Al vaglio del Consiglio dei Ministri e del Parlamento la legge del federalismo fiscale. Molteplici i punti non chiariti e le incoerenze della proposta di legge delega presentata, mancando un quadro legislativo organico e ben organizzato ai diversi livelli amministrativi. Se da una parte la riforma del sistema federale-regionale italiano è stata già bocciata dal popolo italiano in occasione dello scorso referendum, dall'altra il Governo ripropone il federalismo fiscale senza aver terminato quello amministrativo.
Il federalismo fiscale che questo governo ci propone introduce delle sostanziali novità all'interno del quadro oggi esistente, ma dimentica alcune note importanti per rendere una legge organica e funzionante.
Gli interventi delle autorità federali - distinte in Regioni , Province e Comuni, nonché in città metropolitane - che rispondono alla necessità di garantire dei "livelli essenziali" ( ossia dei servizi pubblici, ex art. 117, comma 2°, lett. m rappresentative di irrinunciabili esigenze di equità e di cittadinanza ) devono innanzitutto conformarsi al criterio della copertura integrale dei relativi fabbisogni finanziari . Da qui il dovere di redigere uno specifico decreto di legge, da presentare insieme con il Dpef, che fisserà ogni anno il livello programmato della differenza tra entrate e spese, con la conseguente fissazione di sanzioni per gli scostamenti tra risultati e obiettivi fino allo scioglimento degli enti inadempienti. La Regione potrà però regolare un mercato dei diritti di indebitamento degli enti locali, con la conseguente emissione di titoli che possono finanziare la loro spesa pubblica.
Le Autorità regionali devono assicurare la copertura finanziaria delle funzioni fondamentali degli altri livelli di governo locale, con il potere residuale dello Stato di intervenire per correggere la cattiva gestione. Ai Comuni viene garantito il finanziamento delle funzioni che sia egualitario rispetto alle altre regioni: questo non saraà, tuttavia stabilito sulla base però della spesa storica , ossia quello che si è sempre avuto, ma sulla base di paramentri di entrate e di spesa standardizzati , anche in considerazione delle diverse aree del Paese.
Per cui, i principi che questa legge vorrebbe applicare sono : rispetto per l'autonomia finanziaria delle Regioni , per cui differenza delle prestazione dei servizi; perequazione ( raggiungimento dell'eguaglianza delle Regioni) per rendere uguali i livelli delle prestazione - e in questo caso si avrebbe l'intervento dei fondi erariali ; sostenibilità della spesa per i fondi pubblici. Rimane il finanziamento integrale (sulla base di costi standard ) delle prestazioni essenziali concernenti i diritti civili e sociali (sanità e assistenza), del trasporto pubblico di competenza regionale, delle spese riconducibili a funzioni fondamentali dei Comuni di dimensioni demografiche minori. Il finanziamento dei fabbisogni standard per tutte le Regioni è garantito da un fondo perequativo alimentato dall'erario. La parte residua delle spese regionali (anche non essenziali) viene coperta da un fondo perequativo alimentato anche dal gettito della compartecipazione all'Irpef di competenza delle Regioni con maggiore capacità fiscale: le Regioni più ricche andranno così ad aiutare lo Stato a compensare quelle che non ricoprono la totalità delle spese.
Il problema del finanziamento viene risolto con la possibilità di creare nuovi tributi e con i trasferimenti perequativi dello Stato. Le spese sono finanziate con Irap e addizionali Irpef, tributi propri regionali, compartecipazioni regionale all'Irpef, compartecipazione regionale all'IVA, quote specifiche del fondo perequativo erariale per completare la copertura. Le Regioni potranno istituire nuovi tributi comunali e provinciali, ma anche modificare i criteri di definizione delle tasse erariali, facendo leva sulle aliquote e le detrazioni, senza tuttavia incidere sulla definizione della base imponibile. Ai tributi locali viene affidato il compito di garantire la cd. manovrabilità dei bilanci, ossia il finanziamento di base, mentre agli interventi erariali quello di garantire l'eguaglianza.
Sorge a questo punto il problema del coordinamento del sistema tributario. La riforma stabilisce il principio di "pari dignità" dei tributi propri dei vari livelli di governo, che non potranno interferire tra di loro. Tuttavia non viene stabilita l'automatica cancellazione dei tributi che si riveleranno duplicati: essendovi diversi livelli, senza compensazione o senza un'esplicita cancellazione, il cittadino verrebbe tassato più e più volte.
Sul problema di come risolvere questa doppia o multipla tassazione, il decreto legge non dedica molta attenzione e forse intende rinviare la sua risoluzione in fase di attuazione. Il risultato non potrà che essere coatico, disorganizzato e dispendioso per i cittadini perché l'apparato amministrativo non è studiato per essere federale o delocalizzato. La nostra pubblica amminitrazione è ancora centralizzata, gli uffici e le competenze di controllo sono centralizzati, così come tutti i meccanismi legislativi.
Manca, allo stato attuale, la base amministrativo-burocratica decentralizzata su cui poi costruire il federalismo fiscale. L'Italia allo stato attuale non ha una legge organica, stabile e ben chiara che sancisca i poteri delle Regioni secondo un modello federale rigoroso, molta è ancora la confusione degli enti locali. Su tale caos - che si barcamena ancora tra referendum e leggine - si vuole innestare il tanto desiderato federalismo fiscale, atteso ormai da tutte le Regioni prese indistintamente. Date, tuttavia, tali condizioni iniziali, non vi sarà un risultato ottimale perché è ancora troppa la disorganizzazione.
Se le Regioni del Nord vogliono un federalismo perfetto per le loro autonomie locali, le Regioni del Sud vogliono opportunità per poter crescere senza però avere il desiderio di distaccarsi da questo sistema che tende a drogare le autonomie locali con fondi e finanziamenti. Il grande divario tra queste due Italie va colmato restituendo a ciascuna autorità locale le proprie risorse, dando però ad entrambe le stesse opportunità di crescita. Il Mezzogiorno non può crescere senza collegamenti e infrastrutture - quegli stessi collegamenti che gli sono stati negati al momento della costituzione del Regno di Italia - ma non può più andare avanti con delle amministrazioni locali che non gestiscono gli apparati statali in maniera responsabile.
Molto probabilmente il federalismo fiscale porterà alla privatizzazione o dismissione di tutte quelle attività gestite (male) delle autonomie locali, più che al fallimento delle Regioni del Mezzogiorno. L'inefficienza delle autonomie locali e la confusione legislativa porteranno allo sgretolamento dei mille enti agganciati al pubblico, alle privatizzazioni e alle dismissioni. Ancora una volta, è il fallimento della vecchia economia che apre le porte alla nuova in cui il "pubblico" non ha più posto se non è efficiente.