per miliardi di dollari sono già in circolazione sui mercati finanziari, scambiati dalle entità bancarie ed economiche come perfetti surrogati del dollaro. Presto inonderanno le riserve valutarie di tutti i Paesi, compromettendo ancor più il loro legame inscindibile con l'economia americana, e consentendo agli Stati Uniti di frenare e controllare l'andamento del dollaro in maniera pilotata. La guerra, in tutto questo, rappresenta solo l'inganno ideale per spingere ad acquistare titoli sui mercati, sulla cresta dell'onda della speculazione petrolifera.