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30 giugno 2008

Guerra in Iran? America sconfitta in partenza


Con la crisi finanziaria e le speculazioni sul petrolio, si fa sempre più vicina l'ipotesi di un prossimo conflitto armato con l'Iran per rispondere al fallimento del sistema economico-energetico del mondo occidentale. Possiamo tuttavia ipotizzare che il conflitto iraniano è quanto meno lontano, considerando che gli Stati Uniti hanno messo su una grande campagna di minacce e propaganda per demonizzare l’Iran e creare il terrore intorno alle politiche di arricchimento dell’uranio.

La forte speculazione del petrolio e la crisi del mercato finanziario sta creando tutte le condizioni favorevoli per temere l’inizio di un nuovo conflitto bellico come reazione al rischio del crollo dell’impero occidentale. Secondo alcuni analisti, la situazione è particolarmente delicata e complessa, al punto tale che sembra di essere ritornati al contesto economico-finanziario che ha preceduto l’11 settembre. L'economista francese Jean-Pierre Chevallier ha rilevato in particolare dei movimenti borsisti anormali negli Stati Uniti, individuando in essi dei possibili preparativi per affrontare un possibile attacco americo-israeliano contro le installazioni nucleari e militari iraniane. In particolare Chevallier ha notato che quando Shaul Mofaz, il vecchio capo di Stato Maggiore dell'esercito israeliano, ha parlato lo scorso 6 giugno della possibilità di un tale attacco, i mercati azionari sono stati affossati da speculazioni che hanno bruciato più di 800 miliardi di dollari di capitalizzazioni borsiste per gli investitori sulle borse americane. I tracolli improvvisi degli indici di borsa hanno così posto il lecito dubbio che alcune manovre speculative, che si traducono in vere e proprie truffe per gli investitori, siano state utilizzate per reperire fondi da destinare al finanziamento di operazioni militari.

I sospetti sul possibile preparativo di azioni militari, viene riportato poi da Al Jazeera, che afferma che le truppe americane in Iraq hanno creato, durante questi ultimi quattro mesi, quattro basi militari avanzate lungo la frontiera iraniana, a 30 km della città iraniana più vicina, dotate di piattaforme di lancio di missili teleguidati e di sistemi radar. A riportare la notizia è una fonte della sicurezza nazionale irakena, che tuttavia precisa che la creazione di basi alla frontiera con l'Iran non manifesta "intenzioni bellicose" e costituisce solo "una misura di precauzione in caso di attacco iraniano contro Israele". Si viene inoltre a sapere che attualmente, le forze irachene conducono delle operazioni di perquisizione nella città di Amara, a 365 km al sud di Bagdad, considerato come territorio controllato dall'esercito di Mahdi, milizia diretta da Moqtada Sadr, personaggio vicino al Teheran. Sembra dunque che sia venuta improvvisamente meno quella sorta di collaborazione tra l’Iran e l’esercito irakeno nel Sud del Paese, a prevalenza sciita, tale da lasciare il lecito dubbio su un imminente attacco statunitense.

Tuttavia, a chi aspetta un conflitto armato, possiamo rispondere che gli Stati Uniti hanno messo su una grande campagna di minacce e propaganda per demonizzare l’Iran e creare il terrore intorno alle politiche di arricchimento dell’uranio iraniano. Una tesi questa che è avvalorata da molteplici situazioni che inquadrano un intrecciarsi di eventi molto complesso. Innanzitutto, occorre considerare che sull’Iran, unica potenza del Medioriente, si scontrano quattro potenze, che vanno a formare sia due distinti blocchi, che singole controparti che agiscono in relazione ai propri interessi. Da una parte, dunque, vi è la Russia che vede nell’Iran un partner di affari da addomesticare e controllare in ogni caso, per evitare che si trasformi in un improbabile concorrente nella spartizione delle zone di influenza energetica, e la Cina, che vuole avere Teheran come sicura fonte energetica su cui contare per la sua espansione economica. Entrambe tuttavia non hanno mai difeso "a spada tratta" l’Iran all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, lasciando che venissero imposte le sanzioni bancarie e finanziarie chieste dagli Stati Uniti. Il loro parziale coinvolgimento, fa pensare che non si schiereranno direttamente in caso di conflitto, ma si limiteranno ad usare armi diplomatiche, e a sostenere indirettamente l’armamento e le truppe. Dall’altra parte, c’è l’Europa che, sebbene abbia cercato in un primo momento di chiudere un occhio sull’elusione delle sanzioni bancarie imposte dal CS dell’ONU, ha dovuto dare una contro-risposta ferma e decisa, rilanciando le limitazioni e le multe per il regime di Teheran. Anche dall’Unione Europea non giunge nessuna risposta convincente e ferma, perché probabilmente intende lasciare uno spazio per continuare le trattative sulla cooperazione energetica, necessaria per il Nabucco e i progetti di approvvigionamento.

Infine, vi sono gli Stati Uniti, che colpiscono l’Iran sempre in punti ben determinati, come se conoscessero bene le risposte del proprio avversario. Washington cerca di evitare a tutti i costi il programma nucleare iraniano, avvertendoli che non saranno mai autorizzati a produrre armi nucleari. Così poi cercano di convincere il mondo intero, che sono pronti ad attaccare l'infrastruttura nucleare iraniana, magari con l’ausilio di Israele che giocherebbe il ruolo di aggressore iniziale. A giocare un grande ruolo saranno anche le elezioni negli Stati Uniti, ma probabilmente la politica estera americana non cambierà radicalmente a seconda della vittoria di democratici o repubblicani. Tuttavia, occorre considerare che gli Stati Uniti sono in grande difficoltà nella gestione delle loro aree di influenza, ed hanno l’imminente urgenza di rimpiazzare i petrodollari e i Buoni del Tesoro Americano che ormai nessuno vuole più, a fronte di certificati di energia. Il vero scontro armato si avrà molto probabilmente proprio sul mercato finanziario e petrolifero, considerando che la crisi dei prezzi e le speculazioni porteranno a creare una nuova Bretton Woods da qui a 5 anni per ridiscutere il probabile cambiamento delle modalità di scambio alla base del sistema economico. Nel frattempo, è innegabile che gli Stati Uniti non hanno la forza di invadere l’Iran, né di agire dall’interno con una rivoluzione che possa mettere al potere un Governo fantoccio, com’è accaduto per il Libano o l’Iraq. Non bisogna inoltre sottovalutare gli iraniani, che sono degli abilissimi personaggi, che danno il meglio di loro stessi i situazione di forti pressioni, e in questo momento stanno giocando con i Russi e gli Americani per tenere alta la tensione. Spaventano molto anche le contro-risposte che si potrebbero azionare, come la reazione della Cina che lascerebbe fallire il dollaro senza battere ciglio, della Russia che metterebbe in azione la sua fitta macchina diplomatica ed economica.

26 giugno 2008

Il predicatore di Tirana


L'ambasciatore americano a Tirana Jhon L. Withers II viene accusato di essere implicato nello scandalo del commercio delle munizioni di provenienza cinese per l’esercito in Afghanistan, vietate dal Pentagono. Secondo l'inchiesta del capo della Commissione di Monitoraggio e delle Riforme Governative, Henri Waxman, si sarebbe tenuto un incontro segreto fra l`ambasciatore Withers e il ministro Albanese della Difesa, Fatmir Mediu nel novembre del 2007, un giorno prima che il giornalista del New York Times andasse in Albania per indagare sul commercio di munizioni. ( Foto: Jhon L. Withers II e Fatmir Mediu )

Ironia della sorte, il grande predicatore dello scandalo Gerdec, l`ambasciatore americano di Tirana Jhon L. Withers II, è finito nell’occhio del ciclone come implicato nei rapporti tra il contractor del Pentagono la AEY Inc. di Miami e la società di Stato albanese per l’import-export di armi, la Meico. Dopo l’arresto del Presidente della AEY Inc. Efraim Diveroli, con l'accusa di aver spedito in Afghanistan 35 carichi di munizioni di produzione cinese, dal valore di 40 milioni di dollari in violazione del contratto con il Pentagono, l’attenzione degli inquirenti si rivolge ad un uno degli insospettabili, il giustizialista e accusatore Jhon L. Withers che dovrà finalmente rendere conto dinanzi al Governo Americano sul suo ruolo in tutta questa faccenda ( si veda: Caso Gerdec ). Il capo della Commissione di Monitoraggio e delle Riforme Governative, Henri Waxman, in una lettera inviata al Segretario di Stato Condoleesa Rice, ha accusato l`ambasciatore Jhon L. Withers II di essere implicato nello scandalo del commercio delle munizioni di provenienza cinese per l’esercito in Afghanistan, vietate dal Pentagono. Nella sua lettera, Waxman fa riferimento alla testimonianza all'addetto militare dell'ambasciata Larry Harrison, circa un incontro segreto fra l`ambasciatore Withers e il ministro Albanese della Difesa, Fatmir Mediu nel novembre del 2007, un giorno prima che il giornalista del New York Times andasse in Albania per indagare sul commercio di munizioni. Infatti, il 9 giugno del 2008 il personale della Commissione d`Inchiesta del Congresso Americano, ha realizzato un'intervista criptata con il maggiore Larry Harrison, ufficiale del Dipartimento della Difesa che lavora in Albania come capo dell’Ufficio di collaborazione per la Difesa americana, nella quale afferma di aver inviato agli ufficiali dell'Ambasciata USA a Tirana una richiesta di informare il comitato d`inchiesta in relazione all'incontro tra Mediu e Withers.

A tale richiesta, l'ambasciata non ha dato nessun dettaglio, ma secondo Harrison durante l'incontro i due rappresentanti si sono accordati per nascondere l`origine delle pallottole cinesi, vietate secondo il regolamento degli Stati Uniti d`America. Waxman ha comunque avviato un'altra richiesta per ottenere documenti aggiuntivi sugli incontri dei diplomatici dell'ambasciata. Nel corso della prima seduta d`udienza tenutasi ieri, sono stati interrogati 4 alti ufficiali del Pentagono, chiedendo del ruolo dell’Ambasciata Americana a Tirana, per accertare i sospetti che lo stesso ambasciatore Withers era al corrente della falsificazione dell'origine delle pallottole cinesi. Il generale William Philips, il direttore esecutivo dell'agenzia per l`Amministrazione dei contratti della difesa, Mitchell Hawell, Stephen Myll e Jeffery Parsons, direttore esecutivo del Comitato per i Contractor dell' esercito americano, hanno testimoniato sui contratti e i contenuti verso la compagnia AEY Inc., diretta da Efraim Diveroli, confermando che fino al momento della falsificazione dell'origine della merce, tutto era lecito essendo stato sottoscritto rispettando i termini di legge. Al contrario, il Vice Segretario di Stato per le questioni politico-militari, Steven Mull, ha rifiutato di commentare le accuse sull'ambasciatore Americano, affermando che "il Dipartimento di Stato risponderà alle accuse attraverso i giusti canali dopo che sarà raccolto materiale a sufficienza". Il Congresso ha comunque deciso ieri che Withers, assieme ad altri 5 altri ufficiali dell'ambasciata si dovranno presentare per testimoniare prima della data dell'11 luglio.

Subito dopo l'udienza del Congresso Americano sulla questione sollevata dalla missiva di Waxman, il portavoce del Dipartimento di Stato Americano a Washington Tom Casey ha valutato la figura dell'ambasciatore Americano Withers come "un diplomatico dalla carriera di successo" mentre aggiunge che le indagini sono "giuste e trasparenti", e saranno eseguite "con grande serietà". Secondo lo stesso Casey, qualora sorgesse il bisogno di un’indagine approfondita partirà un'inchiesta ufficiale. “Le accuse rivolte all’ambasciatore Withes sono molto serie - afferma il portavoce Tom Casey - e senza dubbio il Dipartimento di Stato tratterà con grande serietà ogni accusa che verrà presentata. Noi non abbiamo alcuna informazione a sostegno delle accuse fatte contro un diplomatico in carriera per oltre 24 anni e che ha servito con dignità lo Stato in molti paesi. Perciò l`ambasciatore Withers merita che le accuse mosse contro di lui e l`ambasciata di Tirana vengano esaminate in modo giusto e trasparente”. Il portavoce Tom Casey ha espresso la sua fiducia sull’esito del processo che sicuramente confermerà che l`Ambasciata americana ha agito in concordanza con la legge, precisando di non avere "nessun dubbio per pensare ad una conclusione diversa".

Anche se le reazioni del Dipartimento di Stato sono molto fredde, permeate di un forte disagio, vi sono dei fatti che non si possono ignorare, ma soprattutto delle strane coincidenze che vanno al di là delle supposizioni. Eleanor Norton, rappresentante del Congresso di Washington, ha precisato che “tutte le persone incluse nell’operazione di acquisto delle munizioni dall'Albania, erano state inserite nella lista degli indagati, che includeva tutti i nomi di coloro che erano coinvolti nel commercio illecito di armi”, tra cui anche l`ex direttore della Meico Ylli Pinari, inserito per la prima volta in questa lista già nel 2005. Secondo la Norton la fonte delle munizioni era proprio la società di Stato Albanese MEICO, in virtù del collegamento tra Ylli Pinari, Efraim Diveroli e l’intermediario Henri Tomei, che hanno sfruttato dei contratti leciti per trarne profitto personale e truffare il Pentagono. Diveroli, tra l’altro, è stato incluso nella lista delle persone sotto osservazione nell'anno 2006, insieme con il cosiddetto “signore della Guerra”, Henri Tomei, rappresentante dell’intermediaria fantasma Edvin Ltd. che collegava la AEY e la Meico , ma secondo alcune fonti ufficiose potrebbe trattarsi proprio di Heinrich Thomet, azionista di maggioranza della AEY Inc. ( si veda: Il barbiere di Cipro ) .

Pian piano, dunque, sembra che tutti i nodi vengano al pettine e che l’organizzazione criminale che ha montato un’operazione di traffico d’armi dopo aver ottenuto un tender dal Pentagono, diventa sempre più nuda. Ricordiamo che le indagini hanno già portato all’arresto di Mihal Delijorgji, proprietario della società che gestiva il deposito di Gerdec esploso, e poi l’accusa dell’ex Ministro Fatmir Mediu costretto alle dimissioni e poi all’eliminazione dell’immunità per poter subire un processo civile e penale. Non a caso è stato proprio l’ambasciatore Withers a chiedere con grande insistenza le dimissioni e la condanna di Mediu, predicando dall’alto della sua poltrona contro la corruzione dei politici albanesi. Tuttavia, l’arresto di Efraim Diveroli e di tutta la sua banda ha portato alla luce, evidentemente, altri dettagli sulla rete di contatti della AEY Inc. che ha comprato munizioni dall’Albania per venderli all’esercito Afghano, con un’intricatissima operazione messa su grazie a società fantasma e accordi politici. Sembra che la mente di Diveroli - che agli atti risulta essere un massaggiatore di 22 anni - sia riuscito a costruire un groviglio che persino la Corte degli Stati Uniti stenta a districare. Però già adesso veniamo a sapere che Diveroli non operava da solo, che aveva il sostegno di Pinari, Tomei, e di Mediu, e magari anche dell’ambasciatore Withers che ha combinato i giusti accordi. Forse, adesso, il grande moralista non parlerà più, non griderà più dall’alto del suo trono contro Mediu e il Governo albanese, e dovrà fare un passo indietro e rivedere alcune posizioni.

Rinascita Balcanica


23 giugno 2008

Caos in Wall Street: comincia l'apocalisse


La maxi retata dell'Fbi in Wall Street, portando alla luce 144 casi di frode, hanno dimostrato che gli alti dirigenti erano a conoscenza delle truffe in atto, ma soprattutto della manipolazione dei titoli al solo scopo di dissimulare capitali e creare attività dal nulla. Tutto questo, però, non farà cambiare nulla, il sistema non subirà alcuna riforma, perché quest’ondata di giustizialismo farà cadere solo le teste da dare in pasto ai media e per ristabilire una certa fiducia sul mercato.

Dopo la maxi retata dell'Fbi in Wall Street che ha portato a 60 arresti e a 406 incriminazioni, tra cui i dirigenti della Bears Stern Matthew Tannin e Ralph Cioffi, le borse europee crollano di nuovo nel baratro finanziario. Nel tentativo di placare la sete di giustizia degli investitori americani, che hanno visto bruciare miliardi di dollari di capitalizzazione sui mercati finanziari, non si è fatto altro che pregiudicare ancora di più una situazione già instabile e precaria.
L'operazione ha portato alla luce 144 casi di frode, con perdite per 1 miliardo di dollari, con arresti tra traders, operatori finanziari, manager e banchieri. Le indagini hanno dimostrato che gli alti dirigenti erano a conoscenza delle truffe in atto, ma soprattutto della manipolazione dei titoli al solo scopo di dissimulare capitali e creare attività dal nulla. Tutto questo, però, non farà cambiare nulla, il sistema non subirà alcuna riforma, perché quest’ondata di giustizialismo farà cadere solo le teste da dare in pasto ai media e per ristabilire una certa fiducia sul mercato. Ha invece dimostrato che le grandi istituzioni finanziarie e governative non hanno assolutamente il controllo su quanto accade ai massimi livelli dirigenziali di banche e società di investimento, che sono riusciti ad immettere sul mercato fiumi di titoli e garanzie bancarie non coperte.

Le borse mondiali oggi tremano dietro ogni piccolo shock, le banche una dopo l’altra soccombono e nella migliore delle ipotesi galleggiano nel tentativo di coprire enormi falle finanziarie derivate da una scellerata gestione che dura ormai da anni da parte di operatori americani e inglesi. Di riflesso anche la Svizzera con le sue innumerevoli banche ha subito e sta subendo tuttora questa crisi, al punto tale che alcune voci di corridoio rivelano che la Ubs si trova al limite della bancarotta e vicina al fallimento totale. Stiamo parlando proprio della UBS Bank, roccaforte svizzera, che negli ultimi dieci anni hanno spacciato al mondo intero la sua filosofia basata sulla correttezza e la massima trasparenza, contribuendo invece ad alimentare un sistema che ha compromesso la stabilità dell’intero mercato creditizio, di società e così di economie piccole o grandi. Al suo lento declino hanno senz’altro contribuito molte delle inchieste volte a far luce sui rapporti che il colosso finanziario svizzero aveva con privati che depositavano collaterali senza alcun valore presso le sue securities, per poi essere utilizzate ai fini di capitalizzazioni di società ( si veda caso Petrobras ). Così come le interrogazioni circa gli intrecci e gli interessi che la stessa banca ha curato con la Podogoricka Banka, che nel periodo a cui si fa riferimento ( 1995-2001) era sottoposta a sanzioni finanziarie, e con la stessa Banca Riggs, condannata per riciclaggio di denaro illecito da un tribunale americano. La risposta che ottenemmo allora fu che le informazioni a nostra disposizione erano "rumors" e mera speculazione, a cui la Ubs Bank non dava seguito.

Alla luce di quanto accaduto in questi ultimi mesi, sarebbe ancora interessante capire se quanto affermavamo erano solo "rumors" o se avevano un terribile fondo di verità. Oggi il mercato finanziario mondiale piange e non ha il coraggio di comunicare al mondo intero che esiste un buco finanziario di oltre 700.000.000.000 di dollari, e dunque che è alla bancarotta. Il petrolio ha raggiunto valori assurdi, il petrolio è ai minimi storici, e nessuno ha il coraggio di dire che queste sono le ultime grandi speculazioni che ancora permettono di accumulare enormi somme di denaro, nonostante la crisi più profonda. In questo momento forse gli analisti saranno già alla ricerca di nuovi sistemi bancari per aggirare la crisi per ricavarne nuovi utili, e magari presto sarà in atto una nuova strategia per entrare nel cuore nel mercato per spremerlo fino all’osso. Gli organismi di sorveglianza dovrebbero già adesso prestare molta attenzione a quello che attualmente gira sulle piazze finanziarie internazionali, come valuta nord coreana offerta ad un decimo del suo valore, garanzie bancarie in leasing che vengono pagate un decimo del loro valore nominale, bond corporativi di società sull’orlo del fallimento ma sottoposte ad operazioni di restaling con il beneplacito di operatori finanziari. Non mancano gli stessi titoli Petrobras, che in relazione alla loro data di emissione, si rivelano essere non coperti da alcuna garanzia, né della società e né della Banca. La storia oggi si ripete con gli stessi metodi, le stessi armi e la stessa disinformazione, continuano ad illuderci con sciocche campagne di giustizialismo, che in fin dei conti servono gli interessi di strutture di potere più forti. "Il pesce grande mangia il pesce piccolo", e come in una grande matrioska, alcuni centri di potere finanziari stanno cavalcando l’onda per recuperare quote di mercato e consolidare sempre di più la loro posizione. Per raggiungere i loro scopi usano le Istituzioni, il Governo e persino le forze di polizia, destabilizzando il management ma lasciando intatte le carte del gioco. Abbiamo per questo mostrato documenti, prove e testimonianze, abbiamo toccato punti nevralgici per operazioni in corso da milioni di dollari, e le conseguenze non sono tardate a venire: sono giunte le prime indagini e i primi colpevoli, ma la macchina non si è arrestata. Continua a macinare denaro a vuoto, forse in attesa di vittime ancora più illustri, e non sarà sazia fin quando non le otterrà.

20 giugno 2008

La Russia nel WTO per un "new deal"

Il Commissario al commercio Peter Mandelson è oggi a Mosca per incontri con i membri chiave della nuova amministrazione russa, in vista del vertice Ue-Russia il 27 giugno. L'Unione europea sosterrà che l'ingresso della Russia nel Wto a partire dal novembre del 2009, a conclusione dei negoziati per l'adesione entro la fine del 2009, come traguardo di Mosca ma anche del sistema globale di scambio.

La Russia farà il suo ingresso all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio a partire dal novembre del 2009, a conclusione dei negoziati per l'adesione entro la fine del 2009. Un traguardo della Federazione russa che viene annunciato dal Commissario europeo al Commercio Peter Mandelson per il suo discorso presso il simposio internazionale "Sguardo verso l'avvenire: la Russia al XXI secolo" tenutosi a Mosca nel quadro del vertice UE-Russia previsto per il 27 giugno, per incontrare durante la sua permanenza il Primo Vice premier Igor Shuvalov, il Vice Ministro e Ministro delle Finanze Alexei Kudrin, ed il Ministro per lo Sviluppo Economico Elvira Nabiullina, nonché con l’Associazione russa degli Industriali e degli Imprenditori. "La Russia ha portato a termine il 90% dei negoziati per la sua adesione all'organizzazione mondiale del commercio condotti per oltre 15 anni, e ormai una certa stanchezza si fa sentire", ha affermato Mandelson che, salvo la risoluzione degli ultimi problemi relativi ai dazi sull’esportazione, suggella con sollievo la fine delle "ostilità" tra il WTO e la Federazione russa, divenuta ormai un degno e temuto partner commerciale. "La liberalizzazione economica e la convergenza saranno il pilastro principale dell’associazione UE-Russia. Noi abbiamo bisogno di creare una forte struttura di coesione e per far questo abbiamo bisogno di vedere la Russia nel WTO", afferma Mandelson, confermando la volontà dell’UE di concludere al più presto un accordo economico che possa garantire anche una certa stabilità per la cooperazione economica tra i due grandi blocchi.

La Russia rappresenta un partner per l’Unione Europea che vale circa 72.4 miliardi di euro di esportazioni, e un mercato di importazioni da 140.8 miliardi di euro pari al 10.4% delle importazioni europee, ragion per cui l’integrazione economica EU-Russia faciliterebbe gli investimenti e consoliderebbe i rapporti energetici tra le due entità, per giungere ad un accordo preferenziale economico e commerciale fortemente integrato tra la Russia e la UE. L’ingresso all’interno del Wto è stato da tempo individuato come uno degli obiettivi chiave per la Russia ai fini della sua totale integrazione nel sistema economico globale, incontrando tuttavia degli ostacoli soprattutto da parte degli Stati Uniti che hanno utilizzato il loro potere all’interno dell’Organizzazione Mondiale per imporre la propria superiorità e godere di un vantaggio anche dal punto di vista politico-diplomatico. Tuttavia, nel giro di pochi anni molte cose sono cambiate e la lenta ed inesorabile decadenza del dollaro, nonché l’ascesa delle fonti energetiche fossili, hanno consentito alla Russia di riscattare la sua posizione e il suo debito nei confronti della Comunità internazionale, al punto che la stessa Unione Europea ammette che l’ingresso della Russia nel WTO è divenuta una priorità degli Stati stessi e dunque del sistema del commercio globale. Lo stesso Mandelson sottolinea che una conclusione rapida dei negoziati è necessaria per evitare che la Russia "diventi ostaggio di certi membri dell'organizzazione", o di "certe questioni politicizzate in maniera esagerata".

Comunque, tra gli ostacoli all’archiviazione delle trattative vi è ancora la questione delle barriere all’importazione di alcune materie prime come il legno, al libero movimento dei capitali che rende gli investimenti diretti di compagnie estere ancora difficili. Tuttavia, l’ultimo vero ostacolo all’ingresso della Gazprom al WTO, sollevato in particolare dalla Germania, è lo status della Gazprom definita come un'organizzazione commerciale e statale la cui politica commerciale dovrebbe essere regolata dalla stessa Organizzazione del Commercio internazionale. La Russia, da parte sua, non intende fare concessioni, e mette i dovuti paletti all’invasione della politica interna alla Federazione. Alexei Portansky, capo dell’ufficio di informazioni per l'accesso della Russia al WTO, ha dichiarato al quotidiano russo Kommersant, che "per la Gazprom non deriva in verità dalle pressioni dell’Europa, quanto più da Arabia Saudita e Stati Uniti", osservando che sebbene "l'approvvigionamento di gas è l'unica cosa che potrebbe interessare alla Germania", "lo status dell'impresa non rientra certo nella sfera di competenza della Germania". Infatti, la Russia non considera Gazprom come un'organizzazione commerciale statale, anche se viene giuridicamente definita come un monopolio naturale per l’esportazione di gas. Portansky spiega così che "le organizzazioni di commercio dello Stato sono regolate dal cosiddetto GATT 1994, accordo che determina i prezzi di esportazione e i sussidi sottoposti alle negoziazioni del WTO. In base a tale trattativa - continua il portavoce russo - le entità che operano in un contesto di commercio internazionale dovranno agire esclusivamente su basi commerciali", e dunque non politiche.

È chiaro tuttavia che la Russia non potrà cedere al WTO spazio di azione per decidere sullo status di un’entità così strategicamente rilevante per l’economica del Paese. Equivarrebbe a cedere parte della propria sovranità ad un’entità sovranazionale di cui, in realtà, la Russia non riconosce il potere. Molto probabilmente le mire del Cremlino si rivolgono ad acquisire un ruolo primario all’interno dell’organizzazione, una posizione che gli permetta di influire sulle politiche e le decisioni, e non di subire provvedimenti invasivi. Non ci troviamo più dinanzi ad uno Stato in difficoltà, ma ad una potenza economica che vuole innanzitutto la rifondazione delle Istituzioni Internazionali, a partire dall’ONU e dal FMI, per approdare anche al WTO, da tempo controllate da Stati Uniti e Europa. D’altro canto, il declino economico per queste due entità ha come sintomo nelle prime concessione e nei compromessi che fanno crollare le ultime vestigia della guerra fredda del passato, per entrare in un nuovo ordine mondiale. La stessa decisione dell’UE di revocare in massa le sanzioni contro Cuba, nonostante la linea dura degli Usa, rappresenta un ulteriore aspetto del "new deal", che ha bisogno di nuovi sostegni e rinnovati consensi. L’Unione Europea deve nascondere la crisi innescata dal no dell’Irlanda, le difficoltà economiche ma soprattutto la sua dipendenza dai Paesi esportatori di energia, perché vuole in un certo senso sostituire gli Stati Uniti in quella posizione di entità leader sulla scena internazionale, come interfaccia tra i blocchi d’Oriente e d’Occidente.

18 giugno 2008

Presto l'immigrazione certificata UE


Il "decreto sicurezza" sbarca in Senato dopo il via libera del Consiglio dei Ministri, per esaminare misure urgenti predisposte dal Governo in materia di sicurezza pubblica e le nuove norme per contrastare l'immigrazione clandestina. Il corpo di leggi, accolto da polemiche e forti attacchi, va a colpire una sfera sociale dell’opinione pubblica molto delicata quale la "percezione della sicurezza" e per tale motivo l’attuazione di questo tipo di norme è vitale per la stabilità dell’ordine pubblico della nostra società.

L’introduzione del reato di clandestinità rappresenta un duro colpo per il nostro tessuto sociale, considerando che allo stato attuale l’Italia non sarebbe mai in grado di "punire" l’immigrazione regolare e né potrebbe farlo perché significherebbe condannare persone innocenti, entrando poi nella difficile problematica del "rispetto dei diritti dei rifugiati", nel "diritto di asilo" e nella "violazione di diritti fondamentali dell’uomo". Se si arriverà al punto di parlare di immigrazione clandestina sarà perché occorrerà infliggere un sistema di controllo talmente preciso ed onnipresente, da imporre il completo tracciamento dei movimenti dei cittadini. Ecco perché si inserisce a questo punto la Commissione Europea, che risponde all’emergenza creata dalla suggestione di massa, affermando che "l'Europa ha bisogno di una politica d'immigrazione comune", e che "la clandestinità tollerata o ammessa non è un buon segnale per nessun cittadino europeo", come sostiene il Vice Presidente della Commissione europea e Commissario alla Giustizia, libertà e sicurezza Jacques Barrot (nella foto) durante la presentazione del pacchetto su asilo e immigrazione che saranno sottoposte alla valutazione del Consiglio Europeo. Si prepara dunque la "certificazione" del programma sull'immigrazione che disciplinerà sia i rapporti con Paesi terzi che con quelli comunitari, senza escludere, tra l’altro, il reato di clandestinità.

Il Commissario Barrot così fissa le linee guida, che vanno oltre i semplici accordi bilaterali sul movimento dei cittadini esteri, e impone regole chiare ma soprattutto omogenee tra i Paesi membri. Si parla dunque di "gestione integrata delle frontiere" , di "intensificazione della lotta all'immigrazione illegale" e "lotta alla tratta di persone", nonché di un corpo di leggi che farà dell’Europa un unico corpo per controllare le frontiere interne e politiche nazionali di immigrazione. L’Europa agirà anche sul diritto di asilo, e su questo pretende l’omogeneizzazione dei testi normativi ma soprattutto l’istituzione di un'agenzia europea di sostegno per l'asilo che fornisca le informazioni sui Paesi d'origine delle persone che chiedono l'asilo. Decisioni che vanno a toccare anche il passaggio dal SIS-I (Schengen Information System) al SIS II che prevede l’approfondimento delle procedure di raccolta dei dati mediante sistemi biometrici, e il rafforzamento dei controlli delle frontiere. L’Agenzia FRONTEX, che ora coordina le squadre nazionali di sorveglianza, sarà dotata di maggiori poteri, nonché di uffici regionali di fonti di finanziamento diretti, con la possibilità di intervenire nei rapporti con i paesi terzi. Verrà implementato a tutti gli effetti il regime di vist0 elettronico che garantisce maggiore efficienza nella raccolta dei dati sui movimenti e permette un efficace intervento delle forze nazionali.

Sarà dunque l’Unione Europea la regista della regolamentazione dell’immigrazione, così pure della disciplina dei rapporti dei cittadini comunitari, e, dopo aver condannato le misure degli Stati Nazionali, potrebbe arrivare al punto di imporre essa stessa il reato di clandestinità.
Tale eventualità sarà sempre più vicina considerando che l’Europa, così come fece a suo tempo il grande Impero Romano e come oggi fanno gli Stati Uniti, arriverà ad una massima espansione e poi chiuderà i propri confini stabilendo rigidi controlli sulla circolazione dei cittadini. Oggi stiamo vivendo quella fase di "condono" dell’adesione alla Comunità Europea, in cui il processo di allargamento va avanti in maniera arrestabile ma si pone sempre in maniera differente rispetto ai nuovi candidati. Basti pensare che per i Balcani Occidentali è stato elaborato un accordo di stabilizzazione e di associazione definito di terza generazione, che non ha come fase successiva obbligatoria la candidatura a Stato membro, ma l’ulteriore approvazione da parte degli Stati membri. Probabilmente per gli Stati del mediterraneo e prossimi al Caucaso si faranno nuove regole di adesione e di collaborazione, tale che l’Unione Europea diventa stratificata ma sempre notevolmente accentrata nelle mani della Commissione, dei burocrati e dei comitati di esperti. A ricordare la vera natura dell’Europa è stato solo il Senatore a vita Francesco Cossiga, che nella sua intervista ricorda le parole del Cancelliere socialdemocratico tedesco Schmidt che riprese l'allora Presidente della Commissione dicendo: "Stia zitto lei, che è il primo dei nostri impiegati". L’ex Presidente Cossiga, analizzando il no di Lisbona, spiega proprio che l’Europa che abbiamo creato non è quella che i cittadini si aspettavo, e che degli atti notevolmente tecnici, tra l’altro non sottoposti al veto dei cittadini, ci impongono di rinunciare a parti molto importanti della nostra sovranità.

16 giugno 2008

I Balcani in un'Europa che non esiste


Il popolo irlandese boccia il Trattato di Lisbona e chiede a Bruxelles e a tutti gli Stati firmatari di rinegoziare un atto costitutivo che non può avere alcuna legittimazione a prevalere nei confronti delle costituzioni nazionali. Dinanzi al fallimento del Trattato dell'Unione Europea, ci si chiede cosa potrà offrire ora l'Europa ai Paesi che aspettano di divenire candidati all'integrazione, e in particolar modo agli Stati balcanici che devono ancora scontare gli errori di una guerra ingiusta, e le continue contraddizioni che continuano tutt'ora.

Le elezioni serbe, concluse sulla scia della grande campagna propagandistica della "vittoria dell’Europa", hanno subito rivelato la vera faccia della realtà e così anche il vero vincitore. Ricordiamo come ogni ambasciatore e capo di Stato si affrettava a proclamare la vittoria dell’Europa, e che "la Serbia aveva scelto la strada europea", mentre tutti i quotidiani e i media lanciavano notizie come veri e propri slogan pubblicitari. Ben presto però si è dovuto ammettere che Tadic non aveva i numeri per governare, mentre la coalizione di radicali-democratici e, infine, socialisti avrebbe potuto formare un Governo. Chi allora disse che la vittoria era tutta di Tadic ha commesso un grande errore perché ha fatto male i conti e non ha considerato che i cosiddetti vincitori avrebbero dovuto piegarsi ai "perdenti". Molti si sono affrettati a dire delle cose senza sapere la verità e questo la dice lunga sulla politica estera di ogni paese. L’evoluzione degli eventi conferma tutto questo, ma soprattutto conferma che, come più volte dai noi affermato, il vero vincitore è stato il partito di Slobodan Milosevic, che ha portato a casa "una vittoria morale". Tanto è vero che tutti coloro che prima disperatamente definivano il partito socialista serbo come un partito di carnefici e macellai, ora sono pronti a rinnegare tutto e scendere a patti per fare il nuovo governo, e così a ricominciare. La settimana prossima sarà decisiva, perché probabilmente si farà luce sul tipo di accordo esistente tra la lista "Per una Serbia Europea" e il partito di Ivica Dacic, mettendo fine al braccio di ferro tra i partiti nazionalisti e quelli pro-europa, ma anche all’assurda propaganda messa in piedi solo per accreditare delle scelte politiche azzardate e prese al di fuori di un dibattito politico discusso tra tutte le parti.

Ricordiamo inoltre che la Serbia ha firmato un atto di associazione all’UE la cui applicazione è subordinata alla cattura dei criminali di guerra ricercati dall’Aja, rimettendo il proprio futuro nelle mani dei burocrati della Commissione Europea, ma soprattutto di un’entità che di fatto è fallita. L’Europa preme per la chiusura della questione secondo le sue regole, ma soprattutto per fermare la forte avanzata della Russia nel sistema economico dei Balcani, divenuta ormai travolgente. I muri invisibili sono caduti mentre i demiurghi di Bruxelles sono pronti a far cadere la barriere dello Schengen tra meno di due anni, pur di non far passare i paesi balcanici dall'altra parte. In realtà tutto si basa sulla propaganda che è stata creata, sulla suggestione di massa che dovrebbe indurre i popoli balcanici a credere che la soluzione ai propri problemi sia nell’Europa, sia nella rinuncia ad una parte della propria storia per sposare una "causa più grande".

Ma cosa ha dato sino ad oggi l’Europa a questi paesi? Tutti i progetti promossi sino ad oggi si sono rivelati solo parole al vento, come le centrali nucleari dell’Albania, il petrolio albanese, le ferrovie in Serbia e in Bosnia, la famosa isola galleggiante in Montenegro, e ancora tutte le privatizzazioni che avrebbero dovuto risollevare l’economia creando nuove fonti di finanziamento per gli Stati. È tutta carta straccia, mentre la sola verità è che quella jugoslava è stata una guerra sbagliata, fatta dalle multinazionali e non dai governi, perchè le nostre truppe sono dei contractor al soldo dei "mercanti che sono nel tempio". Non esiste summit dove qualche ambasciatore non regali le sue perle di saggezza, lezioni di economia e di Governo, per poi firmare contratti con le stesse entità che hanno sponsorizzato guerra, propaganda e ricostruzione. In tutto questo, gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo importante perché hanno imposto un sistema per l’approvvigionamento delle risorse basato su collaterali, su titoli che stranamente si svalutano al momento di versare i soldi veri. La costruzione di uno stato fantasma, qual è il Kosovo, ha portato gli albanesi ubriacati di illusioni e falso patriottismo su una strada senza via di uscita, in cui non possono né essere equiparati agli albanesi che sono a Tirana e né possono dirsi "kosovari" indipendenti. Per non parlare poi dell’Albania, divenuta terra da cui molte famiglie sono scappate dalla disperazione, mentre i suoi ingegneri e i suoi professori oggi lavano piatti in tutta Europa, e tutto questo perchè i loro politici erano troppo occupati ad avere una macchina lussuosa, a viaggiare e a curare la loro immagine come pubbliche relazioni.

Pensate che in Serbia non accada la stessa cosa? Tutti questi paesi aiutati dall’Europa, sono stati ridotti ad un mero specchio della società perbenista europea, che è solo apparenza senza alcuna sostanza, dovranno divenire dei semplici sottoposti, per assecondare l’espansione dell’Unione Europea rimanendo sempre cittadini "non europei". I Balcani pagheranno per questa grande superficialità, per gli errori dei politici senza storia, per le bugie degli ambasciatori occidentali che impongono la loro voce al di sopra dei Governi, per essersi fidati della grande Unione Europea. L’Europa infatti è fallita di nuovo, all’ennesima prova dinanzi al popolo cade e non prova mai a mettersi in discussione partendo proprio dal passato e dalla sua storia. In che modo, ci chiediamo, potrà l’UE aiutare la Serbia a riavere il Kosovo, o il Kosovo a essere uno Stato come una vera identità, l’Albania ad avere l’elettricità, o la Bosnia ad avere pace tra i suoi popoli, ma soprattutto, quale può essere la sua autorità se lo stesso popolo europeo ha bocciato il suo trattato costitutivo. Siamo così giunti dinanzi al paradossale interrogativo se continuare l'allargamento e l'espansione dell'Unione Europea, o fermare tutto e sederci intorno ad un tavolo, per discutere la rinegoziazione di un trattato che i cittadini europei hanno bocciato più volte e che dunque non può avere alcuna legittimazione a prevalere nei confronti delle costituzioni nazionali .

Rinascita Balcanica

13 giugno 2008

Kosovo: l'ONU si prepara al passaggio dei poteri all'Europa


Il Segretario Generale Ban Ki-Moon invia una lettera alle Istituzioni di Pristina, di Belgrado e della missione ONU in Kosovo, dando istruzioni sulla riconfigurazione della missione UNMIK delineando un ruolo per la Eulex e così anche il futuro del cosiddetto nuovo Stato del Kosovo.E' un intervento di riconfigurazione, preso nei termini previsti dalla risoluzione ONU 1244, e delle relative competenze del Segretario Generale dell’ONU, che va a modificare le competenze senza alterare la base legale di fondo, come molte altre misure prese in questi anni di permanenza della missione sul territorio del Kosovo.

Nella sua lettera inviata alle Istituzioni di Pristina, di Belgrado e della missione ONU in Kosovo, il Segretario Generale Ban Ki-Moon riconfigura la missione UNMIK delineando un ruolo per la Eulex e così anche il futuro del cosiddetto nuovo Stato del Kosovo. Una serie di istruzioni che dovranno adattare la missione amministrativa provvisoria delle Nazioni Unite alle circostanze che si sono venute a creare dopo la dichiarazione di indipendenza del 17 febbraio, riportate per i suoi tratti salienti dal media Balkaninsight.
Il provvedimento di Ban Ki-moon è prima di ogni cosa un intervento di riconfigurazione preso nei termini previsti dalla risoluzione ONU 1244 e delle relative competenze del Segretario Generale dell’ONU, che va a modificare le competenze senza alterare la base legale di fondo, come molte altre misure prese in questi anni di permanenza della missione sul territorio del Kosovo. Una decisione di questo tipo può non essere sottoposta al vaglio del Consiglio di Sicurezza, per essere poi gradualmente attuata, conferendo i poteri della UNMIK in parte alle Istituzioni di Pristina e in parte alla Eulex, che potrà coesistere rispetto alla missione internazionale ONU, con la nomina di un nuovo capo che va a sostituire Joachim Ruecker.
"In assenza di altre indicazioni da parte del Consiglio di Sicurezza, e in seguito alle ampie consultazioni tra le parti è mia intenzione riconfigurare la struttura e il profilo della presenza civile ed internazionale in relazione all’evoluzione della situazione in Kosovo", afferma Ban Ki-Moon nella lettera, specificando che la riconfigurazione "abilita l'Unione europea ad assumere un diverso ruolo operativo in Kosovo, nel rispetto della risoluzione 1244".

Le istruzioni del Segretario Generale riguardano innanzitutto le aree di pattugliamento, i tribunali, le dogane, il trasporto e i rapporti con la Chiesa Ortodossa Serba, che saranno oggetto di negoziazioni tra le parti. Per quanto riguarda le forze Nato, la KFOR continuerà a mantenere la sicurezza dei confini come previsto sempre dalla risoluzione 1244, conservando le sue competenze a carattere militare, mentre "le forze del Servizio di Polizia del Kosovo (SHPK) che operano in certe aree a maggioranza etnica serba dovranno fare rapporto alla polizia internazionale sotto la totale autorità dell'ONU", precisano le istruzioni di Ban-Ki Moon. Un provvedimento questo che andrebbe a conciliare le richieste della comunità serba, e in particolare degli ufficiali di etnia serba, che dopo la dichiarazione dell’indipendenza hanno chiesto di essere sottoposti al comando della polizia internazionale, e non delle autorità di Pristina. Saranno inoltre create, sempre nelle aree a maggioranza serba, delle corti supplementari che opereranno all'interno del sistema giuridico del Kosovo, in maniera da controllare le strutture parallele serbe che si sviluppano in maniera indipendente rispetto alle autorità di Pristina.

Si inserisce a questo punto la Missione Europea Eulex che avrà il ruolo di "supervisionare" l’implementazione di un sistema giuridico e legislativo adeguato, succedendo alla missione dell'ONU ad un livello superiore nell’evoluzione delle strutture statali del Kosovo, che otterranno invece le competenze amministrative detenute ora dagli ufficiali della Unmik. Precisando che "la missione dell’UE ricoprirà il suo mandato senza alcun tentativo di formalizzare l'indipendenza del Kosovo", Ban Ki-Moon afferma nella sua lettera : "consapevole dell'impegno che l’UE dovrà ricoprire nella regione, intendo consultarmi con l’Alto Rappresentane della Sicurezza delle Politiche Estere dell’Unione Europea per determinare un ruolo operativo per l'Unione europea all'interno della struttura neutrale delle Nazioni Unite", cita la lettera affermando che "tali consultazioni avverranno anche presso le autorità in Pristina, con riferimento alla realizzazione della nuova situazione".
Viene così confermato quanto già anticipato dal rappresentante speciale dell’UE per il Kosovo, Peter Feith, dichiarando che la Eulex avrebbe subito solo un ritardo, e che la presenza della UNMIK non sarebbe stata alterata. Si fa inoltre strada l’ipotesi che la Eulex potrebbe essere schierata nelle sue fasi iniziali proprio nel Kosovo settentrionale, area a maggioranza serba, andando ad affrontare il problema delle istituzioni serbe parallele, e ad attuare un unico spazio legale in Kosovo ispirato al piano Ahtisaari .
Al contrario, il quotidiano di Belgrado Blic, con toni più duri afferma che la missione internazionale in realtà passerà nelle mani della Eulex, che decreterà la sospensione della missione dell'ONU senza alcuna risoluzione da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, mentre la UNMIK sarà delegata nella parte settentrionale di Kosovska Mitrovica. Alla Serbia, secondo Blic, andrà un "contentino" quale l’accordo sulla spartizione dei poteri sulla polizia, il sistema legislativo, il controllo del confine, traffico ed eredità culturale nelle aree popolate dai serbi.

Il quadro di Ban Ki-Moon vede da una parte la permanenza delle forze dell’ONU rispettando così la risoluzione 1244, dall’altra l’evoluzione della presenza internazionale mediante l’implementazione di un sistema giuridico di stampo europeo. Le Istituzioni di Pristina dovrebbero, di regola, assumere su di sé le competenze amministrative dello Stato, anche se questo è alquanto improbabile visto che la parte albanese-kosovara non è organizzata, né strutturalmente né economicamente, in maniera da essere autonoma rispetto alla Comunità Internazionale. Si tratta pur sempre di uno "stato" estremamente povero, la cui economia è basata sulle mafie, sul contrabbando e i traffici, oltre che sui finanziamenti e le donazioni delle "fondazioni" internazionali che hanno così investito nella creazione di questo territorio fuori dal controllo della legge nazionale e sovranazionale. L’Europa rappresenta ancora una volta un’entità che fa da catalizzatore e si insedia negli Stati attraverso il suo linguaggio "tecnico-giuridico" da burocrate. Nei fatti, non ammetterà mai di aver fallito e continuerà a camuffare il suo ruolo eludendo il Consiglio di Sicurezza. Del resto, l’avanzata dell’UE e la retrocessione della UNMIK potrebbe anche essere frutto di un tacito accordo tra Stati Uniti ed Europa che accetta di ricoprire il ruolo di "pacificatore" per portare il Kosovo verso l’integrazione euro-atlantica. Lo stesso accordo tacito che potrebbe essere avvenuto tra il Presidente Tadic e Bruxelles, cercando di preservare la comunità serba minacciata di isolamento e di pogrom da parte dalla maggioranza albanese. In ogni caso, è stata scelta la strada più facile e meno controllabile, una specie di primo compromesso che presume un’evoluzione verso il completo passaggio dei poteri.

Rinascita Balcanica


Rinascita Balcanica

12 giugno 2008

Trattato UE: un baratro democratico


Oggi l'Irlanda voterà al referendum il Trattato semplificato di Lisbona, decidendo così del destino dell'Unione Europea e dello stesso rapporto futuro tra cittadini ed Istituzioni europee. Se il No dovesse vincere, bocciando così il Trattato, l'Europa sarà immersa in un nuovo periodo di crisi e di introspezione, ma molto probabilmente si passerà al piano B, per il quale verranno semplicemente apportate delle modifiche per rendere agli irlandesi il testo più digeribile. Dinanzi agli errori e ai continui fallimenti dell'Unione Europea non possiamo che ammettere che esiste "baratro democratico" tra l'unione e le popolazioni, "un vero problema di sostegno popolare".

Quello dell'Irlanda, unico paese dell'Unione che sottopone a referendum il Trattato semplificato di Lisbona, rappresenta uno di quei casi rari che permettono di aprire finalmente un serio dibattito sulla natura di questa Unione Europea che abbiamo creato, ma soprattutto su questo testo costituzionale che tradisce le aspettative e la sovranità degli Stati. Conferendo un potere eccessivo alle strutture centralizzate non elette su base popolare e nominate solo indirettamente da eurocrati non sottoposti al controllo delle Istituzioni dei singoli Stati Membri, il cosiddetto semi-trattato di Lisbona rappresenta già di per sé un primo fallimento, perché studiato a tavolino con una forma giuridica che perde la denominazione di Costituzione Europea e mantiene quella di "trattato" che in quanto tale non va approvato dal popolo dei singoli Stati, ma nei fatti ha un potere pari a quello di una Carta Costituzionale. L’obiettivo della parte del "no" che sta lottando oggi in Irlanda, è proprio quello, dunque, di arrivare ad un risultato che può essere portato a Bruxelles per rinegoziare il Trattato, proprio come il Trattato di Nizza del 2002 che è stato rivisto in relazione alle richieste di rettifica da parte irlandese.
I pronostici tra l’altro non sono dei migliori dopo la grande incertezza emersa nei sondaggi e l’improvviso aumento delle percentuali del NO, sorpassando in alcuni casi la parte del SI. Un'ultima proiezione, i cui risultati sono stati pubblicati solo martedì, dava un ristretto vantaggio del SI, con il 42% di intenzioni di voto, e poco più di un punto superiore allo stesso sondaggio effettuato due settimane prima; nello stesso periodo, in compenso, il NO è avanzato di 6 punti, al 39%. A preoccupare ancora di più Bruxelles è stato un altro sondaggio, pubblicato venerdì da un istituto concorrente, che poneva il NO come vincitore in testa con il 35% delle intenzioni di voto, contro il 30% per il SI. Tuttavia, il problema più grande è costituito dal 19% degli indecisi, e dal forte astensionismo, al punto tale che l'organismo indipendente incaricato della supervisione del referendum avrebbe intenzione di mandare dei messaggi su tutti i telefoni cellulari dell'Irlanda per ricordare agli elettori lo scrutino di giovedì, sperando così aumentare il tasso di partecipazione al voto del 4%.

È ovvio che se il No dovesse vincere, bocciando così il Trattato, l'Europa sarà immersa in un nuovo periodo di crisi e di introspezione. È stata addirittura sollevata la possibilità di una costituzione di "due zone", a seconda dei paesi dell'UE che avrebbero adottato o non il trattato di Lisbona, ma questa è un'opzione radicale che non troverebbe comunque attuazione. Molto probabilmente si passerà al piano B, per il quale verranno semplicemente apportate delle modifiche per rendere agli irlandesi il testo più digeribile. Sembra che i maggiori ostacoli siano le posizioni di apertura su questioni prettamente di ordine morale, o della mutua assistenza in caso di invasione nemica, anche se sono molto più profondi e gravi i motivi della necessaria bocciatura di tale trattato. D’altronde, "cercare di fare rivotare gli irlandesi sarebbe umiliante. Bisogna rispettare la volontà dei popoli", obietta Pierre Moscovici, ex Ministro degli Affari europei francese, che probabilmente pensa all’impatto che avrebbe sull’opinione pubblica europea che si è vista negare ogni forma di discussione e così anche di rinegoziazione del Trattato.
L'eventualità di un rigetto del mini-trattato europeo da parte degli irlandesi quindi inquieta tutti gli altri Governi europei, come Belgio e Olanda che hanno bocciato già una volta l’Europa, e la Francia, in cui si elevano sempre più forti le voci che propongono un nuovo voto al referendum. D’altro canto un NO irlandese sarebbe un terremoto ed un colpo duro per la Presidenza francese dell’Unione, considerando che Nicolas Sarkozy è stato uno dei più forti sostenitori.Il programma della Presidenza francese sarà rovesciato e si rischia un periodo abbastanza lungo di immobilizzazione dell'Europa . Gli eurocrati sono molto più preoccupati della rivolta dei popoli europei, che potrebbero ridestarsi contro l’Unione Europea, piuttosto che del problema dell’immobilismo del sistema burocratico. I cittadini stanno sempre più subendo in prima persona le conseguenze delle gravi lacune di questa Europa, come il problema dell’immigrazione, del mercato del lavoro e dell’insostenibile perdita di potere di acquisto.

Non dimentichiamo infatti che l’Europa democratica e in continua espansione, ha confermato, con l’approvazione della direttiva Ue sui rimpatri degli immigrati clandestini, che l'introduzione del reato di immigrazione clandestina è "la via giusta". La direttiva , approvata all’unanimità dal Consiglio Europeo, prevede la possibilità di detenzione fino a un massimo di 18 mesi di immigrati clandestini, portando alla probabile creazione di un’Europa che si estende sino ai confini della Russia chiusa nei suoi confini circondati da filo spinato. Cosa dovremmo poi dire alla Romania e alla Bulgaria, che hanno fatto il loro ingresso in Europa nella speranza di trovare in essa una fonte di sviluppo e di crescita del Paese, e non una barriera ideologica e la consapevolezza di essere discriminati in quanto "cittadini comunitari" ma non "cittadini europei". Fallisce anche con le cosiddette missioni umanitarie, come quella del Kosovo che vedrà probabilmente l’intervento di Ban Ki-Moon per bypassare la Eulex e eludere il controllo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Si parla infatti di "riconfigurazione" della missione Unmik, in forza del quale si avrà una coabitazione tra la missione Onu e quella Europea, grazie ad un testo "poco chiaro" che permetterà a Bruxelles d'interpretare il piano come un via libera di Ban Ki-Moon al dispiegamento della missione europea. Siamo dunque arrivati ai sotterfugi e alle manomissioni del diritto internazionale, pur di non decretare il sostanziale fallimento di una politica estera non riconosciuta nei fatti dalle Nazioni Unite. Esiste dunque un "baratro democratico" tra l'unione e le popolazioni, "un vero problema di sostegno popolare", come riconoscono ormai molti euro-parlamentari ammettendo che è giunto il momento per l'Europa di inchinarsi seriamente dinanzi ai cittadini.

11 giugno 2008

Austria, Slovenia e RS: il nuovo percorso del South Stream


La Slovenia e l'Austria parteciperanno al progetto di costruzione del gasdotto South Stream, mentre sembra che si stiano preparando le trattative per la Repubblika Srpska che si affianca così alla Serbia. Questo il grande annuncio della Gazprom che è pronta a delineare il nuovo percorso della pipeline strategica per l'Europa Centro-Meridionale che attraverserà tutti i Balcani: sulle sue rive si distinguono così anche le demarcazioni delle zone di influenza nel Mediterraneo.

La Slovenia potrà partecipare al progetto di costruzione del gasdotto South Stream. Questo il grande annuncio del Presidente del gruppo russo Gazprom Alexei Miller, al termine del Congresso degli affari europei a Parigi che comunica così alla stampa la decisione di permettere alla Slovenia ed all'Austria di unirsi alla realizzazione del progetto, nella cornice del 12 Forum economico internazionale di San Pietroburgo. Allo stesso tempo, il Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione del gigante russo, Alexander Medvedev, ha già anticipato che presto verrà ratificato un accordo intergovernativo con l'Austria, in particolare con la società tedesca coordinatrice del progetto per la parte tedesca MOV. Una firma che vale molto di più di quel che si pensi, considerando che l'Austria, invitata a partecipare al progetto nell'agosto 2007, rappresenta la principale forza motrice del Nabucco. Nonostante le forti indecisioni si è giunti ad una svolta, grazie all’importante risultato raggiunto prima con la Slovenia, il cui inserimento ha portato all’elaborazione di un progetto che avrebbe aggirato il territorio austriaco. È questo punto che è giunta il definitivo assenso del Presidente della MOV Wolfgang Ruttenstorfer , chiedendo che il South Stream doveva passare attraverso l'Austria.

South Stream - Nabucco a confronto nel 2007



Una decisione in un certo senso indotta dal continuo evolvere delle trattative di Gazprom che, dopo aver ratificato un importante accordo con l'Adzerbaijan - identificato come principale fornitore del gasdotto europeo - e aver trascinato nel progetto anche l'Ungheria, potrebbe sbaragliare a questo punto ogni concorrenza o sfida. La partecipazione dell'Austria sembra così risolvere due importanti problemi, perché da una parte rinforza la presenza del monopolio russo del gas in una regione strategica importante, diminuendo di conseguenza le probabilità dell’implementazione del Nabucco nella medesima area. Inoltre, in tal modo, la Russia diventa il principale "garante" della sicurezza energetica dell'UE, considerando che l’Austria diventerà un potente centro di distribuzione del gas in Europa.D’altronde, quello che si preannunciava come un progetto inattaccabile, si è presto tradotto in un grande flop, a causa dei relativi problemi tecnici e politici incontrati dai suo fornitori. L’Iran, per esempio, sembra essere molto vicino alla "causa dell’indipendenza energetica europea" ma preferisce mantenere ben stretta questa carta per ottenere una legittimazione al nucleare civile prima di firmare un accordo vincolante. Allo stesso modo, Adzerbaijan, Uzbekistan e Turkmenistan, sebbene abbiano dato il loro assenso in un memorandum di intesa, rappresentano ancora degli Stati che subiscono notevolmente l’influenza della Russia, in quanto ex Repubbliche sovietiche. D’altro canto, il Caucaso è ancora un’area geopolitica molto tormentata, non ancora in grado di ospitare gli investimenti necessari che sono relativamente importanti ed estremamente rischiosi.

Occorre inoltre considerare, il risvolto di tale accordo sullo scenario balcanico considerando che in è in corso una battaglia diplomatica ed economica regionale per entrare nel progetto russo, ma soprattutto per ottenere i trasferimenti e le royalties a cui potrà avere accesso ogni Paese che sarà attraversato dalla conduttura. Considerando che la società russa Gazprom ha raggiunto ormai un consolidato accordo con Bulgaria e Serbia, si può, quasi con sicurezza affermare che il progetto coinvolgerà ben presto anche Bosnia Erzegovina e Croazia. Secondo quanto riportato dal quotidiano croato Vecernji list, sono stati presi i primi contatti con la Bosnia, in particolare con la Republika Srpska e non con la Federazione della BiH, tale che sarà il Governo di Banja Luka, insieme alla Serbia, a sponsorizzare il progetto russo, aprendo il proprio mercato ad ulteriori investimenti del settore energetico, e dunque negli stabilimenti di produzione di elettricità e di raffinazione del greggio. Anzi, secondo il Vecernji list Banja Luka sta già delineando i piani di fattibilità per il transito nella regione del South Stream, che proseguirà poi la sua strada verso l’Europa settentrionale e verso l’Italia, preparando la costruzione di una strada pubblica come infrastruttura di sostegno per la conduttura. Si fa inoltre strada l’ipotesi di un percorso alternativo che coinvolga anche la Croazia, decisa ad entrare nell’affare attraverso la cooperazione con i fornitori russi nel progetto Druzba Adria, ossia una tratta della conduttura futura che attraverserà la Serbia e il nord della Bosnia Erzegovina, entrando nella Republika Srpska nei pressi di Bijeljina, a nord di Banja Luka, ed attraverserebbe la Croazia nella regione di Dvor na Uni. Stando alle prime proiezioni del progetto, la RS otterrebbe un guadagno annuale che oscilla tra i 250-300 milioni di euro come gettito delle tasse di trasporto per i 200 chilometri della conduttura. Dopo il grande annuncio la Gazprom è pronta a delineare il nuovo percorso della pipeline strategica per l'Europa Centro-Meridionale che attraverserà tutti i Balcani: sulle sue rive si distinguono così anche le demarcazioni delle zone di influenza nel Mediterraneo.

10 giugno 2008

La costituzione “dimenticata” e lo scambio di consonanti


Con il pretesto di porre rimedio alle gravissime e drammatiche problematiche ambientali e sanitarie che riguardano la regione Campania e di mettere fine ad una situazione di eccezionale e perdurante emergenza, il governo Berlusconi ha fatto ricorso allo strumento della decretazione di urgenza, introducendo delle norme in deroga al dettato costituzionale ed alle leggi comunitarie. A questo punto viene da chiedersi: i cittadini potranno ancora credere nella sicurezza delle discariche?

L'articolo 32 della Costituzione che recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività” non vale per gli abitanti della Campania. A suffragare questa nostra interpretazione restrittiva della norma costituzionale è l'applicazione del decreto legge numero 90 del 23 maggio 2008. Con il pretesto di porre rimedio alle gravissime e drammatiche problematiche ambientali e sanitarie che riguardano la regione Campania e di mettere fine ad una situazione di eccezionale e perdurante emergenza, il governo Berlusconi ha fatto ricorso allo strumento della decretazione di urgenza, introducendo delle norme in deroga al dettato costituzionale ed alle leggi comunitarie. Basti pensare che se il decreto berlusconiano sui rifiuti fosse entrato in vigore qualche settimana prima, alcune irregolarità contestate nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Napoli (che ha portato alla sbarra 25 persone tra dipendenti, funzionari del Commissariato all'emergenza e responsabili Fibe ed Ecolog) non potrebbero essere più contestate in Campania, ma non nel resto d'Italia.

Tanto per fare un esempio, mentre in un'altra regione non è consentito assimilare rifiuti solidi urbani e speciali (rifiuti combusti), in Campania, grazie al nuovo decreto, invece lo è. Quindi i rifiuti campani possono essere omologati con lo stesso codice Cer (catalogo europei dei rifiuti), e conferiti in discarica anche carichi di idrocarburi. In sintesi: le stesse tipologie di rifiuti, in Campania vanno in discarica, mentre se destinate ad un´altra regione sono bloccate, analizzate e trattate. Per la Campania, dunque, è stata prevista dal decreto una più bassa soglia di sicurezza e di tutela alla salute. A questo punto viene da chiedersi: i cittadini potranno ancora credere nella sicurezza delle discariche? In questi 15 anni si sono già visti troppi strappi alle regole. E l'inchiesta della Procura ha dato certezza a dei sospetti, e cioè la “superficialità” con cui vengono gestite le discariche, con il percolato che ha invaso ed inquinato intere aree agricole. Con i rifiuti tossici che hanno avvelenato giorno dopo giorno tanti cittadini. E, cosa gravissima, con l'assenso di chi doveva controllare che tutto fosse a norma. Controllati e controllori avviluppati in un unico criminale abbraccio.

Si pensi,per esempio, al caso emblematico della circolare al centro dell'inchiesta dei giudici napoletani. A creare “problemi” fu una circolare nella quale si diceva che il materiale prodotto negli impianti di combustibile da rifiuti della Campania non era da considerarsi Cdr, e quindi non era idoneo alla termovalorizzazione, generando, come ha spiegato un dirigente del commissariato ai pm in un interrogatorio, il problema della classificazione del materiale, "se era da classificarsi con la lettera D (in questo caso non era adatto alla spedizione in Germania) o con la lettera R (come gradito alle autorità tedesche)". Il “giochetto di prestigio” effettuato dai funzionari corrotti è racchiuso proprio in queste due consonanti. Materiale da classificarsi come D veniva classificato come R. In Germania, quindi, la Campania ha smaltito attraverso Ecolog rifiuti in violazione della normativa comunitaria, cambiando il codice di questi rifiuti nella documentazione.

Un reato ascritto ai vertici dell'azienda, l'ad Roberto Cetera e il direttore tecnico Lorenzo Miracle, ma anche al responsabile della sanità del Dipartimento di Protezione civile Marta Di Gennaro. ll traffico illecito di rifiuti, scrivono i pm, sarebbe consistito "nell'invio di frazione umida con codice Cer 190501 non veritiero; nell'effettuazione in Germania di un'operazione di smaltimento in luogo di attività falsamente rappresentate come recupero alle competenti autorità e come tali indicate nei documenti di accompagnamento delle singole spedizioni". Ma l'inchiesta ha puntato l'indice anche verso le scelte delle aree delle discariche. E le irregolarità nello smaltimento dei rifiuti attraverso la falsa indicazione della loro tipologia non riguardavano solo l'invio in Germania, ma anche quello in discarica. come ad esempio l'utilizzo per alcuni mesi della discarica già chiusa in località Parapoti a Montecorvino Rovella, nel salernitano. Deroghe su deroghe, eccezioni su eccezioni. Il popolo campano non ha bisogno di altre normative ad hoc ma del rispetto della legge, quella unica ed uguale per tutti.

Ernesto Ferrante
Rinascita Campania

09 giugno 2008

La Russia lancia una nuova Bretton Woods


Il Presidente russo Dmitri Medvedev dinanzi al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo condanna la politica finanziaria ed economica degli Stati Uniti, che ha dato vita all’ economia dell’egoismo e così anche ad una crisi ben più temibile della grande depressione degli anni ’30, rilancia la nuova conferenza internazionale che avrà stavolta come baricentro la Russia. Sul fallimento dell’economia internazionale propone la riforma dell'architettura finanziaria mondiale mediante l’organizzazione in Russia di una conferenza internazionale. Si fa così strada l’alea di una nuova Bretton Woods, che potrebbe avere in Mosca la sua sede permanente, e nello stesso continente euro-asiatico i presupposti da cui ripartire.

Le parole di Dmitri Medvedev, pronunciate dinanzi al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, più che una sfida sono una vera e propria manifestazione di intenti per la fondazione della prossima conferenza sull’economia mondiale. Se da una parte condanna la politica finanziaria ed economica degli Stati Uniti che ha dato vita, secondo Medvedev, all’ economia dell’egoismo e così anche ad una crisi ben più temibile della grande depressione degli anni ’30, dall'altro rilancia la nuova conferenza internazionale che avrà stavolta come baricentro la Russia. Gli Stati Uniti, con la loro "politica finanziaria aggressiva", vengono definiti da Medvedev come i responsabili dell'impoverimento della maggior parte dei popoli del pianeta. Una politica che, sottovalutando i rischi corsi dalle principali compagnie finanziarie, ha provocato delle perdite solo per le imprese, mettendo in discussione persino le regole del mercato. Il presidente russo ha così accusato gli Stati Uniti di ricoprire "un ruolo che non corrisponde alle sue capacità reali", ma soprattutto di essere all'origine della crisi finanziaria mondiale, in quanto "l'economia di mercato non è destinata a generare unicamente disuguaglianze, distruzione dell'ambiente naturale e crisi sistemiche". La requisitoria del Presidente russo va infatti a toccare ogni aspetto più cruciale della particolare congiuntura che il mondo attraversa, dalla spregiudicata speculazione bancaria che ha creato la bolla del credito e il panico della liquidità, sino all’assurdo rincaro dei beni di sussistenza e dei beni di largo uso, che hanno decretato secondo Medvedev l’impoverimento, non solo dei Paesi in via di sviluppo, ma anche della popolazione dei cosiddetti paesi ricchi. "Le crisi odierne, dalla penuria alimentare, alla crescita dei prezzi, alle catastrofi naturali che sempre più spesso si verificano, evidenziano che il sistema di istituzioni internazionali per dirigere l'economia non corrisponde alle sfide - dichiara Medvedev - si registra così un certo vuoto istituzionale, mancano organismi per la soluzione di problemi concreti. L'idea che un paese possa prendersi il ruolo di governatore globale si è rivelata illusoria".

Sul fallimento dell’economia internazionale, ma soprattutto sulle ceneri del dollaro e degli Stati Uniti propone la riforma dell'architettura finanziaria mondiale, e in primo luogo del Fondo monetario internazionale mediante l’organizzazione entro l'anno in Russia di una conferenza internazionale, con la partecipazione delle maggiori compagnie finanziarie e i migliori esperti. Si fa così strada l’alea di una nuova Bretton Woods, che potrebbe avere in Mosca la sua sede permanente, e nello stesso continente euro-asiatico i presupposti da cui ripartire. L'obiettivo è ridisegnare gli assetti mondiali, e per far questo occorre stravolgere anche le istituzioni internazionali, sino a capovolgere il ruolo delle attuali potenze rispetto a quelle emergenti sempre più forti. "Vogliamo partecipare alla formazione delle nuove regole del gioco", ammette Medvedev senza però trascurare che "questo non significa affatto avere una volontà imperialistica, ma solo riconoscere che la Russia ha la capacità e le risorse necessarie per farlo".
Con un'economia in pieno boom, che vale 1,3 miliardi dollari, riserve in valuta estera pari a 480 miliardi di dollari e 144 miliardi nel Fondo di Stabilizzazione, Medvedev presenta la Russia come il prossimo centro finanziario internazionale che erigerà il rublo a valuta leader per la regione euroasiatica, nonché a riserva mondiale. Un’ipotesi questa neanche molto lontano dalla realtà delineata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) - come dichiarato da John Lipsky, primo direttore generale del FMI, dinanzi al Forum di San Pietroburgo - secondo il quale ci si deve aspettare un interesse sempre maggiore nei confronti della moneta russa, una volta che il sistema finanziario giunga ad un’evoluzione tale da lanciarla prima in un contesto regionale e poi mondiale, ossia con un'inflazione bassa e un flusso di investimenti stabile che siano sintomo di solvibilità e stabilità. Il Ministro delle Finanze Alexei Kudrin, non a caso lascia trapelare l’informazione secondo cui "un fondo di investimento cinese sarebbe pronto a convertire le sue attività in rubli", conferendole già il primo volto di riserva regionale.

Non si può dunque nascondere come l’inesorabile crescita dell’economia russa stia influendo sui flussi dei capitali, sulla struttura dell’economia mondiale e sulla redistribuzione delle risorse, ma non occorre cadere nell’illusione o nella trappola della nuova Bretton Woods. Il fallimento di tale sistema ha rivelato l’errore di fondo di basare su di un ristretto gruppo di entità o su un’unica potenza economica, a prescindere dal fatto che abbia o non abbia le capacità per reggere tale responsabilità. Sostituire nuovi poteri ai vecchi reggenti non significa rifondare le strutture economiche istituzionali, ma solo cambiare la squadra dirigente, inserendo all’interno dei rappresentanti di diversi centri di potere. La Russia, con il suo patrimonio energetico e la sua ricca fonte di capitali, rivendica ora quella posizione di rilievo negli organismi decisionali internazionali, dopo essere stata isolata per circa venti anni proprio dagli artefici di quella "politica egoistica" che ora condanna. Riprende ora la sua scalata sociale, dopo essere stata dormiente per alcuni anni, e lo fa sia agendo all’interno dell’ONU, che difende come unica Istituzione legittimata, sia attraverso il rilancio della discussione sulle anomalie e le distorsioni economiche. In questo piano, semi-perfetto, non bisogna escludere l’Unione Europea che resta un forte accentratore di potere nonostante la sua dipendenza energetica, e la ripresa degli Stati Uniti che potrebbe giungere proprio con la possibile elezione di Barack Obama, strenuo difensore dei deboli e trascinatore di masse, attorno al quale si potrebbe formare una nuova coalizione politica. Infatti, l’attuale amministrazione di Washington appare ancora come l’immagine speculare degli Stati Uniti "padroni del mondo", mentre il nuovo Obama ha tutta l’aria di essere il nuovo volto che l’America stava aspettando per riacquisire credibilità e fiducia a livello internazionale. Non vi sono né vinti né vincitori, quanto meno giustizieri, ma solo candidati a ricoprire posizioni di comando che spesso trovano un ragionevole compromesso per spartire il potere.

06 giugno 2008

Le speculazioni protette dall'ONU


Si chiude il vertice Fao 2008 a Roma, e lascia dietro di sé delusione e rabbia, nella consapevolezza che ormai non esiste alcun organismo che sia in grado di far valere il rispetto dei popoli e dei diritti umani senza farsi influenzare dagli interessi economici dei poteri e dei governi forti. La dichiarazione si conclude con un invito generico alla Fao e ad altre organizzazioni internazionali a "monitorare e analizzare la sicurezza alimentare mondiale in tutte le sue dimensioni, e sviluppare strategie per migliorarli". La più grande delusione resta tuttavia l'immobilismo nei confronti dell’allarmante problema della speculazione finanziaria, che vanifica ogni sforzo produttivo o commerciale, per far fronte al rincaro dei prezzi, e punta il dito esclusivamente sui biocarburanti.

Il vertice Fao si conclude lasciando dietro di sé delusione e rabbia, nella consapevolezza che ormai non esiste alcun organismo che sia in grado di far valere il rispetto dei popoli e dei diritti umani senza farsi influenzare dagli interessi economici dei poteri e dei governi forti. Le conclusioni, racchiuse in un semplice documento, riducono le misure di contrasto all’emergenza alimentare a futuri finanziamenti nei confronti dei Paesi più deboli, al controllo della produzione di biocarburanti e alla necessità di una maggiore liberalizzazione dei mercati agricoli. La dichiarazione si conclude con un invito generico alla Fao e ad altre organizzazioni internazionali a "monitorare e analizzare la sicurezza alimentare mondiale in tutte le sue dimensioni, e sviluppare strategie per migliorarli". Per quanto riguarda il rincaro dei prezzi, nessuna concreta iniziativa, tranne la stigmatica enunciazione sulla necessità di "intraprendere iniziative per moderare fluttuazioni anomale dei prezzi dei cereali". Questa, probabilmente, la più grande delusione di un vertice tanto inutile quanto ipocrita, che si rifiuta così di affrontare l’allarmante problema della speculazione finanziaria, che vanifica ogni sforzo produttivo o commerciale, per far fronte al rincaro dei prezzi, e punta il dito esclusivamente sui biocarburanti, demonizzati al punto da ipotizzare un divieto per la loro produzione.

Tuttavia, i punti più controversi restano le proposte di aumentare la libera circolazione dei beni agricoli sul mercato, riducendo le barriere doganali e impedendo le politiche di molti Paesi di limitare le esportazioni di cibo, diminuire le esportazioni di semi, bloccare le frontiere per non far entrare aiuti alimentare che possono distruggere il mercato interno. Tornano inoltre gli Ogm come sistema per risolvere la crisi alimentare, divenuti ormai un’arma chimica contro la differenziazione biologica e uno strumento per l’imposizione del monopolio di determinante entità economiche. Si stima infatti che da questa crisi, le più grandi imprese operanti nel settore agro-alimentare abbiano registrato impennate esponenziali dei loro ricavi: la Cargill ha annunciato un aumento dei profitti in un solo quadrimestre dell'86%, Bunge del 77%, Archer Daniel Midland's del 65%. Allo stesso tempo continuano le spinte per la liberalizzazione dei mercati, proponendo così l’ingresso dei Paesi in via di Sviluppo nell'ambito del General Agreement on Trade in Services (GATS) o di altri negoziati multilaterali o bilaterali, e intensificando le regole in discussione nel Doha Round. Si rischia tuttavia, in tal modo, di intensificare la crisi rendendo i prezzi dei generi alimentari ancora più volatili, aumentando la dipendenza dei paesi in via di sviluppo dalle importazioni e così anche più inarrestabili le crisi alimentari.

Non resta che constatare che, come sempre a prevalere sono gli interessi economici di potenze petrolifere e caste finanziarie sempre più forti, utilizzando l’Onu e la rete di Organismi internazionali per difendere una vera e propria strategia economica in atto. Da una parte si va a contrastare la concorrenza di altri tipi di combustibili, spacciando la crisi alimentare come conseguenza della distrazione delle coltivazione dalle derrate, mentre dall’altra si usa la speculazione finanziaria per esasperare il rincaro delle commodities e legittimare le politiche di liberalizzazione e l’adozione di organismi geneticamente modificati. Un vero e proprio circolo vizioso, in realtà sempre più inarrestabile, in quanto ci troviamo dinanzi alla crisi economica dell’epoca moderna più preoccupante degli ultimi anni, che a confronto quella degli anni ’70 potrebbe sembrare una semplice "congiuntura sfavorevole", in quanto si va ad intrecciare con la crisi dei mercati finanziari, e lo stesso crollo delle istituzioni Statali, a favore delle entità sovranazionali ormai sempre più forti. Le situazioni di emergenza divengono, in tale contesto, solo un mezzo per imporre una sorta di "ristrutturazione economica forzata", al fine di rafforzare il controllo delle risorse idriche e alimentari, nonché dei combustibili.

Infatti, le crisi che colpiscono i vari settori vitali per l’economia tendono a coordinarsi sempre di più, confluendo tra di loro e aggregandosi, perché la crisi alimentare che oggi affrontiamo è una propagazione della crisi finanziaria, che è anche origine di quella petrolifera. Tutte le variabili in gioco - cibo , petrolio e acqua - sono oggetto di un processo della manipolazione simultanea del mercato intenzionale. L’aumento del petrolio e la svalutazione della moneta di riserva ha scatenato la speculazione sulle commodities, e così l’aumento dei prezzi alimentari e la necessità di utilizzare combustibili alternativi; allo stesso tempo il prezzo dell’acqua ha subito ulteriori speculazioni come conseguenza delle politiche globali di privatizzazione delle risorse idriche. Ecco dunque che le lobbies cambiano e si moltiplicano, e non si riducono solo a quelle petrolifere, ma abbracciano anche quelle operanti nelle biotecnologie agro-industriali, i giganti dell’acqua. A favorire il loro consolidamento sta giocando un importante ruolo le stesse Nazioni Unite che stravolgono la realtà degli eventi, parlando della crisi della produzione, quando i dati rivelano che alcuni Paesi hanno addirittura moltiplicato le esportazioni facendo fronte alla stessa produzione di bio-combustibili. Tali contraddizioni e anomalie rivelano ancora di più il grande disastro del disfacimento delle Organizzazioni Internazionali, che crollano insieme agli Stati-Nazione e ai diritti degli Stati sovrani.

05 giugno 2008

Centrale di Krsko: un fortuito allarme

Mentre proseguono i colloqui nel corso della Conferenza della Fao a Roma, individuando nell’energia nucleare una probabile soluzione per i rincari dei prodotti petroliferi e dei beni alimentari, giunge la notizia di un incidente all'interno della centrale nucleare di Krsko, in Slovenia, a 130 km da Trieste. L’incidente rischia ora di propagandare a tal punto i suoi effetti disastrosi da deviare di nuovo l’informazione e colpire ancora una volta il mercato energetico e le quotazioni delle fonti di energia.

Hanno attraversato migliaia di chilometri con i loro aerei privati, hanno discusso e ratificato accordi: tante strette di mano, tanti abbracci e conferenze stampe, mentre si festeggia con champagne e si corre per gli impegni improrogabili. I più alti rappresentanti hanno raggiunto ieri Roma per discutere della fame nel mondo e della crisi energetica, in una conferenza in grande stile. Durante i colloqui, sbuca di nuovo l’energia nucleare come soluzione dei rincari dei prodotti petroliferi e dei beni alimentari. Tuttavia la risposta giunge subito dalla Slovenia, con uno strano incidente che smuove una grande propaganda che porta profitti solo ad una determinata lobby.
Nella serata di ieri è stato segnalato a Bruxelles attraverso il sistema di allarme nucleare rapido Ecurie, una perdita di liquido dal sistema di raffreddamento principale della centrale nucleare di Krsko, in Slovenia, a 130 km da Trieste. Si tratta di una delle più piccole centrali europee attiva, costruita nel 1981 e ora gestita congiuntamente dalle società elettriche slovena e croata dal 2002, è dotata di un reattore Westinghouse che utilizza uranio arricchito, fornendo più di un quarto dell'energia necessaria alla Slovenia e un quinto di quella croata. La Commissione Europea ha assicurato che il team d'emergenza della Direzione generale dei Trasporti ed Energia (Tren) rimarrà all'erta fin quando la situazione sarà pienamente sotto controllo.Sembra quasi una storia già vista, come la grande avaria che stava arrivando, subito dopo Cernobyl, e che poi non è più arrivata, essendo stato solo un calo di potenza poi spacciato come imminente disastro. Ora come allora, cominceranno a preparare le bandiere, e i vari opinionisti sfileranno, "altro giro e altra corsa".

L’incidente rischia ora di propagandare a tal punto i suoi effetti disastrosi da deviare di nuovo l’informazione e colpire ancora una volta il mercato energetico e le quotazioni delle fonti di energia. Infatti espandendo di nuovo il terrore delle apocalittiche avarie delle centrali si potrebbe indurre da una parte gli Stati che ora si stanno riaffacciando al nucleare, come l’Italia, a retrocedere su certi progetti a favore di rigassificatori e oleodotti, e dall’altra a proporre nuovi investimenti sul nucleare in Paesi esteri ma comunque prossimi all’Italia, come i Balcani. Sarebbe infatti la regione balcanica la destinataria dei prossimi progetti di costruzione delle centrali nucleari dell’Italia, come dichiarato dallo stesso Premier albanese Sali Berisha, nel corso dell’intervista al Corriere della Sera. Ribadendo le promesse fatte al precedente Governo Prodi sulla possibilità di ospitare centrali nucleari destinate all’esportazione di energia, Berisha continua a fare la sua megalomane propaganda, auto-proclamandosi "eroe di due mondi": da una parte l’Italia che non sa proprio dove installare le sue rovinose centrali, dall’altra l’Albania che soffre da 15 anni di crisi energetiche. Nonostante si siano susseguiti continuamente consulenti, esperti e scienziati, nonché tutti gli ambasciatori che si sono spacciati per i salvatori della patria, l’Albania continua ad non avere energia elettrica, mentre dall'altra parte dell’Adriatico aumenta il prezzo dell’elettricità.

I grandi progetti per i Balcani teoricamente sulla carta sembrano sempre grandi opere tecnologiche, ma concretamente quasi nessuno è stato mai realizzato, fermandosi esclusivamente sui cosiddetti studi di fattibilità. In realtà nessuno dice che le Procure dei Balcani sono affollate da cause per riciclaggio di denaro e per truffa contro organizzazioni non governative e le Associazioni di ricerche concessionarie dei cosiddetti plan business e studi tecnici per la realizzazione di opere infrastrutturali ed energetiche, arrivando così a manovrare milioni di euro senza giungere mai al buon fine del progetto.
D'altro canto, le campagne si allarmismo nei Balcani sono ormai una consuetudine, al punto tale che non vengono neanche più considerate seriamente. Qualcuno addirittura ricorda che persino nel periodo del comunismo in Albania, gli allarmi degli attacchi del nemico erano all’ordine del giorno, per mantenere il terrore sulla massa. Ora con le privatizzazioni le regole sono cambiate ma i veleni rimangono gli stessi. L’incidente della centrale slovena è un chiaro esempio di manipolazione dell'informazione, molto simili alle "bombe di Al qaida", che si azionano in maniera sincronizzata proprio mentre il petrolio arriva ad un livello insostenibile e rischia di trascinare nell’iperinflazione più caotica tutta l’Europa. I primi sentori di ribellione giungono proprio da Bruxelles dove centinaia di pescatori arrivati nella capitale belga, in gran parte francesi e italiani, hanno bloccato una delle arterie principali protestando contro il rincaro dei prezzi dei carburanti. Ancora una volta, una protesta pacifica si è tradotta in una carica violenta della polizia per disperdere i manifestanti. Ben presto le guerre della fame saranno affiancate dalle rivolte per il petrolio, per poi sfociare il quelle del debito, quando si chiuderanno anche le linee di credito, quando neanche il mutuo sarà più in grado di garantire un livello di sussistenza. Allo stesso tempo cominceranno le crociate contro i Paesi che vogliono il nucleare o cercano una qualche indipendenza dal petrolio o dal gas: dopo l’Iran toccherà all’Italia, poi all’Albania. Diventeremo xenofobi, mafiosi, o clandestini nella nostra stessa terra.

04 giugno 2008

Chiaiano non deve essere una bomba ecologica


Tante volte nel corso di questi ultimi giorni abbiamo dovuto ascoltare “fantasiose” e calunniose rivisitazioni della protesta popolare di Chiaiano. Un assurdo teorema criminale, sposato purtroppo anche da tanti nostri distratti e superficiali colleghi, è stato applicato per denigrare e sminuire la protesta condivisa ed autenticamente popolare delle masse di Chiaiano e Marano che stanno lottando strenuamente per difendere la loro terra e la loro vita.
Le cariche effettuate dalla polizia, dirette da Sossio Costanzo, ex dirigente della squadra mobile di Napoli, arrestato nel 1997 insieme a 19 colleghi del commissariato di Portici perché sospettato di aver favorito i locali clan camorristi, condannato in primo grado a un anno e dieci mesi per favoreggiamento, poi assolto in appello e restituito al servizio, sono state brutali e per certi versi proditorie. La cronaca dei fatti ricostruita fedelmente dai presenti è inequivocabile.

La situazione sembrava tranquilla venerdì 23 maggio presso il presidio alla rotonda Rosa dei Venti, dove ogni pomeriggio si tiene un’assemblea popolare, quando intorno alle 20 arrivano i blindati di polizia, carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria e danno inizio alle cariche: i manifestanti fronteggiano le “forze dell’ordine” opponendo resistenza passiva, alcuni sono seduti per terra, altri hanno le mani alzate, ma tutti vengono indiscriminatamente caricati, in prima fila ci sono donne, anziani e bambini anch’essi brutalmente pestati a sangue. Negli scontri un giornalista del Tg3, Romolo Sticchi, viene malmenato da un poliziotto e privato della telecamera con la quale cercava di documentare l’inaudita repressione delle forze dell’ordine contro la popolazione.

L’attacco al presidio in piazza Titanic e ai manifestanti che presidiavano via Santa Maria al Cubito è descritto alla perfezione da una lettera diffusa da una professoressa presente in piazza: “Alle 20 e 20 almeno 100 uomini, tra poliziotti, carabinieri e guardie di finanza hanno caricato la gente inerme. In prima fila non solo uomini, ma donne di ogni età e persone anziane. Cittadini tenaci ma civili - davanti agli occhi vedo ancora le loro mani alzate - che, nel tratto estremo di via Santa Maria a Cubito, presidiavano un incrocio. Tra le 19,05 e le 20,20 i due schieramenti si sono solo fronteggiati. Poi la polizia, in tenuta antisommossa, ha iniziato a caricare. La scena sembrava surreale: a guardarli dall’alto, i poliziotti sembravano solo procedere in avanti. Ma chi era per strada ne ha apprezzato la tecnica. Calci negli stinchi, colpi alle ginocchia con la parte estrema e bassa del manganello. I migliori strappavano orologi o braccialetti. Così, nel vano tentativo di recuperali, c’era chi abbassava le mani e veniva trascinato a terra per i polsi. La loro avanzata non ha risparmiato nessuno. Mi ha colpito soprattutto la violenza contro le donne: tantissime sono state spinte a terra, graffiate, strattonate. Dietro la plastica dei caschi, mi restano nella memoria gli occhi indifferenti, senza battiti di ciglia dei poliziotti. Quando sono scappata, più per la sorpresa che per la paura, trascinavano via due giovani uomini mentre tante donne erano sull’asfalto, livide di paura e rannicchiate. La gente urlava ma non rispondeva alla violenza, inveiva - invece - contro i giornalisti, al sicuro sul balcone di una pizzeria, impegnati nel fotografare”.

Una ferocia ingiustificata che caratterizzerà l’azione dei poliziotti anche nel giorno successivo. La mattina di sabato 24, dopo aver presidiato la piazza tutta la notte, il popolo in lotta viene nuovamente caricato dalle forze dell’ordine le quali usano come pretesto l’intento di liberare la strada da un autobus messo di traverso sulla carreggiata e trasformato in barricata. La carica è violentissima e la polizia isola completamente la zona impedendo ad altre persone di raggiungere il presidio. L’inaudita violenza delle cariche provoca diversi ferimenti, documentati ed incontestabili. Ne citiamo solo due che a nostro avviso sono emblematici: Emanuela una bambina di 12 anni che si trovava su di un muretto insieme ad un’amica viene bastonata e riporta la frattura di un braccio. Due giovani rifugiatisi su un parapetto per sfuggire alla violenza della polizia vengono scaraventati giù dagli agenti dall’altezza di circa sei metri riportando fratture multiple in varie parti del corpo. Uno dei due giovani, Maurizio Pirozzi, ha dichiarato: “Ero in piedi sul muro con le mani alzate, un poliziotto mi ha fatto perdere l’equilibrio e sono caduto. Sono riuscito ad aggrapparmi al parapetto, ma quello con il manganello mi ha pestato le dita. Il dolore era forte e mi sono lasciato cadere”.

Nonostante la violenza delle cariche, l’isolamento e l’ingente schieramento di mezzi da parte delle forze dell’ordine il presidio non arretra di un centimetro e resiste tenacemente. Alle 18 diecimila manifestanti si radunano nei pressi della metropolitana di Chiaiano e sfileranno sino al presidio della Rosa dei Venti al grido di: “Assassini! Assassini!” e “Resistenza! Resistenza!”. La lotta delle popolazioni di Chiaiano e Marano continua, pur se altre azioni duramente repressive sembrano imminenti, visto l’invio a Napoli di altri millecinquecento poliziotti con il preciso compito di garantire, costi quel che costi, l’applicazione di un decreto che potrebbe trasfromare le cave di Chiaiano in un ricettacolo di rifiuti tossico- nocivi di ogni sorta - come chiaramente indicato nel decreto dai codici C.E.R. - con la complicità delle istituzioni locali, forti del connubio pdl-pd. Le popolazioni in lotta vogliono solo impedire che le cave di Chiaiano si trasformino in una bomba ecologica nell’unico polmone verde della città. Chiaiano come Pianura, Giugliano, Serre, Acerra, Savignano. La lotta di popolo che ha infiammato tante realtà della Campania non nasce, come raccontano gli zeloti della disinformazione funzionale agli apparati di potere, dagli “egoismi del popolo del no”.

Queste insorgenze sono la risposta condivisa e spontanea ad un esproprio di democrazia, ad una lacerazione del patto di solidarietà tra popolo ed istituzioni, ad una degenerazione del contratto sociale, divenuto ormai un vero e proprio patto leonino, che, come avvenne per la lunga stagione affaristica del commissariamento post-terremoto, ha consegnato i nostri territori alla speculazione economica e finanziaria, alle ecomafie ed ai cartelli politico criminali. La “logica dell’emergenza” è una strategia ben precisa. Serve a fare profitto e tenere sotto scacco le popolazioni locali, censurare il dissenso e far naufragare sul nascere ogni possibile strategia di socializzazione del ciclo dei rifiuti che protegga l’ambiente e la salute collettiva, dando vita ad una partecipazione organica del cittadino ad un sistema virtuoso e creando anche nuove opportunità lavorative.

Le istituzioni che oggi cianciano strumentalmente di “ bene collettivo”, hanno lavorato per oltre 14 anni alla frantumazione di questo concetto e alla contrapposizione tra le comunità popolari, oscurando l’esistenza di alternative concrete incentrate sul porta a porta, il riciclo, la riduzione degli imballaggi, il compostaggio e gli impianti a freddo. Un interessante possibilità ci viene offerta dalla Sassonia, dove viene smistata parte dei rifiuti campani e dove si apprende che il 70% dei materiali viene riciclato con dei banalissimi impianti di differenziazione “a valle”. La soluzione al problema rifiuti della Campania non può invece passare attraverso la repressione violenta, l’ostentazione di forza militare, la diffusione sul territorio regionale di una infinità di basi e depositi bellici, l’arrogante indifferenza per le sorti di intere popolazioni. Perciò i casi di Chiaiano, Terzigno, Savignano e Ferrandelle non sono affatto da sottovalutare. La questione “discarica di Chiaiano” è un vero e proprio manifesto politico. Certe lotte costituiscono momenti e luoghi di condivisione, spesso autentici “consigli dell’autogoverno”, magari ancora confusi, embrionali e transitori ma capaci di fare rete tra le popolazioni e di ritessere dal basso nuovi modelli di bene comune. Questo le nostre delegittimate istituzioni lo sanno bene. La lotta di popolo è il motore della storia, e la rinascita di un nuovo e spontaneo patto di mutuo soccorso è il carburante che può rimetterlo in moto.

Ernesto Ferrante
Rinascita Campania