Il decreto contenente misure di contrasto alla criminalità organizzata porta con sé rilevanti conseguenze anche sul tessuto economico italiano, con maggiori vincoli per le imprese coinvolte in operazioni criminali e mafiosi, quali l'imposizione del sequestro "di prevenzione" e dell'interdizione all'accesso di fondi pubblici. Tuttavia, il grande clamore sollevato dall'arresto del boss di Cosa Nostra Salvatore Lo Piccolo, ha reso decisamente più accettabile quelle norme che rischiano di creare un vero ricatto istituzionale nei confronti delle imprese.
Con il pacchetto sicurezza presentato dal Governo come progetto di legge di urgente necessità, la disciplina antimafia è divenuta una norma di "sistema", volta a cambiare il volto della disciplina anti-mafia e di contrasto alla criminalità organizzata. Tali norme andranno infatti ad incidere sull'interpretazione dei fatti e dei reati, sui processi istruttori e su quelli esecutivi, con nuove conseguenze per coloro che saranno indagati o condannati per reati criminali. In primo luogo, il decreto va ad estendere quanto previsto dalla disciplina anti-mafia anche a reati che non hanno un diretto collegamento con le organizzazioni criminali, con effetti restrittivi immediati anche dopo la sola sentenza di primo grado. È infatti previsto che saranno esclusi dal "patrocinio dello Stato", negando l'accesso a finanziamenti, contributi e mutui a tasso agevolato, tutti i soggetti condannati per gravi reati - come associazione a delinquere di tipo mafioso, associazione a fine di spaccio di stupefacenti, associazione a fine di contrabbando, spaccio di stupefacenti, nonché reati commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose - ma anche reati non legati alla criminalità organizzata, come il falso in bilancio, la bancarotta, l'usura, il riciclaggio, il falso di in atti pubblici, la truffa, la violazione della disciplina antievasione, l'omicidio, le lesioni colpose per trasgressione delle norme antinfortunistica. Così sono stati assimilati reati molto eterogenei, anche non colposi che possono prevedere una condanna inferiore ai tre anni di reclusione: non viene fatta una sostanziale differenza per la gravità del reato. Le conseguenze sono immediate e incondizionate, con il blocco o la revoca dei contributi finanziari a imprenditori che hanno subito una condanna, o solo una sentenza di patteggiamento, con la successiva interdizione una volta scontata la pena. L'imprenditore sarà inoltre responsabile anche per gli atti commessi dai dipendenti e dagli amministratori, anche se potrà rimediare in un secondo momento sostituendo il dirigente o l'impiegato direttamente coinvolto nelle indagini, tale che la norma viene elusa senza molti problemi. Il divieto di erogazione o l'interruzione degli stessi scatta già dopo la sentenza in primo grado, e, qualora si raggiunga una sentenza di scarcerazione, non è previsto alcun risarcimento per i danni patrimoniali e morali provocati dall'ingiustificata sospensione dei finanziamenti e dalla perdita di opportunità per l'impresa.
Il sistema congeniato appare poi ancora di più macchinoso se si considera che l'imprenditore che vorrà partecipare al patrocinio dello Stato dovrà autocertificare la sua estraneità ai reati che provocano l'interdizione, demandando poi agli organi amministrativi l'onere di indagare e di verificare quanto dichiarato dall'impresa. I tempi burocratici possono ampliarsi a dismisura, a tutto svantaggio delle imprese che offrono dei servizi pubblici e che vivono di finanziamenti statali. Queste misure, proprio perché ispirate al principio secondo cui "chi amministra i soldi della Stato deve essere incensurato e avere una reputazione di onorabilità" sono state accettate dall'opinione pubblica come legittime e necessarie: non si può contestare la disciplina anti-mafia senza essere additati come mafiosi o criminali. E su questo sottile gioco psicologico hanno giocato i nostri politici, imponendo norme più severe per l'accesso ai fondi pubblici al fine di ridurre innanzitutto gli sprechi e le erogazioni come "spesa sociale". Non sarebbero state accettate dagli imprenditori allo stesso modo, se non avessero usato il contrasto alla "mafia o alla criminalità" come motivazione di base, così come nessun cittadino avrebbe accettato la creazione di una banca dati biometrica se non fosse stata in discussione la sicurezza nazionale e la minaccia del terrorismo.
Questo ricatto diventa ancora più insostenibile se si pensa alle norme anti-mafia introdotte che vanno ad incidere direttamente sul rapporto impresa-giustizia. Così le imprese che avranno di coraggio di denunciare l’interferenza della criminalità organizzata saranno premiate con l’accesso a misure di controllo e sostegno nonché a dei contributi specificamente stanziati. Mentre, la mancata denuncia comporterà il sequestro e la confisca di prevenzione, salvo che i titolari d’impresa, nel corso del procedimento, non collaborino concretamente con l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria. Le investigazioni patrimoniali e l’azione di prevenzione diventano obbligatori : viene introdotto il sequestro di prevenzione che prevale su qualsiasi altro provvedimento. In altre parole, lo Stato ci sta dicendo: "se collabori ti finanziamo, se non collabori ti sequestriamo". Gli imprenditori diventeranno in tal modo dei veri e propri informatori degli inquirenti, non essendo questi in grado, evidentemente, di garantire la sicurezza alle imprese e di condurre delle indagini volte a sradicare i meccanismi che reggono i castelli della criminalità organizzata. Questo tipo di collaborazione ha portato infatti all'arresto del boss Salvatore Lo Piccolo, e oggi Confindustria di Agrigento si prepara all'inaugurazione del sistema di sicurezza dell'area industriale, all'indomani della denuncia degli estorsori. Le imprese sono dunque obbligate a pagare la propria sicurezza, il proprio sostentamento collaborando con la giustizia, sfuggendo al ricatto della mafia, per cadere in quello dello Stato che si presenta puntualmente a riscuotere il pizzo.
Con il pacchetto sicurezza presentato dal Governo come progetto di legge di urgente necessità, la disciplina antimafia è divenuta una norma di "sistema", volta a cambiare il volto della disciplina anti-mafia e di contrasto alla criminalità organizzata. Tali norme andranno infatti ad incidere sull'interpretazione dei fatti e dei reati, sui processi istruttori e su quelli esecutivi, con nuove conseguenze per coloro che saranno indagati o condannati per reati criminali. In primo luogo, il decreto va ad estendere quanto previsto dalla disciplina anti-mafia anche a reati che non hanno un diretto collegamento con le organizzazioni criminali, con effetti restrittivi immediati anche dopo la sola sentenza di primo grado. È infatti previsto che saranno esclusi dal "patrocinio dello Stato", negando l'accesso a finanziamenti, contributi e mutui a tasso agevolato, tutti i soggetti condannati per gravi reati - come associazione a delinquere di tipo mafioso, associazione a fine di spaccio di stupefacenti, associazione a fine di contrabbando, spaccio di stupefacenti, nonché reati commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose - ma anche reati non legati alla criminalità organizzata, come il falso in bilancio, la bancarotta, l'usura, il riciclaggio, il falso di in atti pubblici, la truffa, la violazione della disciplina antievasione, l'omicidio, le lesioni colpose per trasgressione delle norme antinfortunistica. Così sono stati assimilati reati molto eterogenei, anche non colposi che possono prevedere una condanna inferiore ai tre anni di reclusione: non viene fatta una sostanziale differenza per la gravità del reato. Le conseguenze sono immediate e incondizionate, con il blocco o la revoca dei contributi finanziari a imprenditori che hanno subito una condanna, o solo una sentenza di patteggiamento, con la successiva interdizione una volta scontata la pena. L'imprenditore sarà inoltre responsabile anche per gli atti commessi dai dipendenti e dagli amministratori, anche se potrà rimediare in un secondo momento sostituendo il dirigente o l'impiegato direttamente coinvolto nelle indagini, tale che la norma viene elusa senza molti problemi. Il divieto di erogazione o l'interruzione degli stessi scatta già dopo la sentenza in primo grado, e, qualora si raggiunga una sentenza di scarcerazione, non è previsto alcun risarcimento per i danni patrimoniali e morali provocati dall'ingiustificata sospensione dei finanziamenti e dalla perdita di opportunità per l'impresa.
Il sistema congeniato appare poi ancora di più macchinoso se si considera che l'imprenditore che vorrà partecipare al patrocinio dello Stato dovrà autocertificare la sua estraneità ai reati che provocano l'interdizione, demandando poi agli organi amministrativi l'onere di indagare e di verificare quanto dichiarato dall'impresa. I tempi burocratici possono ampliarsi a dismisura, a tutto svantaggio delle imprese che offrono dei servizi pubblici e che vivono di finanziamenti statali. Queste misure, proprio perché ispirate al principio secondo cui "chi amministra i soldi della Stato deve essere incensurato e avere una reputazione di onorabilità" sono state accettate dall'opinione pubblica come legittime e necessarie: non si può contestare la disciplina anti-mafia senza essere additati come mafiosi o criminali. E su questo sottile gioco psicologico hanno giocato i nostri politici, imponendo norme più severe per l'accesso ai fondi pubblici al fine di ridurre innanzitutto gli sprechi e le erogazioni come "spesa sociale". Non sarebbero state accettate dagli imprenditori allo stesso modo, se non avessero usato il contrasto alla "mafia o alla criminalità" come motivazione di base, così come nessun cittadino avrebbe accettato la creazione di una banca dati biometrica se non fosse stata in discussione la sicurezza nazionale e la minaccia del terrorismo.
Questo ricatto diventa ancora più insostenibile se si pensa alle norme anti-mafia introdotte che vanno ad incidere direttamente sul rapporto impresa-giustizia. Così le imprese che avranno di coraggio di denunciare l’interferenza della criminalità organizzata saranno premiate con l’accesso a misure di controllo e sostegno nonché a dei contributi specificamente stanziati. Mentre, la mancata denuncia comporterà il sequestro e la confisca di prevenzione, salvo che i titolari d’impresa, nel corso del procedimento, non collaborino concretamente con l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria. Le investigazioni patrimoniali e l’azione di prevenzione diventano obbligatori : viene introdotto il sequestro di prevenzione che prevale su qualsiasi altro provvedimento. In altre parole, lo Stato ci sta dicendo: "se collabori ti finanziamo, se non collabori ti sequestriamo". Gli imprenditori diventeranno in tal modo dei veri e propri informatori degli inquirenti, non essendo questi in grado, evidentemente, di garantire la sicurezza alle imprese e di condurre delle indagini volte a sradicare i meccanismi che reggono i castelli della criminalità organizzata. Questo tipo di collaborazione ha portato infatti all'arresto del boss Salvatore Lo Piccolo, e oggi Confindustria di Agrigento si prepara all'inaugurazione del sistema di sicurezza dell'area industriale, all'indomani della denuncia degli estorsori. Le imprese sono dunque obbligate a pagare la propria sicurezza, il proprio sostentamento collaborando con la giustizia, sfuggendo al ricatto della mafia, per cadere in quello dello Stato che si presenta puntualmente a riscuotere il pizzo.
Si va così a creare un nuovo equilibrio nel rapporto mafia-Stato, in cui i Magistrati e la polizia hanno meno poteri istruttori e di indagine, i media e l'opinione pubblica avranno sempre un capro espiatorio da additare come mafioso e criminale, mentre chi manovra i traffici e le operazioni di riciclaggio di denaro intoccabili, protetti dal sottile velo dello "Stato di giustizia". Il sistema in questo modo è stato chiuso totalmente, gli inquirenti saranno costretti ad accettare come "colpevole" il mafioso che ha riscosso il pizzo offerto su un piatto d'argento dall'imprenditore pentito che desidera evitare il sequestro. Il piccolo imprenditore viene criminalizzato, additato e magari isolato, mentre i veri criminali dell'alta finanza saranno sempre più impuniti. Basti pensare che la direttiva europea di contrasto al riciclaggio di denaro sporco impone di ridurre a 5.000 euro la soglia per imporre la "non trasferibilità" dell'assegno, mentre i "titoli al portatore" come certificati di deposito, azioni o obbligazioni, o certificati rappresentativi di quote di fondi comuni possono essere tranquillamente scambiati senza alcun limite o sanzione, purchè garantiti dall'esistenza di un intermediario, ossia un broker o una banca . Mentre dunque un imprenditore che incassa 5.100 euro dovrebbe essere sottoposto a norme di contrasto antiriciclaggio, banche d'investimento internazionali possono trasferire collaterali denominati per milioni di euro senza incorrere in nessun controllo o limitazione al trasferimento. Una condizione assurda e insostenibile che tuttavia costituisce il pilastro fondamentale del nostro sistema economico-politico fondato sul crimine invisibile.
I nostri governi sono controllati da lobbies che siedono nelle Commissioni Europee, sorretti da finte democrazie ; emanano leggi che calpestano giorno dopo giorno le Costituzioni sotto lo stretto controllo delle direttive europee e grazie alla continua propaganda dei media. Tutto viene coordinato e progettato da analisti esperti del controllo delle masse, da consulenti delle società di comunicazione e marketing lasciando poi ai servizi segreti l'onere di attuare le strategie per la manipolazione dell'opinione pubblica. Il cittadino, l'individuo e la piccola impresa rappresentano la massa di utenti, il pubblico che fa audience, le vacche da mungere per perpetuare al sopravvivenza del sistema.
I nostri governi sono controllati da lobbies che siedono nelle Commissioni Europee, sorretti da finte democrazie ; emanano leggi che calpestano giorno dopo giorno le Costituzioni sotto lo stretto controllo delle direttive europee e grazie alla continua propaganda dei media. Tutto viene coordinato e progettato da analisti esperti del controllo delle masse, da consulenti delle società di comunicazione e marketing lasciando poi ai servizi segreti l'onere di attuare le strategie per la manipolazione dell'opinione pubblica. Il cittadino, l'individuo e la piccola impresa rappresentano la massa di utenti, il pubblico che fa audience, le vacche da mungere per perpetuare al sopravvivenza del sistema.