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16 gennaio 2008

L'Iran finge la guerra e firma contratti


Il tour in Medioriente di Bush lascia dietro di sé non pochi dubbi sul futuro dell'equilibrio mondiale e della crisi petrolifera. Un Presidente Americano visita il Medioriente tormentato dalle guerre che lui stesso ha causato e combattuto, e non incontra sul suo cammino né proteste né attentati. È stato più che altro il viaggio di un padrone nelle sue terre, popolate da fantasmi, ma ricchi di petrolio. Presso la corte del Principe Saudita lancia il messaggio del pericolo di recessione degli Stati Uniti a causa dell'elevato prezzo del petrolio, e in risposta riceve un ironico rifiuto, per ricordare che le speculazioni sull'oro nero non viene fatto dai produttori di petrolio, ma da altre entità economiche. Come tra due amici di "vecchia data" la discussione si chiude con la "strana rassegnazione" di Bush e la firma di un accordo di miliardi di dollari per la vendita di sistemi militari di difesa. Tanto per giustificare quel megalomane acquisto di armi da parte dell'Arabia Saudita - molto probabilmente necessario a perfezionare ben altre operazioni finanziarie - Bush e il principe saudita guardano all'Iran, come potenziale nemico in un probabile conflitto non così tanto lontano.
"L'Iran è il principale sponsor del terrorismo", dichiara Bush rivolgendosi ad Abu Dhabi, emirato con molteplici rapporti con il regime iraniano, "le azioni dell'Iran minacciando ovunque la sicurezza delle nazioni e per questo gli Stati Uniti stanno rafforzando i loro impegni a lungo termine con i nostri amici nel Golfo, e riunendo amici attorno il mondo per affrontare questo pericolo prima che sia troppo tardi". Vorremmo però capire, di quale nemico stiamo parlando, considerando che l'Iran, coperto dal silenzio dei media, è riuscito a difendere la propria posizione sul piano internazionale, sia per quanto riguarda il suo ruolo di produttore, ed esportatore di gas, sia per quanto riguarda la questione del nucleare.

Infatti, proprio mentre Bush accusa Teheran di aver tentato di attaccare le navi statunitensi nel Golfo di Ormuz, l'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica (AIEA) ha annunciato che ha trovato un accordo con l'Iran per risolvere tutti i problemi rimasti in sospeso sul programma nucleare del Paese, redigendo un "documento di lavoro" destinato a chiarire la posizione dell'Iran nelle prossime settimane. In particolare le attività passate sull'utilizzo di plutonio e Polonium 210, sulla produzione dell'uranio arricchito, e soprattutto su degli studi supposti legati ad un programma nucleare militare. Così i giochi di guerra di cui parla il Pentagono, potrebbero sembrare un chiaro tentativo di sabotaggio delle trattative in seno al Consiglio di Sicurezza dell'Onu di mettere fine al capitolo nucleare, soprattutto in risposta alle pressioni della Russia.

Ma ciò che risolve la posizione dell'Iran è la regolamentazione della sua posizione all'interno del mercato del gas, con l'annuncio della probabile ripresa del rifornimento nei confronti della Turchia, come affermato la scorsa settimana dal Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan, riattivando il gasdotto dalla città di Tabriz, nel nord-ovest dell'Iran, fino ad Ankara. La ripresa del rifornimento viene ora resa incerta dalla decisione da parte del Turkmenistan di interrompere le sue consegne quotidiane, di circa 20 e 25 milioni di m3, cosa che porterebbe ad interrompere anche le esportazioni turche di gas verso la Grecia. Malgrado i problemi attuali di approvvigionamento, l'Iran spera di aumentare l'esportazione, soprattutto grazie al nuovo gasdotto in Armenia, che dovrebbe trasportare circa 3 milioni di m3 di gas al giorno. Allo stesso modo Tehran ha firmato con Damasco un protocollo per esportare ogni anno tre miliardi di m3 di gas verso la Siria, e con la Malaysia, lo scorso mercoledì, un accordo di circa sei miliardi di dollari per lo sviluppo di due giacimenti di gas "offshore", Ferdos e Golshan, situati nel Golfo. L'Iran si è dunque impegnato con Ankara a far fronte alle esportazioni di gas dirette in Europa, potendo contare, in un certo senso, sul supporto della Russia nel rifornimento verso Turchia e Russa, come richiesto dalla società turca Botas per far fronte alle consegne sul mercato europeo. La Turchia, in attesa della risoluzione dei problemi del Turkmenistan, compra il gas naturale liquefatto dall'algerina Sonatrach, per un totale di oltre 80 milioni di m3 di gas.


I rapporti tra Iran e Russia sembrano essere ormai consolidati, stando a quanto dichiarato dal Ministro del petrolio dell'Iran, Gholamhossein Nozari, secondo cui la Gazprom è interessata a sviluppare e a finanziare delle attività di esplorazione e progetti di gasdotti. Allo stesso modo anche il gruppo italiano Edison e il regime di Teheran hanno appena firmato un accordo per l'esplorazione del blocco petrolifero di Dayer, situato nel Golfo, con un investimento di 107 milioni di dollari. Grazie a questo accordo, il gruppo italiano potrebbe garantirsi un accordo di fornitura di 42 milioni di metri cubi di gas da immettere sul mercato europeo, attraverso un gasdotto che attraversa la Turchia, la Grecia o l'Albania.


Considerando tali prospettive, possiamo intendere le parole del Ministro degli Esteri Massimo D'Alema, che ha dichiarato che il presidente americano George Bush ha usato toni ''inutilmente allarmanti sulla pericolosità dell'Iran". È chiaro dunque che l'allarmismo provocato dal Presidente americano per rilanciare il pericolo iraniano diventa sterile e fine a se stesso, non avendo alcun riscontro non solo tra gli alleati, ma anche con la reale situazione internazionale.
Gli Stati ora hanno sete di petrolio, di gas, di energia, e classificano i propri partner a seconda dei vantaggi che possono offrirgli, sebbene occorre sempre rispettare il classico antagonismo voluto dall'America. Tuttavia, non esiste alcun nemico iraniano, né alcuna minaccia di terrorismo, ma solo i problemi del sistema capitalistico dinanzi all'imminente crisi energetica, che non ha una soluzione nel breve termine.