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27 maggio 2009

Il grande gioco


In un periodo in cui l'Italia sta facendo molte scelte difficili, l'intera opinione pubblica italiana sembra totalmente catturata dagli scoop di gossip che ormai sono giunti anche in Parlamento lasciando nella penombra le grandi problematiche internazionali. D'altronde, gli interessi in ballo sono molto elevati, ne va dell'equilibrio delle forze politiche internazionali, così non ci meravigliamo se oggi il Primo Ministro italiano viene attaccato da campagne mediatiche scandalistiche. (Foto: AP)

In un periodo in cui l'Italia sta facendo molte scelte difficili, l'intera opinione pubblica italiana sembra totalmente catturata dagli scoop di gossip che orami sono giunti anche in Parlamento lasciando nella penombra le grandi problematiche internazionali. Da una parte c'è l'OPEC del gas, nel cui progetto l'Italia potrebbe essere un partner valido anche se esterno, e dall'altra parte c'è il petrolio, le lobbies del nucleare che non vogliono dividere il mercato dell'energia. Nei fatti, i petrolieri si sentono ancora una volta minacciati, il gioco è questo, e adesso le guerre contro il nucleare e pro-carbone pulito sono vicende tra di loro collegate. In questo confronto geopolitico, il ruolo dei media torna ad essere rilevante in quanto va a creare una distorsione di informazione e di percezione tra l'opinione pubblica di quello che accade, contro lo stesso interesse del Paese. La crisi dell'editoria rende i quotidiani ancora più assetati e ben disposti a manovre di propaganda, per allontanare lo spettro del fallimento, orchestrando così una vera e propria gara di diffamazione gratuita che sta andando oltre il senso civile. Essendo un "grande gioco" l'Italia sembra essere tornata a tutti gli effetti al tempo di Enrico Mattei, quando il Time e lo stesso Indro Montanelli, costruirono polemiche e attacchi mediatici contro l'ENI in difesa degli interessi dei gruppi petroliferi americani.

Il ruolo dell'Italia si incastra nel tavolo diplomatico a circuito chiuso tra Iran e Russia, sul quale si negozia gas e nucleare: per dare a Gazprom e ad ENI le risorse energetiche di cui necessitano per dare basi solide ai prossimi progetti di gasdotti, Teheran sta esercitando delle forti pressioni per avere il nucleare, e con esso esercitare la sua influenza politica sull'itera area del Medioriente. Delle vere e proprie scatole cinesi, sulla cui costruzione molte sono le forze esterne che stanno agendo. Lo stesso Ahmadinejad, affermando che non esiste alcun rapporto fra l'annullamento della missione di Frattini e il test missilistico, lascia intendere che l'Italia ha agito in tal modo "perchè sotto la pressione di altri", precisando che il Ministro degli esteri ha deciso di annullare la visita dopo aver insistito nel tenere l'incontro. Inoltre Teheran esclude che stia avendo un qualche colloquio sul nucleare al di fuori dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (Aiea) , mentre rilancia il dialogo con Barack Obama. È chiaro che gli interessi in ballo sono molto elevati, ne va dell'equilibrio delle forze politiche internazionali. Così non ci meravigliamo se oggi il Primo Ministro italiano viene attaccato da campagne mediatiche scandalistiche, proprio come avvenne per Bill Clinton, costretto poi a bombardare l'Iraq per placare le polemiche che avevano incendiato la Casa Bianca.

Il punto chiave per capire cosa sta accadendo è ricordare che le compagnie multinazionali hanno un loro governo e hanno gente all'interno delle istituzioni - pur non riconoscendo alcuna autorità sovrana - per scrivere a tavolino quello che viene definito ordine mondiale, o anche pianificazione dello sviluppo della ricchezza . Di fatti, gli utili derivanti dalla creazione e dallo sfruttamento della rete delle pipeline, sono il risultato di un complicatissimo sistema di società e paesi offshore, che non fa altro che alzare il prezzo, per avere un tavolo su cui spartirsi i soldi e pagare "tangenti" ai Governi, ai partiti e ai quotidiani. Tutti questi elementi sono essenziali per interpretare cosa sta accadendo in Italia, dopo che Governo, magistratura e Vaticano sembrano essere totalmente focalizzati su una "questione morale" di principio, senza avere nei fatti nessuna prova. Berlusconi, non essendo il Presidente degli Stati Uniti deve accontentarsi di semplice "informazione spazzatura", che a lungo andare si ritorcerà contro gli stessi quotidiani, che avranno perso la propria affidabilità e credibilità, oltre che imparzialità.

Se da una parte vi è l'Europa che vuole una certa autonomia decisionale, per riprendere possesso della propria sovranità, dall'altra vi sono le istituzioni centralizzate di Bruxelles e poi di Washington che sembrano remare totalmente contro. Lo stesso Barak Obama ha deciso così di chiudere in parte il passato, smantellando paradisi fiscali e i grandi progetti falliti, per controllare sempre più da vicino il mondo, mentre cerca di dare una boccata d'ossigeno al suo Paese in bancarotta. Nel frattempo, siamo di nuovo qui a parlare di energia nucleare, all'indomani dello sviluppo di nuovi ed importanti scenari, con nuove ed importati decisioni. D'altra parte, ogni qual volta vi sono delle scelte decisive, si aggredisce e si attacca il proprio nemico invisibile. Il metodo è sempre lo stesso, ma indica pur sempre una falla del sistema. Chi si sente davvero forte non teme i piccoli avversari e non spende soldi per finanziare la sua fine, per cui o non è così forte come vuole far credere, o i suoi avversari non sono poi così piccoli.

26 maggio 2009

Disinformazione e propaganda per la risoluzione sul Kosovo


La Conferenza Islamica approva una risoluzione sul Kosovo che, nei fatti, lascia aperti ancora molti interrogativi. Diversamente da quanto preannunciato, la risoluzione approvata non fa appello agli Stati dell'organizzazione di riconoscere l`indipendenza di Kosovo, non ha un carattere obbligatorio, né può definirsi un passo verso il riconoscimento del Kosovo come Stato, per cui rappresenta un documento che si limita a promuovere la cooperazione economica per lo sviluppo della regione. Ovviamente, molti sono stati i tentativi di strumentalizzazione della risoluzione stessa, dando però la possibilità a tutti di gridare vittoria.

Disinformazione e propaganda elettorale sono stati gli elementi caratterizzanti della 36esima riunione interministeriale dei Ministri degli Affari Esteri dell`Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC), dedicata alla discussione e approvazione del progetto di risoluzione del Kosovo. Diversamente da quanto preannunciato, la risoluzione approvata non fa appello agli Stati dell'organizzazione di riconoscere l`indipendenza di Kosovo, non ha un carattere obbligatorio, né può definirsi un passo verso il riconoscimento del Kosovo come Stato, per cui rappresenta un documento che si limita a promuovere la cooperazione economica per lo sviluppo della regione. Un primo testo della risoluzione è stato approvato due settimane fa da parte dell`Alto Comitato della Conferenza Islamica a Jeddah dell`Arabia Saudita, nella quale vengono salutati i progressi del Kosovo rispetto al suo primo anniversario dell`Indipendenza, il dispiegamento dell'EULEX e la sua estensione su tutto il Kosovo, la riconfigurazione della UNMIK, facendo inoltre appello ai Paesi membri per il riconoscimento del Kosovo, nonché allo sviluppo della cooperazione multi-settoriale per l'economia kosovara.
La lettera del documento è stata elaborata dall`Albania ed e` stata poi sponsorizzata dall`Arabia Saudita, ma non è riuscito a vincere il consenso presso i comitati di lavoro composti dai diplomatici rappresentanti i diversi Paesi. A poche ore dalla fine delle consultazioni il Ministro degli Affari Esteri serbo, Vuk Jeremic, ha annunciato così che il progetto di risoluzione non è stato approvato da Siria, Egitto, Azerbaigian e da alcuni altri Stati membri della Conferenza. "Abbiamo ottenuto che, attraverso degli emendamenti proposti da Stati alleati della Serbia all'interno dell'Organizzazione della Conferenza islamica, venisse rimossa dalla risoluzione dell’OIC, come il riferimento al riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo e alla definizione del Kosovo come Stato", ha dichiarato Jeremic. Dalle parole del capo della diplomazia serba, citando i colloqui telefonici che aveva avuto con Paesi alleati all'interno dell'Organizzazione stessa, traspare che, nei fatti, la risoluzione è stata snaturata dei suoi elementi più importanti, tanto da poter essere definita "rigettata".

A complicare la possibile ricostruzione su quanto accaduto vi sono poi le dichiarazioni del Ministro degli Esteri Albanese, Lulzim Basha che - in piena campagna elettorale e di difesa personale - smentisce che la risoluzione abbia subito dei cambiamenti e così anche le pretese dei serbi, secondo cui si è giunti ad eliminare la richiesta per il riconoscimento dell`Indipendenza, affermando che "la risoluzione è stata approvata all'unanimità" e che "era stato fatto un importante passo in avanti per il processo di riconoscimento internazionale del Kosovo". In realtà, come dimostra anche il testo della stessa risoluzione pubblicata dai media kosovari, al termine della riunione ministeriale è stato approvato un documento nel quale si evidenzia che dalla proclamazione dell`indipendenza lo scorso 17 febbraio 2008, il Kosovo ha fatto notevoli progressi per la creazione delle istituzioni democratiche, creando il quadro legale ed istituzionale contemporaneo necessario , contribuendo alla conservazione della pace e della stabilità nella regione. La Conferenza Islamica, dunque, semplicemente "prende atto dei progressi compiuti verso il rafforzamento della democrazia in Kosovo", e "prende atto della rapida riconfigurazione della missione delle Nazioni Unite e il dispiegamento dell'EULEX". Inoltre "accoglie con favore la collaborazione del Kosovo con le istituzioni economiche e finanziarie dell'OIC, e invita la comunità internazionale, nel continuare a contribuire alla promozione dell'economia del Kosovo". Infine la risoluzione dà l'incarico al Segretario Generale dell`OIC che durante le prossime riunioni dei Ministri degli Esteri dell`Organizzazione venga redatto un rapporto sulla dinamica degli sviluppi in Kosovo, mettendo così il Kosovo nell'agenda permanente di discussione.

È chiaro che non figura in nessuna sua parte alcun riferimento al Kosovo come Stato, nonostante la propaganda e la disinformazione che è stata fatta, potendo così affermare che la risoluzione, concretamente, non ha risposto a quegli obiettivi per cui è stata presentata. L'unica a tenere in vita una speranza è stata l'Albania, rappresentata dal Ministro dei Affari Esteri Lulzim Basha, la cui presenza ha avuto come "missione" quella di far approvare una risoluzione di sostegno al Kosovo e di dialogo diplomatico per accelerare il processo del riconoscimento dello Stato indipendente di Kosovo. Nei diversi incontri con dirigenti della OIC - tra cui con il Segretario Generale dell`Organizzazione della Conferenza Islamica, Ekmeleddin Ihsanoglu, e i rappresentanti delle delegazioni di Turchia, Bahrain, Jemen, Marocco, Siria, Filippine, Libano, Bangladesh, Kazakhstan, Egitto, Azerbaigian, Burkino Faso e Iraq - il Ministro Basha ha sottolineato la volontà della parte albanese di a intensificare la cooperazione su tutti i campi d`interesse reciproco, dando precedenza a quello economico e commerciale. Basha, durante il suo intervento, ha affermato che il “Kosovo è diventato testimone degli sviluppi fondamentali verso il progresso". "Esso ormai è libero ed indipendente. La sua libertà ha creato un nuovo clima che irradia pace e stabilità nella sicurezza, nell'economia, nei rapporti interetnici in Kosovo, ma anche in tutta la regione”, ha detto il Ministro Lulzim Basha. Inoltre, ringraziando gli Stati membri dell`OIC che ormai hanno riconosciuto il Kosovo come stato indipendente, Basha ha fatto appello agli altri Stati ad intraprendere lo stesso passo, perché "oltre ad essere un atto di solidarietà per il suo popolo, sarà anche un contributo per il rafforzamento della pace e stabilità sulla regione, che offrirà a tutti i paesi dei Balcani delle vere prospettive per lo sviluppo e un ulteriore benessere".

Parole che comunque sono cadute nel vuoto, considerando che oltre ad un appello di cooperazione, comunque non obbligatorio e vincolante per i Paesi membri della Conferenza Islamica, non è accaduto nient'altro, tale che la questione del Kosvo continua ad essere sospesa ancora per molto tempo. Pristina, da parte sua, ha tentato in tutti i modi possibili di essere partecipe alla grande convention, ma la Siria non ha voluto invitare la delegazione kosovara, come conferma alcune fonti per Radio Kosovo. Le stesse fonti dicono che il Ministero degli Esteri dell`Kosovo aveva subito fatto richiesta di partecipare accettando di essere parte della delegazione dell`Albania, ma anche in questo caso la risposta è stata negativa, come poi anche l'esito delle consultazioni. Di fatti, mentre l`Arabia Saudita ha aperto la riunione affermando che "a nome di tutti i fratelli musulmani nel mondo, il Kosovo deve essere riconosciuto come Stato", già si erano espressi contrariamente Siria, Egitto, Azerbaigian, Indonesia ed Iran. Ad ogni modo, l'esito sembra sia stato "una vittoria" per entrambe le parti: i serbi hanno potuto affermare che la diplomazia serba ha prevalso, grazie ai suoi alleati non essendo la Serbia un Paese membro di questa organizzazione, mentre gli albanesi hanno potuto dimostrare di avere a cuore la questione kosovara, rivendendosi la risoluzione come un passo verso la chiusura di tale controversia internazionale, raggiunto grazie "al decisivo intervento di Tirana".

Di seguito, il testo integrale della risoluzione N. 14/36-POL sulla situazione in Kosovo.

RESOLUTION NO. 14/36-POL ON THE SITUATION IN KOSOVO

The Thirty-Sixth Session of the Council of Foreign Ministers (Session of Enhancing Islamic Solidarity), held in Damascus, Syrian Arab Republic from 28 Jamadul Awal – 1 Jamadul Thani 1430 .H (23-25 May 2009); Guided by the principles and purposes of the Charter of the United Nations, the Charter of the OIC, the Universal Declaration of Human Rights, the International Covenants on Human Rights, the Geneva Conventions of August 1949, 1951 as well as other instruments of international law; Upholding the role of the U.N. in the peaceful settlement of disputes and maintenance of international peace and security; Referring to the UN Security Council Resolutions No.1160 (of 31st of March 1998), No.1999 (of 23rd September 1998) No. 1203 (of 24th October 1998) No.1239 (of 14 May 1999) and 1244 of 10th of June 1999 and the relevant statements of its President. Referring to Resolution No. 16/31 adopted at the Thirty-first Session of the Islamic Conference of Foreign Ministers held in Istanbul on 14-16 June 2004; the Resolution No.36/34 of the 34th Session of the ICFM, Islamabad, 15-17 May 2007; the Final Communiqué of the 11th OIC Summit, Dakar, 13-14 March 2008; the Declaration of the OIC Ministerial Meeting in Kampala in June 2008 and in New York in September 2008 where is noted the Declaration of Independence by the Assembly of Kosovo of 17 February 2008; Reaffirming the strong interest of OIC regarding the Muslims in the Balkans, and the importance of the stability in the whole Balkan region; 1. Takes note of the progress made towards strengthening the democracy in Kosovo, serving peace and stability in Kosovo and the whole region. 2. Further takes note of the accelerated UN Mission’s reconfiguration, deployment of EULEX throughout Kosovo, in compliance with UN Secretary General’s guidelines and the current Kosovo institutional and legal framework. 3. Welcomes the cooperation of Kosovo with the OIC Economic and Financial institutions, and calls on the international community, to continue contributing to the fostering of the Kosovo’s economy. 4. Requests the Secretary General to follow up the implementation of the present resolution, and to submit a report thereon to the 37th Session of the Council of Foreign Ministers.

Rinascita Balcanica

21 maggio 2009

Frattini e l'Iran: una strategia vecchia di 50 anni


Va a vuoto l'imprevista visita del Ministro degli Esteri Franco Frattini a Teheran, ma Roma lancia comunque un forte segnale. L'Italia entra nel tavolo delle trattative delle grandi questioni internazionali, ma sembra essere interessata all'Iran per gli stessi motivi per cui lo era circa cinquant'anni fa. Roma non cerca questioni sul nucleare o i test dei missili, ma cerca energia a buon prezzo.

Nonostante sia andata a vuoto l'imprevista visita del Ministro degli Esteri Franco Frattini a Teheran, l'Italia ha lanciato ieri un forte segnale di indipendenza all'Unione Europea e agli Stati Uniti. Quello che doveva essere il fronte diplomatico occidentale, totalmente di matrice europea o statunitense, si è sfaldato lanciando l'Italia ai grandi vertici di discussione delle problematiche internazionali. È lo stesso Financial Times a sottolineare che l'Italia è il primo Paese ad uscire dal fronte europeo, dopo che era stato affidato all'Alto Rappresentante Javier Solana il compito di mantenere ufficialmente le relazioni con Teheran, senza neanche chiedere il nulla osta di Washington agendo così in maniera unilaterale e di propria iniziativa. D'altro canto, l'Iran rappresenta per Roma quell'antico alleato persiano che in questi anni ha perso, ma che cerca di recuperare affiancandosi alla Russia, sinora unica controparte considerata "alla pari" da Teheran. Ovviamente, per contravvenire agli schemi prestabiliti, occorre ideare una strategia imprevedibile e rapida nei movimenti, da qui un viaggio a Teheran non inserito nell'agenda della Farnesina, reso però evidente solo al momento del suo annullamento, viste che le condizioni creatasi non sembravano più adatte alle discussioni da affrontare.

L'Italia sembra essere interessata all'Iran per gli stessi motivi per cui lo era circa cinquant'anni fa, quando l'ENI gettava le basi del futuro energetico di un Paese uscito dalla guerra come perdente ma destinato a risollevarsi con dignità. Ecco, Roma non cerca questioni sul nucleare o sui missili terra-aria contro Israele, bensì cerca energia, adottando così una vecchia strategia di alleanza con i Paesi produttori di fonti petrolifere a fronte di tecnologia e cooperazione. In questo è affiancata da Mosca, che ha trovato negli italiani dei partner solidi per ogni progetto di rilevanza strategica, intavolando insieme tavoli di negoziati con parti terze, ma anche dalla Libia, dall'Egitto e dalla regione dei Balcani, che costituiscono rispettivamente fonti e transito di energia.
L'Iran è proprio quell'anello mancante ad una catena politico-energetica che ha come scopo quello di raggiungere una certa stabile indipendenza economica dal blocco filo-americano. Ben conscia della propria strategicità, Teheran gioca con i suoi alleati, nel tentativo di trarre da loro quanti più vantaggi possibili, con cui alimentare la propaganda di regime e consolidare le proprie aspirazioni di controllo della regione mediorientale. Un gioco assecondato dai russi, che hanno aiutato l'Iran a costruire la sua tanto agognata centrale nucleare, razionando però la fornitura di combustibile e di tecnologia, quel tanto che basti per dare credibilità al suo Governo dinanzi agli occhi degli iraniani e del mondo.

A questa lotteria della propaganda e della disinformazione si è schierata anche l'Italia, che in un certo senso ha già cominciato ad assecondare gli umori di Teheran, sapendo che è un rischio da correre se si vuole chiudere un progetto altrettanto ambizioso. Non è infatti inverosimile che sia proprio l'Italia quel tassello che manca per creare la struttura dell'Opec del Gas, così come voluta dalla Russia, ossia un ente che non stabilisce il prezzo dell'energia ma coordina i progetti di realizzazione delle condutture, disciplina le norme sul transito e la distribuzione, e contribuisca a riscrivere la carta dell'energia. In un certo senso, già la cooperazione italo-russa sulla costruzione del Blue Stream e tra poco del South Stream, ha dato vita ad un piccolo "cartello" della tecnologia del gas, essendo già una base contrattuale su cui i due Paesi decidono i prezzi al fornitore, la scelta dei paesi esportatori e di quelli consumatori. L'ingresso dell'Iran darebbe maggiore forza e nuova linfa vitale ad un progetto che dovrà dare all'economia europea carburante per l'industria pesante, sostituendo in parte il petrolio, e per favorire la parziale riconversione energetica a fonti meno inquinanti. Non a caso, le società energetiche italiane puntano nel breve periodo su fonti rinnovabili e gas. La chiave di lettura dell'energia ritorna anche nel caso in cui sia il nucleare il vero nocciolo della questione, nell'ottica in cui l'Italia e la Russia potrebbero fornire tecnologia e combustibile all'Iran, in cambio di petrolio e gas.

L'essenza della strategia non cambia molto, in quanto resta pur sempre il dato di fatto che Roma e Mosca si muovono insieme, in silenzio e fuori dagli schemi, motivate dalla convinzione che dalla crisi globale si può uscire più forti e con maggiore equilibrio a livello internazionale. Non basta, infatti, un Presidente nero a rendere il mondo equilibrato nei suoi poteri, ma occorre tenacia e pragmatismo, nonché l'intelligenza di saper agire d'anticipo rispetto ai propri competitor. Una lezione impartita da un altro esempio italiano, quale la Fiat che, da società vicina al fallimento, a leader promotore di una casa automobilistica multinazionale, solo in virtù di una maggiore flessibilità e della sua capacità di uscire dal circolo vizioso del mercato finanziario prima della sua disfatta, fermo restando che molti sono gli errori fatti in passato. Dall'altra parte, però, abbiamo un'industria europea barricata all'interno dei propri mercati (come quella francese), o ridotta al fallimento dalla pessima gestione di entità esterne (Opel-GM), e anche il totale fallimento (Crysler-GM). Che le cose stiano cominciando a girare diversamente se n'è accordo anche Obama che sceglie il piccolo costruttore di auto italiano per impartire "lezioni di vita", per poi inviare il suo Vice nei Balcani per fare pace con le terre bombardate proprio dagli Stati Uniti. Non a caso Biden accetta la Bosnia con la Republiska Srpska, e la Serbia senza il riconoscimento del Kosovo, cercando di aprire un canale diplomatico prima che tali Paesi diventino "europei", per cui soggetti alle regole comunitarie per ciò che riguarda la presenza di "compagnie estere" ed aiuti di Stato. Non stupirebbe il fatto che tra pochi giorni Washington cominci a dialogare anche con l'Iran, accettando così "Teheran con il nucleare".

20 maggio 2009

Il profeta Biden


Il Vice Presidente degli Stati Uniti Joe Biden giunge all'aeroporto internazionale di Sarajevo in piena nottata. La sua presenza in Bosnia, dopo anni di Amministrazione Clinton e di stretto controllo americano sui Balcani, non sta che a significare il ritorno degli Stati Uniti in questa regione per ristabilire l'ordine geopolitico. Riporta così il messaggio di Washington, secondo cui l'America è preoccupata per la direzione in cui la Bosnia Erzegovina sta andando. "Se non siete in grado di entrare in UE, resterete tra i paesi meno sviluppati dell'Europa. Le conseguenze ricadranno sulla vostra storia e i vostri figli se perderete questa occasione", afferma Biden

E' giunto in piena nottata l'Air Force 2 del Vice Presidente degli Stati Uniti Joe Biden all'aeroporto internazionale di Sarajevo, atteso dai rappresentanti internazionali e bosniaci come una storica celebrità. La sua presenza in Bosnia, dopo anni di Amministrazione Clinton e di stretto controllo americano sui Balcani, non sta che a significare il ritorno degli Stati Uniti in questa regione per ristabilire l'ordine geopolitico. Forse ci aspettavamo di più da un'amministrazione americana scelta dalla nuova democrazia dal web, come tanto affannosamente dichiarano tutti i media. In realtà ben poco è cambiato, perché se i popoli e gli Stati evolvono, la classe dirigente diplomatica che si trovano davanti è sempre la stessa. Nonostante la crisi, il fallimento della finanza e dell'industria, resta pur sempre l'America dei petrolieri, del dollaro, del genocidio iracheno, ma anche l'America della bomba atomica e degli antichi Baroni. Tutto ciò che è cambiato è l'uomo simbolo di questa grande multinazionale, un uomo di colore che ha vinto la sua scalata sociale (nel pieno rispetto del mito del sogno americano) scelto dallo stesso Partito Democratico di Clinton, sempre guerrafondaio e affarista senza scrupoli.

Per la Bosnia, come sarà nei prossimi giorni per Serbia e Kosovo, è un evento storico, che lusinga e rende orgogliosi, talmente fieri di ospitare un Alto Rappresentante di uno Stato così potente, dimenticando come lo stesso Biden definiva il popolo serbo, calpestando la sua dignità e fomentando i fronti dei guerriglieri kosovari. Il popolo bosniaco sembra essere fiero anche delle intimidazioni rivolte dinanzi al Parlamento, nel corso del suo intervento rivolto ai rappresentanti del popolo, che va a ricordare quali conseguenze atroci avrà "l'incapacità" per la Bosnia Erzegovina ad aderire all'Unione Europea. Biden ha affermato oggi a Sarajevo che "Washington è preoccupata per la direzione in cui la Bosnia Erzegovina sta andando", pur ricordando che gli Stati Uniti saranno lì presenti per far aiutare il Paese a raggiungere l'Europa. "Si può riuscire con due entità. Noi non siamo interessati a come sia gestito questo aspetto. Ma se non siete in grado di entrare in UE, resterete tra i paesi meno sviluppati dell'Europa. Le conseguenze ricadranno sulla vostra storia e i vostri figli se perderete questa occasione", afferma Biden, invitando così i politici della Bosnia-Erzegovina a fare la scelta giusta , con l'aiuto degli Stati Uniti. "In questi ultimi tre anni prende piede la retorica nazionalista. Siamo stati testimoni di un tentativo di riforma che ora sta ritornando indietro. Deve essere fermata", continua ancora con toni sempre più forti, sottolineando che l'Alto Rappresentante internazionale in Bosnia Erzegovina e l'OHR hanno il pieno sostegno degli Stati Uniti. "Washington - afferma Biden - non sosterrà la chiusura dell'OHR fino a quando non saranno soddisfatti i cinque obiettivi e le due condizioni", ha detto Biden.

Al tal proposito spiega che l'attuale amministrazione statunitense rafforzerà il sostegno dell'Europa, compresa la regione dei Balcani, ma allo stesso tempo invita i politici della Bosnia-Erzegovina a riflettere sul passato di questo Paese e a trovare un consenso su cui cooperare con UE e NATO. Come sempre, le parole del diplomatico americano sono state sfrontate e fin troppo chiare, come se avesse davanti a sé non un gruppo parlamentare, ma un'aula di studenti e discepoli. Si conferma essere un falsario, proprio come i Bonds stampati con il simbolo della Federal Reserve, come un politico che vive sulle parole non dette, una vergogna per la stessa amministrazione di Obama, se si tenesse a mente il suo passato. Egli ha infatti esposto il suo nome per accreditare Ramush Haradinaj dinanzi al Tribunale Penale de l'Aja come un politico e persona di rispetto, nei confronti della quale viene posto così un certo rispetto. All'indomani della pronuncia della requisitoria contro Haradinaj, Joe Biden stima : "La volontà di rinunciare volontariamente al processo e andare a L'Aia è sorprendente. E ' in evidente contrasto con il comportamento dei tre ricercati più temibili, come Ratko Mladic, Radovan Karadzic e Ante Gotivina". La stessa sentenza favorevole ad Haradinaj cita che l'ex comandante UCK "ha una eccezionale reputazione personale e politica, confermata da una serie di politici, funzionari militari e diplomatici di alto livello internazionale". Tra le alte rappresentante citate vi è proprio Joe Biden come Senatore degli Stati Uniti (si veda allegato ). Ci chiediamo come mai un Senatore americano, che poi diventerà Vice Presidente, rilascia un accredito ad un criminale di guerra, accusato di aver commesso crimini contro il popolo del Kosovo (serbo e albanese) come Ramush Haradinaj, invece di prendere la distanza.

Giungere oggi in Bosnia e parlare di cooperazione significa ignorare il fatto che per anni la Comunità Internazionale è stata volutamente zitta sulla diffusione di una criminalità organizzata, che ha avuto terreno facile perchè i politici sono corrotti e hanno usato il nazionalismo per fare i loro traffici, per rimanere a galla. Questo perché il ricatto della classe politica rendeva possibile il saccheggio e la privatizzazione delle società di Stato nel corso delle operazioni di "ristrutturazione", per poi gettare le proprie pedine ogni qual volta non sono più utili. Di qui, abbiamo ormai capito che gli impegni e i documenti firmati dagli americani non hanno nessun valore, resta solo carta straccia se cambia il vento del potere. È chiaro che la Republika Srpska non potrà mai reagire anche se viene messa in discussione il Trattato di Dayton in nome della riforma Costituzionale, perché è chiaro che questi politici sanno fare minacce e non attuarle. Innanzitutto perché non sanno bene cosa dicono, e poi perché sono assolutamente drogati da questo sistema alimentato dalle grandi istituzioni internazionali, che lasciano una branco di iene a spartirsi le quattro briciole che vengono buttate loro.

La politica è questa: l'associazione dei veterani di guerra ha ricordato le vittime dei bombardamenti NATO, mentre il suo leader, solo tre mesi fa, era stato accusato dai quotidiani di aver utilizzato i fondi dei veterani per comprare una bella macchina. Questi sarebbero i nazionalisti di cui parla Solana, gente che ha usato il suo popolo allo stesso modo in cui lo hanno fatto gli americani, ossia per sfruttarli. Dinanzi a questa realtà, le parole della propaganda di Obama ci serve a ben poco, perché la sola retorica che viene fatta è quella della cooperazione e del rispetto bilaterale. L'uomo che impersona l'America del futuro, che cambierà il proprio volto, non è altro che una geniale trovata di marketing. Se sino ad ieri hanno gettato bombe sulla popolazioni inerme della Bosnia, come è possibile credere alle promesse contornate di " sorriso di circostanza" e un insignificante "Sorry" per quanto è stato fatto in passato.

19 maggio 2009

La nuova americanizzazione dei Balcani


La visita del Vice Presidente americano Joe Biden nei Balcani è un forte segnale di Washington a favore dell'americanizzazione dei Balcani, dopo dieci anni di abbandono dalla politica di George W. Bush. Oggi, la stessa politica della nuova amministrazione, dopo 10 anni, sembra essere meno progressiva ma solo nelle parole. La Serbia e il Kosovo sembrano essere i punti più critici dell'intervento di Biden, insieme alla Bosnia Erzegovina.

L'attesa visita del Vice Presidente americano Joe Biden nei Balcani, noto in questa regione come uno dei fautori della politica dell'Amministrazione americana tra le più rigide mai fatte nei confronti della Serbia, conferma ancora una volta la forte presa di posizione dell`America nell'Europa Sud Orientale. I primi segnali che l'America ha deciso di inviare sono a favore della nuova americanizzazione dei Balcani dopo dieci anni di abbandono dalla politica di George W. Bush, si sono avuti già i primi giorni dopo l'investitura del nuovo Presidente americano Barak Obama e con la nomina del nuovo Segretario di Stato Hillary Clinton, che ovviamente ha una “buona” memoria quando si tratta di Balcani. Proprio suo marito, con lo stesso Biden, è stata creata la politica dei “bombardamenti umanitari” che hanno ferito e massacrato migliaia di civili. Negli anni '90, Biden era ben ricordato per le sue dichiarazioni che sono talmente razziste, come “i serbi sono illetterati, degenerati, stupratori, infanticidi, macellai e aggressori”, e al Presidente Milosevic stesso disse: “Sei un disgraziato criminale di guerra, e come tale dovrai essere processato”.

Oggi, la stessa politica della nuova amministrazione, dopo 10 anni, sembra essere meno progressiva ma solo nelle parole. I toni di Biden sembrano essere cambiati, considerando che con la politica “delle botte e risposte” non ha ottenuto nulla; ora è gentile anche nei confronti del Vice Sindaco di Belgrado in visita a Chicago, al Global forum delle città, Radmila Hrustanovic, a cui dice di “amare Belgrado e per tale motivo sta preparando un viaggio” in Serbia. D'altra parte, perché mai non dovrebbe amarla, considerando che semmai dovrebbe essere Belgrado e lo stesso popolo serbo ad avere delle riserve nei confronti dell'America dopo tutto quello che è successo. Si mostra come un ‘vero amico della Serbia’, uno che ha offerto normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Washington, ma anche uno che non dimenticherà il fatto che il Kosovo è uno "Stato indipendente". Proprio per questo si specula che non vorrà incontrare il Ministro degli Esteri Vuk Jeremic, acerrimo sostenitore del Kosovo serbo a livello diplomatico e giuridico, colui che “dà un'immagine di sé di vero nazionalista, rigido e che potrà essere un ostacolo della vicinanza tra la Serbia e la diplomazia americana". "Per ora non vedo come Jeremic possa essere un ostacolo per la Serbia e in questo caso Biden ne esce come il “poliziotto cattivo”. Tutto questo ha l'aria di un gioco - dichiara l'analista politico Obrad Kesic, continuando - la visita di Biden è collegata alle questioni interne dello State Departement e anche alla sua personale promozione. Si aspettava di avere due ruoli all'interno dell'amministrazione di Obama, quello di comunicare tra la Casa Bianca e il Congresso, prendendo il posto del capo dello staff di Obama Ram Emanuel, e quello della politica estera, ma anche qui già vi sono molti che vogliono ricoprire lo stesso ruolo”.

Le autorità serbe, dunque, si preparano ad accogliere il leader americano con solenni cerimonie, grande calore ed ospitalità, mentre sono state preparate tutte le misure per la massima sicurezza. Quando l'Air Force 2 entrerà nello spazio aereo serbo sarà scortato con gli aerei MIG dell'esercito serbo, mentre a Belgrado sono già giunti 150 agenti civili e militari esperti per la sicurezza, oltre al corpo che costituisce la sua personale guardia del corpo. Tutto assomiglia alla sceneggiata dall'anno scorso, quando Zagabria ha visto l'intervento di più di 65000 unità per garantire l'incolumità del Presidente George W Bush. Sono accorsi a Belgrado anche i corpi antiterroristici della Francia, RAID, insieme con i militari speciali serbi Kobra, che hanno tenuto per l'occasione un'esercitazione congiunta alla presenza del Ministro della Difesa serbo Dragan Sutanovac e l'ambasciatore francese in Serbia, Jean François Teral.

Ad ogni modo, la Serbia si conferma essere la terra di confine in cui il potere tra Europa e America si scontra, in quanto gli Stati Uniti non lasceranno mai che i Balcani diventino una "zona di influenza europea". Un conflitto che dimostra anche le gravi contraddizioni interne all'Unione Europea, pagando così la sua politica non unita, ambigua e sottoposta all'America. Gli errori che l'UE ha fatto in passato con la sua politica estera è che in realtà non è mai esistito un vero confronto con l'America o la Russia, e questa tendenza non potrà essere cambiata in così breve termine. I dilemmi in cui è avvolta l'Europa non hanno dato spazio ad altre questioni ancora aperte, confermate anche nel corso degli ultimi vertici della NATO e dello stesso Congresso americano, ma anche dei gruppi di potere che hanno creato l'idea dell'UE, ed ora loro stessi la vogliono distruggere: unire e disunire, e poi di nuovo unire creando confusione ed incertezza, applicando anche altrove quella che è sempre stata la politica internazionale per i Balcani. Ora per la regione balcanica si sta pianificando una federazione dei popoli della religione ortodossa, nella quale verrebbe incorporata anche l'Albania, anche se è definito Paese islamico accanto alla Bosnia. Un processo di compattazione che è stato iniziato dagli Stati Uniti con “la benedizione” del Vaticano, chiedendo come condizione che il 70% degli albanesi venga convertito al cattolicesimo. Per togliere, inoltre, la paura della Serbia e l'idea dell'egemonia serba, è stato stabilito che venga creata una federazione di 5 regioni autonome all'interno di territorio serbo, per poi divenire 5 stati indipendenti. Si tratta della zona di Morava, Vojvodina, Sumadija, Uzice e Raska.

Tra i motivi della visita di Biden nei Balcani, vi è anche la necessità di fare arretrare la zona di influenza della Russia. Non a caso Serbia e Russia hanno ratificato proprio in questi giorni lo storico accordo sul gasdotto italo-russo, nonché l'apertura delle sedi di Gazprombank , che sarà la seconda banca russa nell'economia serba. L'accordo tra Serbia e Russia sul South Stream sicuramente ostacola i piani per l'indipendenza della Vojvodina, la quale sarà una regione strategica per la rete del gas che passa attraverso il territorio serbo. La questione energetica sembra stare molto a cuore di Biden, considerando il rischio che la Raffineria di Pancevo venga venduta agli iraniani: un'eventualità che Washington cercherà di escludere del tutto, non tollerando la presenza fisica dell'Iran nello spettro dei territori europei, a maggior ragione nel settore energetico dove le compagnie iraniane dovrebbero esportare e vendere il petrolio in Europa. In quest'ottica, lo stesso progetto di Gazprom dovrà essere ostacolato in quanto renderebbe la regione sempre meno dipendente dai Paesi Occidentali, per favorire la realizzazione dei gasdotti pan-europei, come il Nabucco, che potrebbero attraversare il Kosovo del Nord e l'Albania, oltre che la Vojvodina indipendente.

La nuova americanizzazione dei Balcani non si ferma qui, perché resta da finire il lavoro rimasto in sospeso in Bosnia Erzegovina, dove il capolavoro sarà completato con la cancellazione dell'Atto di Dayton e la centralizzazione dello Stato della BiH, dove la popolazione musulmana prenderà tutto il potere. La visita di Biden in BiH può essere dunque vista come un avviso degli Stati Uniti ad apportare i veri cambiamenti all'Atto costitutivo della Bosnia e un cambiamento finale all'Atto di Dayton. Questo quanto confermato anche dal leader del Partito SDS della Republika Srpska , Mladen Bosic, secondo cui "la risoluzione del Congresso americano e la visita del Vice Presidente Americano sicuramente sarà un' iniziativa per intraprendere le prime trattative". "Per noi non è accettabile lavorare sotto ogni tipo di pressione e per l'SDS - spiega Bosic - la riforma dell'Atto costitutivo sarà possibile solo sulla base di un consenso, sopratutto nella RS, e poi anche da parte delle altre controparti della Bosnia, ma senza pressioni esterne. La questione dell'Atto costitutivo è una questione interna ad uno Stato e nessun altro, neanche gli USA, hanno diritto ad influenzarlo. La BIH è uno stato frammentato e, come dicono loro, uno Stato che non ha successo".
L'Alto Rappresentante di BIH, Valentin Inzko, da parte sua ha sottolineato, inoltre, che si deve cambiare l'attitudine politica sull'Atto di Dayton. “La comunità internazionale dà questo messaggio proprio con la visita del Vice Presidente Biden e l'Alto Rappresentante UE, Javier Solana” . Quanto riportato con queste due dichiarazioni, non è altro che lo specchio dello scontro delle posizioni EU-USA contro la Russia. L'Europa, un'altra volta, ha abbassato la testa davanti all'America, credendo che fingendo l'elemosina, potrà avere ancora una briciola per sé stessa.

18 maggio 2009

South Stream: prima vittoria nel conflitto Russia-UE-Ucraina


La realizzazione del gasdotto del South Stream è sempre più vicina. La russa Gazprom e il gigante italiano Eni hanno firmato venerdì a Sochi il secondo allegato del memorandum d'intesa per il progetto South Stream. Tra i Paesi firmatari figurano anche la Serbia, la Bulgaria e la Grecia, come controparti "investitori" nel progetto. A suggello di tale patto multilaterale, vi era la presenza dei Premier italiano e russo Silvio Berlusconi e Vladimir Putin, che hanno così garantito per il buon esito del progetto.

La residenza di Sochi ha visto la ratifica di uno dei primi protocolli decisivi per la realizzazione del gasdotto del South Stream tra i due soggetti promotori del consorzio che curerà il progetto. La russa Gazprom e il gigante italiano Eni hanno firmato il secondo allegato del memorandum d'intesa in merito al proseguimento della realizzazione del progetto South Stream. Il direttore esecutivo di Gazprom Alexei Miller e il Presidente di Eni, Paolo Scaroni, in presenza dei Primi Ministri italiano e russo, Vladimir Putin e Silvio Berlusconi, hanno così confermato l'accordo stilato lo scorso 23 giugno 2007. Il documento delinea le aree di cooperazione delle due società per la progettazione, il finanziamento, l'installazione e la gestione del futuro oleodotto, che avrà una capacità di 63 miliardi di metri cubi di gas all'anno, per collegare la Russia all'Europa meridionale attraverso il Mar Nero e il Mar Adriatico, aggirando l'Ucraina . La conduttura, che passa ad oltre 2 km di profondità sotto il Mar Nero, partirà dal porto russo di Novorossiysk e giungerà a Varna, in Bulgaria, per una lunghezza di circa 900 km, e avrà un costo di 8,6 miliardi di euro, come ha annunciato ai giornalisti Alexei Miller. Per raggiungere il mercato europeo, sono stati ratificati poi degli accordi speciali per il transito con la Bulgaria, la Serbia, l'Ungheria e la Grecia, i quali metteranno a disposizione il loro territorio al passaggio della conduttura e beneficeranno delle royalties dalla fornitura di gas. Di fatti, da Varna partiranno due rami, uno diretto a sud-ovest attraverso la Bulgaria e la Grecia e poi nel Mare Adriatico in Italia, un altro a nord-ovest attraverso la Bulgaria, la Serbia, l'Ungheria e l'Austria.

In tal senso, Gazprom ha ratificato una serie di documenti con le società del settore energetico di Bulgaria (Bulgarian Energia Holding), Grecia (Desf) e Serbia (Srbijagas), che definiscono la cooperazione delle parti in fase di pre-progettazione, di investimento e disciplina le procedure per la costituzione e il funzionamento delle imprese comuni che saranno create per lo studio del progetto del gasdotto, la costruzione della rete e la gestione della stessa. In particolare, Miller firma l'accordo con il Presidente del Gestore nazionale del sistema gas naturale (Desf), Nicolas Mavromatis, e il direttore generale Panagiotis Canellopoulos, alla presenza del Ministro per lo sviluppo della Grecia, Costis Hadzidakis, con il quale vengono definiti i termini per la costituzione del consorzio che metterà a punto uno studio di fattibilità per la sezione greca del gasdotto, ed includerà un riesame di tutte le caratteristiche e gli indici di carattere tecnico, giuridico, finanziario, ambientale e della struttura economica. Allo stesso modo, Gazprom stila il protocollo di intesa con il direttore generale del Srbijagas, Dusan Bajatovic, che descrive i primi dettagli della costruzione del gasdotto, e pone le basi per la creazione di una joint-venture con sede in Svizzera, partecipata per il 51% da Gazprom e il 49% dalla società serba. Da evidenziare la controversia nata con la Bulgaria, la quale ha proposto di utilizzare il gasdotto per il trasporto del gas di altre compagnie ed ottenere royalties da tale servizio, divergenze che probabilmente sono state appianate con la visita del premier bulgaro Sergej Stanisev a Mosca.

Identici problemi sono emersi tra Eni e Gazprom - come riportato, nei giorni precedenti all'accordo, dal quotidiano russo Kommersant, citando fonti vicine al Governo italiano - dopo che l'Eni ha chiesto di avere il controllo del mercato del gas nei paesi di transito per il Sud Stream, mentre Gazprom vuole limitare la distribuzione comune per il territorio italiano. Una fonte vicina a ENI ha confermato che la società ha chiesto di condividere i redditi derivanti dalle vendite annuali di 10 miliardi di m3 nell'Unione europea, mentre Gazprom concede la vendita sino a 6 miliardi di m3. Il braccio di ferro tra ENI e Gazprom sembra essere a favore dei russi, che sono riusciti a riprendere il controllo della distribuzione ricomprando da ENI la quota del 20% di Gazpromneft, pagando 4,1 miliardi di euro, senza battere ciglio. D'altro canto, è proprio sul business della distribuzione del gas che si decide quanto si guadagnerà dalla costruzione di questo gasdotto. I firmatari del progetto, nelle sue tratte principali (che costituiscono le arterie per la rete del gas) saranno non solo Paesi consumatori, ma anche Paesi esportatori, acquisendo anche il diritto di partecipare, come membri del consorzio, agli utili derivanti dalla vendita del gas a Paesi terzi, con la costruzione delle diverse diramazioni. In particolare, i Paesi dei Balcani e dell'Europa Centrale esterni al consorzio, saranno serviti con una rete secondaria, e difficilmente diventeranno destinatari diretti e dunque fornitori, a meno che non decidano di investire e di finanziare a loro volta la costruzione della rete nazionale.

Ad ogni modo, da questo progetto ne esce vincitrice l'Italia, ma anche e soprattutto la Russia, che va ad accentrare il mercato di produzione ( fonti di estrazione ) e della distribuzione, senza lasciare niente al caso. Nelle scorse settimane, Gazprom ha lanciato una campagna aggressiva per portare a casa contratti pluriennali per lo sfruttamento dei giacimenti di gas dei Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti, e sottrarli così all'Unione Europea. Il gigante russo e la compagnia petrolifera nazionale dell'Azerbaigian hanno firmato un memorandum per l'avvio dei negoziati per la vendita del gas azerbaigiano, proponendo un prezzo di 340 dollari per 1.000 m3 per il primo trimestre 2009, mentre il prezzo proposto dall'Europa per rifornire il Nabucco ha raggiunto 400 dollari a 1.000 m3. La Russia propone un contratto a lungo termine e un prezzo basato sulla formula europea (vale a dire relative al costo dei prodotti petroliferi), e fa forza sul fatto che le compagnie europee non saranno in grado di proporre un prezzo migliore. L'Azerbaigian è l'ultimo dei paesi esportatori di gas del CSI che non ha ancora firmato un contratto con la Russia, tuttavia i negoziati sembrano essere molto vicini alla loro conclusione, mirando ad acquistare il gas in una seconda fase del progetto Shah Deniz, la cui capacità è di quasi 16 miliardi di m3 all'anno.

Allo stesso tempo la Russia si riavvicina alla Turchia e, con il recente incontro tra il Primo Ministro russo Vladimir Putin e quello turco Recep Tayyip Erdogan, è stato discusso la possibilità di proroga del contratto di transito del gas russo della conduttura del Blue Stream, che scade nel 2011 e che comprende 6 miliardi di metri cubi di gas, nonchè di gettare le basi per costruire una seconda conduttura, sotto il nome di "Blue Stream 2". Pur precisando la sua fedeltà al Nabucco, la Turchia non sembra tirarsi indietro dall'installazione di una seconda conduttura parallela al gasdotto Blue Stream attraverso il fondale del Mar Nero. Il Blue Stream, che è di proprietà su base paritetica di Gazprom e l'italiana dell'ENI, trasporta circa 10 miliardi di metri cubi di gas tramite i due rami che hanno una capacità di 8 miliardi di metri cubi ciascuno. Costruire un "Blue Stream 2" sembrerebbe molto più un accordo su base politica, essendo stato rilanciato proprio dopo che la Turchia è diventata uno dei firmatari del progetto Nabucco ed è ripresa la guerra del transito con l'Ucraina infuriata a inizio anno. Non a caso, la Turchia ha minacciato di ritirarsi dal progetto Nabucco qualora non vengano riaperti i negoziati di adesione all'Unione Europea. Per tale motivo, il Blue Stream 2, come pure il South Stream, è lo specchio del conflitto del gas tra la Russia, l'Ucraina e l'Europa.

11 maggio 2009

La strada dell'uranio


Le rivelazioni del Premier albanese sull'imminente costruzione di una centrale nucleare in Albania possono sembrare senza senso o una semplice promessa populista, rafforzata da alcune certe garanzie. La strana vicenda ci ha fatto pensare che i vecchi bunker albanesi possano servire a qualcosa...

Le rivelazioni del Premier albanese sull'imminente costruzione di una centrale nucleare in Albania, prima a Valona e poi a Scutari, possono sembrare senza senso, oppure la solita propaganda di demagogia e populismo. Da 18 anni l'Albania deve affrontare i black out di energia elettrica e la costosa importazione dall'estero, per cui è chiaro che alla popolazione fa bene sentire che si fa qualcosa per risollevare le sorti del Paese. A pensarci bene, davvero Tirana crede di poter costruire una centrale in Albania?Non perchè non ne abbia le capacità, ma perché i costi di acquisto delle tecnologie e della formazione di personale professionale e tecnico potrebbero compromettere la stabilità finanziaria del Paese, oltre che il territorio - montagnoso e sismico - non è assolutamente adatto per la costruzione di centrali nucleari. Sarebbe come ripetere l'errore dell'Italia, che ha costruito delle centrali per indebitarsi e poi smantellarle, oppure come il caso dei famosi giacimenti di petrolio trovati grazie all'intervento di una società americana all'avanguardia nell'esplorazione di fonti petrolifere. Scoperta che ha solo permesso alla Banca Centrale di emettere bond, presumibilmente garantiti dalle ipotetiche rendite dei fondi, per innescare il solito castello di titoli e carta per creare denaro inconsistente.

Questo Berisha lo sa bene, tuttavia non è un politico che agisce senza cognizioni di causa, e questo ci fa pensare che dietro la centrale nucleare vi sia altro, e sempre connesso al mercato del nucleare. La strana vicenda ci ha fatto pensare che i vecchi bunker albanesi possano servire a qualcosa. Se così non fosse, perché allora i Governi occidentali stanno zitti dinanzi alle dichiarazioni di Berisha su una centrale nucleare che non verrà mai costruita. Cosa si nasconde dietro quelle strane promesse, forse un deposito di scorie nei bunker di Enver Hohxa? L'ambasciatore italiano Saba D'Elia ha dichiarato che il Governo italiano non sa nulla sulla costruzione della centrale nucleare, dando così un segnale di estraneità al vaso dopo lo smacco della chiusura dell'accordo per l'acquisto di elicotteri dalla Francia, anziché dall'Italia. Tanto che il Premier Nikola Sarkozy lo ha accolto Sali Berisha, dopo pochi giorni, a braccia aperte a Parigi, magari per proporgli un nuovo interessante affare. D'altro canto, dopo che la Francia si sta adoperando così tanto in Niger per l'acquisto di uranio, da uno dei più grandi giacimenti dell'Africa scoperto nella zona di Agadez, dove la compagnia francese Areva costruirà una miniera per rifornire poi gran parte delle sue centrali. Nel tracciare la strada dell'uranio attraverso l'Africa Settentrionale e il Mediterraneo, un porto il Albania farebbe proprio al caso della Francia.

Questa lunga storia che vi stiamo raccontando non è poi così lontana dalla realtà europea, in quanto, anche se non lo dicono, il mondo sceglierà come fonte energetica il nucleare, dunque l'emergenza rifiuti esisterà sempre, ovunque. Con la filiera del nucleare si andrà a ricreare il commercio di bond e titoli, per far rinascere l'economia, che molti chiameranno "nuova economia", ma avrà in sé le insidie di quella vecchia che ci ha fatto conoscere tanti disastri sino ad oggi. I nostri timori, sono stati in qualche modo confermati da alcuni importanti dettagli, tra cui anche il tentativo di insabbiamento della verità sugli attacchi della mafia balcanica in Croazia e in Montenegro, ma c'è di più. Quando abbiamo indagato sui movimenti dell'Albania nel nucleare, ci hanno detto di occuparci di ben altro, e soprattutto di non fare domande su questo argomento. Così abbiamo accettato la sfida alla maniera balcanica, e vedere cosa si cela, per esempio, dietro gli investimenti islamici nei Balcani. Sarà vera economia islamica, oppure banchieri occidentali travestiti,per veicolare in queste terre il loro lavoro sporco? Di ciò che parliamo è ben noto sopratutto per la svizzera UBS Bank, e per certi personaggi che un tempo "fumavano tante sigarette" dopo averne acquistate a vagonate, note anche a chi ha mostrato dei documenti di grande importanza ma che nessuno ha voluto mai commentare.

C'è da chiedersi se questi "progetti" faranno dei Balcani una regione paneuropea ed economicamente evoluta, o solo una federazione balcanica unita della criminalità organizzata, dove la mafia croata, serba, albanese, kosovara, turca, si alleano per avere un unico feudo economico, come paradiso fiscale economico il Montenegro. Fare dello Stato montenegrino il nuovo Lussemburgo, dopo la redazione della black list dei paradisi fiscali decisa dal G8, è uno progetto tutto europeo. Tra l'altro, il Montenegro è completamente posseduto da Banche e società amministrate dalla struttura reticolare dalle grandi famiglie di banchieri europei, che da sempre hanno supportato Milo Djukanovic, ed oggi confermano il suo sostegno con il suo sesto mandato.

07 maggio 2009

La Georgia negli equilibri tra Nato e Russia


Continua l'escalation della tensione in Georgia, e dopo settimane di proteste e uno strano ammutinamento militare, il Governo di Tbilisi deve far fronte alle incalzanti pressioni dei partiti di opposizione. La Georgia, e così il Caucaso, resta un Paese importante per gli equilibri di potere tra NATO e Russia. Se Stati Uniti e Unione Europea intendono trasformare questa regione in una zona cuscinetto controllando il passaggio di gasdotti ed oleodotti, la Russia intende affermare la sua influenza per garantire il transito e l'approvvigionamento delle fonti di energia da rivendere ai mercati europei. (Foto: Cartello nel centro di Tbilisi)

Continua l'escalation della tensione in Georgia, e dopo settimane di proteste e uno strano ammutinamento militare, il Governo di Tbilisi deve far fronte alle incalzanti pressioni dei partiti di opposizione. Proprio nella serata di ieri, alcuni leader dell'opposizione unita georgiana, sono stati colpiti alla testa durante gli scontri tra attivisti e la polizia di Tbilisi. Le immagini del "pestaggio della polizia" sono state riprese in diretta dai giornalisti che erano accorsi per documentare le proteste della folla dinanzi alla centrale di polizia a Tbilisi, per chiedere il rilascio dei militari arrestati. La manifestazione si è trasformata in violenza dopo che i militanti del partito di opposizione hanno cercato di sfondare la recinzione posta a protezione della caserma: la polizia ha duramente risposto con manganelli e proiettili di gomma. Il messaggio mediatico però passa, ed è quello di una parte del Paese che chiede le dimissioni del presidente Mikhail Saakashvili già da un mese. Per l'opposizione anche l'ammutinamento è stato una plateale messa in scena del Governo di Tbilisi, che cerca di nascondere le proprie repressioni dando la responsabilità ad agenti russi. "L'ammutinamento di un battaglione di carri armati dispiegati nei pressi della capitale georgiana è stato creato dalla leadership georgiana al fine di distogliere l'attenzione della folla dai problemi reali delle persone", affermano i rappresentanti del partito di opposizione di Tbilisi, spiegando di avere prove a dimostrazione che lo spettacolo organizzato dal Governo era una "realtà virtuale" creata solo per impaurire l'opinione pubblica.

È da rilevare, comunque, che è abbastanza inverosimile anche l'ipotesi di un colpo di stato organizzato da agenti russi, per il semplice fatto che sarebbe una conclusione troppo scontata - a cui il Governo di Tbilisi è arrivato senza molte analisi di intelligence - soprattutto all'indomani delle proteste di Mosca per le esercitazioni della Nato in Georgia. La diplomazia russa ha negato ogni coinvolgimento in questa specie di colpo di stato militare in Georgia, definendo le accuse del Governo georgiano come frutto "del delirio e dell`agonia del regime di Saakashivili". D'altro canto, è innegabile che Mosca abbia qualche ruolo nella creazione di un movimento popolare di dissidenza contro il Governo, spingendosi sino a dettare un ultimatum a breve scadenza per le dimissioni del Premier. Le hanno definite "rivoluzioni colorate", proprio perché nascondono dietro ad una bandiera di partiti e movimenti politici, un intero sistema di pressioni e di poteri, molto spesso di matrice estera. Forse, è proprio in considerazione di questa crisi latente che è stata programmata un'esercitazione militare nel Caucaso, in un territorio in cui Mosca ha dispiegato le sue truppe in difesa dei confini con l'Abkhazia e l'Ossezia del Sud.

Questo fa comunque capire quanto la Georgia, e così il Caucaso, sia importante negli equilibri di potere tra NATO e Russia. Se Stati Uniti e Unione Europea intendono trasformare questa regione in una zona cuscinetto controllando il passaggio di gasdotti ed oleodotti, la Russia intende affermare la sua influenza per garantire il transito e l'approvvigionamento delle fonti di energia da rivendere ai mercati europei. Per tale motivo, quanto accade nel Caucaso è strettamente connesso all'attuale controversia tra NATO e Russia, che ha avuto come effetti ben visibili le espulsioni dei diplomatici russi - in seguito alle accuse di spionaggio contro lo Stato estone - e di quelli canadesi presso il Centro di Informazione della NATO a Mosca. Ora, Inoltre, il rappresentante permanente della Russia presso la NATO ha ricevuto dal Ministero degli Affari Esteri belga l'avviso di revoca dell'accreditamento di due diplomatici. Effetti meno evidenti, sono quelli del progressivo irrigidimento delle relazioni bilaterali, che va a ritardare i negoziati di adesione della Russia, ma conferma che questo famoso dialogo con gli Stati Uniti è molto evanescente, scompare con pochi gesti e in poco tempo. In questa operazione volta ad isolare la Russia, nel tentativo di farla retrocedere dalle sue pretese di rifondare l'Alleanza Atlantica su uno schema di nuovi equilibri, l'Unione Europea ha un ruolo importante, che si sta traducendo nella "europeizzazione" dello spazio post-sovietico, con la promozione del progetto di Partenariato europeo, che organizzerà oggi la prima assemblea costitutiva a Praga.
(Saakashvili stringe la mano ai soldati dopo l'ammutinamento)

La riunione di oggi vedrà la partecipazione delle sei repubbliche dell'ex Unione Sovietica , quali Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Moldavia, Ucraina, e dunque Georgia, rappresentata da Saakashivili in persona. I Paesi post-sovietici non sono invitati a far parte dell'Unione Europea, anche se i capi di Governo stanno cercano in ogni modo di vedervi questa possibilità. I loro capi stanno cercando, naturalmente, di vedere questa partnership in Europa della porta aperta, avendo assunto l'ideale di "membro europeo" come perfetto antagonista democratico del comunismo assolutista. Allo stesso tempo, cercano in questa Unione allargata, qualche stimolo in più rispetto alla Comunità degli Stati Indipendenti che ha rivelato, in questi anni, tutta la sua inefficacia. Molto probabilmente, con il Partenariato Orientale, la liberalizzazione dei visti e l'abbattimento delle barriere doganali passeranno sotto l'egida di Bruxelles, ponendo sotto una luce diversa Mosca. Un progetto, dunque, che sembra andare di pari passo con l'allargamento della NATO, andando così a coinvolgere, in nome della "integrazione euro-atlantica" Paesi che appartengono ad un altro spazio economico che, sino ad oggi, ha bilanciato gli equilibri economici tra Europa e Asia centrale. Non sono da escludere scenari in cui vedremo Bruxelles risolvere le annose questioni di indipendenza ed autonomia di Abkhazia, Ossezia e Transnistria: qualsiasi compromesso, pur di spostare il centro diplomatico da Mosca a Bruxelles. È ovvio che le relazioni di "partneriato" con la Russia non miglioreranno con questo progetto, a meno che non vi sarà qualche Paese europeo che si opporrà a questo totale sbilanciamento dei poteri nell'est europeo. Un ruolo fondamentale potrebbe averlo proprio l'Italia, che sta pian piano ricostruendo la sua economia sulla base di accordi energetici ed industriale sottoscritti anche grazie alla mano russa. Accanto all'Italia vi sono i Paesi dei Balcani Occidentali, che aspettano di entrare in Europa ma mantengono un certo rapporto con la Russia, proprio come la Serbia. Ancora una volta, dunque, Balcani e Caucaso sono pedine importanti per la risoluzione di questo grande rompicapo, che è l'equilibrio dei poteri tra Occidente ed Oriente.