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31 luglio 2007

Arriva il mutuo eterno


Il mercato bancario si adegua all'invecchiamento delle generazioni e dopo i mutui quarantennali e o cinquantenari, lancia il mutuo eterno, con la possibilità dunque di destinare il proprio debito agli eredi. Ubi Banca offre mutui da 50 anni e il Credito Valtellinese consente ai clienti di "girare" l'impegno agli eredi, dando così vita al credito eterno, perché sarà possibile rinnovare più volte un mutuo ventennale, fino a trasferirlo da padre in figlio alle condizioni iniziali: ecco che nasce il mutuo intergenerazionale.
Le motivazioni addotte dai Banchieri dell'introduzione di questo tipo di contratti possono ridursi alla necessità di assicurare alle generazioni del presente la possibilità di accedere a mutui plurimilionari e così il diritto alla casa, oppure alle mutate condizioni del mercato immobiliare o dell'innalzamento del rischio e così del costo dell'accesso al credito. In realtà, è stato creato uno strumento diabolico, che crea l'illusione nel presente di poter contrarre con facilità un mutuo senza tener conto di alcun limite di età , per porre poi in capo alla famiglia e agli eredi futuri il debito contratto della vita precedente. Domani non sarà sufficiente una vita per comprare una cosa o contrarre un mutuo, ma occorrerà vendere la vita delle proprie generazioni alle Banche, che diventerà creditore eterno nei confronti della famiglia.

Chi vuole contrarre un mutuo extralungo si potrebbe inoltre trovare nella situazione di dover costruire la propria garanzia mediante una polizza assicurativa contro eventi temporanei o permanenti : in questo caso può essere la banca stessa a proporre un'ampia gamma di scelta di polizze assicurative Vita e multirischio, opzioni di rinvio delle rate e altri sistemi di dilazioni. In tale trucco delle Banche si nasconde l'ulteriore beffa, oltre il danno, di essere costretto ad accettare un altro contratto di debito che sarà strumentale a pagare il primo debito. Un debito a fronte di un altro debito, che rischia di provocare, proprio in funzione della ricapitalizzazione degli interessi un circolo vizioso di interessi e debiti che non si ferma alla nostra prima vita, ma si protrae negli anni venire in capo alle generazioni. Si tratta di un sistema di usura e di grave violazione dei diritti degli individui, in quanto diventano vittime inermi delle condizioni dettate dal mercato.
In realtà un'apertura in tal senso si è avuta già anni fa, con la Finanziaria del 2005, quando fu introdotta una sorte di deregolamentazione che ha portato all'introduzione del cd. Mutuo vitalizio. Allora, per far fronte al problema della capitalizzazione degli interessi nei mutui ipotecari diretti a persone che hanno più di sessantacinque anni, la Finanziaria ha introdotto la VIA ( valorizzazione immobiliare anticipata ). Alla base del provvedimento vi è la considerazione del fatto che esiste un limite al valore del debito, che non può mai superare il valore dell’immobile, sarà possibile conservare la piena della proprietà da parte del mutuatario, e avere il rimborso anticipato in ogni momento: questa ricchezza creata potrà così essere messa a disposizione delle stesse generazioni future. La VIA dunque si era prefissata di creare questo ponte "di solidarietà intergenerazionale", preso proprio dal modello inglese. In particolare con il "mutuo vitalizio" della finanziaria del 2005, anche gli anziani al di sopra dei 65 anni possono richiedere un finanziamento ipotecario, che verrà poi rimborsato in un'unica soluzione alla scadenza del contratto o alla loro morte, e fino a quel momento, gli interessati non dovranno pagare nulla alla banca. L'intero debito sarà poi estinto dagli eredi che potranno saldare il debito o, in alternativa, utilizzare l'abitazione per pagare il debito e realizzare la restante parte del valore della casa. E' nato dunque come un strumento per "monetizzare" il valore della casa degli anziani, in modo da creare così una sorta di sostegno all'età pensionabile, oppure per aiutare i figli per l'acquisto della casa.
In un certo senso, dunque la VIA, ha gettato le basi per quelle norme bancarie che rilanciano sempre più all'aumento degli interessi, e così degli anni del debito, fino ad annullare completamente la capacità di un individuo di estinguere i propri debiti durante la sua vita. Il sistema bancario crea così una sorta di vincolo per le famiglie e le generazioni a venire, imponendo così il ricatto perenne della perdita della propria abitazione. Così mentre prima era possibile lasciare in eredità una casa, un patrimonio, un domani si lascerà un mutuo e un debito da estinguere, pena la perdita di tutto ciò che è stato costruito durante un'intera vita.

24 luglio 2007

Ciò che non possiamo vedere


Nonostante le parole dei politici, dei diplomatici e dei generali che tanto si sono agitati dinanzi alle telecamere per giustificare una guerra giusta contro il terrorismo, oggi assistiamo al crollo delle bugie e delle falsità . Da sempre ci stanno dicendo che siamo in Iraq per la pace, siamo soldati di pace, usiamo armi di pace, e anche i dollari del petrolio, sono la moneta della pace. I video che vi proponiamo, mostrano l'evidenza dei fatti, lasciano poco spazio ai commenti, ma senz'altro fanno vedere quella realtà che le grandi organizzazioni internazionali non vogliono vedere, né l'ONU né le altre nazioni che continuano a inviare contingenti.



Osserviamo queste immagini, e cerchiamo di non dimenticare ciò che vediamo, per evitare che in futuro utilizzino queste stesse fossi comuni per criminalizzare un popolo, additandolo come macellaio. Srebrenica ci ha insegnato molto, e ci ha dimostrato come, a distanza di anni si continua a scavare, con il rischio che ben presto i corpi ritrovati siano di gran lunga superiore alla popolazione del villaggio stesso. Chi oggi è andato in Iraq per difendere un popolo indifeso del genocidio di Saddam, ha fatto delle fossi comuni, nascondendo nella sabbia i corpi delle vittime civili massacrate dal "fuoco amico" : viviamo dunque in un clima di totale menzogna, dinanzi alla quale ogni "carta dei diritti dell'uomo" cade. Mentre tutti fanno le conferenze per la pace, in realtà si accordano per la spartizione dei territori, creando guerre e conflitti in ogni parte del mondo. L'ennesima prova del fatto che chi fomenta i conflitti conduce le conferenze di pace, sono le parole di Bush che oggi prende tempo sulla questione dell'Indipendenza del Kosovo, quando l'aveva sempre sostenuta a viso aperto. Avevano tutti esultato ma, quando il Kosovo ha annunciato che alla fine di questo mese sarebbe stata proclamata l'Indipendenza, Condoleeza Rice ha affermato con toni duri, che "non è ancora giunto il momento".
È la nuova New Economy che fa della pace la guerra, e della guerra la pace. Mentre Bush distribuisce tipografie di dollari in giro per il mondo per fomentare le guerre, i suoi mercenari sono lanciati sulla folla inerme in nome del petrodollaro che sta sostenendo l'economia mondiale, per diffondere la democrazia. Come mostra anche il video, gli effetti di questa democrazia imposta sono disastrosi: la polizia irakena, direttamente arruolata e gestita dai contingenti americani, applica la legge del più forte, eseguendo a sangue freddo le pene.


Sunniti contro Shiiti, irakeni contro i propri fratelli, attori di una guerra civile voluta e sostenuta dalle forze occupanti dell'Iraq. E di questo anche l'Italia ha le sue colpe, perché ha contribuito ad un conflitto perenne sacrificando la vita dei suoi soldati che pensano di morire per la libertà, ma poi lottano per i petrodollari. I media non possono trasmettere queste immagini, non ne hanno neanche il coraggio, perchè sono vergognose, e perché occorre proteggere i politici, che sicuramente diranno che questo è il prezzo che dobbiamo pagare per servire il sistema. Ma in nessuno notiziario parlerà mai dei 20 container bloccati della ditta di stato albanese MEIKO carichi di armi destinate alla Turchia . Cosa possiamo aspettarci da noi stessi se abbiamo fatto morire migliaia di bambini in un mese con un embargo? Se i signori della Guerra parlano di valori familiari e poi si scagliano come belve affamate sulle popolazioni che hanno petrolio? Le borse sono ormai impazzite, l'America è oggi una mucca pazza, che ha perso il controllo di tutto e sta diventando aggressiva , mentre la crisi si fa sentire già nei Paesi poveri. In Macedonia e in Albania, è lo Stato stesso a non poter più lavorare e sta così superando questa terribile crisi energetica lavorando solo quattro ore al giorno. I contraccolpi si sentono e sono sempre più vicini. La pace e la guerra oggi sono divenuti nelle loro mani dei concetti molto relativi, ma sicuramente abbiamo capito che questo è un inferno, dettato dalle leggi del dollaro.

19 luglio 2007

Una strategia Europea per la gestione dell'acqua


L'Unione Europea stila un rapporto sulla mancanza d'acqua, prevendendo il rischio di una pericolosa siccità che può compromettere l'ecosistema economico dell'Europa. A tale rapporto fa eco la proposta della Commissione Europea di intraprendere un dibattito all'interno degli organi europei, al fine di studiare e stilare un programma per l' economia dell' acqua e l'utilizzazione razionale di questa risorsa. La Commissione Europea annuncia dunque la necessità di un approccio integrato nel campo delle risorse idriche, che guidi gli Stati nazionali nelle politiche di razionamento delle risorse tra agricoltura, industria, e uso quotidiano.
Secondo l'Unione Europea, la mancanza di acqua risulta da un squilibrio a lungo termine causato dall'utilizzo dell'acqua superiori alle risorse idriche disponibili. Nel libro verde sull'adattamento al cambiamento climatico, ci tiene infatti a precisare i rischi di un peggioramento della situazione dell'Europa se le temperature continuano ad aumentare e se non viene adottata nessuna strategia di ben coordinata a livello europeo . Per questo la Commissione ha definito una prima serie di opzioni strategiche da adottare ai livelli europei, nazionali e regionali per rimediare al problema della mancanza d' acqua e della siccità, basato su un approccio integrato di diversi provvedimenti. Innanzitutto viene prevista la fissazione di un prezzo standard , il rafforzamento del principio "chi inquina-paga" qualunque sia la provenienza dell'acqua. È essenziale inoltre intensificare gli sforzi per porre in essere dei programmi obbligatori per misurare il consumo d'acqua, incentivare l'uso razionale, per porre un rimedio ad una prassi che porta a fare di tale risorsa uno spreco eccessivo. Secondo le stime, l'Europa spreca intorno al 20% delle sue risorse in acqua, percentuale che potrebbe alzarsi fino al 40% nei prossimi anni, anche questi margini di spreco è già presente in Paesi come l'Italia, tra i primi citati come Stati a rischio. La Commissione inoltre suggerisce che si vada ad agire anche sulle riforme per modificare il modo di cui l'acqua è distribuita agli utenti ed il modo per utilizzarla mediante una ripartizione adeguata dell'acqua tra i settori economici. Si suggerisce così di elaborare una gerarchizzazione dei settori che possono accedere all'utilizzo dell'acqua, nonché una politica efficace di tariffazione dell'acqua e delle misure economicamente vantaggiose per migliorare la gestione dei bisogni in acqua prima di optare per la costruzione di nuove infrastrutture di approvvigionamento dell' acqua supplementare. Perciò, la durata delle risorse idriche dovrà essere completamente regolamentata con il razionamento delle risorse che ognuno dispone, e con un costo ben preciso che riesca a misurare il corretto utilizzo.

Il fatto che l'Europa si schiera in maniera così incisiva nei confronti delle politiche di gestione delle risorse idriche, implica che vedremo ben presto una qualche interferenza comunitaria all'interno delle decisioni degli Stati. Tuttavia, la fissazione di principi standard per Paesi che presentano caratteristiche differenti, potrebbe trasformarsi in un grave problema. E' già in atto infatti un processo di privatizzazione degli acquedotti e delle reti idriche, proprio in nome dei principi di razionamento delle risorse e di riduzione degli sprechi. Ci si aspettava una contro-tendenza, che andasse a cautelare le risorse idriche degli Stati per impedirne il furto da parte di multinazionali e società che operano nel settore energetico, essendo loro quelle che maggiormente ambiscono all'acquisizioni delle fonti. Tuttavia, l'avanzare della siccità e dell'emergenza idrica, nonchè il peggiorare della situazione finanziare degli acquedotti, già in parte privatizzati, porterà gradualmente all'introduzione di norme sempre più stringenti e invasive, su un bene vitale.

16 luglio 2007

Vicina la riforma del diritto societario europeo


La Commissione Europea annuncia, con una comunicazione al Parlamento e al Consiglio Europeo, il suo piano per la deregolamentazione amministrativa per le piccole e medie imprese e il diritto societario europeo. L'Unione Europea propone infatti un piano di riduzione dei costi amministrativi, ossia quei costi sostenuti dalle imprese per conformarsi all'obbligo giuridico di fornire informazioni sulla propria attività o produzione ad autorità pubbliche o a privati.
Lo scopo dei dieci interventi della Commissione, da porre in essere in alcuni mesi, è quello di fornire dei principi guida per gli Stati che dovranno cercare di abbattere del 25% le formalità amministrative richieste alle imprese, per lo svolgimento della loro attività economica.
I settori individuati abbracciano il diritto societario, la legislazione farmaceutica, l'ambiente e i rapporti di lavoro, la legislazione fiscale dell'IVA, le attività agricole con le relative sovvenzioni, i trasporti, la pesca, i servizi finanziari, e gli appalti pubblici. In particolare, una delle prime materie oggetto di discussione, è stato il diritto societario comunitario, con un progetto di riforma che presenta tutti i presupposti della deregolamentazione, e che sicuramente risponde ad un'economia che è sta cambiando e che in parte è già cambiata.
La Commissione presenta un piano di semplificazione in materia di diritto delle società, di contabilità e di controllo dei conti, includendo, tra le principali misure considerate, l'abrogazione di direttive in materia di diritto delle società che riguardano essenzialmente delle situazioni nazionali, fusioni e scissioni di società, Spa e Srl . È inoltre prevista l'abrogazione di certi obblighi di comunicazione che si applicano alle imprese ed alle loro filiali, e la riduzione di obblighi di trasmissione delle informazioni finanziarie per il controllo dei conti delle piccole e medie aziende. Questo tipo di norme, secondo i dati della Commissione, potrebbe colpire più di 600 000 società di capitali, e in particolar modo le società alle mani di un numero limitato di azionisti.
La deregolamentazione del diritto societario, insieme con la riduzione dei costi amministrativi per le società, rappresenta senz'altro un tipo di azione legislativa necessaria, considerando la difficoltà di iniziare e sostenere un'attività di impresa. Tuttavia, è una riforma che risponde all'esigenza di rendere le imprese più flessibili e più virtuali possibili, in modo che siano compatibili con un modello economico differente, in cui le imprese che non riescono a produrre un vero valore aggiunto muoiono, perché la competitività è molto elevata.
Il futuro del diritto societario - mediante l'eliminazione dei costi per la costituzione, degli obblighi di informativa e di comunicazione - è destinato ad avvicinarsi sempre più al modello anglosassone caratterizzato da un'amministrazione molto scarna. La costituzione avviene con costi minimi, senza obbligo di versare capitali, gli unici obblighi di informazione si riducono all'iscrizione di un registro di imprese che non è altro che un portale di imprese, la redazione dei bilanci e la tenuta della contabilità vengono effettuate mediante un software fornito dall'Amministrazione stessa, accanto ai manuali e alle guide per la gestione del programma. Viene creata una società che non esiste fisicamente, e l'unico riferimento che ha è un domicilio fiscale che di solito coincide con la sede di grandi società di consulenza; allo stesso modo la società scomparirà, con una semplice procedura di estinzione con la cancellazione del domicilio. Non essendo necessario alcun investimento di capitale iniziale, la società è a tutti gli effetti virtuale e garantisce discrezione e riservatezza ai suoi azionisti, che possono non comparire all'interno delle comunicazioni dell'impresa. Un modello di società che riscuote particolare successo è proprio la "società anonima", particolarmente indicata per attività commerciali, immobiliari e finanziaria, di consulenza e di intermediazione, o per la sola intestazione di brevetti e licenze. I detentori delle azioni possono rimanere totalmente anonimi perché emettono azioni al portatore; sia i nomi dei fondatori che degli azionisti non sono noti nemmeno dalle iscrizioni alla camera di commercio, visto che le costituzioni avvengono fiduciariamente tramite un commercialista o un avvocato.
Se queste sono le condizioni per intraprendere un'attività d'impresa in Inghilterra, il modello societario europeo non è più competitivo, non attira capitali o investimenti e rischia di non essere al passo con il cambiamento dell'economia stessa. Per cui l'Europa deve cambiare le sue leggi, e questo al costo di danneggiare quelle che sino ad oggi hanno sostenuto, con grandi sforzi e disagi, questo sistema amministrativo molto usurante. In un'economia come quella italiana, in cui sono le piccole imprese a essere l'asse portante del sistema economia, delle leggi che portano alla creazione di società con così tanta facilità, vi sarebbe un vero stillicidio. Le imprese oggi presenti sarebbero ancor di più non competitive, e il mercato le isolerebbero nel giro di pochi mesi .
Occorre invece che l'introduzione delle deregolamentazioni siano precedute da un'attività del governo che aiuti le imprese a ridurre i costi amministrativi che derivano dal mercato, dalle amministrazioni pubbliche, ad internazionalizzarsi senza oneri insostenibili. Purtroppo la nostra economia è ancora troppo burocratizzata e poco informatizzata, le imprese sono deboli e poco competitive. Per tale motivo , le riforme di questo tipo possono solo agevolare gli investitori esteri, forti e competitivi, che potranno senza molti problemi e ostacoli, facendo delle nostre imprese carne da macello.

09 luglio 2007

I Confidi sono pronti a divenire delle Banche


All’Assemblea Federconfidi di questo mese è stato annunciato il progetto di fusione tra Unionfidi Piemonte, Confidi Province Lombarde e Confidi Sardegna, dando così vita, entro l'autunno, al più grande Confidi privato Italiano e uno tra i maggiori d’Europa. Il nuovo Confidi avrà più di 16.000 associati ed un patrimonio di 90 milioni di euro, nonché un monte di garanzie in essere per oltre 1,6 miliardi di euro, a fronte di finanziamenti per circa 3 miliardi e mezzo di euro. Il 'Super Confidi' diventerà inoltre molto più di una semplice realtà consortile in quanto sarà iscritto all'elenco degli intermediari finanziari vigilati dalla Banca d'Italia ai sensi dell'art.107 del Testo unico bancario, per poi divenire una struttura molto simile alle Banche popolari. Per tale motivo, sono le stesse Banche che vedono in tale fusione la creazione di una struttura che presto potrebbe entrare a far parte di quello che è il Mercato alternativo dei capitali (MAC).
Sono state così gettate le basi per la costruzione di una sorta di mercato di capitali dedicato alle piccole e medie imprese, dando loro come fonte di finanziamento una sorta di mercato di investitori e risparmiatori, oltre che una base per le garanzie, attraverso la struttura dei Confidi.

In particolare, il Confidi è un Consorzio che nasce presso le amministrazioni regionali o le strutture camerali, con lo scopo di assistere, agevolare e favorire le aziende consorziate nelle operazioni di finanziamento bancario, mediante garanzie collettive o con l' abbattimento del tasso di interesse. Rappresenta dunque un consorzio volontario di diritto privato tra piccole e medie imprese, operanti eventualmente nel medesimo settore, che mediante i contributi pubblici erogati dalla Regione e le convenzioni con le banche, concede garanzie ai soci su finanziamenti bancari, concorda condizioni e tassi con le banche convenzionate ed eroga i contributi stanziati dalla Regione. In generale, va a sostenere le piccole e medie imprese nelle attività di reperimento del capitale di rischio, fungendo inoltre da consulente e da struttura di riferimento per la pianificazione finanziaria, per le attività di sviluppo e di analisi delle opportunità di finanziamento, per l'intermediazione con gli enti bancari e Istituzionali.

Per la tipologia di attività svolte e per il tipo di organizzazione che presentano - consortile e basato sui principi di mutua assistenza tra i consorziati - i Confidi sono oggi delle valide strutture di crescita per le piccole e medie imprese, e per certi versi, anche di lotta all'usura perché cercano di agevolare l'accesso al credito e di prestare le eventuali garanzie richieste. Vista la loro potenzialità di mercato, anche dal punto di vista della base di associati su cui possono contare, il sistema bancario vuole trasformarli per poi inglobarli. Le Banche oggi hanno il loro mercato proprio nel numero di utenti su cui possono contare, e per tale motivo investono soprattutto in quei progetti che possono portare il maggior numero di clienti. Anche le stesse dinamiche di concentrazione in atto nel sistema bancario hanno questo scopo, in quanto l'economia della banca non si basa sulla capitalizzazione, ma sul bacino di utenza.

Il "super Confidi" di Piemonte, Lombardia e Sardegna, presenteranno sul mercato degli intermediari finanziari ben 16.000 imprese, che oggi chiedono al consorzio di "trattare" con le Banche in loro nome, ma domani chiederanno un finanziamento, potendo contare sempre su quella struttura consortile che agevola l'accesso al credito. Il mercato di cui stiamo parlando è importante e molto grande se si pensa che sono sempre le piccole imprese le protagoniste della struttura economica italiana.
Questo le Banche lo sanno benissimo, e per tale motivo associano la creazione del consorzio con il Mercato Alternativo dei Capitali, che è un sistema di scambi organizzati di azioni riservato agli investitori professionali, in cui verranno "quotati" i titoli delle piccole e medie aziende con una struttura di Spa. L'impresa, rivolgendosi allo "sponsor", una Banca inclusa nel circuito, potrà entrare in un canale di finanziamento alternativo rispetto a quello delle Borse valori, e studiato per il rafforzamento patrimoniale delle PMI. Sarà creata una società di gestione con il compito di decidere sull'ammissione alla negoziazione delle imprese mentre Borsa Italiana avrà il compito di gestire l'infrastruttura che regolerà gli scambi, basata sostanzialemnte su di una forma d'asta telematica con periodicità settimanale . In linea teorica, le imprese potranno trovare qui il finanziamento dei progetti di crescita, potranno riequilibrare la struttura finanziaria ed partecipare ad un fondo di private equity.

Il nuovo business del sistema bancario sono proprio le piccole e medie imprese, su di esse scommettono i più grandi gruppi bancari, perché le grandi società sono crollate sotto i colpi delle privatizzazione e della nuova economia. Se questi, dunque sono i nuovi progetti di sviluppo delle Banche, occorre che anche le imprese prendano le loro contromisure in modo da divenire delle controparti e non dei semplici utenti. In questa partita, gioca un grande ruolo proprio l'associazionismo tra le imprese, mediante la creazione di consorzi in qualche modo indipendenti, proprio per evitare di essere risucchiati in un circuito in cui si è solo un utente.

06 luglio 2007

La trasformazione delle parole della globalizzazione


E' in corso presso la Corte di Giustizia delle Comunità Europee la causa sollevata da vari operatori economici italiani contro la Germania per il mancato rispetto della normativa sulle indicazioni geografiche, ed in particolare per l'uso della denominazione "Parmesan" per formaggi prodotti in Germania in violazione del marchio DOP del Parmigiano-Reggiano.
La ragione che ha portato a sottoporre tale causa presso la Corte di Giustizia risiede nell'utilizzo della denominazione "Parmesan" per commercializzare un formaggio stagionato, che, secondo la parte italiana, non è una definizione "generica" ma una traduzione fedele della Dop "Parmigiano-Reggiano". Il fatto che la parola Parmesan sia divenuto un termine di largo uso, o ancora, utilizzato genericamente per indicare un tipo di formaggio, e non un formaggio in particolare, implica che si crea l'inganno nel consumatore che, confonde una marca Dop con un prodotto generico.
Il governo tedesco ha sostenuto invece che, anche se il termine Parmesan aveva origine nella regione di Parma, è divenuto generico e veniva utilizzato per designare formaggi a pasta dura di varia provenienza geografica, grattugiati o da grattugiare.
Anche secondo la Commissione Europea, Parmesan è la traduzione letterale del termine Parmigiano, e l'uso della parola Parmesan non sarebbe in contrasto con la tutela garantita alla denominazione Parmigiano Reggiano secondo l'art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento n.2082/91. Infatti il regolamento comunitario a tal proposito, non include nella protezione i nomi che sono traduzioni di questi marchi dop.
Il governo tedesco sostiene inoltre che, anche se il termine Parmigiano non fosse considerato una denominazione generica, l'uso della traduzione Parmesan non costituirebbe comunque automaticamente un'usurpazione della DOP Parmigiano Reggiano perché non è un'evocazione del DOP. Pertanto, il termine Parmesan sarebbe diverso dalla denominazione Parmigiano Reggiano e il suo uso non integrerebbe una violazione del regolamento europeo di base. La Corte di Giustizia fa anche presente che lo stesso governo italiano aveva espressamente confermato di non avere volutamente registrato la denominazione Parmigiano. Pertanto, in mancanza di registrazione, la denominazione Parmigiano non può beneficiare di per sé della tutela offerta dal diritto comunitario.Scarica
Date tali premesse, l' Avvocato generale ha affermato che la tutela conferita alle DOP dal diritto comunitario è di ampia portata, cioè protegge da qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione dei prodotti registrate sotto il DOP italiano di "Parmigiano Reggiano", una tutela che non viene estesa ai nomi generici, ossia che indicano un prodotto agricolo o alimentare. Nello specifico l'Avvocato Generale afferma che i termini Parmesan e Parmigiano sono generici, e non sono l'una la traduzione l'altro o la sintesi del marchio DOP. La Corte nella causa Bigi (C-66/00, sentenza del 25/6/02) aveva ritenuto che la tutela si applicasse anche alle traduzioni delle DOP, ma oggi questa sentenza non viene estesa al caso in specie in quanto si contesta che Parmisan sia la traduzione. L'Avvocato Generale dunque afferma che in concreto le prove prodotte dalle parti non consentano di concludere con certezza che Parmesan è l'equivalente e quindi la traduzione di Parmigiano Reggiano: questo termine non entra dunque nell'ambito di tutela del DOP .
La Germania è venuta meno agli obblighi derivanti dal regolamento di base, in quanto ha formalmente rifiutato di perseguire d'ufficio come illecito sul suo territorio l'impiego della denominazione Parmesan. Tuttavia, viene comunque confermato che possono essere proposti ricorsi per violazione della DOP conformemente al diritto dei marchi, alla normativa sui prodotti alimentari e sulla concorrenza sleale ma poi spetterebbe ai giudici tedeschi stabilire se l'uso della denominazione Parmesan sia conforme o meno al regolamento di protezione del DOP europeo.

L'Avvocato generale ritiene che dal regolamento non si possa desumere che le strutture di controllo devono sistematicamente agire ex officio e spetta agli Stati membri stabilire se i servizi intesi a garantire tale tutela debbano agire di propria iniziativa (ex officio) o a seguito di denuncia da parte dei titolari di DOP/IGP/STG. Gli Stati membri possono stabilire discrezionalmente se svolgere controlli in un caso specifico e prendere provvedimenti qualora rilevino prodotti lesivi di una DOP. Poiché la Commissione non ha prodotto prove l'Avvocato generale suggerisce alla Corte di respingere il ricorso della Commissione e del Governo Italiano. Sostanzialmente, significa che l'Europa non può ordinare agli Stati di stabilire mediante una legge, il divieto assoluto di imitare o di utilizzare le traduzioni delle denominazione di origine protette, e quindi spetta poi al singolo soggetto di intentare causa presso i tribunali stranieri. Si intuisce facilmente che le piccole imprese non hanno i mezzi per poter raggiungere le Corti estere, e solamente i marchi più affermati, come può essere appunto il Parmigiano Reggiano, riesce a perseguire legalmente le altre società o le multinazionali attraverso più di gradi di processo.

Le prime conclusioni della Corte di Giustizia Europea inoltre definiscono il termine Parmesan come una parola che ha smesso di indicare una marca per indicare un genere di formaggio, e questo è molto pericoloso. Innanzitutto perché si mette in discussione l'appartenenza di una parola , che indica poi anche una tradizione culturale e agroalimentare legata al territorio, ad una determinata etnia, ma si lascia inermi e senza alcuna difesa le imprese che fanno parte dei circuiti del Dop. Una piccola impresa non riuscirebbe a proteggere i propri prodotti con le sole forze che dispone dinanzi alle multinazionali che si appropriano così di una parola, trasformandola per il proprio business. Non proteggere l'appartenenza di una parola ad una determinata terra, significa anche distruggere una parte della storia di quel popolo, perché si distrugge quel legame che c'è tra un prodotto e il luogo di origine. Occorre invece promuovere la "certificazione di qualità e di sicurezza" da parte degli Istituti universitari e dei centri di ricerca, che vadano così a controllare i processi produttivi che sono alla base e stabiliscano le condizioni necessarie per produrre un determinato bene.
Oggi dunque è in atto una guerra, un etnocidio, che si basa sul furto e la trasformazione delle parole. Stiamo entrando in un'era in cui lo stesso linguaggio viene ridotto nei minimi termini e viene standardizzato, per assomigliare sempre più al cd. linguaggio di internet , eliminando le sfumature e le particolarità che derivano proprio dalla cultura e dalle tradizioni dei popoli.

03 luglio 2007

Più potere ai creditori nel processo fallimentare


La riforma della Legge Fallimentare ha introdotto notevoli cambiamenti, che hanno portato alla riformulazione ed alla aggiunta di alcuni istituti. Sono numerose le modifiche apportate, tra le quali quelle alla revocatoria fallimentare, al concordato preventivo, alla curatela fallimentare.
La riforma è stata introdotta con il Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito in Legge 14 maggio 2005, n. 80 ed è divenuta organica con il Decreto Legislativo n. 5 del 2006 che ha, tra l’altro, esteso il numero degli imprenditori esonerati dall’applicabilità dell’istituto del Fallimento, ha accelerato le procedure concorsuali, ha valorizzato il ruolo ed i poteri del Curatore fallimentare e del Comitato dei Creditori, ma, soprattutto, ha ridimensionato i poteri del Giudice Delegato. Viene inoltre introdotta ex novo la disciplina dell’esdebitazione, cioè la liberazione del debitore dai debiti residui nei confronti dei creditori in taluni casi di “buona condotta”.

Se da un lato la riforma vuole cercare di non far morire l’impresa e soddisfare i creditori più rappresentativi, dall’altro ha sicuramente calpestato alcuni principi costituzionali, attenuando di molto i poteri del Giudice Delegato.
Novità del concordato fallimentare è che può essere composto da terzi, mentre il presupposto del concordato preventivo non è solo lo stato d’insolvenza, ma anche lo stato di crisi.
Il legislatore della riforma, in pratica, si è adoperato nella prospettiva di favorire il recupero delle capacità produttive dell’impresa, del risanamento e del superamento della crisi, della conservazione dei mezzi organizzativi, assicurando la sopravvivenza, ove possibile, dell’impresa e, negli altri casi, garantendo al ceto creditorio una più consistente tutela delle proprie ragioni patrimoniali attraverso il risanamento ed il trasferimento a terzi delle strutture aziendali.Esercizio provvisorio, affitto d’azienda, vendita dell’azienda e concordato fallimentare sono gli strumenti che consentono di realizzare la conservazione dell’attività d’impresa. La disciplina di affitto e vendita di azienda colma un vuoto della precedente disciplina (che risale al 1942).

Dalla riforma emerge sicuramente il lato negativo della tendenza ad attenuare fortemente il carattere giurisdizionale delle procedure concorsuali e, quindi a ridimensionare il ruolo dell’Autorità Giudiziaria.
Non incanalandosi in troppi tecnicismi, che fuorvierebbero il lettore, bisogna assolutamente dire che la conseguenza più evidente del modello adottato dal Legislatore nella riforma del diritto concorsuale, è che al sistema precedente, basato sul rigoroso controllo della procedura da parte del Tribunale Fallimentare e del Giudice Delegato, si sostituisce un sistema di carattere più propriamente negoziale.
Infatti, viene lasciato ampio spazio agli accordi tra debitore e creditori, con forte attenuazione del ruolo del Giudice, con esclusione di questo dal controllo, ma, soprattutto, con la possibilità di regolare i rapporti dell’imprenditore in stato di insolvenza con una procedura interamente extragiudiziale.
Un esempio evidente è dato dal nuovo concordato preventivo, ove il Giudice interviene solo per verificare la mera regolarità degli atti allegati alla proposta; ed anche in caso di opposizione dei creditori dissenzienti può solo verificarne la mera regolarità senza poter controllare nel merito la convenienza del concordato.
A prescindere dalle già segnalate conseguenze negative che potrebbero derivare anche ai creditori meno garantiti o, più semplicemente, a coloro che meno incidono quantitativamente sull’entità del passivo, deve essere messa in evidenza la ricaduta, che sul piano generale, può derivare da questa impostazione nell’ambito della collettività. Senza un controllo Giurisdizionale sulla procedura, si rischia di stimolare condotte non condivisibili sul fronte della correttezza imprenditoriale.

Un altro punto dolente di questa riforma è sicuramente quello di attribuire maggiori poteri e, quindi, di conseguenza, maggiori responsabilità al Curatore Fallimentare.
Pari perplessità suscita la possibilità per la maggioranza dei creditori ammessi di confermare o chiedere la sostituzione del Curatore, indicando al Giudice un nuovo nominativo. Tutto questo rischia di mettere in dubbio la conformità del nuovo processo fallimentare al principio del giusto processo, lasciando, tra l’altro, il fallito nelle grinfie dei creditori, che alcune volte, purtroppo, sono persone senza scrupoli.
Il giusto processo si realizza, infatti, non soltanto attraverso la terzietà, l’imparzialità e l’indipendenza del Giudice, ma anche attraverso la terzietà, l’imparzialità e l’indipendenza degli ausiliari, consulenti ed incaricati del Giudice che debbono svolgere la loro attività super partes nel processo.

Proprio il Curatore, ovvero l’organo al quale è demandato la cura indifferenziata di tutti gli interessi coinvolti nel fallimento essendo anche un pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 30 L.F., deve essere confermato dai destinatari dei suoi atti ( i controllati) e addirittura sostituito se la maggioranza dei creditori lo riterrà più opportuno. A discapito dell’imprenditore fallito, vi è uno sbilanciamento dei poteri, ove si consideri che il Curatore, anziché terzo e rispettoso delle sole direttive del Giudice Delegato, potrebbe essere indotto ad una maggiore accondiscendenza verso i “più importanti” creditori, che sono in grado di condizionare la scelta della maggioranza, a scapito di altri, per evitare il rischio della sostituzione e della perdita dell'incarico.

Insomma, con questa riforma il nostro Ordinamento Giuridico ha fatto veramente un passo in dentro, calpestando i principi del giusto processo, nonché le garanzie che potrebbe offrire un organo giurisdizionale esterno sia nei confronti dei creditori, sia nei confronti degli organi ausiliari, ma, soprattutto, nei confronti dell’imprenditore fallito.

Avv. Domenico Di Pasquale

02 luglio 2007

Federalismo fiscale: ancora tasse


Al vaglio del Consiglio dei Ministri e del Parlamento la legge del federalismo fiscale. Molteplici i punti non chiariti e le incoerenze della proposta di legge delega presentata, mancando un quadro legislativo organico e ben organizzato ai diversi livelli amministrativi. Se da una parte la riforma del sistema federale-regionale italiano è stata già bocciata dal popolo italiano in occasione dello scorso referendum, dall'altra il Governo ripropone il federalismo fiscale senza aver terminato quello amministrativo.

Il federalismo fiscale che questo governo ci propone introduce delle sostanziali novità all'interno del quadro oggi esistente, ma dimentica alcune note importanti per rendere una legge organica e funzionante.
Gli interventi delle autorità federali - distinte in Regioni , Province e Comuni, nonché in città metropolitane - che rispondono alla necessità di garantire dei "livelli essenziali" ( ossia dei servizi pubblici, ex art. 117, comma 2°, lett. m rappresentative di irrinunciabili esigenze di equità e di cittadinanza ) devono innanzitutto conformarsi al criterio della copertura integrale dei relativi fabbisogni finanziari . Da qui il dovere di redigere uno specifico decreto di legge, da presentare insieme con il Dpef, che fisserà ogni anno il livello programmato della differenza tra entrate e spese, con la conseguente fissazione di sanzioni per gli scostamenti tra risultati e obiettivi fino allo scioglimento degli enti inadempienti. La Regione potrà però regolare un mercato dei diritti di indebitamento degli enti locali, con la conseguente emissione di titoli che possono finanziare la loro spesa pubblica.
Le Autorità regionali devono assicurare la copertura finanziaria delle funzioni fondamentali degli altri livelli di governo locale, con il potere residuale dello Stato di intervenire per correggere la cattiva gestione. Ai Comuni viene garantito il finanziamento delle funzioni che sia egualitario rispetto alle altre regioni: questo non saraà, tuttavia stabilito sulla base però della spesa storica , ossia quello che si è sempre avuto, ma sulla base di paramentri di entrate e di spesa standardizzati , anche in considerazione delle diverse aree del Paese.
Per cui, i principi che questa legge vorrebbe applicare sono : rispetto per l'autonomia finanziaria delle Regioni , per cui differenza delle prestazione dei servizi; perequazione ( raggiungimento dell'eguaglianza delle Regioni) per rendere uguali i livelli delle prestazione - e in questo caso si avrebbe l'intervento dei fondi erariali ; sostenibilità della spesa per i fondi pubblici. Rimane il finanziamento integrale (sulla base di costi standard ) delle prestazioni essenziali concernenti i diritti civili e sociali (sanità e assistenza), del trasporto pubblico di competenza regionale, delle spese riconducibili a funzioni fondamentali dei Comuni di dimensioni demografiche minori. Il finanziamento dei fabbisogni standard per tutte le Regioni è garantito da un fondo perequativo alimentato dall'erario. La parte residua delle spese regionali (anche non essenziali) viene coperta da un fondo perequativo alimentato anche dal gettito della compartecipazione all'Irpef di competenza delle Regioni con maggiore capacità fiscale: le Regioni più ricche andranno così ad aiutare lo Stato a compensare quelle che non ricoprono la totalità delle spese.

Il problema del finanziamento viene risolto con la possibilità di creare nuovi tributi e con i trasferimenti perequativi dello Stato. Le spese sono finanziate con Irap e addizionali Irpef, tributi propri regionali, compartecipazioni regionale all'Irpef, compartecipazione regionale all'IVA, quote specifiche del fondo perequativo erariale per completare la copertura. Le Regioni potranno istituire nuovi tributi comunali e provinciali, ma anche modificare i criteri di definizione delle tasse erariali, facendo leva sulle aliquote e le detrazioni, senza tuttavia incidere sulla definizione della base imponibile. Ai tributi locali viene affidato il compito di garantire la cd. manovrabilità dei bilanci, ossia il finanziamento di base, mentre agli interventi erariali quello di garantire l'eguaglianza.
Sorge a questo punto il problema del coordinamento del sistema tributario. La riforma stabilisce il principio di "pari dignità" dei tributi propri dei vari livelli di governo, che non potranno interferire tra di loro. Tuttavia non viene stabilita l'automatica cancellazione dei tributi che si riveleranno duplicati: essendovi diversi livelli, senza compensazione o senza un'esplicita cancellazione, il cittadino verrebbe tassato più e più volte.
Sul problema di come risolvere questa doppia o multipla tassazione, il decreto legge non dedica molta attenzione e forse intende rinviare la sua risoluzione in fase di attuazione. Il risultato non potrà che essere coatico, disorganizzato e dispendioso per i cittadini perché l'apparato amministrativo non è studiato per essere federale o delocalizzato. La nostra pubblica amminitrazione è ancora centralizzata, gli uffici e le competenze di controllo sono centralizzati, così come tutti i meccanismi legislativi.
Manca, allo stato attuale, la base amministrativo-burocratica decentralizzata su cui poi costruire il federalismo fiscale. L'Italia allo stato attuale non ha una legge organica, stabile e ben chiara che sancisca i poteri delle Regioni secondo un modello federale rigoroso, molta è ancora la confusione degli enti locali. Su tale caos - che si barcamena ancora tra referendum e leggine - si vuole innestare il tanto desiderato federalismo fiscale, atteso ormai da tutte le Regioni prese indistintamente. Date, tuttavia, tali condizioni iniziali, non vi sarà un risultato ottimale perché è ancora troppa la disorganizzazione.
Se le Regioni del Nord vogliono un federalismo perfetto per le loro autonomie locali, le Regioni del Sud vogliono opportunità per poter crescere senza però avere il desiderio di distaccarsi da questo sistema che tende a drogare le autonomie locali con fondi e finanziamenti. Il grande divario tra queste due Italie va colmato restituendo a ciascuna autorità locale le proprie risorse, dando però ad entrambe le stesse opportunità di crescita. Il Mezzogiorno non può crescere senza collegamenti e infrastrutture - quegli stessi collegamenti che gli sono stati negati al momento della costituzione del Regno di Italia - ma non può più andare avanti con delle amministrazioni locali che non gestiscono gli apparati statali in maniera responsabile.
Molto probabilmente il federalismo fiscale porterà alla privatizzazione o dismissione di tutte quelle attività gestite (male) delle autonomie locali, più che al fallimento delle Regioni del Mezzogiorno. L'inefficienza delle autonomie locali e la confusione legislativa porteranno allo sgretolamento dei mille enti agganciati al pubblico, alle privatizzazioni e alle dismissioni. Ancora una volta, è il fallimento della vecchia economia che apre le porte alla nuova in cui il "pubblico" non ha più posto se non è efficiente.