Motore di ricerca

04 giugno 2008

Chiaiano non deve essere una bomba ecologica


Tante volte nel corso di questi ultimi giorni abbiamo dovuto ascoltare “fantasiose” e calunniose rivisitazioni della protesta popolare di Chiaiano. Un assurdo teorema criminale, sposato purtroppo anche da tanti nostri distratti e superficiali colleghi, è stato applicato per denigrare e sminuire la protesta condivisa ed autenticamente popolare delle masse di Chiaiano e Marano che stanno lottando strenuamente per difendere la loro terra e la loro vita.
Le cariche effettuate dalla polizia, dirette da Sossio Costanzo, ex dirigente della squadra mobile di Napoli, arrestato nel 1997 insieme a 19 colleghi del commissariato di Portici perché sospettato di aver favorito i locali clan camorristi, condannato in primo grado a un anno e dieci mesi per favoreggiamento, poi assolto in appello e restituito al servizio, sono state brutali e per certi versi proditorie. La cronaca dei fatti ricostruita fedelmente dai presenti è inequivocabile.

La situazione sembrava tranquilla venerdì 23 maggio presso il presidio alla rotonda Rosa dei Venti, dove ogni pomeriggio si tiene un’assemblea popolare, quando intorno alle 20 arrivano i blindati di polizia, carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria e danno inizio alle cariche: i manifestanti fronteggiano le “forze dell’ordine” opponendo resistenza passiva, alcuni sono seduti per terra, altri hanno le mani alzate, ma tutti vengono indiscriminatamente caricati, in prima fila ci sono donne, anziani e bambini anch’essi brutalmente pestati a sangue. Negli scontri un giornalista del Tg3, Romolo Sticchi, viene malmenato da un poliziotto e privato della telecamera con la quale cercava di documentare l’inaudita repressione delle forze dell’ordine contro la popolazione.

L’attacco al presidio in piazza Titanic e ai manifestanti che presidiavano via Santa Maria al Cubito è descritto alla perfezione da una lettera diffusa da una professoressa presente in piazza: “Alle 20 e 20 almeno 100 uomini, tra poliziotti, carabinieri e guardie di finanza hanno caricato la gente inerme. In prima fila non solo uomini, ma donne di ogni età e persone anziane. Cittadini tenaci ma civili - davanti agli occhi vedo ancora le loro mani alzate - che, nel tratto estremo di via Santa Maria a Cubito, presidiavano un incrocio. Tra le 19,05 e le 20,20 i due schieramenti si sono solo fronteggiati. Poi la polizia, in tenuta antisommossa, ha iniziato a caricare. La scena sembrava surreale: a guardarli dall’alto, i poliziotti sembravano solo procedere in avanti. Ma chi era per strada ne ha apprezzato la tecnica. Calci negli stinchi, colpi alle ginocchia con la parte estrema e bassa del manganello. I migliori strappavano orologi o braccialetti. Così, nel vano tentativo di recuperali, c’era chi abbassava le mani e veniva trascinato a terra per i polsi. La loro avanzata non ha risparmiato nessuno. Mi ha colpito soprattutto la violenza contro le donne: tantissime sono state spinte a terra, graffiate, strattonate. Dietro la plastica dei caschi, mi restano nella memoria gli occhi indifferenti, senza battiti di ciglia dei poliziotti. Quando sono scappata, più per la sorpresa che per la paura, trascinavano via due giovani uomini mentre tante donne erano sull’asfalto, livide di paura e rannicchiate. La gente urlava ma non rispondeva alla violenza, inveiva - invece - contro i giornalisti, al sicuro sul balcone di una pizzeria, impegnati nel fotografare”.

Una ferocia ingiustificata che caratterizzerà l’azione dei poliziotti anche nel giorno successivo. La mattina di sabato 24, dopo aver presidiato la piazza tutta la notte, il popolo in lotta viene nuovamente caricato dalle forze dell’ordine le quali usano come pretesto l’intento di liberare la strada da un autobus messo di traverso sulla carreggiata e trasformato in barricata. La carica è violentissima e la polizia isola completamente la zona impedendo ad altre persone di raggiungere il presidio. L’inaudita violenza delle cariche provoca diversi ferimenti, documentati ed incontestabili. Ne citiamo solo due che a nostro avviso sono emblematici: Emanuela una bambina di 12 anni che si trovava su di un muretto insieme ad un’amica viene bastonata e riporta la frattura di un braccio. Due giovani rifugiatisi su un parapetto per sfuggire alla violenza della polizia vengono scaraventati giù dagli agenti dall’altezza di circa sei metri riportando fratture multiple in varie parti del corpo. Uno dei due giovani, Maurizio Pirozzi, ha dichiarato: “Ero in piedi sul muro con le mani alzate, un poliziotto mi ha fatto perdere l’equilibrio e sono caduto. Sono riuscito ad aggrapparmi al parapetto, ma quello con il manganello mi ha pestato le dita. Il dolore era forte e mi sono lasciato cadere”.

Nonostante la violenza delle cariche, l’isolamento e l’ingente schieramento di mezzi da parte delle forze dell’ordine il presidio non arretra di un centimetro e resiste tenacemente. Alle 18 diecimila manifestanti si radunano nei pressi della metropolitana di Chiaiano e sfileranno sino al presidio della Rosa dei Venti al grido di: “Assassini! Assassini!” e “Resistenza! Resistenza!”. La lotta delle popolazioni di Chiaiano e Marano continua, pur se altre azioni duramente repressive sembrano imminenti, visto l’invio a Napoli di altri millecinquecento poliziotti con il preciso compito di garantire, costi quel che costi, l’applicazione di un decreto che potrebbe trasfromare le cave di Chiaiano in un ricettacolo di rifiuti tossico- nocivi di ogni sorta - come chiaramente indicato nel decreto dai codici C.E.R. - con la complicità delle istituzioni locali, forti del connubio pdl-pd. Le popolazioni in lotta vogliono solo impedire che le cave di Chiaiano si trasformino in una bomba ecologica nell’unico polmone verde della città. Chiaiano come Pianura, Giugliano, Serre, Acerra, Savignano. La lotta di popolo che ha infiammato tante realtà della Campania non nasce, come raccontano gli zeloti della disinformazione funzionale agli apparati di potere, dagli “egoismi del popolo del no”.

Queste insorgenze sono la risposta condivisa e spontanea ad un esproprio di democrazia, ad una lacerazione del patto di solidarietà tra popolo ed istituzioni, ad una degenerazione del contratto sociale, divenuto ormai un vero e proprio patto leonino, che, come avvenne per la lunga stagione affaristica del commissariamento post-terremoto, ha consegnato i nostri territori alla speculazione economica e finanziaria, alle ecomafie ed ai cartelli politico criminali. La “logica dell’emergenza” è una strategia ben precisa. Serve a fare profitto e tenere sotto scacco le popolazioni locali, censurare il dissenso e far naufragare sul nascere ogni possibile strategia di socializzazione del ciclo dei rifiuti che protegga l’ambiente e la salute collettiva, dando vita ad una partecipazione organica del cittadino ad un sistema virtuoso e creando anche nuove opportunità lavorative.

Le istituzioni che oggi cianciano strumentalmente di “ bene collettivo”, hanno lavorato per oltre 14 anni alla frantumazione di questo concetto e alla contrapposizione tra le comunità popolari, oscurando l’esistenza di alternative concrete incentrate sul porta a porta, il riciclo, la riduzione degli imballaggi, il compostaggio e gli impianti a freddo. Un interessante possibilità ci viene offerta dalla Sassonia, dove viene smistata parte dei rifiuti campani e dove si apprende che il 70% dei materiali viene riciclato con dei banalissimi impianti di differenziazione “a valle”. La soluzione al problema rifiuti della Campania non può invece passare attraverso la repressione violenta, l’ostentazione di forza militare, la diffusione sul territorio regionale di una infinità di basi e depositi bellici, l’arrogante indifferenza per le sorti di intere popolazioni. Perciò i casi di Chiaiano, Terzigno, Savignano e Ferrandelle non sono affatto da sottovalutare. La questione “discarica di Chiaiano” è un vero e proprio manifesto politico. Certe lotte costituiscono momenti e luoghi di condivisione, spesso autentici “consigli dell’autogoverno”, magari ancora confusi, embrionali e transitori ma capaci di fare rete tra le popolazioni e di ritessere dal basso nuovi modelli di bene comune. Questo le nostre delegittimate istituzioni lo sanno bene. La lotta di popolo è il motore della storia, e la rinascita di un nuovo e spontaneo patto di mutuo soccorso è il carburante che può rimetterlo in moto.

Ernesto Ferrante
Rinascita Campania