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30 novembre 2007

Le strade di Albania tra tangenti e colonizzatori


Continuano ad essere al centro di feroci polemiche le Strade dell'Albania, divenute ormai un vespaio di scandali e tangentopoli. Torna a far parlare di sé l'autostrada Durres-Morine, la cui realizzazione aveva portato, lo scorso 18 settembre, all'arresto del Vice-Ministro dei Trasporti, dei Lavori pubblici e Telecomunicazioni Nikolin Jaka, accusato di corruzione e di aver ricevuto delle tangenti per l'assegnazione di appalti pubblici.

All'esame della procura di Tirana vi è oggi il contratto dell'autostrada Rreshen-Kalimash, parte dei 170 chilometri della Durres-Kukes-Morine, che collegherà l'Albania al Kosovo, sottoscritto il 6 ottobre del 2006 dalla Joint venture tra la società statunitense Bechtel Corp. e la turca Enka, per un valore di 418 milioni di euro. La quattro-corsie dell'autostrada pubblica, di 57 chilometri compresi 6 chilometri di tunnel, rappresenta il più grande progetto di infrastruttura fatto nel piccolo paese balcanico. Secondo la Procura, quello ratificato con il consorzio Bechtel-Enka, è un contratto illegale in quanto si basa sul diritto anglosassone e non su quello albanese, a cui il Governo albanese ha dato esecuzione versando il 40% del valore totale del contratto, e non il 10% come pattuito nelle fasi di negoziazione, versando anticipatamentre 104 milioni di euro. Stando a quanto dichiarato dagli inquirenti, la fretta con cui il governo ha deliberato il trasferimento di un'ingente somma di denaro in così poco tempo, senza giustificare le transazioni, costituisce un chiara prova di mala fede. I trasferimenti avvenuti nello scorso anno hanno infatti giustificato l'inizio della inchiesta in capo ai principali dirigenti del Ministero dei Trasporti nel mese di aprile, e la Procura ha chiesto di interrompere il trasferimento di tutti i fondi. Ignorando i provvedimenti della procura, il Governo ha continuato a dare esecuzione al contratto, accordando altri 50 milioni di euro, nonostante fosse in corso l'indagine sui fondi versati anticipatamente nel 2006. Si stima che, di questo passo, il costo della strada Rreshen-Kalimash potrebbe arrivare a triplicare il prezzo iniziale di 418 milioni di euro, e "a dicembre il danno subito dallo Stato albanese per l'appalto della costruzione della strada arriverà a 200 milioni di euro". Gli inquirenti infatti affermano che allo stato attuale al danno di 191 milioni di euro, derivanti dagli abusi duranti i lavori di costruzione di questa strada, occorrerà aggiungere il cosiddetto Budget Aggiuntivo per l`anno 2007 che prevede l'aumento dei trasferimenti da 50 a 100 milioni di euro, deciso dal Governo lo scorso agosto.

Quello della strada Rreshen-Kalimash per l`anno 2007, non è il primo contratto che ha dato problemi alla società statunitense della Bechtel , che ha uno storico di corruzioni e di controversie con molteplici tribunali in differenti Stati. Ricordiamo primo tra tutti il precedente romeno dell'autostrada della Transilvania, dove l`azienda supervisore Scetauroute - la stessa nominata per la Rreshe-Kalimash - ha stabilito che lo Stato romeno deve pagare il triplo del prezzo iniziale per poterla terminare. Come in Albania, anche per l`autostrada della Transilvania, è stato scritto un budget con il metodo prezzo-unità, e di nuovo, come il caso albanese, il prezzo di un chilometro è stato continuamente rinegoziato e portato a "valori normali di mercato". I 2.3 miliardi di euro pattuiti all'inizio del contratto, sono divenuti ben 7 miliardi di euro, grazie ad una "necessaria" rivalutazione del costo delle materie prime acquistate. Gli inquirenti che hanno analizzato il contratto, hanno scoperto che lo Stato romeno ha accettato di pagare l'acciaio per l'armatura di più bassa qualità al prezzo di 952,5 euro/t, rivalutato poi fino a 3.364,52 euro/ t, quando - secondo i principali grossisti sul mercato romeno - il ferro può essere acquistato ad un prezzo pari a 740 euro/t.

L'usura sui prezzi non è tuttavia il solo scheletro della Bechtel, essendo stata coinvolta negli Stati Uniti in uno scandalo di corruzione e di tangenti durante la costruzione di infrastrutture. La Bechtel ha infatti sollevato un grande polverone di critiche e polemiche per aver offerto 300 milioni di dollari al procuratore di Boston per chiudere le accuse sollevate contro di lei dopo il crollo del tunnel “Big Dig”, costruita in collaborazione con la società azionista Parsons Brinckerhoff. La procura di Boston ha infatti aperto le negoziazioni per trovare un accordo con i dirigenti del progetto Big-Dig, Bechtel/Parsons Brinckerhoff, offrendo circa 300 milioni di dollari per porre fine alle indagini al più presto, e così coprire le proprie responsabilità nel crollo del tunnel che ha causato la morte di diverse decine di persone. La società Parsons Brinckerhoff, non a caso, il tassello che unisce la Bechtel all'inchiesta di corruzione ora in corso presso la Procura albanese sulla strada Durres-Kukes-Morine, in quanto viene citata spesso per i suoi legami con il gruppo Ecorys, società consulente presso il Ministero dei Lavori Pubblici e del Trasporto. Secondo la Procura la Parsons Brinckerhoff, rappresenta la prova del conflitto d`interesse tra la Bechtel e la Ecorys Group durante le negoziazioni delle gare d'appalto. Risulta infatti che la società Parsons Brinckerhoff abbia collaborato per un lungo periodo con la Bechtel Inc. per l'esecuzione di opere pubbliche nella città di Boston, e allo stesso tempo prestava anche consulenza presso il Ministero dei Lavori Pubblici e del Trasporto, per la selezione dei candidati alle opere pubbliche e all'esecuzione dei contratti, mantenendo degli stretti rapporti con la Ecorys Group. Quest'ultima si è trovata, in uno stato di evidente conflitto d`interesse , durante le procedure di selezione e negoziazione della societa` che doveva costruire la strada Rreshen-Kalimash, come dichiarato all'interno del dossier d`accusa albanese. Quello albanese rappresenta così il secondo caso in cui Bechtel e Parson Brinckerhoff vengono menzionati come coinvolti in affari sospetti. Dietro infatti all'esecuzione di contratti per la costruzione di grandi opere pubbliche possono spesso nascondersi attività di riciclaggio e di occultamento di fondi, ai danni degli Stati che divengono così delle vere e proprie terre di colonizzazione.

Molti sono dunque i fantasmi che si nascondono dietro l`autostrada Rreshen-Kalimash, che altro non è che il segmento stradale della Durres-Kukes-Morine, la famosa "grande strada patriottica", che doveva riavvicinare l`Albania al kosovo, ma poi e diventata "la strada della corruzione patriottica governativa".

Rinascita Balcanica

28 novembre 2007

Disinformazione e giudici corrotti: torna il Kuwait Gate


Torna a far discutere il controverso caso Ferrayé che ha svelato il vero volto del Kuwait Gate, e dello scandalo Oil For Food, direttamente legato a quello definito come caso Clearstream. Marc-Etienne Burdet, uno dei protagonisti dell'Affaire Ferrayé, è stato rilasciato dal Tribunale Federale svizzero, lo scorso 2 novembre dopo 56 giorni di sciopero della fame, per protestare della sua ingiusta detenzione. L'accusa a capo di Burdet è di "calunnia qualificata" avendo accusato i giudici svizzeri chiamati a seguire il processo di Joseph Ferrayé, di "massoneria e mafia" per rispondere alle pressioni e ai reiterati abusi di potere per nascondere i propri crimini di corruzione e favoreggiamento.
Marc-Etienne Burdet, stretto collega di Joseph Ferrayé con il quale ha condiviso la tragica avventura del Kuwait Gate, deve rispondere delle accuse di attentato all'onore depositate dal notaio ginevrino Pierre Mottu, dinanzi ad un tribunale che è in grave conflitto di interesse, essendo esso stesso implicato nel processo Ferrayé. Senza un ragionevole motivo è stato arrestato con un atto arbitrario e con un palese abuso di potere, privandolo della propria libertà per oltre 22 mesi, una pena che terminerà solo l'11 maggio del 2009. Il giudizio che ha portato all'arresto è stato condotto in maniera illegale, poiché effettuato in tempi brevissimi, "di chiamata al Popolo", attraverso la semplice nomina del difensore di Burdet , senza dare la possibilità di preparare la difesa, in violazione della Convenzione europea dei Diritti dell'uomo e delle Costituzioni Federali e Cantonali. Al momento si tratta di uno stato di libertà provvisoria, in attesa che il Tribunale Federale esamini il ricorso presentato da Marc-Etienne Burdet contro una detenzione in palese violazione della Convenzione europea dei Diritti dell'uomo (CEDH) .

Ci si chiede ora perché un tribunale ha reagito così, proprio durante il processo di Ferrayé che aveva denunciato la truffa di cui è stato vittima. Perché questo "tribunale" ha mentito? Per rispondere a tale domanda occorre fare un breve passo indietro e ricordare qual è stato il ruolo della giustizia svizzera all'interno del Caso Ferrayé.
Dopo l’incendio dei pozzi del Kuwait, nel 1991 Joseph FERRAYE progetta due sistemi rivoluzionari di estinzione per asfissia del fuoco e di blocco del petrolio: questi due sistemi erano la chiave di un piano premeditato, elaborato mesi prima dell'invasione del Kuwait da parte delle truppe di Saddam, al fine di estinguere gli incendi e recuperare senza sprechi l'oro nero. Tuttavia, le lobbies petrolifere, in collusione con i governi degli Stati direttamente coinvolti nelle operazioni militari, si appropriano dei brevetti, estromettendo Ferrayé, nonché dei fondi stanziati dal Governo del Kuwait per il recupero del petrolio. Parliamo di oltre 34 miliardi di dollari, che i principi del Kuwait hanno pagato mediante il petrolio irakeno, che sono stati deviati e occultati attraverso un sistema piramidale costituito da Banche, stanza di clearing e paradisi fiscale, che porterà così alla completa scomparsa dei fondi dal circuito bancario. In tale contesto si innesta non a caso il progetto dell'ONU “Petrolio Contro Cibo” come mezzo di riciclaggio dei petrodollari. L’operazione viene portata a termine grazie a due avvocati di Ginevra, Marc Bonnat e Warluzel, e un notaio, Sirven che per il gran servigio prestato allo Stato gli è valso la nomina da parte di Chirac di cavaliere della Legione di onore in qualità di dirigente della ELF, mediante la quale, infatti, una grande parte dei fondi è stata occultata. Joseph Ferrayè e i suoi colleghi si trovano dunque costretti ad attaccare i propri truffatori per difendersi dalle pressioni provenienti da diverse entità, denunciando apertamente la truffa di cui sono stati vittima

Marc-Etienne Burdet così ha denunciato alcuni giudici del Cantone di Vaud per truffa e complicità di truffa con i personaggi indicati direttamente dalle prove presentante. Per mettere così a tacere le accuse contro il notaio ginevrino Pierre Mottu, autore di atti notarili falsi e dissimulati al fine di commettere il furto ddi royalties e di brevetti, il Tribunale di Montnemon à Losanna ha deciso di arrestarlo "per impedire l'imputato di nuocere all'interesse pubblico" . Questa dunque la risposta di un tribunale dello Stato della Svizzera, nei confronti di un cittadino che denuncia la corruzione di giudici e di notai che commettono gravi crimini finanziari e giudiziari.
Ai danni di Ferrayé sono state poste in essere una serie di operazioni volte a prendere il controllo dei brevetti utilizzati per l'estinzione dei pozzi del Kuwait, e deviare così le royalties sui Brevetti. Pierre Mottu ha redatto delle decine di convenzioni e ha contribuito a mettere in piedi 5 società per deviare i miliardi che ritornavano a Joseph Ferrayé, ma i giudici svizzeri affermano che "il notaio Mottu non era responsabile degli atti commessi, in quanto eseguiva semplicemente le direttive dei suoi soci". Marc-Etienne Budet tuttavia sottolinea la grave complicità dei giudici con il notaio Mottu, e probabilmente con gli atti e le operazioni che aveva portato a termine, ricordando che l'ultima seduta del processo in seguito al quale è stato tratto in arresto, era giunta una testimonianza del socio di Pierre Mottu, il Notaio parigino Eric de l'Aja St-Hilaire, il quale dichiara che "era stato deciso di ricorrere ad un notaio in Svizzera, per il semplice motivo per cui si era scoperto che importanti somme destinate a Ferrayé erano stati versati su dei conti bancari in Europa e particolarmente in Svizzera". Stranamente lo stesso notaio ha elaborato "su ordine dei soci" uno stratagemma così complicato di convenzioni e atti che sono così a sottrarre i fondi di Ferrayé.
La truffa del Kuwait Gate, come confermato dallo stesso Marc-Etienne Burdet, ha messo in evidenza come circa 13'000 società registrate, nonché la nostra economia, sono oggi sotto il controllo di un'organizzazione criminale che rappresenta una vera macchina di riciclaggio e occultamento di denaro. Possiamo chiamarla "globalizzazione", "frode" o "corruzione", ma in realtà è il crimine invisibile costruito con le armi stesse delle leggi, con gli strumenti della democrazia e i rappresentanti del popolo. L'approvvigionamento energetico della nostra economia, le materie prime, la grande distribuzione, l'industria e la scienza, sono sotto il controllo di un'entità criminale invisibile, che ha incatenato il sistema giudiziario, la politica e i media.

27 novembre 2007

Lo Stato Brasiliano ringrazia la Etleboro

La Etleboro ha ricevuto la lettera ufficiale di ringraziamento da parte del Tesouro Nacional del Brasile, per aver contribuito all'indagine sulla truffa dei collaterali che coinvolgevano Buoni del Tesoro brasiliano. Rappresenta una vera vittoria della Tela che ha portato alla luce un'operazione volta a riempire le casse di società e imprese con titoli inesistenti per poi sabotare la stabilità finanziaria del mercato finanziari brasiliano. Una truffa ai danni di risparmiatori e investitori pianificata e programmata da grandi banche di investimento, che invece nasconde il crimine invisibile contro gli Stati. Molti stanno prendendo coscienza di cosa sia il crimine invisibile, come tanti sono le persone che si stanno rivolgendo a noi dopo esserse stati truffati da fantomatici brokers e intermediari finanziari.
Pubblichiamo di seguito la lettera inviataci dalla Segreteria del Tesoro Nazionale del Brasile.


26 novembre 2007

Quanti segreti ha Google Earth?


Google Earth è una tecnologia molto affascinante, che ha aperto nuovi scenari della esplorazione e del web, e si appresta a divenire uno degli strumenti di base per lo sviluppo di progetti legati al supercomputing, il sistema di ricerca del più grande indice di informazioni e video.
Sono quasi sconfinate le sue potenzialità di sviluppo, ma rappresenta anche un pericoloso strumento di sabotaggio e di criminalità, fornendo fotografie satellitari e cartine di ogni parte del mondo. Il suo utilizzo per scopi poco leciti è sempre più diffuso, soprattutto tra le organizzazioni criminali che usano Google Maps per tracciare i propri traffici, i luoghi di consegna e di deposito, per segnalare gli obiettivi delle prossime azioni, nonché per sviluppare prostituzione e rapine. Le cartine e le mappe di Google stanno pian piano diventando delle vere e proprie immagini "steganografiche" attraverso le quali inviare messaggi cifrati, e disegnare i percorsi dei loro affari, dei traffici di droga e di sfruttamento dell'immigrazione e della prostituzione. Questo fenomeno è sempre più in espansione, non esistendo alcun tipo di controllo sui personaggi e sulle organizzazioni che utilizzano il servizio, né sullo scopo delle loro azioni. Se si pensa alla pericolosità di operazioni pianificate mediante una cartina virtuale, diventerebbero d'un tratto ridicoli i tentativi della polizia di arrestare i criminali sfogliando il suo hard disk. Basti considerare che, al momento, esistono 40 punti di prostituzione nella città di Milano, attraverso dei veri e propri negozi segnalati su Google Heart. Tutto questo è possibile perché quello che sta costruendo Google è un mondo che non segue le leggi stabilite dagli Stati perché non ha confini tangibili e né può essere definito uno spazio "internazionale", essendo al di sopra di qualsiasi tipo di Istituzione sovranazionale e nazionale.
Il crimine commesso da Google diventa ancora più invisibile e subdolo se si pensa alla manipolazione delle immagini che viene effettuata, mediante l'oscuramento o la visualizzazione di particolare zone che rappresentano per gli Stati, delle "aree sensibili". Sono sempre più frequenti gli episodi delle proteste provenienti dai governi nazionali contro Google Earth, che mette in chiaro le immagini di luoghi e progetti protetti da segreto, mettendo così in pericolo la loro "sicurezza nazionale". Molteplici sono state di recente le violazioni segnalate dal Governo cinese, che ha visto mettere in chiaro le immagini della costruzione di un sottomarino nucleare tenuto in segreto. Tale episodio è stato preceduto da differenti altri casi, in cui è stato scoperto in Google Earth ha pubblicazione delle immagini di una base militare segreta, nella regione di confini contesa da India e Cina, nel villaggio remoto di Huangyangtan. La Cina, ha così sollevato il dubbio che il Pentagono o il Governo degli Stati Uniti, stia al momento utilizzando Google Earth per sabotare lo Stato cinese, o solo per ricattarlo, mostrando così la pericolosità di uno strumento di grande impatto sulla massa. Nonostante infatti, molte delle immagini mostrate fossero già note, gli effetti sull'opinione pubblica si sono già prodotti, perché dimostra che un Governo non può difendere il proprio spazio aereo o i propri segreti, esistendo un'entità che è di gran lunga al di sopra di lui. Identica denuncia è giunta da Israele che ha dichiarato come Google Earth abbia messo in chiaro dei segreti militari esponendo ad un rischio di attentati delle infrastrutture militari, come il quartier generale del Ministero della Difesa israeliana a Tale Aviv, le basi dall'Aeronautica israeliana e del controverso reattore nucleare della città di Dimona, oltre ad alcuni centri definiti come basi segrete del Mossad.
Sorgono a questo punto dei dubbi sulle modalità in cui una società privata - come può essere Google - utilizzi delle informazioni che appartengono agli Stati nazionali, avendo l'assurdo potere di mettere in pericolo una nazionale semplicemente manipolando delle immagini. Allo stesso tempo, mette a disposizione le sue piattaforme di strutture criminali che tranquillamente organizzano e gestiscono i propri traffici, in maniera indisturbata. Questo significa che alcune entità stanno acquisendo uno straordinario potere, che pian piano consolideranno sempre più, fino a porre le regole di quello che noi tutti definiamo Nuovo Ordine Mondiale. Il mondo dell'informatica e le piattaforme sono ormai nel nostro futuro le autostrade per l' economia e lo sviluppo, mentre l'accesso della rete e degli strumenti è nelle mani di un ristrettissimo numero di persone, cosa che equivale a dire che il potere degli Stati Nazionali è di fatti scomparso. Se la rete è il "Regno dei Cieli", e se chi ne ha il controllo si "avvicina sempre più a Dio", allora vuol dire che ci sono delle entità che hanno su di noi un forte vantaggio, e stanno creando un abisso che ci separa da tale dimensione. Gli scenari diventano sempre più preoccupanti se di pensa l'attuale evoluzione dei progetti di Google e della Nasa, che avrà come scopo quello di sviluppare il cd. "supercomputing", ossia un sistema di informazioni che conterrà immagini e dati della Terra e dei pianeti più prossimi appartenenti al sistema solare. Verrà creata una base di dati di dimensioni spaventosa, che sarà messa nelle mani del Governo statunitense e delle lobbies di Google, la cui pericolosità potenziale è paragonabile ad una bomba atomica. Il nuovo ordine mondiale è dunque sempre più vicino, e utilizzerà le armi subdole e nascoste della cybernetica, impossessandosi dei dati e delle informazioni per usarli poi come arma a doppio taglio nei rapporti politici o economici.

23 novembre 2007

Crisi subprimes : il cavallo di troia della monetica


Sono trascorsi diversi mesi dallo scoppio della crisi eclatante dei mutui subprimes, e molte sono state le previsioni dell'imminente crollo del sistema finanziario, che dovrebbe trascinare nel baratro della recessione gli Stati Uniti nonché l'Europa. Ogni giorno le borse continuano a "bruciare" bilioni di dollari di capitalizzazione, le monete si svalutano e le società falliscono, ma il sistema nel suo insieme regge perfettamente il colpo e dinanzi ai nostri occhi si trasforma senza che nessuno se ne accorga.

La crisi dei mutui subprimes, con il suo grande impatto mediatico, ha portato alla luce tutto il marcio che covava nel mondo finanziario, cosicchè tutti i giornali di ogni parte del mondo parlano da mesi del "fallimento del sistema bancario e dei controllori". Ma quando una banca come la Nortern Rock fallisce lasciando che tutti vedano la famosa corsa agli sportelli e il panico dell'insolvenza, e quando la Banca di Londra si piega a garantire la solvenza della Banca e si scusa per non aver vigilato sui risparmiatori inglesi, allora c'è qualcosa che non torna. Per placare la paura di investitori e risparmiatori e tamponare il buco nero delle migliaia di miliardi di dollari scomparsi senza una chiara e valida spiegazione, le Banche Centrali hanno stabilito, di comune accordo, di creare dei fondi di garanzia per il rischio subprimes e il rischio di insolvenza, al fine di impedire che la patologia del 1929 si abbattesse sull'economia degli Stati Occidentali. Così gli Stati, attraverso le loro Banche Centrali, hanno in un certo senso pagato amaramente la crisi liquidità innescata dalle truffe e dalle manipolazioni dei fondi di investimento e delle Banche d'Affari, mettendo in discussione la propria autorevolezza e la propria credibilità. Ciò che è crollato non è stato certo il sistema creditizio o bancario - che al contrario si è rafforzato in ragione dell'aumento dei costi di gestione - ma quello dei controlli e della vigilanza, che viene regolamentato dalle leggi nazionali e attribuito alle Banche Centrali, in qualità di alte Istituzioni. Così le Banche centrali sono state trascinate nel baratro della crisi finanziaria, e sono fallite su tutti i fronti: persino la grande Federal Reserve e la Banca di Inghilterra si sono rivelate inefficienti e sistematicamente in ritardo sugli eventi, non essendo riuscite a prevenire in alcun mondo il collasso del sistema interbancario, nonchè la diffusione delle informazioni al fine di tamponare l'emorragia finanziaria.

La crisi dei subprimes è stata così il "cavallo di troia" che ha consentito di portare alla luce l'esistenza dei collaterali - i cdd. CDOs, collateralized debt obligations - ossia titoli di debito al portatore emessi senza alcuna garanzia reale e senza alcun valore fruttifero, con i quali tuttavia sono stati gonfiati gli assets di tutti gli istituti finanziari americani ed europei. Scambiati sul mercato finanziario regolamento e su quello parallelo, i collaterali sono stati il motore degli hedge-funds che con le operazioni di leva finanziaria, come il Leverage Buy-Out, o riscatto grazie alla leva finanziaria, o di Merger and Acquisition, o con le IPO e le scalate in borsa, hanno acquistato tutto ciò che era strategico ed importante da acquistare, per avere sotto di sé i principali operatori.I CDOs sono stati in questi ultimi anni l'arma più subdola ed efficace delle Banche d'investimento e degli Hedge funds, in quanto hanno permesso di portare a termine acquisizioni, fusioni, concentrazioni bancarie e consolidamenti, ossia una serie di operazioni di riorganizzazione societaria del sistema bancario e finanziario, per racchiuderlo nelle mani pochi operatori all'interno di una piramide a stretto controllo.
Ora che il vaso di pandora è stato aperto, occorre però richiuderlo e riportare, sulla scia di un nuovo ordine mondiale, il normale corso degli eventi. Tutto questo ci ha fatto capire che le Banche Centrali e le Istituzioni di governo sono soggetti inaffidabili, a cui non più possibile affidare il controllo di meccanismi complessi e virtuali come quelli finanziari. La loro credibilità è stata calpestata, così come è stato screditato l'intero sistema fondato su una gerarchia stabilita dalla legge degli Stati e che vede i circuiti finanziari concentrati in un'entità centrale, come può essere la Borsa, coordinata poi da enti di controllo e di vigilanza. Il sistema va cambiato: lo chiedono i consumatori, gli investitori e le banche.

Come confermato dal Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, in occasione del suo intervento presso il Centro di Studi Finanziari di Francoforte, "l'integrazione finanziaria ed internazionale è aumentata" e, sulla spinta dalla deregolamentazione e dell'innovazione, sorgono "nuove opportunità e nuovi rischi", che hanno portato al "consolidamento di un modello nuovo di intermediazione" che nasce sulle ceneri di quello detto dall'emittente al distributore. Il questi ultimi anni le operazioni bancarie transfrontaliere sono aumentare tra il 20 e 25 percento, sino a concentrare in un breve lasso di tempo, 30 grandi fusioni con almeno 100 miliardi di euro in beni. Dopo la concentrazione, è intervenuta l'innovazione finanziaria che ha permesso di rendere sempre più efficienti i circuiti delle transazioni e degli scambi finanziari, spingendo le Banche ad aumentare sempre di più l'investimento nelle infrastrutture telematiche per la costruzione di piattaforme sovranazionali. Tali investimenti ora necessitano di una nuova rete, di una nuova autostrada, tale che il vecchio sistema della negoziazione che si serve di "distributori" va cambiato, occorrono invece dei grandi operatori che sostituiscano allo stesso tempo gli organi di vigilanza, le Banche Centrali e gli intermediari. "La deregolamentazione ha promosso la competizione rimuovendo barriere legali e promuovendo il consolidamento - riporta l'intervento di Draghi - tale che i grandi conglomerati finanziari sono emersi", sono diventati globali, e ora occorre "una maggiore armonizzazione della contabilità e direttive". Ecco che Draghi preannuncia che le fusioni avranno sempre più uno scenario internazionale, in quanto lo stesso mercato nazionale non avrà più senso di esistere: verranno tracciati nuovi confini, che saranno virtuali e invisibili. Parole queste che preannunciano l'era della Borsa mondiale, intesa come unico sistema all'interno del quale si diramano le singole borse valori, che saranno gestite da Banche e Fondi di investimento, che fungeranno da authority e da intermediari delle transazioni. La creazione di Euronext, come consorzio tra le maggiori Borse europee, è stato il primo segnale di questo progetto di globalizzazione dei mercati finanziari, e l'evolversi degli eventi condurrà alla moltiplicazione degli operatori alternativi. A decidere il cambiamento del sistema è innanziatutto la direttiva Mifid che abolisce l'obbligo di concentrazione nei mercati regolamentati, dando ai privati il potere di creare "una borsa valori di proprietà" in cui saranno negoziati ogni tipo di titolo, e le autorità nazionali saranno a tutti gli effetti sostituite da entità private affiancate dalle associazioni di consumatori.
Accanto alla globalizzazione delle Borse, vi sarà l'adeguamento dei sistemi di pagamento che utilizzano esclusivamente il canale interbancario telematico, con nuovi strumenti finanziari: bonifici SEPA, addebiti preautorizzati SEPA, pagamenti SEPA con carta. Questi saranno accessibili in tutta l'area dell'euro, mediante un solo conto bancario, dal quale disporre bonifici e addebiti preautorizzati in euro in qualsiasi luogo dell’area: in un'ottica di lungo termine tali strumenti di pagamento verranno utilizzati soltanto in forma elettronica, con fatturazione elettronica, l'invio delle istruzioni di pagamento tramite telefono cellulare o Internet.
L'intero sistema sarà incentrato totalmente sulla moneta elettronica, al punto che mira a far scomparire le transazioni cash, le piattaforme come Euronext, Nasdaq, NYSE, diverranno le nostre Banche Centrali, controllando al loro interno gli scambi di titoli, di moneta, di derivati, nonché la contrattazione di finanziamenti e di investimenti: il mercato finanziario si fonderà perfettamente con quello bancario, tale che non sarà pià possibile distinguerli.
Il Mifid e la SEPA saranno le nostre nuove "bibbie" , le direttive e le leggi che tutti dovranno conoscere, essendo il prontuario del nuovo sistema che si sta aprendo ai nostri occhi. La moneta diventerà monetica, gli scambi saranno transazioni, i trasferimenti dei processi telematici, i confini saranno tracciati dagli utenti che aderiranno alla piattaforma. Ecco che il vaso di pandora si chiude, portando via con sé tutti i mali della crisi del credito, della liquidità dei collaterali, la corsa agli sportelli e il fallimento delle Banche, gli scenari apocalittici e il panico della recessione. Tutto questo ben presto scomparirà, e il sistema verrà cambiato senza che nessuno riesca a capire come è stato possibile tutto questo, sotto gli occhi dei Governi e delle Istituzioni. I tecnicismi e la complessità del mondo in cui entriamo a far parte non ci permetterà di capire fino in fondo i veri rischi o le opportunità del nuovo mondo della Monetica, ma tutti si renderanno conto di essere rinchiusi e usurati da qualcosa di invisibile.

21 novembre 2007

Il gigante russo che spaventa l'Europa


Il Governo russo annuncia che sarà pronto a vendere petrolio greggio a fronte di rubli, entro i prossimi cinque anni, termine stabilito dal Ministro delle Finanze Alexei Kudrin come momento in cui l'economia russa sarà in grado di garantire la stabilità della moneta, del commercio estero e della crescita interna. Tale obiettivo è stato stabilito ormai da tempo dalla Russia che vuole proporsi come punto di riferimento nel mercato petrolifero, dinanzi all'indebolimento della valuta americana, individuato come una delle cause principali dell'aumento esponenziale del prezzo del petrolio. Il rublo, secondo lo stesso governo russo, si è dimostrato nel medio e lungo periodo una moneta stabile, resistendo senza molte difficoltà alle forti oscillazioni sui mercati internazionali valutari e finanziari.
Dunque, il raggiungimento di un equilibrio economico del mercato russo, e così l'affermazione del rublo come moneta forte e pregiata, rappresenta una delle tappe fondamentali nel progetto di costruzione di una borsa del petrolio e di materie prime come polo di riferimento dell'Asia Centrale, nonché di un progressivo ravvicinamento del mercato russo a quello occidentale. Per prepararsi a tale futuro scenario la Russia ha già iniziato a stringere importanti collaborazioni con le società di gestione delle borse occidentali, che dovranno portare alla costruzione dell'infrastruttura telematica ed informatica del mercato borsistico, oltre che quello interbancario. Nel cantiere delle grandi banche russe vi è la realizzazione dei sistemi di clearing, le cosiddette stanze di compensazione, e così l'intera rete che farà da infrastruttura portante per la modernizzazione dell'intero mercato finanziario e valutario della Russia. Rappresenta questa un'importante frontiera da raggiungere, per arrivare così a conquistare non più territori ma mercati, non nazioni ma società e banche utilizzando gli stessi meccanismi invisibili utilizzati dagli operatori occidentali.
Basti pensare al recente annuncio che la Merrill Lynch, società finanziaria e di consulenza nel settore delle infrastrutture telematiche borsistiche, ha acquistato il 10% del Trust Banking Group russo. Tale operazione dimostra essenzialmente due fatti molto importanti, ossia che il mercato russo è divenuto ormai un'emergente meta di investimenti, e che gli operatori occidentali cercano nella Russia un sostegno dopo aver subito pesanti perdite in seguito alla speculazione dei subprime e dei collaterali. Secondo quanto trasmesso dall'Agenzia russa Interfax, Merrill Lynch ha ottenuto la licenza per operare all'interno del mercato russo come intermediario nonché come investitore finanziario, prestando così a Banche e società russe il suo servizio in qualità di consulente e di operatore dei mercati borsisti internazionali, con il progetto di lungo termine di proporsi come secondo operatore americano in Russia, dopo la Morgan Stanley.

Le interessanti prospettive di sviluppo, che potranno così salvare i grandi gruppi di investimento , sono state in un certo modo intraviste da molti osservatori europei, che stanno ora monitorando l'evoluzione non solo politica, ma anche economica dell'Europa in vista della crisi energetica e inflazionista. Infatti, l'allargamento della Comunità Europea ai nuovi Paesi si è rivelata una strategia di lungo termine poco efficace sulla crescita del blocco occidentale. Se da una parte l'adesione di nuove economie alla Comunità Europea ha consentito di ampliare il potere d'acquisto all'interno dello stesso mercato unico, dall'altra ha portato con sé gravi problemi di adattamento oltre che un impatto negativo sugli altri Stati. Paesi come Romania, Bulgaria e Polonia si sono rivelati incapaci di sopportare il costo della vita occidentale, in quanto costituiscono dei mercati poveri, con un basso potere di acquisto e una grande massa di lavoratori disoccupati pronti così ad invadere le economie più ricche. La vera grande alternativa e la soluzione finale per rendere la Comunità Europea indipendente - e forte al punto tale da poter gareggiare con Paesi come Stati Uniti, Cina, India e Giappone - potrebbe essere proprio l'ingresso della Russia. Ha un'economia forte, ricca, con un sistema bancario molto efficiente e ben organizzato; basti pensare al salto di qualità che la Gazprombank ha fatto negli ultimi anni, consolidando i suoi assets bancari in maniera tale da consentirgli di tentare una scalata verso i più grandi gruppi europei. Nessuno comprende come mai la Comunità Europea non si sia seriamente adoperata per accogliere la Russia, considerando che apporterebbe al mercato europeo circa 250.000.000 di nuovi consumatori, gran parte dei quali con un elevato reddito pro capite, oltre alla ricchezza delle materie prime, sfruttate solo al 30% del loro potenziale. La Russia presenta al momento un sistema amministrativo e politico depurato dalle influenze dei faccendieri degli anni novanta, che si sono arricchiti in maniera esorbitante, svendendo ai poteri forti una grande fetta di tesoro russo. Chiunque sia riuscito nel tempo ad entrare nel mercato russo si è arricchito : un dato questo che ha sensibilmente irritato e preoccupato le lobbies occidentali. La Russia infatti sta pian piano tornando agli antichi albori, con il vantaggio di aver rafforzato la sua struttura finanziaria, anche dal punto di vista infrastrutturale e amministrativo, conquistando così un posto di primo piano nel mondo. Per tale motivo, l'ingresso della Russia in Europa, per quando inevitabile, viene ritardata quanto più possibile dai gruppi di poteri che ora controllano la Commissione Europa. Oggi la Comunità Europea, nonostante abbia una delle monete più forti presenti sul mercato monetario, non ha alcun potere decisionale sui mercati Finanziari Internazionali, e non riesce a sostenere una seria politica di integrazione di una nazione come la Russia.
Non è da escludere, tuttavia, che l'attuale evoluzione delle trattative diplomatiche degli Stati per la stesura di un Trattato semplificato, e non più di una Costituzione, porterà all'ingresso di un numero sempre più elevato di Paesi. Molti dei nuovi candidati accetteranno di aderire all'Europa solo con condizioni sempre più flessibili, stringendo di volta in volta compromessi sempre diversi. In tutto questo può inserirsi la Russia, che, facendo confluire su di sé la dissidenza europea, potrebbe divenire l'ago della bilancia dei poteri, con un nuovo bipolarismo che andrà a riscrivere le cartine geografiche a livello virtuale. Il mercato europeo potrebbe essere da lei controllato sia in maniera diretta, accettando la ratifica del Trattato semplificato e posizionando i suoi uomini di fiducia all'interno della Commissione Europea, sia in maniera indiretta manipolando dall'esterno i Paesi che sono a lei vicina come la Serbia, l'Ucraina o la Bielorussia, e inserendo i rappresentanti delle sue società tra i componenti delle comitati di consultazione delle più alte Istituzioni Europee.

20 novembre 2007

Gli italiani colonizzatori in Albania


Mentre la politica italiana continua ad essere tormentata dal rilancio delle fazioni partitiche che si contendono la futura leadership, il Governo italiano tesse importanti relazioni soprattutto all'interno dei Balcani. Si attende infatti per il prossimo dicembre la visita di Prodi a Tirana per discutere i principali dettagli della cooperazione bilaterale tra Italia e Albania.

È stato proprio il premier albanese Sali Berisha, in occasione del Forum Mondiale per l'Energia tenutosi a Roma lo scorso 12 novembre, a ricordare che l'Italia è un importante partner nel settore energetico, avendo già da tempo concluso accordi per l'esportazione di energia e l'importazione di tecnologia italiana. Enel che dovrebbe costruire sulle coste albanesi una grande centrale elettrica a carbone, mentre Terna sta elaborando un progetto volto a collegare il sistema elettrico italiano a quello albanese attraverso il cavo sottomarino dell'Adriatico, infine la Camuzzi S.p.a. ha già preso contatti con il Governo albanese per la costruzione del primo impianto nucleare in Albania. Al momento le società italiane stanno curando due importanti progetti, rimasti all'oscuro dei media europei nonostante il loro grande impatto mediatico sulla popolazione albanese, nonché sull'economia dell'Italia. Stiamo parlando del progetto della Petrolifera, nel porto di Valona, volto a costruire un complesso di depositi di stoccaggio per il petrolio e un terminal per le petrolifere che attraversano l'Adriatico, e della discarica di Tirana, in località Sharra, ad opera di una Associazione Temporanea di Imprese (ATI), che sarà poi connessa ad un termovalorizzatore destinato a ricevere rifiuti dall'Italia.
Entrambi, come si può notare, vedono come protagoniste delle società italiane, e hanno come scopo quello di mettere in collegamento l'Italia e l'Albania, sia per il trasporto delle fonti energetiche, sia per la produzione di energia destinata all'esportazione. Inoltre, i progetti che al momento sono giunti nella loro fase di realizzazione, con il patrocinio del Governo di Prodi, sono stati ideati e programmati dalla squadra di Governo di Berlusconi, proprio com'è accaduto con gli accordi bilaterali conclusi con il Presidente Vladimir Putin. È evidente che l'apparente contrasto dei due leader italiani, non sono che la faccia della stessa medaglia, portando avanti gli interessi delle società italiane all'estero, camuffati da "politica estera" o "relazioni bilaterali" per la cooperazione degli Stati, calpestando così i diritti della popolazione locale. I cittadini albanesi, che da mesi subiscono il continuo sabotaggio del sistema energetico, viene costretto dal Governo di Berisha ad accettare le scelte delle lobbies occidentali, che sbarcano in Albania come dei veri conquistatori. Spiace ammetterlo, ma l'Italia sta assumendo in questa terra un ruolo che non gli appartiene, ossia quello del colonizzatore, che esporta "immondizia e rifiuti nucleari" per ottenere in cambio energia elettrica pulita, trasportata attraverso il canale sottomarino previsto nella realizzazione del Corridoio VIII.
Dopo aver respinto la proposta di indire un referendum popolare per il progetto della Petrolifera, gli studenti di Valona insorgono e, in occasione della riunione di discussione con popolazione, trattano "a pesci in faccia" i rappresentanti della società italo-romena.
Il mese scorso la Commissione Centrale per le elezioni (KQZ) ha respinto, con 5 voti pro e 3 voti contro, la richiesta presentata al Consiglio Comunale di Valona di svolgere un referendum popolare in relazione alla costruzione del complesso dei depositi di petrolio e del terminale delle navi petrolifere, progettato dall'azienda italo-romena “La Petrolifera”. La Commissione ha motivato la sua decisione affermando che "non esiste alcuna legittima motivazione che possa giustificare tale richiesta". Il problema della Petrolifera è emerso nella giornata di ieri, durante l'incontro tra i rappresentanti della Petrolifera e gli studenti di Valona, a cui è seguito un "increscioso incidente". Gli studenti dell' Università di Ismail Qemali si recano alla riunione portando con sé dei cartelloni che recitano "NO alla Petrolifera", e, durante il discorso del rappresentante della Petrolifera Gazmend Shalsi, hanno iniziato a lanciare uova e petrolio mostrando tutto il loro sdegno contro l'incursione della società italo-romena nel porto di Valona. Gli studenti hanno continuato a ripetere: "Uscite fuori, Valona è nostra, non vogliamo più incontri e nessuno può convincerci che Valona non è nostra", dato che "si è visto a cosa hanno portato questi incontri sino ad oggi". Tra le urla e proteste, uno degli studenti versa un contenitore con pesci morti e petrolio per versarlo sul viso di Gazmend Shalsi che nel frattempo sta spiegando in progetto da implementare. La situazione è oltremodo peggiorata quando, dopo che uno degli studenti ha versato del petrolio sul viso del rappresentante della Petrolifera, questi si è alzato nel tentativo di colpirlo. L'emergenza è poi rientrata quando Gazmed Shalsi ha lasciato la sala.

In maniera parallela e contemporanea, si è svolta a Sharra, nei pressi di Tirana, l'inaugurazione dei lavori per la costruzione dell'Impianto per lo stoccaggio di rifiuti urbani, nel piano del progetto di realizzazione di un termovalorizzatore, destinato a produrre energia elettrica. Tra le autorità presenti, il Ministro dei Lavori Pubblici, dei Trasporti e delle Telecomunicazioni Sokol Olldashi, il Ministro dell’Ambiente, Foreste e Regolamentazione del Territorio Lufter Xhuveli, l’Ambasciatore d’Italia in Albania, Saba d’Elia, Edi Shalsi in rappresentanza della Municipalità di Tirana, Flavio Lovisolo in rappresentanza dell’Ufficio per la Cooperazione Italiana allo Sviluppo. La messa in opera del progetto di "gestione dei rifiuti urbani di Tirana” mira a ridurre il rischio per la salute e l`ambiente, derivante da un'amministrazione inadeguata del sistema di accumulazione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, e così migliorare la qualità di vita della popolazione. Tuttavia, rappresenta anche una delle prime misure volte a consentire al territorio albanese di ricevere la raccolta di ingenti quantità di rifiuti proveniente dall'Europa - e in particolar modo dall'Italia - che saranno poi bruciati all'interno di un termovalorizzatore.
Non stupiamoci dunque delle recenti scelte del Governo italiano volto a ravvicinare sempre più l'Italia all'Albania, su un doppio filo di cooperazione e sfruttamento reciproco, ai danni tuttavia della popolazione locale. Il filo-atlantico Berisha vuole fare dell'Albania una superpotenza energetica, tempestando le coste dell'Albania con centrali termoelettriche e nucleari, con impianti di stoccaggio di gas e petrolio, e costruendo rigassificatori e gasdotti, nell'illusione di entrare così nelle grazie della Comunità Europea e delle Nazioni Unite. Allo stesso tempo l'Italia ha bisogno della terra albanese per stabilire le basi logistiche delle proprie società, che avranno in Durazzo e in Valona dei trampolini di lancio verso i traffici di merci ed energia all'interno del Mediterraneo. Tali progetti, rappresentano ovviamente il risultato di una complessa politica diplomatica, che ha avuto inizio con il Governo di Berlusconi nel 2001 - una volta che la guerra balcanica fosse archiviata e gli antichi odi messi da parte - che ha stretto forti amicizie con Fatos Nano, che ha curato l'evolversi della situazione in tutti i suoi aspetti. È chiaro dunque che l'eterno contrasto tra centro-destra e centro-sinistra è solo una messinscena per alimentare la propaganda politica e nascondere la dura realtà che entrambi viaggiano sottobraccio, per concludere nei consigli di amministrazione delle multinazionali i loro successi personali, nel nome dell'interesse nazionale.

19 novembre 2007

Il furto della moneta pregiata


Il fallimento del progetto della Costituzione Europea ha rivelato la sua vera natura di programma destinato a raggruppare i Paesi Europei in un unico mercato per avere, non solo il controllo del patrimonio degli Stati, ma anche nuovi consumatori, nuovi utenti.
La politica estera ed economica europea non è riuscita ad incentivare lo sviluppo e la crescita dei Paesi Industrializzati, infliggendo spesso restrizioni o deregolamentazioni che hanno danneggiato l'economia degli Stati, e a maggior ragione, non riuscirà a creare delle "economie sostenibili" in quelli che sono oggi "paesi emergenti" o "in via di sviluppo" che sono entrati in Europa, o che si apprestano ora ad entrare. Si tratta di Paesi che, fino a pochi anni fa, venivano segregati all'interno dei propri territori con elevate barriere amministrative ed economiche, per impedire che merci o forza lavoro invadessero i "ricchi" mercati europei. Con il crollo delle frontiere, i nuovi Stati europei che si apprestano ad entrare in Europa, come la Romania, la Bulgaria, la Polonia, si sono trovati dinanzi a sé una nuova realtà socio-economica, quella della "società occidentale" così come la hanno costruita i poteri forti, dove il consumo e le speculazioni finanziarie sono divenuti il motore di sviluppo dell'economia. Hanno così dovuto affrontare nuovi problemi, nuovi bisogni, avendo perso quel controllo sul mercato interno che per anni hanno conservato. Quanto è accaduto con il popolo romeno in Italia è solo un segnale di un fenomeno ben più grave e diffuso in tutto il territorio europeo, in quanto ogni Governo deve affrontare il grave disagio dell'invasione del mercato del lavoro da parte di migliaia di persone, invisibili agli occhi della legge e dei diritti di cittadinanza. È chiaro che se consideriamo l'attuale situazione socio-economica dei nuovi Stati europei, ci accorgiamo che la politica di allargamento della Comunità Europea è stata un'operazione volta a far entrare nel mercato unico europeo nuovi operatori economici, nuovi potenziali consumatori, nuove terre di colonizzazione e di speculazione. Il risultato è stato che, ad entrare a far parte della Comunità Europea vi sono stati molti poveri e pochi ricchi.
L'apice di tale programma si raggiungerà quando entreranno a far parte della Comunità Europea i Paesi della Ex Jugoslavia, la cui creazione è stata "il capolavoro" delle lobbies occidentali. Nonostante gran parte dei suoi Stati siano totalmente impreparati, e spesso anche disinteressati ad entrare nella Comunità Europea, sono molteplici le pressioni di adeguamento alle norme dei Patti di Stabilizzazione e Associazione per intraprendere il cammino verso l'Europa. Il territorio dei Balcani è stato sempre molto ambito dalle Banche e dalle Multinazionali, che hanno pian piano acquistato le maggiori quote del patrimonio degli Stati, e in particolare delle miniere, delle società di energia e delle Banche. Tale tendenza è oggettivamente dimostrabile, considerando la presenza nel territorio dei Balcani delle più grandi Banche Internazionali e di importanti multinazionali, in particolare quelle di controllo del Gruppo Rothschild e di George Soros. La maggior parte delle Banche locali sono nei fatti controllate da Banche europee, che sono le vere padrone del mercato bancario e con manovre chiaramente poco ortodosse e trasparenti, tengono sotto scacco l'imprenditoria locale, mentre le Banche centrali sono completamente assenti, e non svolgono alcuna attività di controllo sulle altre banche".
Se un imprenditore presente nei Balcani esporta materie prime verso i mercati occidentali, riceve il proprio pagamento in euro, e la sua banca si accaparra valuta pregiata per trasformarla in moneta locale. In questo modo, le Banche in questi ultimi anni, hanno accumulato un'ingente quantità di valuta forte che viene poi messa a disposizione dei grandi fondi di speculazione e delle Banche di investimento per perfezionare l'acquisto di società e ricchezze degli Stati, mentre il piccolo imprenditore continua a lottare quotidianamente contro tassi di credito che sono di usura. Garantire così l'ingresso di nuovi Stati all'interno del mercato europeo, le lobbies bancarie raggiungono un duplice obiettivo: la raccolta di valuta pregiata necessaria al reinvestimento all'interno dei mercati finanziari occidentali, e lo sfruttamento delle risorse lavorative, che sono così obbligate a sopravvivere alimentando, con il loro lavoro, il sistema.
Se un imprenditore apre un conto corrente all'estero in euro, quando riceve moneta estera sul suo conto valuta, la banca fa un doppio cambio: trasforma automaticamente la moneta pregiata in moneta locale, e successivamente - solo nel caso in cui decidesse di ritirare la somma - di nuovo in moneta pregiata. Questa operazione dovrebbe essere vietata dalle regole bancarie internazionali contro le manovre speculative, che vanno a truffare i cittadini derubandoli della loro moneta. La riserva in euro non va violata da parte delle banche, perché permette alle imprese di utilizzarla come capitale per sviluppare il proprio capitale, per acquistare tecnologia, materie prime e servizi dall'Occidente senza dover effettuare un ulteriore "costosa" conversione. L'impresa, con tale operazione, subisce un vero e proprio danno, che va al di là del semplice tasso di cambio attuato, in quanto ogni imprenditore diventa schiavo della propria banca. Considerando che queste operazioni vengono fatte su migliaia di transazioni, e Banche attuano un vero e proprio "furto" della riserva in valuta estera degli Stati, che viene di solito utilizzata per controbilanciare la bilancia commerciale, consentendo così di pagare le importazioni e finanziare le esportazioni.
Gli organi internazionali di controllo dovrebbero prestare maggiore attenzione soprattutto alla prassi e alle condizioni bancarie pattuite, in quanto nascondono manovre ben più gravi come la progressiva accumulazione di moneta pregiata per realizzare delle speculazioni. Oggi non esiste infatti nei Balcani alcuna autorità investigativa o di garanzia che sorveglia sui contratti bancari, tale che le Banche possono tranquillamente occultare operazioni dall'impatti milionario con semplici clausole contrattuali. Alla richiesta inoltrata alle diverse autorità sovranazionali e Bosniache per portare all'attenzione dell'opinione pubblica le frodi commesse dal sistema bancario nei Balcani, riceviamo la risposta dell'Ufficio Europeo Anti-Frode (OLAF) , che fa parte della polizia europea per i crimini transnazionali. Chiediamo alla Olaf di spiegarci infatti perchè al momento non esiste nè in Bosnia Erzegovina nè in Europa un'entità o un garante che debba sorvegliare il sistema bancario e riceviamo come risposta che la OLAF "non ha competenza nella materia in questione" per cui "non è nella posizione di aiutarci" [ Dear Sirs, we regret to inform you that the European Anti-Fraud Office (OLAF) has no competency for the matter in question. Therefore we are not in a position to help you. Best regards, J. Wojahn OLAF - European Anti-Fraud Office EUROPEAN COMMISSION Jörg WOJAHN Deputy Spokesman ] .

I cittadini sono così lasciati allo sbaraglio, non hanno alcuna guida e possono far valere i propri diritti solo con delle singole cause civili, che nessuno ha la forza di sopportare o di sostenere. Proprio su questo si basa il crimine invisibile delle Banche, con la complicità delle Istituzioni sovranazionali , dei nostri politici e delle centinaia di organizzazioni umanitarie, subito pronte a denunciare la corruzione, gli ostacoli alla privatizzazione o alla globalizzazione, ma sono cieche dinanzi alle truffe ai danni dell'economica di interi Stati.

15 novembre 2007

La guerra in Kosovo è forse inevitabile?


La crisi economica che sta colpendo gli Stati Uniti connessa all'impennata del costo del petrolio si sta ripercuotendo pian piano, come un effetto domino su molte regioni dell'Europa Orientale e dell'Asia Centrale con gravi segnali di instabilità politica. Il caso iraniano non è più il fulcro delle problematiche internazionali, in quanto ad esso si affianca la crisi in Pakistan, in Kurdistan, in Georgia, caricando la tensione a livello mondiale come una bomba ad orologeria che ben presto esploderà, proprio forse nei Balcani.

L'attenzione dei media internazionali è quasi totalmente rivolta ai focolari di guerriglia che si sono aperti negli Stati che hanno un importante ruolo nella produzione e nella offerta di petrolio. Tuttavia, mentre tutto questo accade, nei Balcani - termometro del malessere in cui versano l'Europa e gli Stati Uniti - si sta innescando una bomba che potrebbe deflagrare da un momento all'altro. Il gruppo di contatto internazionale si trova in questo momento in una "imbarazzante" situazione di impasse, in cui ogni tentativo di intermediazione viene respinto dalle due parti coinvolte, senza riuscire a trovare un comune terreno di discussione. Per ovviare al problema, e allo stesso tempo "salvare le apparenze", la Troika ha annunciato che presenterà una nuova proposta in occasione del prossimo incontro di discussione del Kosovo a Brussel . Wolfgang Ischinger, membro del gruppo di intermediazione, dichiara ai reporter di Voice of America che la troika sta elaborando una nuova soluzione che potrebbe "normalizzare" le relazioni tra Pristina e Belgrado, senza far riferimento in alcun modo alla parola "status".
"L'accordo sullo 'status neutrale' sarà una proposta per entrambi le parti che potranno avere delle relazioni indipendentemente da qualsiasi decisione che verrà presa sullo Status del Kosovo" - afferma Ischinger. Il contenuto della nuova proposta della troika non è stato ancora reso noto, ma secondo le prime dichiarazioni sarà un accordo sulla cooperazione su vari aspetti, come l'economia, il lavoro e la prevenzione della criminalità organizzata, così che le autorità kosovare saranno competenti su certe materie, mentre su altre avranno l'obbligo di consultare la Serbia sulle relazioni con le minoranze, la gestione dei confini, che rientrano infatti negli interessi di entrambe le parti. Ciò che questo accordo non andrà a definire è lo status giuridico del Kosovo vero e proprio, e si attenderà comunque la reazione delle parti, in quanto, fino a questo momento, "tutte le proposte sono state rifiutate", per cui data l'oggettiva difficoltà di intermediare tra queste due controparti, "nessuna alternativa va trascurata". È evidente, dunque, che la guerra che si sta facendo è fatta solo di "parole", di definizioni o termini giuridici, in quanto l'ostacolo che si vuole superare è quello dell'individuazione di un punto di riferimento da cui partire per portare a termine un piano predeterminato.
Alla dichiarazione del diplomatico Ischinger risponde il Ministero per il Kosovo Slobodan Samardic, che definisce "improponibile" un accordo sul Kosovo neutrale alla prossima riunione di Brussels, in quanto "la provincia non può avere uno status naturale differente dalla Serbia, perché è parte integrante e inalienabile del suo territorio".
La proposta di Ischinger di uno status neutrale per il Kosovo, secondo Samardic, ricorda molto l'accordo del 1972 tra la Repubblica Federale e la Repubblica Democratica tedesca - il cosiddetto accordo di base (Grundlagenvertrag) volto proprio a normalizzare la posizione dei due Stati, con il quale questi si impegnavano a garantire la reciproca integrità territoriale e riconoscevano la rispettiva sovranità - accordo che, tuttavia, presupponeva già l'esistenza di uno Stato autonomo, cosa che di per sé "è assolutamente contrario alla Risoluzione ONU n. 1244". Infatti, secondo la posizione della Serbia, discutere intorno ad un accordo di "status neutrale" del Kosovo equivale a presumere che le due entità territoriali siano divise e già indipendenti l'una dall'altra, superando così una tappa necessaria delle contrattazioni in corso. Questo evidentemente accade perché, quando il prossimo 20 novembre si discuterà dinanzi alla Comunità Europea, la troika di intermediazione ha già pianificato che esporrà come gli statuti autonomi rappresentano delle soluzioni efficienti per la gestione del territorio.
Molto probabilmente, la troika sta cercando di preparare il terreno per la stesura di un trattato che sarà un atto meramente formale, ricco di clausole di riserva che potrebbero nel tempo essere ignorate o modificate, senza che le singole entità possano protestare oppure fermare quel processo irreversibile dell'alienazione degli Stati. Non dimentichiamo infatti che i burocrati delle Nazioni Unite hanno già creato uno Stato Federale ibrido, che è la Bosnia Erzegovina, in cui le entità etniche possiedono un'autonomia solo sulla carta, mentre nei fatti sono sottoposti al controllo del Governo Centrale, dell'Alto Ufficio dei Rappresentanti, e della Comunità Europea, mentre tutto ciò che è stato scritto nel Trattato di Dayton viene ignorato o considerato a seconda delle esigenze. Identico esperimento che sta avendo chiari segni di cedimento è la Macedonia, che ha già violato il Trattato di Ohrid, con il quale si pose fine al conflitto e si regolamentò i rapporti tra le etnie interne. Al momento il Kosovo, che aspira all'Indipendenza più di ogni altra cosa - e per questo lotta affinchè la parola indipendenza figuri nell'accordo finale - deve valutare bene il costo di tale passo, considerando che il rovescio della medaglia è un'autonomia solo apparente e formale, dovendo sottostare all'ingerenza della Serbia, che è lo Stato che lo contiene e circonda i suoi confini, e della Comunità Internazionale.
È chiaro che quello del Kosovo è un vespaio di problemi, un vero rompicapo dal quale tutti possono uscire sconfitti e tutti possono essere vincitori, ma qualsiasi soluzione verrà adottata, questa non rispetterà la vera esigenza della popolazione. Se fosse il contrario, se l'Indipendenza del popolo Kosovaro fosse davvero un problema sentito e una richiesta spontanea, allora le lobbies non avrebbero certo bisogno di utilizzare delle bande armate per creare "l'armata della resistenza". È stato infatti confermato anche dalla Nato l'esistenza dell'Armata Nazionale Albanese (AKSH) sulle montagne del Kosovo, in particolar modo le catene ai confini con la Macedonia. Sembra che componenti dell'Armata siano intervenuti nella regione macedone del Tetovo per sposare la causa della comunità albanese che è stata danneggiata dalle recenti decisioni di riforma costituzionale della Macedonia. L'Esercito Nazionale Albanese (ANA) è cresciuto, stando a quanto riferito dalla Nato, raggiungendo una quota di adesioni intorno alle 12,000 persone assoldate in tutte le terre di etnia albanese nei Balcani. I membri, dopo gli scontri nel Tetovo, hanno dichiarato, mediante il loro portavoce politico Gafur Adili, dirigente del Fronte unito per la Liberazione del Kosovo, che "si stanno disponendo lungo confini per contenere l'eventuale ritorsione della formazione paramiliare serba della Guardia di Zar Lazar alla possibile dichiarazione dell'indipendenza da Kosovo con attacchi contro autorità internazionali ed istituzioni locali." L'ANA dichiara di non essere un'organizzazione terrorista - a differenza però di quanto detto dal Ministero degli Interni della Macedonia - e di non essere intenzionato a creare degli scontri contro l'UNMIK e la KFOR. "Noi siamo nella nostra terra, ma loro, il paramilitari serbi, vogliono venire qui", dichiara alla AP un portavoce del movimento, "i nostri nemici sono la Serbia e la Guardia di Zar Lazar" .
La Nato ha così convocato d'urgenza il consiglio chiedendo alla Serbia, presente in veste di membro della Partnership of Peace, di far luce sulla presenza di gruppi paramilitare albanesi in Kosovo , e di prendere così le dovute misure per opporsi ed eliminare le minacce per la di sicurezza in Kosovo, e la ripresa regolare delle negoziazioni. Infatti, le entità sovranazionali si sono preoccupate, prima di ogni altra cosa, della possibile influenza di tale notizia sul processo di pace, temendo che nel caso di una dichiarazione unilaterale dell'indipendenza da parte kosovara, ci si chiede "cosa accadrà nel nord di Kosovo", e in particolare a Kosovska Mitrovica, che ospita una enclave serba. La Serbia deve dunque trovare e reprimere i terroristi per garantire che il processo diplomatico, nonché le elezioni politiche in Kosovo del prossimo 17 novembre, continuino come da programma.
Stranamente tali bande criminali intervengono in un momento critico per le contrattazioni, con una forza e un equipaggiamento di milioni di dollari, per poi pubblicizzare le loro operazioni con interviste e reportage dinanzi ai media. Tutto questo suona davvero molto strano, in quanto, grazie all'aiuto di un reporter e un cameraman ben disposto, è possibile inscenare lo scoop del ritorno delle forze di resistenza ai governi che vogliono l'Indipendenza. L'ipotesi della manipolazione da parte delle forze occidentali non è molto inverosimile, e si rivela sempre più attendibile, considerando il forte impatto mediatico che ha sull'opinione pubblica internazionale e sulla popolazione locale. Si sta dunque cercando di creare un clima di guerra all'interno della regione kosovara, al fine di forzare in qualche modo la situazione qualora a livello diplomatico non si riesca ad ottenere ciò che si intende raggiungere. Qualora infatti la popolazione pacificamente accetti l'Indipendenza o la perdita di autonomia, le bande armate sono pronte ad intervenire per destabilizzare la regione e richiedere in ogni caso l'intervento della Comunità Internazionale per sedare le rivolte. Il Kosovo rappresenta infatti quel tassello del grande puzzle della politica estera degli Stati Uniti e della stessa Comunità Europea che vuole a tutti i costi un conflitto per consentire l'arresto del rialzo dell'inflazione e del prezzo del petrolio, e così dell'economia americana ed europea che stanno così subendo una delle crisi economiche più pericolose e rischiose degli ultimi trent'anni.

Rinascita Balcanica

14 novembre 2007

Lontana la rivoluzione energetica degli Stati


Presentato al World Energy Council l'analisi del "Deciding the future: energy policy scenario to 2050", dal quale emerge che la domanda mondiale di energia raddoppierà prima del 2050 e per affrontare questa massiccia richiesta, proveniente soprattutto dalle aree del mondo emergenti, occorrerà pianificare una vera e propria strategia. Tre sono le forme teorizzate dal prospetto, contemplando cooperazione bilaterali tra i governi, sotto forma di trattati e accordi internazionali, partnership pubblico-privato sui singoli progetti e una rete di accordi a livello di singola impresa. In relazione alle soluzione prospettate, sono state delineate diversi scenari che vedranno in primo piano i governi e le società energetiche come principali controparti. Ciò implica che, sebbene si avvicini la crisi energetica, le proposte provenienti dagli Stati ruotano sempre intorno a schemi di potere e di collaborazione ormai vecchi, che hanno trascinato il mondo in una guerra perpetua, sotto il gioco dei ricatti delle grandi multinazionali padroni delle fonti di energia e degli Stati che impongono il loro dictat armato. L'orientamento di base imposto a livello mondiale, si riflette anche sulla politica energetica della Comunità Europea che si ripercuoterà sulle strategie di approvvigionamento dei singoli Stati Europei . L'Europa infatti ribadisce i cinque pilastri sulla quale si baseranno le direttive alle quali occorre far riferimento, tra i quali il raggiungimento dell'efficienza energetica per un risparmio intorno al 20% dell'attuale utilizzo, l'aumento dell'energia rinnovabile e l'utilizzo di biofuel, la progettazione degli idrocarburi puliti, rafforzare il mercato del carbone dell'EU, stabilire un mercato energetico aperto e competitivo. Tale ultimo obiettivo passa senz'altro attraverso lo scorporo della rete di approvvigionamento e di produzione da quella della distribuzione, stabilendo delle regole volte a "deregolamentare" il mercato dell'energia, tale che sia sempre più accessibile agli operatori esterni, oltre ad aumentare gli investimenti nella rete e nelle infrastrutture. La creazione di un mercato interno deregolamento facilita così anche i rapporti di collaborazione e investimento transnazionale, soprattutto con i Paesi fornitori di energia.



Ancora una volta, il piano energetico dell'Unione Europea non si smentisce e sottolinea come acquisisca un'importanza primaria il "mercato energetico" e non la "politica energetica" fatta anche di scelte risolutive che possono cambiare un sistema che non porta all'autosufficienza degli Stati ma alla trasformazione della loro popolazione in una massa di utenti. Su tali premesse, non è possibile instaurare dei rapporti bilaterali tra gli Stati che siano diversi dal rapporto "fornitore-utente": parole queste utilizzate dallo stesso Presidente Vladimir Putin che definisce la Russia un fornitore non insolvente nei confronti del suo bacino di utenza europeo. La creazione di questo tipo di collaborazioni trascina i governi in un circolo vizioso che ha portato sino ad oggi ad un totalitarismo invisibile a cui devono sottostare gli Stati che rappresentano delle pedine strategiche fondamentali per il benessere della comunità. Ricatto ed ostruzionismo sono i mezzi che vengono utilizzati per piegare la volontà degli Stati dissidenti o che sono un po' restii ad accettare le condizioni imposte. Conosce bene tale condizione l'Ucraina, che vede la sua sopravvivenza economica legata ad un filo diretto con la Russia, pronta a chiudere i rubinetti ogni qual volta che "occorre riformulare il prezzo degli accordi di scambio".

Nella stessa situazione si trova anche l'Albania, che subisce il continuo sabotaggio del sistema energetico, con l'erogazione di energia elettrica solo per poche ore durante la giornata: la situazione viene esasperata al punto tale che il popolo albanese non avrà la forza di opporsi alla costruzione di centrali elettriche e nucleari, di rigassificatori e di gasdotti sotterranei. Il Governo albanese è pronto a costruire il primo impianto nucleare, presso la città di Durazzo, una volta che sarà ratificato l'accordo con la società energetica della Westinghouse e l'italiana Camuzzi. Il Primo Ministro Sali Berisha , che è stato anche l'inaspettato ospite d'onore del Congresso Energetico tenutosi a Roma, ha affermato che saranno presto approvate una serie di leggi volte a regolamentare le misure di sicurezza da porre in essere per la costruzione e lo smaltimento delle scorie prodotte. Rappresenta questo per il Governo albanese, un importante investimento che dovrebbe trasformare l'Albania in un importante produttore di energia elettrica da esportare verso gli Stati vicini, in particolare verso l'Italia. Quest'ultima si riconferma quindi uno dei principali partner nel settore energetico, legati da rapporti che verranno presto suggellati dalla visita ufficiale di Romano Prodi a Tirana che avrà come scopo quello di discutere della costruzione di tale stabilimento nonché degli accordi per la fornitura di energia e di risorse tecnologiche.
Il progetto è stato già aspramente criticato dalla vicina Grecia che non sarà certo disposta ad accettare una centrale atomica nei pressi del proprio territorio, senza che il suo Stato possa beneficiare dell'energia prodotta. Occorre infatti sottolineare che l'impianto nucleare sarà destinato principalmente e fornire energia per l'esportazione, e non per garantire autosufficienza allo Stato albanese, dopo che centinaia di piccole imprese. Tuttavia il progetto è stato presentato come "una storica svolta" che consentirà di risolvere tutti i problemi dell'Albania, per poi divenire una piccola superpotenza per l'esportazione dell'energia.
Non dimentichiamo infatti che il Governo albanese ha già firmato un accordo per la realizzazione del progetto TEC nel porto di Valona, da parte del consorzio italiano Maire Engineering, composto dalle società Ansaldo e Tecnomod, per un costo totale di 110 milioni di dollari. La termocentrale sarà, tuttavia, una delle fonti principali di energia per il gasdotto AMBO che dovrebbe collegare Burgas-Valona. Nella stessa area si prevede un'area di stoccaggio del greggio, un nuovo porto specifico per le petroliere e la costruzione di una raffineria. La Banca Mondiale è il principale investitore nel progetto e da tempo ha accordato il prestito nonostante i cittadini di Valona abbiano firmato centinaia di petizioni per impedire che sia violata la laguna della zona circostante.
Quello di Berisha rappresenta un progetto in grande stile, che drogato dai finanziamenti di Istituzioni internazionali come la Bei, la Birs e la Banca Mondiale, va o a sacrificare la propria popolazione per investire in progetti destinati soprattutto a produrre energia per i Paesi circostanti, e non a colmare il deficit energetico interno. E' da notare inoltre che l'Albania, ancor prima di entrare in Europa, faccia parte del programma della Commissione Mondiale Nucleare e già da tanto tempo ha in custodia le scorie “nucleari” degli altri paesi europei, trasformandosi in un "campo di immondizia nucleare” dei Balcani.

L'Energia nucleare è divenuta, dunque, nelle mani dei burocrati europei uno strumento per raggiungere l'indipendenza energetica, mentre dinanzi al Consiglio di Sicurezza dell'ONU è ancora all'esame la questione iraniana, per negare il diritto all'utilizzo di un'energia che porta "distruzione e terrorismo" e può provocare la destabilizzazione degli equilibri di potere. “In un mondo che affronta una crescente sete di energia, abbiamo tra le mani l’energia nucleare: una risorsa formidabile per costruire un futuro sostenibile per l’energia", è quanto ha affermato Anne Lauvergeon, presidente e CEO di Areva, compagnia francese per l’energia nucleare. Il nucleare viene dunque riproposto come soluzione di lungo termine alla crisi energetica , essendo "un' energia a bassa produzione di carbone, che consente di standardizzare il costo della produzione di elettricità perché è basato sull’uranio che è disponibile dovunque nel mondo, ed è facile da produrre all’interno di spazi limitati". Si evidenzia dunque una grande contraddizione di fondo, che lancia su tale Congresso Mondiale dell'Energia dei terribili dubbi. L'energia rappresenta ancora un'arma di ricatto per assicurare un controllo geopolitico, non è più un bene sovrano degli Stati, così come ha smesso di essere uno strumento per garantire sicurezza e libertà alla popolazione. Oggi si ragiona sempre con un'ottica di controllo, di governance, di contratti e di utenza, mentre si continua a combattere una guerra invisibile che vuole condurre i popoli alla schiavitù.

13 novembre 2007

Un gasdotto per "la pace" in Pakistan


La situazione in Pakistan continua a destare profonde preoccupazioni all'interno della Comunità internazionale, che teme per la salvaguardia della democrazia e dello stato civile, compromesso dallo stato d'emergenza imposto per sedare le rivolte cittadine. Tuttavia, mentre l'attenzione dei media e dei governi occidentali è monopolizzata dalle guerriglie e dalla propaganda politica contro il Presidente Musharraf, viene ratificato un importante accordo tra Iran e Pakistan che darà il via alla messa in opera di quello che è stato definito il "gasdotto della pace". Iran e Pakistan, lo scorso 10 novembre, hanno concluso un accordo miliardario per l'esportazione di gas, che sarà definitivamente ratificato tra un mese, salvo che l'instabilità creata all'interno della regione non ne comprometta il buon esito. Le controparti hanno precisato inoltre che il progetto in corso resta aperto ad una possibile partecipazione da parte dell'India, che rappresenta un pilastro portante ai fini della messa in opera del gasdotto Iran-Pakistan-India volto ad instradare il gas iraniano sino all'estremo Oriente. Tale proposta va interpretata infatti come un vero e proprio compromesso offerto all'India, dopo che questa aveva scisso l'accordo tripartitico in seguito alle pressioni americane volte ad impedire che lo stato indiano potesse accedere alle fonti iraniane, o consentisse di chiudere in qualche modo un accordo trilaterale che può potenzialmente creare un fronte politico. Secondo altre fonti, ciò che ha fermato l'India sarebbero stati i disaccordi sul prezzo di scambio, che tuttavia non hanno escluso del tutto il proseguimento del progetto, considerando l' elevato fabbisogno energetico indiano e la continua ricerca di nuove fonti di energia di approvvigionamento. Inoltre, considerando che il Pakistan non sarà capace di finanziare da solo questo progetto di 7,5 miliardi di dollari, l'adesione dell'India diventa quanto più fondamentale al fine del buon esito dell'accordo. Qualora le trattative giungano a buon fine, il Pakistan ne sarebbe doppiamente beneficiario, in quanto avrà accesso alle riserve di gas iraniane e godrebbe dei diritti per il trasporto ed il transito verso l'India.
Il contratto preliminare, di circa 7,4 miliardi di dollari, avrà ad oggetto la fornitura del gas iraniano all'India attraverso il Pakistan, immettendo nel gasdotto di oltre 2.600 km - la cui costruzione ha avuto inizio nel 1994 - 21,1 miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno, per poi aumentare ad una quota di 2,5 miliardi in modo da garantire il completo funzionamento della pipeline entro il 2011.
Nel corso di questi mesi abbiamo dunque assistito ad una guerra sotterranea di nervi e tensioni tra Iran e India, volte a giungere ad una più pratica risoluzione dei disaccordi con il Pakistan che avrebbero così compromesso la realizzazione di un progetto in cantiere da molti anni, e interrotto dal conflitto in Afghanistan . Data la sua elevata incidenza sulla configurazione delle zone di influenza all'interno della regione Asiatica centrale, un gasdotto che collega l'Iran, il Pakistan e l'India potrebbe non vedere mai una fine, a causa dell'ostruzionismo da parte del governo americano, che gioca molto sulla destabilizzazione del governo iraniano e, ora, anche quello pakistano. Il sabotaggio della realizzazione di una tale opera passa infatti anche attraverso il crollo del Governo di Musharraf, che potrebbe essere delegittimato a pochi giorni dalla scadenza del termine per la conferma del contratto, nonché isolato all'interno della regione. Nei piani di Washington oggi vi è un Pakistan senza governo e immerso nel caos, pronto a disgregarsi dopo una guerra civile in repubbliche, così come pianificato per l'Iraq. I pakistani sono oggi alla mercé dei negoziati segreti tra Tehran e Washington, così come l'Iran deve attendere la risoluzione della crisi abbattutasi sul Pakistan se vuole ritrovare un alleato con il quale continuare il progetto e riconquistare l'India.
Molte sono le variabili in azione, e tra queste vi è dunque il terrorismo, il sabotaggio e le sommosse cittadine, che rivelano così la loro vera funzione in un contesto economico e geopolitico molto particolare. Non dimentichiamo infatti che l'intera regione centro asiatica è interessata da strani attentati e disordini sociali, basti pensare al Kurdistan e alla stessa Georgia. Quest'ultima è divenuta un terra di confine tra il blocco atlantico e la Russia, essendo quel lembo di terra dal quale occorre far passare le pipeline che raggirano il territorio russo, per poi giungere in Turchia e infine in Europa, come il Nabucco e il Bakou-Tbilisi-Ceyhan.
Al momento Tbilissi è colpita da violenti scontri, e dalla propaganda, perché deve decidere se schierarsi del tutto sul fronte atlantico, oppure se acconsentire ad un compromesso con la Russia, come un vero patto di non-belligeranza. Senz'altro l'espulsione del team diplomatico sembra dare il chiaro segnale che Tbilissi abbia scelto, anche se non bisogna cadere nella propaganda che vuole dare a vedere la nascita di un conflitto all'interno della regione che avvicinerà la Georgia sempre più agli Stati Uniti, sottraendola alle pressioni del governo russo.

12 novembre 2007

Collaterali e petrolio: un ricatto per il Brasile


Il Brasile si prepara ad entrare nell'esclusiva cerchia di eletti dei produttori mondiali di petrolio, dopo l'annuncio della più grande società produttrice nazionale, la Petrobras, di un enorme giacimento di petrolio al largo della costa brasiliana. Una notizia di grande impatto economico, ma anche geopolitico, che giunge dopo la recente scoperta di un traffico di collaterali non fruttiferi denominati Petrobras per milioni di dollari.

L'impresa brasiliana Petrobras ha reso pubblica la scoperta del giacimento di petrolio di Tupi, nella baia di Santos al sud di Rio de Janeiro, in grado di produrre tra 5 e 8 miliardi di barili di petrolio, e di aumentare così fino al 50% le riserve nazionali. In tal modo, il Brasile cerca di entrare presto nell'organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC), nonostante le riserve degli esperti che richiamano alla prudenza considerando le difficili condizioni di sfruttamento delle risorse.
Petrobras ha precisato che le indagini hanno rilevato che lungo una zona di 800 km lungo il litorale del sud e sud-est brasiliano vi sono dei giacimenti che potrebbero fare del Brasile un "paese esportatore al livello dei paesi arabi o del Venezuela", avendo rilevato del petrolio leggero, di circa 28° API, una delle migliori qualità di petrolio al momento in commercio, oltre che un gasdotto di 250 km. Data la profondità a cui si trova il giacimento, e la struttura dei fondali, si teme che l'investimento richiesto sia sovradimensionato o non accessibile per la compagnia brasiliana, la quale ha precisato che la quantità rilevata giustifica il costo dell'operazione in quanto consentirebbe di aumentare del 40% la produzione attuale del Brasile nonché assicurargli l'autosufficienza petrolifera. Inoltre, se le prospettive delle analisi di Petrobras sono confermate, il Brasile smetterà "di essere un paese medio nella produzione di petrolio, per trasformarsi in un paese esportatore." Tale notizia ha provocato così un rialzo delle azioni di Petrobras del 22%, che rappresenta così una risposta all'assalto da parte di Grandi Gruppi Internazionali e da Grandi Banche che fungono da Advisor - si pensi alla Ubs Bank - all'acquisto e al rastrellamento di Titoli Petrobras emessi nel 1959.
Bond Petrobras emessi nel 1959

Sulla base dell'indagine sulle operazioni poste in essere mediante collaterali senza alcun valore, allo scopo di creare delle false capitalizzazioni e di diffondere sul mercato titoli virtuali, sono emersi centinaia di titoli denominati Petrobras di cui oggi si conosce pienamente la loro funzione. Questi infatti hanno una logica e una funzione strategica ben determinata : acquisire il più possibile collaterali Petrobras, pagandoli il 3% del valore attuale, per poi avere tra le mani un patrimonio che ammonta a Miliardi di dollari, considerando la rivalutazione che viene effettuata sui titoli al momento della loro imputazione a conto titoli e, a questo punto il rialzo delle quotazioni della società Petrobras. Se l'operazione dovesse andare in porto, così come studiata a tavolino da Banche, advisor e società multinazionali, potrebbero cambiare gli scenari Internazionali del mercato Petrolifero, nonché geopolitico in quanto le Major Americane, si ritroverebbero fra le mani un'arma di ricatto nei confronti dello Stato del Brasile. Infatti, nonostante la Petrobras abbia in una nota affermato che i titoli non riconvertiti nel 1964, sono da considerarsi infruttiferi, esistono sentenze del Tribunale Superiore di Giustizia Brasiliano , che hanno, in prima istanza, confermato le pretese dei possessori dei Titoli e hanno rinviato la sentenza definitiva al 2012. Chi non ha la forza di resistere e chi non ha riserve finanziarie che possano consentire di affrontare tali cause volte all'accertamento del titolo, svende il proprio titolo, mentre chi invece è potente, può acquistare a basso prezzo e mediare con la controparte. Siamo dunque di fronte ad un'azione volta a compromettere la stabilità economico-politica non solo di un ristretto mercato, come potrebbe essere quello brasiliano, ma anche quella di uno Stato che mette in gioco il proprio nome, e la propria credibilità. Qualora infatti i titoli dovessero essere utilizzati e rivenduti più volte a imprese e banche, si andrebbero a coinvolgere un grande numero di operatori, investitori ma anche risparmiatori, che mettono a rischio il proprio patrimonio investendo nell'acquisto di titolo che poi si rivelano non fruttiferi e non esigibili da parte dell'ente emittente.

Ciò che sta accadendo sul mercato finanziario parallelo, quello delle fiduciarie e dei brokers che agiscono al di sopra dei sospetti e dell'attenzione dei media, rappresenta l'ennesima pagina scritta dalle lobbies bancarie per sabotare gli Stati. Si inserisce in un momento storico in cui la crisi petrolifera e l'iperinflazione è sempre più vicina, quando i maggiori Paesi produttori di petrolio sono colpiti da guerriglie e inquietanti Stati di Emergenza, e quando il Brasile annuncia la scoperta di un giacimento da 8 miliardi di barili di petrolio pregiato. Ed è davvero strano che i media occidentali abbiano trascurato tale importante notizia, che, se dovesse essere confermata dagli studi di fattibilità, lancerà il Brasile all'interno dell'OPEC portandolo a livello del vicino Venezuela, alleato e concorrente allo stesso tempo. Le implicazioni possono essere molto rilevanti e avere un forte impatto anche sugli Stati del Sud America, che oggi stanno attraversando un periodo di tensioni sociali e politiche: è un continente che si sta risvegliando, e per tale motivo continua ad affrontare le pressioni provenienti dalla Comunità internazionale che tenta di destabilizzare i suoi governi. In occasione della Cumbre Iberoamericana, tenutasi nella giornata di ieri a Santiago del Cile, vede scontrarsi i rappresentanti della Comunità Internazionale, in particolare degli Stati Uniti e del governo della Spagna, con il Presidente della Bolivia Evo Morales e il Presidente del Venezuela Ugo Chavez . Questi infatti denunciano l'esistenza di un piano occidentale volto a fomentare la propaganda di opposizione ai governi e i movimenti criminali e terroristici all'interno degli Stati del Venezuela e del Cile. Evo Morales parla infatti dell'esistenza di innumerevoli prove che vedono gli Stati Uniti coinvolti in operazioni di finanziamento di organizzazioni terroristiche che tentano di sabotare il governo cileno, e allo stesso modo Ugo Chavez non si ferma dall'accusare l'ex Premier Aznar di aver sostenuto il golpe contro di lui nel 2002: una provocazione alla quale non resiste il Re di Spagna, Juan Carlos che risponde con un secco "stai zitto". Un episodio che fa ben capire la posizione che i Paesi del Sud America hanno nei confronti dell'Occidente, e dalla quale cercano di riscattarsi mostrando determinatezza e utilizzando le stesse armi della disinformazione e delle lobbies. Il petrolio oggi rappresenta quel veicolo che consentirebbe, per esempio, al Brasile di entrare a far parte dell'Opec e di confermarsi come nono Paese più ricco del mondo, acquisendo così una posizione di rilievo all'interno del Mercosur e della politica internazionale. Ovviamente, le lobbies bancarie e petrolifere non resteranno ferme ad aspettare che Lula rafforzi la propria posizione, mediante le speculazioni del petrolio.In tale ottica, un'operazione che ha ad oggetto migliaia di titoli virtuali emessi dalla più grande società petrolifera a controllo statale, per movimentare miliardi di dollari, rappresenta senz'altro una mina vagante che rischia di compromettere la credibilità e la solvibilità della Petrobras e dello Stato del Brasile.

09 novembre 2007

Bruciano le democrazie e le dittature


La crisi petrolifera e l'imminente crollo del dollaro sembrano essere sempre più vicini mettendo a dura prova la solidità dell'economia mondiale così come la stabilità dei governi degli Stati più deboli. Le sommosse e le proteste violente cominciano ad essere molto frequenti, dinanzi alle quali i capi di Stato sono impotenti e possono solo imporre la repressione per mettere a tacere i rancori e il malessere insostenibile.

Il corso del petrolio sta per avvicinarsi alla soglia dei 100$ al barile, mentre sulle piazze finanziarie comincia ad avvertirsi un forte segnale di inquietudine e di pessimismo, tale che dalla Federal Reserve arriva l'allarme di un eventuale riduzione della domanda o addirittura un collasso della domanda se l'offerta di petrolio non verrà aumentata. Del resto, a rendere ancor più instabile il mercato del petrolio si aggiungono le numerose tensioni geopolitiche nelle zone strategiche per la produzione di petrolio, come il Pakistan e la Georgia, accanto alla minaccia di invasione del territorio irakeno da parte dell'esercito turco, all'instabilità all'interno della regione balcanica e ai tentativi di rovesciamento del governo di Teheran. A tali focolai di tensioni e conflitti, vanno affiancate le più recenti "rivoluzioni arancioni" che hanno fatto da costellazione intorno alla regione del Mar Caspio, e al Mar Rosso, giustificando il crollo dei governi locali o perpetuando il continuo ricatto ai danni delle popolazioni. Attualmente stiamo attraversando un periodo particolarmente delicato e critico, in cui la tensione comincia ad essere sempre più palpabile, e il panico è evidentemente fuori dal controllo delle forze di sicurezza nazionale. Basti pensare a ciò che è accaduto in Pakistan, dove le manifestazioni popolari contro il Presidente Musharraf si sono trasformate in violenti scontri e cariche della polizia sui civili, sugli avvocati che contestavano la sospensione della Carta Costituzionale, sino a rendersi necessaria l'imposizione dello Stato di emergenza durante il quale viene imposto il divieto "di stampa e di riunione, nonché di inneggiamento alla rivolta contro la persona del Presidente". Chiaramente la situazione è sfuggita dal controllo delle autorità che si sono viste costrette ad imporre il silenzio, per sedare un movimento di contestazione che avrebbe fatto da incendiario per altre innumerevoli rivolte, sino a trascinare lo Stato nel panico. Conseguenze ritenute inaccettabili, viste le pressioni derivanti dalla Commissione Europea e dagli Stati Uniti che chiedono di riportare ordine e stabilità all'interno della regione, al fine di garantire la fornitura costante degli approvvigionamenti di petrolio.
Identico scenario si è verificato in Georgia, dove il governo ha proclamato lo stato di emergenza, dopo che Tbilisi è stata teatro di violenti scontri tra la polizia e i manifestanti che chiedevano le dimissioni del Presidente Mikhail Saakashvili. Tali eventi sono stati interpretati come un tentativo di colpo di Stato teso a creare il disordine nel Paese, da parte delle forze dell'opposizione grazie all'appoggio del Governo sovietico. Queste sono state fondamentalmente le motivazioni dell'intervento volto innanzitutto ad oscurare l'emittente Imedi, espressione dell'opposizione, nonché a reprimere le manifestazioni di protesta mediante il ricorso alla forze di polizia in assetto antisommossa, che ha così caricato la folla con manganelli, gas lacrimogeni e idranti.

Scontri violenti anche in Venezuela, diversa situazione politiche e diverso contesto ma identica dinamica: in occasione delle manifestazioni contro il Presidente Ugo Chavez, accusato di cercare di modificare la Carta Costituzionale per accentrare nelle sue mani maggior potere, un gruppo di persone armate apre il fuoco sugli studenti, mentre la polizia carica i manifestanti. E così anche Myanmar, dove una protesta pacifica da parte dei Monaci Buddisti nel giro di pochi giorni si è tradotta in una guerra civile, a causa delle forti repressioni da parte del Governo Birmano, che ha così attirato su di sé l'attenzione delle organizzazioni umanitarie internazionali tra le più importanti, come la Human Rights Watch, strettamente collegata alla Nazioni Unite nonché alle fondazioni bancarie di George Soros.
Sottolineiamo che ognuno di questi episodi hanno la loro causa in fattori di malessere e di instabilità interna, dovuta ad una situazione economica precaria, spesso che sfiora le soglie di povertà offrendo ai movimenti estremisti terreno fertile per fomentare ribellioni contro i Governi. Ogni rivoluzione presa in maniera isolata va a costituire un evento fino a se stesso, ma considerando gli eventi in un'ottica d'insieme, non possiamo non notare che vi è un elemento costante che è globale, ossia quello della disgregazione del tessuto politico e sociale che porterà a distruggere quel che resta della società civile.

Il malessere economico, la precarietà, sta rendendo le persone sempre più insofferenti, sempre più violente, disposte ad un gesto disperato pur di dare una svolta alla sua condizione, seppure questa posta essere un'illusione. I media di volta in volta impongono il silenzio o ne esasperano i tratti politici per strumentalizzare gli eventi a favore delle lobbies che tentano di impadronirsi degli Stati deboli, mentre i politici sono ormai disposti a firmare qualsiasi accordo, anche se autolesionista pur di salvare le apparenze o ingannare la massa che "sia tutto sotto controllo". Si pensi alle misure prese dal Governo italiano nei confronti della Comunità romena, divenuta capro espiatorio di un'evidente insoddisfazione dei cittadini italiani che vedono degenerare i loro diritti e la loro condizione. Con una grande operazione mediatica è stata imposta l'espulsione di uno dei popoli più poveri d'Europa, pregiudicando anche i rapporti bilaterali con un Paese all'interno del quale vive un'importante comunità italiana composta da una costellazione di piccole e medie imprese. Tuttavia era necessario dare in pasto alla folla dei colpevoli per placare la paura della criminalità organizzata degli immigrati clandestini, per dare l'impressione che lo Stato sia ancora presente e vigile dinanzi alle emergenze. Attualmente, in Governo italiano, in gran segreto sta rimpatriando una grande massa di persone, attuando così un quadro studiato a tavolino in ogni suo aspetto, ma mascherato da tecnicismi di legge.

La verità in realtà è ben diversa, in quanto il malessere ha obbligato le persone ad aprire gli occhi dinanzi allo scempio che viene fatto giorno dopo giorno dell'economia degli Stati, che si basa sul mercato virtuale finanziario, su tonnellate di carta straccia e su una forma di energia destinata ad estinguersi in laghi di sangue. La gente soprattutto ha capito che ha un enorme potere nelle sue mani, avendo la capacità di decretare la nascita o la fine di uno Stato da un giorno all'altro semplicemente scendendo in piazza e minacciando la guerra civile, lo sciopero ad oltranza o il blocco dei processi produttivi. Vorremmo dunque indurre tutti ad una riflessione. Se un giornale europeo ha pubblicato tre semplici vignette e l'intero mondo islamico si è sollevato facendo tremare governi islamici ed occidentali, allora vuol dire che non servono le guerre, attentati o terrorismo per destabilizzare gli Stati e i governi. Allora, fu messa in discussione non solo la libertà di espressione o di religione, ma anche la credibilità dei politici e ambasciatori islamici che furono chiamati a difendere l'Islam.
Non dimentichiamo le rivolte delle banlieuex di Parigi, i cortei del PCE in Francia che hanno costretto la revoca della disciplina del lavoro precario: il popolo francese più di una volta è riuscito a cambiare il suo destino e in un certo senso anche quello dell'Europa perché, dicendo No alla Costituzione Europea, ha creato un importante precedente che ha colpito il cuore delle Istituzioni comunitarie.