Le parole di Dmitri Medvedev, pronunciate dinanzi al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, più che una sfida sono una vera e propria manifestazione di intenti per la fondazione della prossima conferenza sull’economia mondiale. Se da una parte condanna la politica finanziaria ed economica degli Stati Uniti che ha dato vita, secondo Medvedev, all’ economia dell’egoismo e così anche ad una crisi ben più temibile della grande depressione degli anni ’30, dall'altro rilancia la nuova conferenza internazionale che avrà stavolta come baricentro la Russia. Gli Stati Uniti, con la loro "politica finanziaria aggressiva", vengono definiti da Medvedev come i responsabili dell'impoverimento della maggior parte dei popoli del pianeta. Una politica che, sottovalutando i rischi corsi dalle principali compagnie finanziarie, ha provocato delle perdite solo per le imprese, mettendo in discussione persino le regole del mercato. Il presidente russo ha così accusato gli Stati Uniti di ricoprire "un ruolo che non corrisponde alle sue capacità reali", ma soprattutto di essere all'origine della crisi finanziaria mondiale, in quanto "l'economia di mercato non è destinata a generare unicamente disuguaglianze, distruzione dell'ambiente naturale e crisi sistemiche". La requisitoria del Presidente russo va infatti a toccare ogni aspetto più cruciale della particolare congiuntura che il mondo attraversa, dalla spregiudicata speculazione bancaria che ha creato la bolla del credito e il panico della liquidità, sino all’assurdo rincaro dei beni di sussistenza e dei beni di largo uso, che hanno decretato secondo Medvedev l’impoverimento, non solo dei Paesi in via di sviluppo, ma anche della popolazione dei cosiddetti paesi ricchi. "Le crisi odierne, dalla penuria alimentare, alla crescita dei prezzi, alle catastrofi naturali che sempre più spesso si verificano, evidenziano che il sistema di istituzioni internazionali per dirigere l'economia non corrisponde alle sfide - dichiara Medvedev - si registra così un certo vuoto istituzionale, mancano organismi per la soluzione di problemi concreti. L'idea che un paese possa prendersi il ruolo di governatore globale si è rivelata illusoria".
Sul fallimento dell’economia internazionale, ma soprattutto sulle ceneri del dollaro e degli Stati Uniti propone la riforma dell'architettura finanziaria mondiale, e in primo luogo del Fondo monetario internazionale mediante l’organizzazione entro l'anno in Russia di una conferenza internazionale, con la partecipazione delle maggiori compagnie finanziarie e i migliori esperti. Si fa così strada l’alea di una nuova Bretton Woods, che potrebbe avere in Mosca la sua sede permanente, e nello stesso continente euro-asiatico i presupposti da cui ripartire. L'obiettivo è ridisegnare gli assetti mondiali, e per far questo occorre stravolgere anche le istituzioni internazionali, sino a capovolgere il ruolo delle attuali potenze rispetto a quelle emergenti sempre più forti. "Vogliamo partecipare alla formazione delle nuove regole del gioco", ammette Medvedev senza però trascurare che "questo non significa affatto avere una volontà imperialistica, ma solo riconoscere che la Russia ha la capacità e le risorse necessarie per farlo".
Con un'economia in pieno boom, che vale 1,3 miliardi dollari, riserve in valuta estera pari a 480 miliardi di dollari e 144 miliardi nel Fondo di Stabilizzazione, Medvedev presenta la Russia come il prossimo centro finanziario internazionale che erigerà il rublo a valuta leader per la regione euroasiatica, nonché a riserva mondiale. Un’ipotesi questa neanche molto lontano dalla realtà delineata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) - come dichiarato da John Lipsky, primo direttore generale del FMI, dinanzi al Forum di San Pietroburgo - secondo il quale ci si deve aspettare un interesse sempre maggiore nei confronti della moneta russa, una volta che il sistema finanziario giunga ad un’evoluzione tale da lanciarla prima in un contesto regionale e poi mondiale, ossia con un'inflazione bassa e un flusso di investimenti stabile che siano sintomo di solvibilità e stabilità. Il Ministro delle Finanze Alexei Kudrin, non a caso lascia trapelare l’informazione secondo cui "un fondo di investimento cinese sarebbe pronto a convertire le sue attività in rubli", conferendole già il primo volto di riserva regionale.
Non si può dunque nascondere come l’inesorabile crescita dell’economia russa stia influendo sui flussi dei capitali, sulla struttura dell’economia mondiale e sulla redistribuzione delle risorse, ma non occorre cadere nell’illusione o nella trappola della nuova Bretton Woods. Il fallimento di tale sistema ha rivelato l’errore di fondo di basare su di un ristretto gruppo di entità o su un’unica potenza economica, a prescindere dal fatto che abbia o non abbia le capacità per reggere tale responsabilità. Sostituire nuovi poteri ai vecchi reggenti non significa rifondare le strutture economiche istituzionali, ma solo cambiare la squadra dirigente, inserendo all’interno dei rappresentanti di diversi centri di potere. La Russia, con il suo patrimonio energetico e la sua ricca fonte di capitali, rivendica ora quella posizione di rilievo negli organismi decisionali internazionali, dopo essere stata isolata per circa venti anni proprio dagli artefici di quella "politica egoistica" che ora condanna. Riprende ora la sua scalata sociale, dopo essere stata dormiente per alcuni anni, e lo fa sia agendo all’interno dell’ONU, che difende come unica Istituzione legittimata, sia attraverso il rilancio della discussione sulle anomalie e le distorsioni economiche. In questo piano, semi-perfetto, non bisogna escludere l’Unione Europea che resta un forte accentratore di potere nonostante la sua dipendenza energetica, e la ripresa degli Stati Uniti che potrebbe giungere proprio con la possibile elezione di Barack Obama, strenuo difensore dei deboli e trascinatore di masse, attorno al quale si potrebbe formare una nuova coalizione politica. Infatti, l’attuale amministrazione di Washington appare ancora come l’immagine speculare degli Stati Uniti "padroni del mondo", mentre il nuovo Obama ha tutta l’aria di essere il nuovo volto che l’America stava aspettando per riacquisire credibilità e fiducia a livello internazionale. Non vi sono né vinti né vincitori, quanto meno giustizieri, ma solo candidati a ricoprire posizioni di comando che spesso trovano un ragionevole compromesso per spartire il potere.