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31 dicembre 2012

Firmato Accordo energetico Italia-Serbia: salvo questioni in sospeso con la Bosnia

Belgrado - L'Assemblea Parlamentare della Serbia, ha adottato questo sabato 29 dicembre  la legge di ratifica dell'Accordo di cooperazione nel settore dell'energia tra la Serbia e l'Italia, lasciando sostanzialmente inalterato il testo come presentato in occasione della scorsa sessione del 29 novembre. Viene però confermato, al punto 1 della legge, che i termini previsti vengano applicati anche al progetto “Srednja Drina” (Drina media), sotto condizione che tutte le "questioni in sospeso in BiH" che si riferiscono al progetto vengano risolte. Allo stesso modo, viene confermato il consenso all'Allegato 1 che contiene l'elenco dei progetti comuni, da realizzazione in cooperazione con la Republika Srpska, coinvolta nel protocollo come parte terza. Nonostante, quindi, sia stata mantenuta la promessa di Belgrado di ratificare l'accordo con il Governo italiano, resta l'incognita sul significato da attribuire al concetto di "questioni in sospeso in Bosnia che si riferiscono al progetto" Srednja Drina. Su tale punto, alle domande dell'Osservatorio Italiano, le autorità della Serbia, come anche quelle della Republika Srpska e della Bosnia, si sono sottratte dal dare ogni spiegazione o fornire un qualche chiarimento, essendo al momento "la questione più scottante" di tutta l'architettura della cooperazione energetica con l'Italia.

Come affermato in precedenza dall'Osservatorio Italiano, la "questione in sospeso" citata nella legge, può essere ricondotta al problema della definizione dell'autorità competente a fornire la concessione per lo sfruttamento delle acque del fiume che, nel tratto della Srednja Drina, è un confine naturale. Infatti, anche qualora la RS si impegni a sostenere il progetto Srednja Drina inserendolo nella sua giurisdizione, ogni legge relativa ad un progetto che si trova su una frontiera può essere impugnata come incostituzionale. Infatti, l'Atto Costitutivo della Bosnia non è chiaro su questo punto, affidando la gestione delle frontiere alle autorità statali e la competenza sull'energia alle entità. Tuttavia, non è possibile apportare una modifica o un'integrazione alla carta costituzionale, in quanto si potrebbe smuovere malori e dissensi interni talmente gravi, da far implodere lo Stato stesso: di questo ne sono consapevoli sia gli Stati Uniti che la Commissione Europea. Non dimentichiamo che nel corso del vertice di Butmir del 2010, in cui i leader bosniaci avrebbero dovuto firmare una nuova Costituzionale, l'ambasciatore americano è svenuto nel pieno della riunione.

L'Italia deve quindi prestare molta attenzione alle promesse del Governo della RS, in quanto ogni accordo raggiunto con le autorità della Bosnia per l'attribuzione della concessione e la vendita dell'energia all'Italia a tariffe incentivante, potrebbe essere messo in discussione da entità terze o dalla stessa Comunità Europea. Ricordiamo infatti che l'attuale Ministro dell'Energia Zorana Mihajlovic - nelle vesti di deputato dell'opposizione nel 2010 - criticava  l'accordo energetico con l'Italia e la Seci-Energia perché "una società troppo piccola rispetto alla EPS", mentre adesso sostiene e ratifica il protocollo. Anche l'ex ambasciatore serbo in Italia Sanda Raskovic - ora deputato all'opposizione con il DSS - ha definito 'neo-colonialista' un accordo che invece prima accoglieva con "grande spirito di amicizia". Degli esempi, questi, che fanno capire come sia facile cambiare idea nei Balcani, dove non esistono "fratellanze" talmente solide da superare problemi economici e finanziari. 

Il nodo della Srpska continuerà quindi ad essere il principale ostacolo alla realizzazione del progetto energetico tra Italia e Serbia, e sarà proprio in Bosnia che si concentreranno i maggiori interessi, come anche gli scontri più forti, che potrebbero compromettere la credibilità dell'azione di diplomazia economica del Governo italiano. Infatti, il Ministro Terzi sembra si sia subito attivato a cambiare l'ambasciatore, facendo così una scelta "politica" e non "tecnica". Con questa mossa, il Consiglio dei Ministri di Monti si conferma essere un governo di 'Alta Finanza' e non del "made in Italy" delle piccole e medie imprese.  L'Osservatorio Italiano, nonostante sia stato a lungo sottovalutato, ha dimostrato con i fatti che quanto affermato si è puntualmente verificato. Quindi, a coloro che sostengono che questa redazione sia "anti-italiana" e contro i progetti italiani, rispondiamo che ha sempre provato con argomentazioni e concretezza che vi è stata superficialità nella gestione di questi investimenti. Infatti, non si va all'estero con "metodologie di giornalai" perché inglesi, tedeschi, francesi e russi sono lì al varco ad aspettare i nostri errori. 
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Legge di ratifica dell'Accordo energetico tra Italia e Serbia 
Download legge - versione latinico
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Legge di ratifica

La legge fa riferimento all'accordo firmato il 13 novembre del 2009 dal Ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani e il Ministro dell'Instrastruttura e dell'Energia della Serbia Milutin Mrkonjić. Quest'ultimo prevede le condizioni per stilare i certificati verdi, nonché il consenso da parte dello Stato serbo per la costruzione degli strumenti necessari al fine di produrre un megawatt di energia utilizzando la forza dell'acqua, previa approvazione da parte del Ministero competente dopo 30 giorni dalla richiesta. Il consenso si avrà qualora verranno rispettate le condizioni nella realizzazione degli impianti sfruttando in maniera razionale ed efficace il potenziale idroelettrico e le risorse finanziarie a disposizione. Questo sarà valido per tre anni dal momento dell'accettazione e potrà essere prolungato per altri 12 mesi, secondo il volere del Ministero dell'Energia.  Le nuove soluzioni dovranno prevenire i fallimenti, ha spiegato il Ministro Zorana Mihajlovic, la quale ha affermato che, in precedenza, non potevano impedire agli investitori di dare il consenso a qualcun altro, ne obbligarli a finire il progetto entro il tempo stabilito. L'accordo tra il Governo della Serbia e quello dell'Italia, comporterà la costruzione di dieci centrali idroelettriche sul fiume Ibar, vicino Raska e Kraljevo, con una potenza istallata di 117 megawatt e tre sulla Drina, a Bajina Basta e Zvornik, con una potenza istallata di 235 megawatt. 

10 dicembre 2012

Gasdotto del Baltico-Adriatico: Qatar conferma interesse. Saipem nell'occhio del ciclone

Zagabria - Mentre la Croazia ha appena annunciato il progetto del terminale GNL sull'isola Krk, del valore di circa 600 milioni di euro, aspettando la risposta dal Qatar, se sarà solo un fornitore o un investitore, i lavori sulla costruzione del terminale per il gas liquefatto naturale in Polonia sono già in stato avanzato. Come è stato annunciato, questo terminale ha la stessa capacità di quello previsto in Croazia, e dovrà essere messo in funzione nel 2014. I funzionari degli Operatori del sistema di trasmissione del gas croato e polacco, le società Plinacro e Gaz System, nel mese di settembre hanno firmato una dichiarazione che mostra l'intenzione di stabilire un corridoio di trasporto del gas tra il Baltico e l'Adriatico, quindi il collegamento del terminale GNL polacco e il futuro terminale GNL sull'isola di Krk. Il terminal GNL di Swinoujscie è il primo progetto infrastrutturale nell'Europa centrale e orientale, al quale cerca di far parte anche la Croazia.Il Presidente del Consiglio di amministrazione della società Polskie GNL, Rafal Wardzinski, ha informato che appoggiano il progetto per la costruzione del  terminal Adria GNL, per il quale si auspica che contribuisca alla sicurezza energetica europea. "Crediamo che c'è ancora spazio per i nuovi terminali GNL nel mercato europeo", ha affermato Wardzinski. Con la costruzione di detto terminale, la Polonia diventa un nuovo attore nel mercato globale GNL, mentre il Qatar garantirà le forniture al terminal, sulle quali conta anche la Croazia. L'accordo sulla fornitura del gas dal Qatar in Polonia è stato concordato dalla società polacca PGNiG (Polish Oil and Gas Company) e dalla Qatargas, per un ventennio, cioè dal 2014 al 2034.  

Progetto di matrice italiana
Il terminal sarà realizzato da un consorzio multinazionale, guidato dalla italiana Saipem (Gruppo ENI) e composto anche da Techint, Snamprogetti Canada, e le polacche PBG e PBG Export. Il consorzio si è aggiudicato la gara nel 2008 per costruire il primo terminale di rigassificazione in Polonia con un contratto da  720 milioni di euro, assegnato dalla Polskie LNG. Il terminal offshore avrà una capacità iniziale di 5 miliardi di metri cubi di gas l’anno, un terzo della domanda nazionale polacca, che potrà salire fino a 7,5 miliardi di euro. L’avvio dell’impianto è previsto per il giugno del 2014. La Polonia al momento consuma 14 miliardi di metri cubi di gas, in maggioranza proveniente dalla Russia. Nell’aggiudicarsi la gara internazionale le aziende italiane hanno superato le offerte di Daewoo Engineering e di Construction di Daewoo International, mentre  la società di ingegneria canadese  specializzata in tecnologia LNG, la SNC-Lavalin,  è stata scelto  per effettuare il piano di ingegneria e progettazione (FEED), preferito alla Suez-Tractebel.  

La crisi e le rassicurazioni di Saipem
Stando alle ultime notizie fatte trapelare dai media locali, la costruzione è in ritardo di alcuni mesi a causa delle difficoltà finanziarie che stanno affrontando i contractor del progetto tra cui proprio l’italiana Saipem insieme alla polacca PBG SA, la quale a giugno ha chiesto e ottenuto dal tribunale la protezione dalle richieste di bancarotta. Saipem è oggi oggetto di un controverso scandalo, che la vedono indagata presso la procura di Milano presunti reati di corruzione relativi ad alcuni contratti stipulati in Algeria. Al riguardo Saipem ritiene che la propria attività sia stata svolta nel rispetto delle leggi applicabili, delle procedure interne, del codice etico e del modello 231 e offre massima collaborazione alla Procura di Milano.  

Delegazione del Qatar ad aprile in Croazia
Ai canali diplomatici il Qatar ha inviato una lettera con la quale conferma il suo interesse per il progetto GNL.  Il neo eletto Ministro dell'Economia, Ivan Vrdoljak, ha rifiutato di commentare le informazioni, secondo le quali gli sceicchi del Qatar hanno presentato i progetti di accordo sulla cooperazione economica, nonché un promemoria del terminale GNL sulla Krk. La delegazione del Qatar sarà in visita in Croazia nell'aprile dell'anno prossimo. Secondo notizie informali, oltre al terminale GNL, il Qatar è interessato anche ad altri sei progetti, nel settore dell'energia, dell'agricoltura e dell'industria.  

03 dicembre 2012

Il pantano balcanico del Sistema-Italia

Roma - Gli affari della cricca hanno infiltrato l’economia e gli investimenti italiani all’estero nei Balcani, e quindi una ricandidatura di Berlusconi al Governo è fuori discussione. Questo il messaggio che traspare dal reportage sui progetti energetici italiani in Serbia e Montenegro, realizzato dalla trasmissione di Rai 3 “Report” (Corto Circuito 2- dicembre 2012). Nel mirino, la solita storia ormai ben nota di A2A-EPCG e delle connessioni tra Djukanovic e Prva Banka, ma anche il contratto ottenuto da Seci-Energia in Serbia. I contenuti trattati, a nostro parere, rappresentano una lettura di ‘non fatti’ di cui i media locali hanno fatto un’ampia cronaca senza mai fornire elementi concreti. La strumentalizzazione politica della questione balcanica da parte di Report è evidente, cadendo così nella disinformazione e nel più spicciolo complottismo, di cui i Balcani sono pieni. I rapporti economici tra Italia e Balcani sono sostanzialmente politici, essendo Stati confinanti e rivieraschi, per cui sono spesso dettati da esigenze di equilibrio “euro-atlantico” all’interno del Mediterraneo. Ciò premesso, il problema di fondo non è la classe politica di turno che siede al potere, bensì l’approccio del Sistema-Italia che è volutamente ambiguo e non trasparente, per nascondere le inefficienze della macchina diplomatica e gli sprechi dei finanziamenti pubblici devoluti ad una miriade di associazioni per non fare nulla. Se non esiste un piano industriale, energetico e commerciale è perché le istituzioni italiane sono patologicamente disinformate sulla realtà dei Balcani, affidano gli studi di fattibilità sempre agli stessi personaggi e non controllano l’operato delle ambasciate e delle Camere di Commercio.

Il caso Montenegro-A2A

Quello descritto da Report non è qualcosa che ha creato Berlusconi, A2A o Maccaferri, bensì è la realtà dell’inadeguatezza dei funzionari diplomatici, dell’ICE e del MAE, che dovrebbero lavorare instancabilmente per difendere gli interessi nazionali. Per oltre 20 anni di caos balcanico non hanno fatto che disinformare, cercando di risolvere il gran pasticcio creando fantomatiche agenzie di stampa auto-celebrative, finanziate da quelle imprese che dovrebbero ricevere i contratti e dalle istituzioni che hanno sottoscritto gli accordi. Se tutti avessero fatto il loro lavoro, il Governo italiano sarebbe stato informato che il Montenegro aveva un problema con la società elettrica, e dunque con i russi che controllano la KAP, con le associazioni sindacali e le bollette mai pagate. In primo luogo, abbiamo forti dubbi che la dirigenza A2A sapesse allora dove si trovasse il Montenegro sulla cartina geografica, o che il Primo Ministro avesse una banca e che fosse coinvolto in un processo presso la Procura di Bari. Erano convinti che con un semplice avviso di pagamento avrebbero ricevuto il saldo delle bollette, mentre la realtà si è rivelata ben più complessa. Un caso similare – ad onor di cronaca – si è verificato in Albania, dove la società ceca CEZ che ha privatizzato la compagnia di distribuzione, ha tentato di staccare le forniture di corrente ai debitori insolventi (per lo più istituzioni, nel dettaglio la società degli Acquedotti), ma i dirigenti sono stati arrestati e i tecnici malmenati, mentre il Governo albanese ha chiesto la risoluzione del contratto.

L’opera di disinformazione è stata quindi completata dai giornalisti di Report, che non hanno studiato questo caso nella sua totalità, e hanno dato prova di essere stati parziali e politicamente motivati nella loro ricerca della verità, con una chirurgica selezione delle fonti. Si sono così fermati al solito racconto - ripreso ormai da tutti i media - dei rappresentanti dei sindacati e dell’opposizione, come il noto Nebojsa Medojevic, foraggiato da gruppi di interesse tedeschi e americani, ma che nella sua carriera politica non è riuscito a portare nessuna prova di fatto che dimostri l’esistenza di fantomatici accordi segreti, di corruzione o di pratiche illegali. Non viene invece detto che da oltre 4 anni sulle pagine dei quotidiani montenegrini non si fa che parlare degli ‘italiani’, sino al limite del mobbing e dello stalking, riproponendo come scoop gli articoli di Repubblica ed Espresso. Dinanzi a queste pressioni, la Terna ha risposto pubblicando il contratto interstatale per la realizzazione di un elettrodotto tra Tivat e Pescara, e mettendo così a tacere la campagna di diffamazione che era stata montata proprio dalle ONG finanziate da entità estere. Sulla questione di Djukanovic e del contrabbando di sigarette, se si vuole speculare su tale argomento bisogna fornire tutti i dettagli: il traffico e l’importazione illegale di sigarette furono alimentati dalle grandi società di tabacchi, come la Philip Morris, per mettere fuori mercato il Monopolio di Stato, agevolato anche dalle gravi omissioni delle forze dell’ordine che sorvegliavano i confini marittimi, e questa ormai è storia .

Per quanto riguarda poi il motivo per cui l’Italia abbia deciso di investire in Montenegro – scegliendo poi A2A – bisogna considerare il fatto che il Montenegro fosse uno Stato giovane, nato solo nel 2006 per volere della Comunità Internazionale, e anche un Paese molto piccolo, contando solo 600 mila abitanti, di cui solo 278 mila sono montenegrini (Vedi scheda Wikipedia). Per cui, l’Occidente ha scelto Djukanovic per sostenere l’equilibrio etnico interno (visto che serbi  bosniaci e albanesi, venivano sostenuti rispettivamente da Belgrado, dalla Turchia e dalla diaspora albanese), e anche per evitare che si venisse a creare un bacino di criminalità. Si trattava, quindi, di un investimento poco attrattivo per grandi società come Enel, ma necessario, proprio nel tentativo di creare una presenza italiana in un Paese confinante, e mettere in sicurezza i futuri corridoi energetici, perché non cadessero in mano di speculatori. L’Italia quindi ha fatto una giusta valutazione dal punto di vista strategico, ma nell’attuazione la politica dell’affarismo ha avuto la meglio, e ha creato un clima di mistificazione. D’altro canto, quando gli altri competitor hanno capito la possibilità del business di vendere energia ad Italia ed Europa, hanno cominciato a fare pressioni e a pagare i giornalisti locali, sollevando la questione delle irregolarità degli accordi o della mancanza di un tender sul cavo sottomarino.

Il caso Serbia-Maccaferri

Con riferimento invece all’accordo energetico con la Serbia, le tariffe incentivanti di 155 euro a megawattore per l’acquisto dell’energia rinnovabile prodotta, sono il prezzo che si paga innanzitutto per i certificati verdi (che hanno un valore finanziario, secondo il protocollo di Kyoto), ma anche e soprattutto per una pace politica, per garantire la stabilità di alcune regioni dei Balcani. Per quanto riguarda invece il Gruppo Maccaferri, la responsabilità della società è evidente: ha utilizzato le strutture diplomatiche per un proprio interesse, per assicurarsi il contratto di costruzione delle centrali idroelettriche sui fiumi Ibar e Drina, accreditando il suo operato con donazioni e cerimonie di gala, puntualmente pubblicizzate da Agenzie di stampa ‘amiche’. E’ anche vero che Maccaferri non è stata la più ‘veloce’, bensì quella più addentro agli usi e costumi delle ambasciate e delle procedure amministrative, quindi ben sapeva come velocizzare le lente procedure e i fraccomodi ambasciatori. Non potendo contare sull’ICE e la Camera di Commercio ha cercato di reperire da sola le informazioni, ma è caduta nella trappola balcanica della disinformazione e del bluff. Un errore banale per chi non conosce i Balcani, e non sa che ‘tradurre articoli’ e ‘sfornare rassegne stampa’ non permette di capire un contesto così complesso e falsato da politici, giornalisti ed opinionisti che sono tuttologhi e triplogiochisti, affetti dalla classica sindrome del ‘balkanski spiun’. Se avessero studiato – o quando meno solo “ascoltato” quanto si era già detto – sarebbe emerso il problema connesso alla Drina in quanto confine interstatale, nonché alla sensibilizzazione della comunità locale che, oggi e domani, ostacolerà sempre i progetti i cui benefici non sono “equamente distribuiti”. I nostri tecnici e funzionari avrebbero dovuto sapere che per portare avanti un progetto strategico di interesse nazionale è necessario innanzitutto un canale informativo, un gruppo di imprese che già operano all’estero per il supporto logistico, un team di giuristi ed economisti preparati, mentre tutte le istituzioni già sul luogo dovevano rimanere ai loro posti. Invece, non è stata fatta una strategia, bensì un’Armata Brancaleone, che si aspettava di trovare “gente con l’anello al naso”.

Ad alimentare questo clima di ambiguità sono stati soprattutto gli impiegati delle ambasciate, che sono delle ‘gole profonde’ per raggiungere degli scopi personali, ma quando sono dinanzi alle telecamere diventano così piccoli ed insignificanti. Infatti, nel filmato di Report, l’atteggiamento del funzionario dell’ambasciata interpellato dal giornalista è del classico ‘viveur di Belgrado’, griffato e gelatinato, che si riempie la bocca per autocelebrarsi e fare da “Paperon de Paperoni” con strette di mano, abbracci e occhiolino. Però, appena si fa una semplice domanda, chiedendo per esempio di consultare il memorandum interstatale, è divenuto così piccolo, quasi invisibile alla telecamere. Dopo uno scambio di e-mail, la consultazione del memorandum è divenuta una questione di Stato. Comunque, per farla breve, il documento era stato già pubblicato sul sito del Governo della Serbia nella sua versione serba, cosa che avrebbe dovuto fare anche l’ambasciata italiana per la trasparenza, ma purtroppo si è caduti nel ridicolo e si è creato un complotto per la stupidità della disorganizzazione. Forse mancava “il tecnico di laboratorio che inseriva il documento nel sistema per la sua visualizzazione”. Tuttavia, trovandosi all’estero, dove vi sono tante organizzazioni che monitorano il rispetto dei cosiddetti standard internazionali, e considerando il moralismo che i nostri ambasciatori fanno nei loro colloqui sull’integrazione per questi Paesi, la pubblicazione di tutti i documenti con dei web-site dedicati alla questione energetica era d’obbligo.

A dimostrazione di quanto stiamo dicendo, citiamo il caso di una organizzazione non governativa finanziata dalle Banche europee (BERS, BEI,ecc.), Bankwatch, che ha realizzato uno studio sul progetto energetico italiano nei Balcani (A Partnership of unequals - Electricity exports from the eastern neighbourhood and western Balkans), contemplando proprio i casi di A2A e Seci-Energia, sui quali esprime delle riserve e dei sospetti di corruzione. Questi rapporti vengono consultati dalla Commissione Europea e dalle cancellerie, e condizionano i politici locali e le organizzazioni locali, creando un clima ostile e di sospetto, anche se non vi è nessuna prova. Ci chiediamo, quindi, perché quando è stato diffuso questo rapporto – sempreché che i nostri diplomatici ne fossero a conoscenza – non vi è stata una reazione da parte dell’Italia, ricordando invece che la Deutsche Telekom ha ammesso e patteggiato dinanzi alla Corte di giustizia statunitense la sua colpevolezza per la corruzione dei funzionari montenegrini per la privatizzazione della Telekom Montenegro, e che l’ambasciatore tedesco ha esplicitamente chiesto di non inserire questo caso nella relazione di progresso della Commissione Europea. Purtroppo il nostro ambasciatore ha portato a Podgorica il Narciso di Caravaggio, sponsorizzato da A2A, per farlo vedere a Milo e Aco Djukanovic.

Infine, ci dispiace per l’opinione dell’onorevole Aldo di Biagio, che stima Valentino Valentini come una grande mente di tutto l’Est europeo, sino alla Russia. “Caro Aldo – scusa che ti diamo del Tu, ma così ci hai concesso nella nostra ultima conversazione – è pur vero che una giornalista del Vijesti (fonte di quasi tutti gli articoli copiati ed incollati da Repubblica e Espresso) va in fibrillazione ogni qual volta sente il nome di Valentini, ma questo mito è nato dalla solita patacca americana, visto che era lui l’unico che parlava molte lingue, e veniva menzionato nei cablogrammi delle ambasciate come diretto interlocutore. Non ha mai avuto però una rilevanza politica”. Cade quindi un’altra leggenda, come quella del contratto segreto per il cavo sottomarino, che - con grande delusione della ONG MANS - non contiene nessuna retrovia dell’accordo tra Italia e Montenegro.

Da parte nostra, abbiamo sempre espresso delle riserve verso il progetto energetico italiano, spiegando con fatti e circostanze che la concorrenza era talmente organizzata, ed in grado di orchestrare delle rappresaglie, ma comunque la disorganizzazione era talmente tanta che l’autodistruzione è stata inevitabile. Nei nostri articoli abbiamo più volte lanciato degli allarmi in merito, interrogando al contempo il Ministero degli Esteri – diretto allora da Franco Frattini - e il Ministro dello Sviluppo economico, che tuttavia non hanno mai dato risposta, nonostante le rassicurazioni. Bisognava infatti chiarire il progetto della centrale nucleare in Albania, del parco eolico di Moncada, della centrale termoelettrica di Enel. La confusione era tanta e le informazioni sempre più contraddittorie. Poi nel tempo la situazione è cambiata, Gheddafi è caduto e con lui l’intera finanza italo-libica destinata all’energia, mentre le lobbies sono divenute sempre più aggressive e pressanti. Le ONG che seguono le attività italiane si sono moltiplicate, mentre la crisi ha indebolito lo Stato. Chi ha avuto l'idea di questo progetto fantastico rimarrà comunque sconosciuto, non è farina del loro sacco, ma di una mente che ha studiato l'Italia in maniera storica ed economica. Purtroppo la messa in opera è stata affidata a qualcuno che crede di essere più furbo di altri. Oggi più che mai vale la pena ancora battersi e cambiare regia, perché c'è ancora spazio per una trattativa dura, lunga e difficile. Ma ci vuole soprattutto 'amor di patria', perché ognuno diventi un Enrico Mattei.


27 novembre 2012

Il cannibalismo delle multinazionali dell'elettronica

Quello avvenuto in Congo e Rwanda può essere considerato il più grande olocausto della storia, taciuto al mondo e alla storia, perpetrato dalle grandi multinazionali dell'elettronica. Società come Motorola, Nokia, Siemens, Samsung, Acer, IBM, HP, e dunque tutte le compagnie che fanno uso di minerali rari e semiconduttori, hanno sostenuto e finanziato un etnocidio di oltre 8 milioni di morti nell'Africa centro-occidentale.  Le Nazioni Unite si sono macchiate dei crimini efferati della più bassa leva colonialista compiute in queste terre, allo scopo di garantire i contratti miliardari delle corporation, per lo sfruttamento di oro, diamanti e coltan, risorsa strategica per l'industria Hi-Tec. I caschi blu, i commissari e le organizzazioni non governative hanno assistito agli atroci crimini commessi da contractor e dai ribelli finanziati dalle lobbies occidentali nei confronti di civili inermi.

I bambini congolesi nelle miniere di coltan
La follia generale che si è scatenata dopo la caduta del muro di Berlino, con la creazione di centinaia di eserciti privati di mercenari dispiegati nelle aree sensibili per le concessioni ottenute, ha reso necessaria l'istituzioni di tribunali ad hoc, legittimati a livello internazionale dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Tutte le grandi potenze erano in qualche modo coinvolte e ricattate per gli interessi che vantavano nelle ricche aree del continente africano.  E' stato così creato il cosiddetto Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (ICTR), una fantomatica istituzione giuridica  costituita da giudici e procuratori ricattati. Simbolo della corruzione della Corte dell'Aja per i presunti del "genocidio ruandese" è stata Carla Del Ponte - che ha poi ereditato la toga di procuratore del Tribunale per la ex Jugoslavia (ICTY).  Come spiegato già in passato dalla Etleboro, la Del Ponte doveva garantire il sistema bancario e bloccare il denaro trasferito nelle banche estere a nome dei dittatori che si sono di volta in volta succeduti, e detronizzati non appena venivano meno agli accordi di concessione pattuiti.

Le miniere di coltan in Congo
Tra Congo e Rwanda si protrae ormai da vent'anni una guerra umanitaria, che ha lo scopo di tutelare i contratti di concessione delle miniere, in particolare di coltan e di minerali per la produzione di semi-conduttori. Alla base del conflitto vi è uno storico accordo non scritto, secondo il quale il Congo, colonia belga di Leopoldo II il cui controllo è stato conservato dalla famiglia reale, è tenuto a consegnare al Rwanda - sotto il controllo degli Stati Uniti - i quantitativi di coltan concordati. Tale accordo deve essere onorato dai regimi che si alternano a Kinshasa, che hanno così la possibilità di arricchirsi e di veder tutelata la loro posizione dagli attacchi  ruandesi. Questo precario equilibrio si rompe nel momento in cui si incrinano i rapporti e si rimettono in discussione gli accordi presi. Le forze occidentali cominciano così ad armare i ribelli dell'M13 che invadono il Congo diffondendo distruzione, panico e omicidi. I villaggi congolesi sono divenuti capitale mondiale dello stupro, dopo che nel corso di questi 10 anni ne sono stati compiuti più di 2 milioni. Oggi la storia si ripete, scoppia di nuovo l'emergenza in Congo, dopo che le grandi società cinesi sono giunte in Africa offrendo contratti a condizioni più vantaggiose e mettendo sul tavolo valigie di contanti. La reazione americana non è tardata ad arrivare, rimettendo in moto la macchina della violenza più brutale e volgare, in una inconcepibile schizofrenia generale.

Il bacino del fiume Congo e le centrali Inga
Da non sottovalutare, inoltre, la questione energetica, in quanto il continente africano costituisce un'immensa riserva di energia rinnovabile, prodotta attraverso parchi fotovoltaici, eolici e immense dighe, come più evidenziato in precedenza dalla Etleboro (vedi Progetto Desertec). Il più grande sistema idroelettrico del mondo si trova proprio sul fiume Congo, ed è quello del Grande Inga (Inga I di 351 MW, e Inga II di 1.424 MW, in progetto Inga III di  3500 MW), dal quale dovrebbe diramarsi una rete di interconnessione elettrica estesa sino in Costa d'Avorio, Marocco ed Egitto, per giungere sino al continente europeo. Come si può notare, Congo - come tutta l'Africa - sta per divenire la frontiera energetica del futuro, per la quale sarà combattuta una guerra ancor più sanguinosa di quelle sinora conosciute, aggravate dall'estrema povertà e dalle malattie. 
Mappa delle interconnessioni che dal Grande Inga
si dirameranno in tutto il continente africano.

Mappa degli snodi delle interconnessioni elettriche.
La ragnatela delle interconnessioni elettriche
 che si estendono dal Mediterraneo all'Europa centrale
Quanto più andrà avanti questa crisi economica europea, tanto più violenta sarà la risposta delle multinazionali dinanzi alla debolezza e all'impotenza degli Stati. La loro azione viene costantemente coperta e vigilata dai media, scortati da ONG sovranazionali,  a loro volta legittimate dalle Nazioni Unite. Il monopolio dei signori della guerra viene a sua volta garantito dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che comminano embarghi e sanzioni, per poi istituire i tribunali ad hoc per i vincitori. Da questo punto di vista, la guerra al terrorismo più giustificata, dovrebbe essere quella al "Palazzo di vetro", occupato da assassini ben vestiti e griffati,  da personale diplomatico corrotto e depravato, da ricattati e ricattatori, la cui unica funzione è mantenere l'equilibrio della guerra perpetua contro i più deboli. Il premio Nobel per la pace, Barack Obama, avrebbe dovuto lottare contro questo sistema, non alimentarlo incendiando l'Africa, a cominciare dalle cosiddette Primavere arabe. Se tutto quello che viviamo è una grande farsa per mantenere il popolo nell'ignoranza, ci vorrebbe un po' di onestà intellettuale e non far gravare il costo della pace dell'ONU sui cittadini, inconsapevoli di essere i contribuenti di un'associazione a delinquere.  C'è da chiedersi perché la Commissione  delle Nazioni Unite, che doveva indagare sui crimini associati all'estrazione del coltan, ha insabbiato tutto, chiudendo la questione con l'affermazione: "Le multinazionali interrogate affermano che il coltan utilizzato dalle loro industrie non proviene da zone in conflitto".

Una trovata geniale che supera ogni immaginazione del più elementare complottismo, ed offende la dignità degli operai e della gente di buona civiltà, che compra i loro prodotti all'insaputa di tutto questo. Ma ancor più criminale è l'indifferenza dei nostri politici che dovrebbero essere dei sovrani guardiani delle vite dei cittadini, ed hanno preferito spendersi per le "Pussy riot", condannando la Russia. BBC, CNN e Al Jazeera ci hanno dipinto come "angeliche attiviste" delle esibizioniste che si divertivano a fare  orge in pubblico,  in metrò e musei. Non dimentichiamo poi i nostri "eroi medagliati", che si fanno grandi davanti alle telecamere, disegnando scenari apocalittici e previsioni di crisi, senza sapere di essere loro i piromani dei conflitti. Per trenta denari sono disposti a recitare questo copione pur di rimanere a galla. 

05 novembre 2012

Gli abusi della Magistratura e l'arroganza del potere

Quando i potenti si sentono fortissimi devono temere gli irriducibili, quelli che riescono a vivere con poco e che non possono zittire con denunce e farse giudiziarie. Come in altri casi ci siamo  sempre distinta, portando fatti, prove, non elucubrazioni di falsi commentaristi e quella parte dei giornalisti al soldo della cocaina. Il nostro monito, oggi, va oltre e si rivolge a quelle strutture di potere che si illudono di rimanere impunite, nascoste dietro l’autorevolezza delle istituzioni, di cui sporcano il nome ogni volta lo utilizzano per coprire la prepotenza dei suoi funzionari, per giustificarne gli abusi o accreditarne le carriere. Noi non temiamo la mafia, né le patrie galere, i questurini e i togati, perché la conoscenza ci rende inattaccabili. Vogliamo oggi denunciare il marcio di un sistema basato sullo sfruttamento delle fonti e degli informatori, che invece di essere un patrimonio dello Stato, diventano merce di scambio per gli avanzamenti di carriera, per intascare consulenze, per incassare vitalizi e cariche politiche. Sono sempre eccelsi gli sforzi dei nostri Magistrati, acclamati dalla politica e dai giornali, premiati per i loro servigi dalle massonerie e dai gruppi di interesse, glorificati dalla storia e dalla memoria. Ma quando un informatore muore, non avrà neanche una riga sul giornale, mentre la sua famiglia verrà abbandonata a se stessa, nonostante abbia reso un servizio alla nazione.  D’altro canto, in quest’era di crisi e di tagli, l’Italia è piena di corvi, pronti a tradire per trenta denari, e così a riferire i segreti e le bassezze delle istituzioni in cui hanno lavorato per anni. Vengono pilotati e accreditati come fonti autorevoli: diventano un’arma nelle mani di chi vuole atterrire lo Stato. Ebbene, tutti siamo corvi ed esiste anche una giustizia per chi li crea i corvi e li manipola. 

Nel nostro cammino abbiamo incontrato numerosi casi di ‘emarginati della giustizia’, ognuno con una storia più o meno controversa, che però indica il ruolo che viene loro riservato. Infatti, lo status dei collaboratori, nella maggior parte dei casi, non viene mai definito con grande precisione, mantenendo sempre un alone di ambiguità, per dare così modo ai funzionari pubblici di giocare sul filo del rasoio e di coprire da ogni responsabilità gli alti dirigenti, che autorizzano operazioni o consulenze non pianificate nel dettaglio, vagliate in via sperimentale e prive di qualsiasi coordinamento. Informatore, consulente, confidente, collaboratore: sono tutte espressioni che ormai non implicano uno status giuridicamente garantito. La legge tutela il loro diritto a percepire delle remunerazioni – più o meno dignitose, ma anche inesistenti – ma non protegge i cittadini che “lavorano con lo Stato” da rischi e rivalse. Nella convinzione di aiutare la collettività e di fare qualcosa per il proprio Paese (sempre ché non si è oggetto di ricatti), si accettano condizioni “non scritte” di una collaborazione che, nella totalità dei casi, sarà rinnegata, smentita e cancellata, con la produzione di documenti e prove ad hoc, che mettono al sicuro il magistrato o l’ispettore di turno. Dall’altra parte, infatti, sono in gioco carriere e promozioni, ma anche bonus o ricche consulenze, pagate con casse senza fondo. Tutto questo non contribuisce certo a creare il giusto clima di cooperazione e di fiducia tra lo Stato e cittadini, che vedranno piuttosto in esso un vespaio di ‘dipendenti pubblici’ concentrati sulle loro megalomanie. Quello dei collaboratori esterni va così a costituire un sottobosco che Procura e Magistratura usano, per poi metterlo da parte e cancellarlo, abusando indiscriminatamente del loro potere, coscienti che il muro del silenzio istituzionale li proteggerà e che i media non si esporranno in casi di scarsa audience. 
Questi sono spesso elementi ricorrenti e comuni e chiunque si imbatta in una cooperazione con indagini ufficiali o meno, passando da “persona a informata sui fatti” a inconsapevole confidente o ad informatore ufficioso, senza alcuna tutela o remunerazione. 


Operazione Exchange: tra dilettanti e abusi di potere 

E’ la storia di un imprenditore di Taranto, Sergio, che porta avanti la propria attività in maniera onesta e professionale, ma per una strana coincidenza e a sua insaputa diventa prima un 'confidente' della Procura, per poi essere coinvolto in una vera e propria simulazione di un’operazione di acquisto di titoli per cambio valuta, sotto copertura. Vogliamo premettere che le transazioni con collaterali e garanzie bancarie, rivolte al riciclaggio di denaro e alla produzione fittizia di denaro, sono state senz’altro un cancro economico che istituzioni e magistratura non sono riusciti ad arginare. Questo fenomeno è stato per molto tempo sottovalutato, nonché favorito dalla patologica pratica delle banche di accettare titoli non solvibili o non autentici, nonché dalle omissioni degli organi di sorveglianza. Seguendo la scia delle indagini in questo settore così critico, abbiamo avuto modo di apprendere come spesso le modalità e gli strumenti utilizzati dagli inquirenti per individuare ed infiltrare queste reti sono stati dozzinali e superficiali. Senza dubbio, mancano all’interno delle strutture della Magistratura e della Finanza degli esperti di specifici settori, tanto che vengono spesso utilizzati “soggetti esterni” che prestano la loro consulenza e mettono al servizio dello Stato la loro professionalità. 

Sergio infatti, nel corso della sua normale attività d’affari, viene avvicinato da un controverso personaggio, Filiberto, che si presenta come un esperto finanziario e intermediatore di operazioni di scambio di titoli per conto di grandi società. Questi lo introduce in un circuito di mediazione finanziaria e gli propone di condurre insieme degli affari, sfruttando la sua professione di mediatore creditizio onde avere accesso ad un canale attraverso il quale bypassare delle transazioni. Con il passare delle settimane tali proposte d’affari diventano tuttavia un mezzo per poter consolidare la loro amicizia, che si rivelerà un elemento critico della vicenda di cui Sergio diventa inconsapevole protagonista. Un giorno Filiberto gli presenta un sedicente broker; questi nella realtà altro non è che un semplice dipendente di una multinazionale, che afferma di avere a Londra collaboratori che organizzano operazioni di ‘cambio valuta’ attraverso titoli obbligazionari. Nel dettaglio, si tratta di reperire una obbligazione dell’importo espresso che sarà ceduta a fronte di un controvalore in euro ma decurtato; decurtazione questa che costituisce anche il guadagno dell'operazione, da dividersi fra il soggetto che ha comperato l'obbligazione e gli intermediari. In queste transazioni si maneggiano somme pari a centinaia di milioni di dollari, per cui si prestano ad essere utilizzate per ricapitalizzazioni fittizie e riciclaggio di denaro contante. 

Intuita l’illiceità del business e la mala fede dei suoi interlocutori, Sergio si sente in dovere di denunciare alle autorità quanto appreso, avendone anche l’obbligo in base ai termini di legge in quanto intermediario finanziario. In tale proposito viene assecondato da Filiberto, che tuttavia gli propone di parlare della faccenda a due suoi amici, che chiama gli “Amici della Procura”, ossia due ispettori della Polizia di Stato in servizio presso la sezione di Polizia Giudiziaria presso il Tribunale di Taranto. Mentre il primo è vicino alla pensione, il secondo è più giovane con una carriera davanti a sé. Nonostante l’iniziale diffidenza su quanto rivelato, ritenendo che dietro le operazioni di cambio valuta si celino dei banali truffatori, si dicono interessati ad indagare, ma chiedono a Sergio e Filiberto di raccogliere più elementi. A questo punto sembra cominciare un rapporto di collaborazione in cui Sergio figura come “confidente” della Procura, per intraprendere così un’indagine sotto copertura per conto e con il coordinamento degli ispettori, senza alcuna ufficializzazione dell’inchiesta o formalizzazione del suo ruolo. Verbalmente, tuttavia, promettono a Sergio una tutela della sua posizione ed un compenso in danaro per l’attività svolta in favore dello Stato. D’altro canto Filiberto sembra essere invece a conoscenza della prassi utilizzata, come anche dei funzionari della Polizia di Stato con cui ha una certa confidenza, rivelando così di aver già collaborato in passato ad altre operazioni. Racconta così di essere un ex ufficiale della Marina, di aver lasciato la vita militare senza darne spiegazione, per essere poi assunto come vicedirettore in una filiale di Taranto della BNL. Tuttavia la ricostruzione di alcuni dettagli fa emergere delle contraddizioni, ma che contribuiscono a far capire quali siano i più assidui collaboratori e confidenti delle autorità giudiziarie, e quindi solo raramente dei veri professionisti del settore che millantano di conoscere. 

Gli Amici della Procura in azione 

Foto 1. E-mail con cui Sergio e Filiberto si
scambiano il documento da loro costruito
ed attestante una falsa posizione bancaria.
I presupposti, quindi, non sono ideali per intraprendere questo tipo di avventura, ma Sergio decide comunque di continuare, prendendo le dovute “precauzioni”, ossia registrando ogni incontro e conversazione con i suoi tre compagni. Così, come suggerito, Sergio comincia a trattare con il contatto londinese o comunque con l’organizzazione che rappresenta, chiedendo una copia delle obbligazioni in dollari. Tutte le conversazioni vengono gestite attraverso un indirizzo di posta elettronica creato ad hoc, ma Sergio comunica utilizzando il proprio nome, il proprio numero di cellulare, mettendo anche a disposizione i locali dei propri uffici per gli incontri, esponendo quindi in prima persona la sua attività di intermediario finanziario. In altre parole, Sergio svolge un’attività professionale continuativa per circa un anno e mezzo, ricevendo sulla sua e-mail diversi documenti, come copie di obbligazioni, di certificati di deposito garantiti da oro, estratti di conti correnti, copie di documenti personali.

A questo punto per gli Amici della Procura, la cosa si fa interessante, ma perché il tutto coincida chiedono che siano soddisfatte delle condizioni ‘tecnico-giuridiche’, in modo da ricondurre un’operazione di riciclaggio internazionale nella competenza della Procura di Taranto, e quindi farla passare come propria indagine. Dunque, nel rispetto del codice di procedura penale, per poter condurre e continuare l’indagine è necessario: a) che i fatti delittuosi si svolgano a Taranto per incardinare la competenza presso la Procura locale; b) che il reato sia commesso o, quanto meno, che vi sia un tentativo di commissione sempre nella città di Taranto. Così nel 2008 viene iscritta la notizia reato, ma Sergio dovrà ‘infiltrarsi’ nell’organizzazione criminale e simulare a Taranto una operazione di cambio valute. Viene così posta in essere una serie di tentativi, che tuttavia falliscono, tutti preceduti da contatti telefonici o con posta elettronica, nonché di incontri registrati con supporti video e audio, accumulando un vero e proprio dossier che ha ad oggetto un’indagine per “riciclaggio di valuta USA di dubbia provenienza”.

Foto 2. Le parti indicano le percentuali di guadagno
 nell'operazione di cambio valute

Foto 3. Le parti concordano un appuntamento
davanti alla banca in cui effettuare la transazione

Una storia di riciclaggio internazionale 

I primi tre tentativi falliscono perché non rispondono alle esigenze dell’iscrizione dell’inchiesta. Infatti, il primo coinvolge un intermediario creditizio ed un avvocato entrambi di Taranto, che tuttavia utilizzano un istituto di credito con sedi legali in paesi inclusi nelle “black-list”. Il secondo dopo aver presentato al contatto di Londra una documentazione bancaria falsa, relativa ad importanti giacenze appartenenti ad un imprenditore non esistente. Infine la terza, che è anche la più clamorosa fra le tre, vede l’architettura di una finta operazione presso un conto corrente fittizio di una filiale di una Banca di Taranto, dietro l’autorizzazione scritta della Procura di Taranto, con allegato un passaporto diplomatico di un deputato straniero. Quest’ultima fallisce perché il soggetto in questione si ritira, avendo capito di essere parte di un’operazione simulata. Significativo, tuttavia, è il quarto tentativo, che porta Sergio a rintracciare due mediatori provenienti dalla Spagna che cercando titoli per cambiare valuta contante, pari a circa 500 milioni di dollari, somma di cui allegano una foto. E’ qui che termina la cooperazione con la Procura, lasciando in sospeso il contatto spagnolo, che tuttavia comincia a temere di essere finito in una trappola, avendo ricevuto una documentazione evidentemente falsa. Si chiede così a Sergio di allontanarsi dal caso, senza un perché o una ragione, affermando semplicemente che è “opportuno che si interrompa la collaborazione tra Sergio, la Procura e la Polizia di Taranto”. Ci si aspettava, tuttavia, il mantenimento della promessa a suo tempo fatta di tutelare la sua posizione, oltre che far fronte al compenso economico. La brusca interruzione dei rapporti, infatti, non mette Sergio a riparo da sgradite sorprese: la sua abitazione viene violata da qualcuno che entra alla ricerca di qualcosa. In quei concitati attimi, avviene anche una sparatoria con una volante della Polizia lì intervenuta, e gli individui sospetti scappano. 

L’interruzione dei rapporti: il silenzio delle istituzioni 
Foto 4. Il Ministero Dipartimento contenzioso
nega il risarcimento del danni

Per oltre un anno Sergio attende una risposta, ma non riceve nessun segnale, se non un’espressione di fastidio per quella presenza ingombrante. Sergio dirada progressivamente i rapporti con Filiberto che, tuttavia, continua a seguire l’indagine perché a conoscenza di particolari, che Sergio apprenderà solo dopo attraverso la missiva che il magistrato invia all’Ispettorato del Ministero di Giustizia. La Magistratura, quindi, dopo aver usato la sua persona e la sua professionalità, per soddisfare la megalomania e il desiderio di carriera di due mediocri ispettori, lo lascia solo in balia di una organizzazione internazionale dedita al riciclaggio, organizzazione che conosce gli uffici di Sergio, i suoi contatti, ogni cosa. La paura e lo smarrimento, tuttavia, non fermano Sergio, che così si attiva perché la sua storia non resti inascoltata. 

Foto 5. La Presidenza della Repubblica
demanda  la questione al CSM
Il caso viene così portato all’attenzione della Presidenza della Repubblica, del Ministero della Giustizia, del Ministero dell’Interno, della Procura della Repubblica di Potenza, a cui viene chiesto di consultare la documentazione in grado di dimostrare gli abusi della polizia e della Magistratura di Taranto, e così di tutelare la sua posizione. Il tenore ed il contenuto delle risposte è a dir poco scandaloso, lasciando cadere nell’indifferenza le richieste di intervento, mentre nessuna delle istituzioni interpellate prende la propria decisione dopo aver approfondito la questione, acquisendo la documentazione che la parte lesa ha offerto. 

La Presidenza della Repubblica ringrazia e riferisce di aver disposto il passaggio della vicenda al Consiglio Superiore della Magistratura. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione ritiene che le richieste non riguardino l’Ordine Giudiziario ma solo la Polizia di Stato. Il Ministero dell’Interno non ha mai risposto, mentre il Ministero della Giustizia si dichiara incompetente ad entrare nel merito della vicenda; in altre parole, dinanzi ad una richiesta di pagamento del compenso e di risarcimento dei danni causati da magistrati, dichiara di poter intervenire solo nel caso in cui sia instaurato un contenzioso. 

Un abuso per coprire le violazioni nelle indagini 

Foto 6. L'Ispettorato definisce Sergio
confidente e testimone
All’ispettorato Generale del Ministero della Giustizia scrive la Procura di Taranto, in particolare lo stesso procuratore aggiunto che ha curato le indagini del caso, aprendo un’indagine ispettiva (cosiddetto modello 45), anch’essa abusiva perché il foro in questione non costituisce un organo territorialmente competente a seguire un’indagine interna per l’accertamento dell’esistenza di un reato, che tra l’altro si tratterebbe proprio di un abuso di ufficio commesso dai magistrati della stessa Procura. Viene perpetrato, in altre parole, “un abuso nell’abuso” che è direttamente strumentale ad esercitare delle pressioni e delle intimidazioni nei confronti di Sergio e del suo avvocato, e che lascia perfettamente trasparire il patologico modus operandi della magistratura, destinato nei fatti a pilotare e a manipolare le inchieste. Di fatti, lo scopo del magistrato in questione sembra quello di aprire un’indagine esplorativa per accertarsi della portata della documentazione in possesso di Sergio, per controllarne l’esito e indurre all’archiviazione un eventuale secondo tribunale che avrebbe indagato sullo stesso caso, nonché per coprire gli abusi fatti dagli ispettori di polizia. 

Foto 7. L'ispettorato nega aver delegato la Procura di Taranto alla identificazione.
Dalla documentazione raccolta da Sergio, emerge infatti che il Magistrato conferma l'esistenza dell'indagine per “riciclaggio internazionale di valuta USA di dubbia provenienza”, e che sono state fatte delle rogatorie verso Paesi esteri, avvalorando la tesi che sono state consultate e acquisite dagli ispettori le copie dei collaterali e delle garanzie bancarie reperite per conto della polizia e presenti sulla casella di posta elettronica. In secondo luogo, viene precisato che Sergio è stato assunto a “sommarie informazioni” nel dicembre del 2009 “in relazione ai fatti descritti in una memoria a firma dell’informatore” (ndr. Filiberto), il quale per la Procura rappresenta colui che ha fornito delle informazioni valide ai fini dell’apertura di un’inchiesta e ha presentato Sergio agli ufficiali della Polizia Giudiziaria (gennaio 2008). La contraddizione nei termini è evidente, considerando che il Magistrato prima afferma che Sergio era a conoscenza dei fatti (avendo partecipato a dei colloqui tra un informatore e degli ispettori) e poi dice che è stato assunto a sommarie informazioni dopo oltre due anni. E’ interessante notare che nel dicembre del 2009 Sergio viene convocato dalla Procura per effettuare una “correzione” del nome di un soggetto indagato: un banale espediente per giustificare la sua acquisizione a sommaria informazione, e così la sua eventuale partecipazione ad una parte delle indagini, testimoniata da una corrispondenza con i contatti londinesi per circa 1 anno e mezzo. Ma allora se Sergio era informato dei fatti, perché non è stato indagato?E se non è tra i sospetti, allora era “parte attiva delle indagini” come organico alla Procura. 
Inoltre, sempre nella famosa indagine esplorativa il vice Procuratore dispone di sua iniziativa – e non dietro la richiesta dell’Ispettorato - l’identificazione di Sergio e del suo avvocato (nov-dic 2011) nonostante sapesse benissimo chi lui fosse, ponendo domande generiche se “avesse qualcosa da raccontare” e non “sulle modalità di partecipazione alla vicenda”. Una evidente messa in scena volta ad intimidire le parti, una prassi molto diffusa ormai nella magistratura, che tenta di pilotare le indagini degli avvocati e di ostruire quelli che escono “al di fuori dagli schemi posti loro dai procuratori”, spingendosi sino all’iscrizione per i reati di cui sono accusati i loro clienti. 

Foto 8. La Procura di Potenza
archivia l'indagine
Successivamente, in una comunicazione dell’Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia, Sergio viene individuato come “confidente e testimone”, ma non è mai stato né l'uno, né l'altro. Vi è quindi una difficoltà, anche da parte degli Uffici del Ministero, nell’inquadrare la sua posizione considerando non può essere definito in documenti ufficiali infiltrato, per non compromettere così l’esito dell’indagine ispettiva. Eppure nella prima lettera invitata al Ministero, il caso viene descritto come “una vera e propria attività di simulazione”, parole queste che non vengono recepite dal dicastero, ma vengono anzi cambiate. Nel frattempo, l’avvocato di Sergio decide di adire la Procura di Potenza – organo territorialmente competente ad effettuare indagini sui magistrati di Taranto – che tuttavia archivia l’indagine basando la propria decisione solamente su due delle cinque denunce e integrazioni depositate da Sergio, senza spiegarne le ragioni. Ci si chiede allora se siano mai arrivate a Potenza queste integrazioni o se non siano state prese proprio in considerazione. La complessità della macchina giudiziaria e la machiavellica opera dei suoi funzionari rendono praticamente inespugnabile la fortezza della Magistratura da parte di chi tenta di condannarne gli abusi. Tutto questo lascia ben trasparire quanto sia corrotta la casta delle doghe, nelle cui mani si racchiude la paralisi dell’intero sistema giudiziario e così le sorti di cittadini e imprese. 

Tiriamo le somme e l’amara morale 

E’ quindi evidente il perché si è cercato in tutti i modi di mettere a tacere questo caso, e così di mantenere nascosto al grande pubblico il modo con cui vengono portate avanti delicate inchieste. Sono state violate le normative che regolano le cooperazione con civili in attività di indagine o simulazioni, con un duplice abuso di ufficio nel tentativo di coprire le violazioni commesse nella gestione dell’intero caso. Vi è stata inoltre una malversazione del denaro pubblico per intraprendere un’inchiesta destinata a soddisfare le manie di protagonismo di alcuni funzionari. Ci chiediamo, quindi, se questa indagine sia stata conclusa e abbia portato a qualche risultato, ma soprattutto se e da chi è stata intascata la provvigione della consulenza per la gestione dei contatti e la simulazione. Non vorremmo, infatti, che sia stata messa in piedi una tale farsa per creare un’inchiesta, e successivamente assoldare i soliti consulenti, con cui magari spartire la parcella. A questo punto, si pone un altro problema, ben più grave, ossia perché la Magistratura di Taranto non ha pubblicato i resoconti delle spese per le consulenze esterne sostenute tra il 2008-2010, come prevede la legge sulla trasparenza. 

Sarebbe quindi interessante cominciare a condurre una sorta di censimento “a campione” dei casi di inchieste pilotate, di reperimento di informatori e fonti. Si potrebbero così capire quali sono i legami che uniscono i magistrati alle consulenze esterne, agli avvocati di ufficio, alle lobbies di affari e ai gruppi di interesse. In tal senso, potrebbe così emergere la vera natura di tante promozioni, il motivo delle carriere politiche di alcuni magistrati, quali sono le forze che impediscono il regolare funzionamento della macchina dello Stato. Il nostro è quindi un messaggio che lanciamo a chi ‘ha orecchie per intendere’, a quei magistrati che mettono le loro firme a matita per poi poterle cancellare.  Quindi diffidiamo chi si vende alle Corporation, alla massoneria e ai centri di potere occulti, alle ONG finanziate dalle lobbies.

01 novembre 2012

Il progetto farsa della cooperazione energetica nei Balcani


Roma – Aspettando senza molti indugi la vittoria di Boris Tadic e la conferma della sua lobby politica al potere, i cosiddetti ‘big dell’energia italiana’ finanziavano agenzie di stampa auto celebrative per accreditarsi e testimoniare la solida alleanza strategica italo-serba. Aerei privati, abbracci e strette di mano, nonché progetti di sponsorizzazione della cultura italiana, fondi per le ONG e altre distribuzioni di beni tra il popolino dell’internazionalizzazione del Sistema-Italia. Tutto questo, tuttavia, non è bastato a portare in porto il leggendario progetto idroelettrico di Seci Energia-Gruppo Maccaferri, e così a compensare l’abisso politico che divide l’Italia da colossi aggressivi con Germania, Russia e Cina. Inutilmente il nostro Ministro ‘del nulla’ Giulio Terzi si è recato a Belgrado con un aereo di linea per strappare al nuovo Governo di Nikolic la garanzia che sarebbero stati confermati gli accordi presi con Tadic. Evidentemente non è stato abbastanza persuasivo, visto che il progetto di legge di ratifica del partenariato energetico tra Italia e Serbia è stato ritirato perché incompleto. A quanto pare, mancano alcuni ‘dettagli’ da definire con la Republika Srpska, terzo partner del progetto sul Drina, che deve nel frattempo risolvere i suoi problemi esistenziali con la Bosnia Erzegovina per la definizione delle competenze e dei poteri nel decidere sui progetti transnazionali che insistono su un confine, non avendo una sovranità statale. Un particolare che è stato portato all’attenzione proprio dai cugini tedeschi che, senza andare molto per il sottile, hanno inviato ai politici locali chiari avvisi che si sono tradotti in mozioni parlamentari del Bundestang e in richieste di indagine ai procuratori locali su casi di corruzione. Così i media si riempiono di articoli aggressivi, assoldano giornalisti locali, fanno tutto quello che devono per proteggere le loro aziende, agiscono in squadra, lavorano, studiano e tracciano i confini.
 
Peccato che tutto questo era stato più volte segnalato dall’Osservatorio che segue il caso del cosiddetto progetto energetico italiano nei Balcani da anni. Tuttavia è rimasto inascoltato perché sottoposto all'embargo finanziario della Farnesina, dopo essere stato definito ‘nemico giurato’ della Cooperazione Italiana, della fantomatica Confindustria Balcani e degli altri filosofi dell'ICE. Numerosi sono stati i nostri allarmi sull’esistenza di pressioni che i governi locali subivano per definire ‘nero su bianco’ gli accordi presi in via informale con gli italiani. Le minacce ora sono passate in fase esecutiva, chiudendo i canali ai grandi investimenti energetici italiani nella regione. Quindi, adesso saremo molto chiari e molto coincisi, per evitare fraintendimenti. Per la diplomazia italiana e gli affaristi si è chiusa definitivamente l’epoca delle speculazioni. Il fallimento italiano si deve interpretare, prima di tutto, come la conseguenza della mancanza di una lobby in grado di gestire rapporti transnazionali e multiculturali, e soprattutto della presenza in cariche molto delicate di persone preoccupate a curare la propria carriera. Sarebbe ora opportuna una ritirata strategica della nostra Armata di Brancaleone, abbandonando le proprie posizioni megalomani su progetti di un certo tenore politico che non siamo in grado di sostenere, per ricreare una strategia basata sulle piccole e media imprese, fulcro del Made in Italy. Anche in tal caso, la cooperazione con l’estero non deve essere di selvaggia delocalizzazione portando il Paese alla miseria, bensì di reale partnership per la rivalutazione della specializzazione e delle conoscenze delle nostre imprese.

L’Osservatorio  ha vinto una battaglia, affermando sin dall’inizio che questo progetto non poteva essere portato a termine, perché solo una messa in scena millantata da diplomatici in cerca di gloria e da società a rischio fallimento. Il risultato è stato una ‘figura da niente’ dinanzi alla Serbia e all’intera Europa. Chi ripagherà i soldi che la diplomazia-Italia ha speso per mettere in piedi questa farsa? E’ inconcepibile che dei funzionari di Stati inseguano dei sogni. 


17 settembre 2012

Il Ministero risponde all'interrogazione parlamentare sulla Dalmatinka: il bluff della Farnesina


Roma - Il Ministero degli Esteri ha inviato la sua risposta alla interrogazione parlamentare dell'Onorevole Roberto Menia sul caso La Distributrice - Dalmatinka Nova e sulle specifiche misure che la Farnesina intende adottare in merito. Il testo redatto dal Sottosegretario agli Esteri, Staffan de Mistura, risponde in maniera superficiale e sommaria alle esplicite domande per fare chiarezza sulla dinamica degli eventi, lasciando in realtà trasparire che la diplomazia italiana si limiterà a seguire gli sviluppi del caso e a mantenere la comunicazione con i Fratelli Ladini. 


Viene infatti confermato che lo Stato italiano non parteciperà, in ogni caso, al sostenimento delle spese relative ad una eventuale procedura di arbitrato internazionale, contrariamente a quanto previsto dalla convenzione italo-croata. Nessuna parola viene invece spesa sulle garanzie che suddetta convenzione dà agli imprenditori italiani danneggiati da una violazione della controparte, né sulla verifica di un'inadempienza od omissione dei funzionari dell'Ambasciata italiana. Nella sua 'parziale rilettura dei fatti', la Farnesina cade in un'evidente contraddizione, riportando in maniera sbagliata la cifra delle imposte contestate dalle autorità croate che, invece di 198.000 euro, ammonta a 365.000 euro, che poi sommati ad ulteriori interessi passivi penali, accumulati nei successivi anni, è arrivata sino a 800.000 euro. Inoltre, i capitali investiti erano stati regolarmente contabilizzati dalla Dalmatinka, e non 'erroneamente' come detto dall'Ambasciata Italiana


Questo come dimostrato anche da tre perizie giudiziarie della parte croata e dalla sentenza definitiva emessa dal Tribunale di Spalato (data 04.04.2005) che conferma l'aumento del capitale sociale della Dalmatinka a 3 milioni di euro (da 120.000 Kune a 21.323.000). Si tratta di importi investiti nel capitale sociale, quindi non tassabili, che sono stati invece trattati dal Ministero delle Finanze Croato come utili straordinari, in contrasto alla sentenza del Tribunale, passata in giudicato, nonchè delle leggi regolarmente in vigore. La stessa denuncia presso il Tribunale Penale nei confronti de La Distributrice Srl, dopo controlli dettagliati, è decaduta con una sentenza di completa assoluzione, non avendo rilevato nessuna illegalità o violazione di legge da parte degli investitori italiani.  Con in mano i verdetti positivi, i Fratelli Ladini hanno chiesto alle autorità croate, informando al contempo l'Ambasciata Italiana, un intervento delle istituzioni per far terminare la persecuzione legale nei loro confronti.


Sebbene vi sia stata una tiepida promessa positiva da parte del precedente Governo croato, l'Ambasciata Italiana ed il Ministero degli Esteri, dal 2004 in poi, non hanno fatto nulla per garantire il rispetto della legge, sino all'aprile del 2011, quando vi è stata una segnalazione dell'allora ambasciatore, citando la perizia redatta da uno studio croato e la quale conferma le violazioni della legge croata e della Convenzione italo-croata sulla Protezione e Tutela degli Investimenti. Il triste esito di questa storia è che i sindacati e gli imprenditori croati si sono schierati a favore dei Fratelli Ladini che hanno ricevuto persino una lettera a firma del Presidente della Repubblica croato, che promette un intervento personale per chiarire la questione. La pessima gestione di tutta la vicenda è stata confermata dagli stessi funzionari europei che, secondo fonti dell'Osservatorio , sono rimasti allibiti. Ciononostante, la Farnesina si riduce ad inviare una pessima e confusa risposta, scritta forse in maniera 'rocambolesca' in una notte. D'altro canto, La Distributrice non ha la stessa risonanza politica che può avere Fiat, Maccaferri e A2A, per le quali la diplomazia italiana si è esposta fin troppo, osando sul filo del rasoio. 

Egregio Sottosegretario de Mistura, ci aspettavamo qualcosa di più che un contentino per far tacere la stampa. Leggiamo in questa risposta solo ipocrisia e disinteresse, per un caso sin troppo sottovalutato dal Sistema-Italia,  che poi si è rivelato sintomatico di un malessere strutturale.Tutta la macchina diplomatica per anni ha vissuto tra ricevimenti e serate di gala, i nostri funzionari hanno sfruttato la loro posizione per fare una personale carriera affaristica e per i cosiddetti 'ricongiungimenti famigliari'. La manovra di Napolitano di mascherare da governanti dei tecnici burocrati non è altro che un  commissariamento, che ha messo al potere gente che fino ad ieri sedeva dietro scrivanie da 30 mila euro al mese, al soldo delle Banche. Oggi abbiamo perso anche la nostra sovranità statale, lottiamo per la sopravvivenza di una nazione che non esiste, ormai caduta nella più totale vergogna. 
Crediamo di morire per la patria ma moriamo per le banche. 


14 settembre 2012

Commissione Europea interverrà sul caso Ladini-Dalmatinka


Zagabria - A seguito dell'incontro tenutosi a Bruxelles, lo scorso 10 settembre, tra i rappresentanti di La Distributrice e del Direttorato Generale per l'Allargamento presso la Commissione Europea, Dirk Lange e Angela Longo, è stato confermato che le autorità europee interverranno sul caso Dalmatinka Nova. Questo quanto appreso dall'Osservatorio Italiano da fonti europee, interrogate sull'esito dell'incontro. Nonostante la normativa europea non preveda interventi per casi privati, vista la gravità del caso in questione, che ha portato ad un'espropriazione illegale ai danni di una società, in via eccezionale la Commissione Europea ha deciso di prendere in esame la vicenda, in coordinamento con l'Ufficio di collegamento a Zagabria, intervenendo presso il Governo croato per definire una soluzione. Ai rappresentanti del Direttorato, ed in particolare a Dirk Lange, i Fratelli Ladini hanno consegnato i vari documenti comprovanti le illegalità subite in Croazia, anche l'ultima lettera ricevuta dal Sindacato Croato - HUS che, assieme al rappresentante degli imprenditori croati, da parte del Presidente Ivo Josipovic, in quale si è impegnato ad intervenire personalmente per risolvere il caso.

L'epilogo di questa vicenda a cui stiamo assistendo mostra quanto sia vergognoso che i nostri ambasciatori, che percepiscono 380 mila euro all'anno, non abbiano tempestivamente agito per difendere le nostre aziende e le convenzioni, pensando così alle loro carriere, alle cene diplomatiche e ai ricevimenti. Nonostante abbiamo chiesto al Ministero degli Esteri delle risposte a delle domande chiare, e nonostante ci sia stata un'interrogazione parlamentare, il Ministro Terzi non si è degnato di rispondere, neanche dinanzi allo stesso Parlamento.  Oggi l'Europa interviene a dimostrazione della giustezza delle ragioni dei Fratelli Ladini, ai quali non è stata data l'assistenza dovuta. I nostri diplomatici dicono che difendono le piccole e media imprese, ma le hanno abbandonate dinanzi alla prima difficoltà. Chi dice di rappresentare l'Italia tradisce l'onor di Stato per difendere la propria poltrona,  e non rinuncia ai ricchi stipendi in pieno clima di austerity, lasciando nel baratro le aziende. Qualcuno dovrà rispondere delle proprie responsabilità, e continuerà ad essere monitorato nel suo operato. L'Osservatorio Italiano non lascia da sole le imprese che chiedono il loro aiuto, e si batterà perchè venga creata un'Unità di Crisi speciale per le piccole e medie imprese, che intervenga in casi specifici e istituisca note di demerito per i funzionari inadempienti.

02 agosto 2012

Il Ministro venuto dall'America

E' questa una Italia degna di onorabilità, e non fatta da cialtroni, da falsi banchieri, falsi agenti, falsi politici, falsi imprenditori, false minacce, falsi ministri. Nelle loro parole traspare una verità che questo Governo non vuole riconoscere, per nascondere il vile servilismo verso questa guerra delle lobbies. 

L’intervista che i due tecnici italiani Oriano Cantani  e Domenico Tedeschi - hanno rilasciato alla TV siriana. parlando dell’esperienza subita, prima che, durante il viaggio di rientro in Italia, venissero pressati perché modificassero la loro testimonianza. Fonte: Syrian Free Press
Il nostro Ministro Terzi pur di non ringraziare Bashar Al-Asaad, fa pubblicamente dichiarare che non vi è stato nessun blitz e cerca di far passare la cosa in secondo piano. Mentre fa sapere a tutti che vola in Serbia 'con un aereo di linea', non disdegna di scaricare miliardi nelle cosiddette missioni cosiddette di pace, ricevendo a Roma la famosa 'opposizione siriana', alleata con Al Qaeda nella sua sporca guerra fratricida. Ma forse il Ministro Terzi avrebbe preferito che i due tecnici italiani fossero stati sgozzati, avrebbero fatto molto più comodo alla causa, e avrebbe dato meno problemi rispetto a due cittadini liberati e rispettati, pronti a testimoniare la verità.

Un gruppo di terroristi, che appartiene alla frangia dell'opposizione siriana, sequestra dei civili, li fa allineare ad un muro e li fucila a sangue freddo. Questi sarebbero i movimenti di rivoluzione sostenuti dall'Occidente e così anche dal nostro Ministro Terzi.
La questione siriana sta diventando ridicola, tra chi bleffa e chi pensa che sta girando un film. Forse ci hanno preso per degli stupidi, offendendo la nostra intelligenza.  Sono crollate le due torri, siamo andati a bombardare Paesi cercando armi di distruzione di massa che non sono mai state trovate, e tanti altri fronti di guerra sono stati aperti senza aver mai portato una prova. La CIA, che si ritiene il più grande servizio segreto al mondo, nei fatti ha collezionato storicamente tante figuracce, sino a diventare una barzelletta. Noi che dovremmo essere i complottisti, veniamo superati da chi sta facendo un cinema interminabile, insomma "ci stanno anche rubando il lavoro".  Non ci riconosciamo in questa 'Italia S.p.A.',  fatta di persone che vuole credere al cinema delle televisione, fa finta di credere, perchè non ha il coraggio di dire 'No'.  Avete giurato di difendere la nostra onorabilità, e non di essere fedeli alle Corporation. Questa gente non ha più il senso della vergogna, e ognuno di noi dovrebbe fare qualcosa nel proprio piccolo per rallentare questo processo.
Fuori i vigliacchi dallo Stato!

"Abbiamo visto lo scorso anno come la BBC abbia cambiato i nomi dei terroristi per adattarsi alla loro storia. Da manifestanti pacifici, a disarmati manifestanti pacifici, ad attivisti dei diritti umani, a pacifici attivisti dei diritti umani, ribelli, forze dell'opposizione, esercito di liberazione siriano e ora Shabiha", scrive Marco di Lauro, fotografo italiano. Nel suo commento, testimonia la manipolazione fatta dalla BBC, utilizzando una foto risalente all'attacco di Al Mussayyb, in Iraq, nel 2003, per accreditare il massacro di Houla.  Ricordiamo come i Paesi Occidentali non hanno voluto fare nessuna inchiesta su quella strage, avvenuta proprio alla vigilia di una riunione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.  Chissà perchè i siriani abbiano tentato di 'auto-condannarsi' prima della votazione di una risoluzione.