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29 settembre 2009

Il PEOP in fase di stallo dopo il no della croata Janaf


La costruzione dell'oleodotto pan-europeo (Pan European Oil Pipeline - PEOP) sembra essere giunto ad una fase di stallo, dopo che la Croazia ha bloccato il decorso del progetto, non avendo pagato la tassa d'iscrizione al consorzio pari a circa 50.000 euro. Il PEOP è un progetto in fase di elaborazione a cui hanno aderito sinora Romania, Serbia, Croazia e Italia, mediante il quale si instraderà il petrolio russo e quello del Mar Caspio fino all'UE.

La costruzione dell'oleodotto pan-europeo (Pan European Oil Pipeline - PEOP) sembra essere giunto ad una fase di stallo, dopo che la Croazia ha bloccato il decorso del progetto, non avendo pagato la tassa d'iscrizione al consorzio pari a circa 50.000 euro. Lo hanno affermato ieri i membri del consorzio per l'agenzia rumena "Actmedia", al termine dell'incontro degli imprenditori rumeni e kazaki, tenutosi lo scorso fine settimana ad Astana. Il PEOP è un progetto in fase di elaborazione a cui hanno aderito sinora Romania, Serbia, Croazia, Slovenia e Italia, mediante il quale si instraderà il petrolio russo e quello del Mar Caspio fino all'UE. Il gasdotto che collega Costanza a Trieste, e poi tutti i paesi lungo la sua direttrice, sembra essere in fase di stallo, su ammissione dello stesso Segretario di Stato rumeno presso il Ministero dell'Economia, Tudor Serban, secondo il quale "il lavoro del consorzio che gestisce con il PEOP non può dare dei risultati reali, se non vi è l'impegno degli azionisti della società italiana e della croata Janaf". Queste infatti rappresentano delle controparti d’importanza strategica ai fini della realizzazione del progetto, nonchè Paese consumatore.

Seccondo la società croata, il PEOP ha bisogno delle raffinerie dell'Italia (da cui la stessa Janaf si rifornisce), tale che non ci sarebbe bisogno di costruire un nuovo gasdotto, se il PEOP non andasse a rifornire i paesi dell'Unione europea. Già nella fase iniziale di preparazione del progetto è necessaria una stretta cooperazione con il governo italiano, dei proprietari dei terminal e delle raffinerie, che sono in parte controllate dalle stesse società che sfruttano i giacimenti petroliferi nella regione del Mar Caspio. Inoltre, a causa della mancata partecipazione della Slovenia si avranno maggiori costi d’investimento nella costruzione dell’oleodotto nella sezione che attraversa in gran parte il mare, il che aumenta anche il rischio ambientale nell’Adriatico settentrionale . C'è da considerare che, nel frattempo, hanno cominciato a costruire anche altri gasdotti alternativi al PEOP che trasporteranno petrolio del Mar Caspio e dalla Russia attraverso i porti del Mar Nero, come il Burgas-Aleksandroupolis, l’oleodotto Kazakhstan-Cina, e l'oleodotto Samsun-Ceyhan.

Per tutte queste circostanze la Janaf nel luglio del 2009 ha richiesto delle consultazioni e delle linee guida per le future attività del Ministero dell'Economia, del Lavoro, e dell’imprenditorialità mentre ha riferito ai partner che "congela" le sue attività per il progetto fino a quando non viene chiarita la posizione nei confronti del Governo croato. Dunque, il Pan European Oil Pipeline (PEOP), detto anche oleodotto Costanza-Trieste, rischia di essere rinviato a data da destinarsi, considerando che le società che stanno realizzando il progetto, quali le società romene Conpet ed Oil Terminal, le società JP Transnafta (Serbia) e Jadranski Naftovod (Croazia), hanno deciso di rinviare alla fine di settembre la nomina del nuovo direttore generale, che avverrà in occasione del prossimo incontro a Belgrado.

25 settembre 2009

Cooperazione Serbia-Fiat corre verso la creazione di un indotto


Lo stabilimento di Kragujevac, in cui si concentra la cooperazione tra Gruppo Fiat e Zastava, darà inizio tra cinque o sei settimane alla produzione di un nuovo modello Fiat, per un investimento di oltre 800 milioni di euro. Ma l'espansione della Fiat in realtà non si arresta, e si prepara ad evolvere nella creazione di un vero e proprio indotto automobilistico italiano in Serbia, con gli investimenti delle maggiori imprese italiane che producono componenti auto.

Lo stabilimento di Kragujevac, in cui si concentra la cooperazione tra Gruppo Fiat e Zastava, darà inizio tra cinque o sei settimane alla produzione di un nuovo modello Fiat. Lo ha annunciato il Ministro dell'Economia serbo, Mladjan Dinkic, in occasione del Business Forum italo-serbo a Belgrado, al quale hanno partecipato più di 100 imprenditori italiani, nel quadro della missione istituzionale guidata dal Vice Ministro allo Sviluppo Economico con delega al Commercio Estero, Adolfo Urso. Quello della Fiat, come stimato da Dinkic, sarà un investimento dal valore di circa 800 milioni di euro, nella sua continua evoluzione, sino a creare un vero e proprio indotto automobilistico italo-serbo. Dinkic ha aggiunto che l'automobile sarà prodotta solo nella fabbrica di Kragujevac, sede della Fiat Srbija, joint venture nata nel dicembre del 2008 da una cooperazione tra il governo della Serbia e la Fiat, la quale alla fine di marzo,ha dato il via alla produzione della Punto (prodotta da luglio anche nella versione diesel). Dinkic ha anche annunciato che sarà organizzato in Italia, il prossimo 13 novembre, un incontro tra i rappresentanti del governo italiano e quello serbo, che sarà un ulteriore passo avanti nel migliorare i rapporti economici dei due Paesi. "Su invito del presidente della Fiat Sergio Marchionne, il 13 novembre prossimo, insieme al presidente Boris Tadic mi recherò a Torino per la presentazione del nuovo modello Fiat", ha aggiunto il Ministro Dinkic, spiegando che la delegazione serba, guidata dal presidente serbo Boris Tadic, la visiterà in novembre la fabbrica della Fiat a Torino, dove avverrà la presentazione del nuovo modello.


Il Ministro serbo ha ricordato che in Serbia sono state fondate circa 200 aziende italiane, che occupano 18.000 lavoratori, e il loro fatturato annuo è di 2,5 miliardi di euro. L'Italia è il terzo partner negli scambi esteri della Serbia, e si colloca al quinto posto per importazione di investimenti, il cui valore è di un miliardo di euro. Ciò in relazione ai vantaggi che la Serbia offre come unico paese della regione balcanica con un regime di libero scambio con gli altri stati della ex Jugoslavia, con la Turchia e con la Comunità degli Stati Indipendenti, in particolare con Russia e Bielorussia. In tal senso, Dinkic ha annunciato che proprio sulla liberalizzazione delle tariffe doganali per il settore automobilistico, sono in corso le trattative con Mosca, al fine di creare un mercato allargato per l'export di auto. La partnership tra Serbia e Fiat rappresenta un fattore trascinante per le esportazioni italiane nell'area balcanica, e nella stessa Europa Orientale, apprestandosi a prendere pian piano il posto della Polonia. Come affermato oggi in una nota dal Vice Ministro Urso, "si sta invertendo la tendenza delle esportazioni italiane nel suo complesso", e adesso l'Italia volge uno sguardo all'estero per "incardinare la ripresa e accompagnare le imprese sulla strada dell'internazionalizzazione".

Al termine della conferenza, il Ministro Dinkic e il Vice Ministro Adolfo Urso hanno firmato la dichiarazione sulla cooperazione tra i due paesi nella produzione di componenti per l'industria automobilistica, il cui scopo è, come ha sottolineato Dinkic, assistere l'espansione della società italiana in Serbia. Dinkic ha valutato che, nel settore della componentistica auto, potrebbero essere impiegate circa 10.000 persone in Serbia, in considerazione del fatto che, secondo il piano aziendale della Fiat, dovrebbero essere impiegate 2.500 persone nello stabilimento Zastava, per aumentare da tre a quattro volte i lavoratori del settore delle componenti. Il Ministro dell'Economia ha annunciato che il più grande produttore italiano di componenti per auto per la Fiat, l'azienda Magneti Marelli, insieme con Toscana Gomma e Adler spa, potrebbe investire almeno 100 milioni di euro e assumere 600-700 persone. Per il settore della componentistica auto, il Governo serbo offrirà sovvenzioni per 4.000 euro a lavoratore per l'assunzione di nuovi posti di lavoro in Sumadija, e 5.000 euro nel sud della Serbia. Inoltre, la Serbia, in collaborazione con i governi locali, offrirà il terreno per la costruzione delle infrastrutture strumentali alla logistica della produzione.

"Per gli investimenti in Kragujevac verranno concessi agevolazioni doganali per l'esportazione, e zone franche per l'importazione di materie prime, così come l'esenzione dell'IVA per le importazioni di beni che vengono riesportati all'estero", ha detto Dinkic. "I produttori delle componenti auto godranno di agevolazioni fiscali per le imposte locali e sugli utili, se l'investimento è superiore a otto milioni di euro e se assumeranno più di 100 dipendenti", ha detto il Ministro. Da parte sua, il Vice Ministro dello Sviluppo Economico, Adolfo Urso, ha affermato che la firma della dichiarazione apre la strada per gli investimenti di tutte le aziende italiane che producono componenti auto. "Tale documento di intesa crea un contesto in cui verranno realizzati numerosi investimenti, grazie all'intervento del Governo della Serbia e dell'Italia, attraverso la sua agenzia per la promozione degli investimenti esteri", ha detto Urso, anticipando che tale soluzione di cooperazione tra i due Paesi sarà il modello più vantaggioso di tutta l'Unione Europea. Urso ha infatti valutato che il mercato serbo "ha la capacità di rispondere alla crisi finanziaria ed economica mondiale" e, grazie alla sua posizione geografica, e agli accordi di libero scambio con i paesi dell'ex Unione Sovietica, favorirà l'espansione degli investimenti degli imprenditori italiani.

24 settembre 2009

Assemblea ONU: la sfida della Serbia e dei Balcani


La cornice del palazzo di vetro di New York sarà critica anche per la regione balcanica, i cui equilibri si dispiegano lungo alcuni problemi che, a distanza di anni dalla fine della guerra, non hanno trovato ancora soluzione. E' senz'altro la grande occasione della Serbia per richiamare l'attenzione della comunità internazionale sull'indipendenza del Kosovo. Ma anche della Comunità Internazionale, che ha una grande responsabilità nei confronti di questi Paesi.

Messaggi di pace e appelli alla cooperazione tra i grandi protagonisti della scena internazionale. Così Ban Ki-Moon ha deciso di aprire la 64sima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, salutando così il debutto del Presidente americano Barack Obama, di Muammar Gheddafi e Hu Jintao, per confrontarsi sulle grandi sfide del pianeta, come il clima, il nucleare e la pace in Medioriente. La cornice del palazzo di vetro di New York sarà, tuttavia, critica anche per la regione balcanica, i cui equilibri si dispiegano lungo alcuni problemi che, a distanza di anni dalla fine della guerra, non hanno trovato ancora soluzione. E' senz'altro la grande occasione della Serbia per richiamare l'attenzione della comunità internazionale sull'indipendenza del Kosovo, ribadendo che la questione non è assolutamente chiusa e che va ridiscussa su diverse basi. Questo infatti il messaggio del Presidente serbo Boris Tadic, all'indomani del suo discorso di venerdì dinanzi all'intera assemblea, affermando che "senza dubbio, dopo il parere consultivo della Corte di Giustizia Internazionale sulla dichiarazione unilaterale dell'indipendenza del Kosovo, saranno create le condizioni per il proseguimento dei negoziati tra Belgrado e Pristina sul raggiungimento di un compromesso e di una soluzione sostenibile dello status del Kosovo. "Dobbiamo raggiungere una soluzione di compromesso e che sia sostenibile", ha detto Tadic, ricordando che i serbi che vivono in Kosovo sono in pericolo e che la situazione è molto difficile. "Questa non è una soluzione sostenibile. La Serbia è pronta ad un compromesso", ha detto Tadic, il quale esclude, tuttavia, ogni possibilità di ripartizione del Kosovo.

Delle parole che lasciano trapelare una sincera volontà politica di risolvere la questione del territorio kosovaro 'super partes', al di sopra del passato e nell'interesse della popolazione: parole che l'opposizione a Belgrado non avrebbe mai voluto sentire. Già Vojislav Kostunica, leader del maggior partito di opposizione, ha duramente attaccato il Governo, che ha sottoscritto un protocollo di cooperazione con l'Eulex "sulla comunicazione transfrontaliera", nel quale ha visto un "primo atto di riconoscimento del Kosovo" ed in particolare dei suoi confini. La Serbia, tuttavia, si sta giocando una grande partita, e bisogna ammettere che è riuscita a riaprire un dialogo, a spingere i vertici dell'Unione Europea a discutere sulla possibilità di trovare un compromesso, visto che ben 5 paesi membri mostrano il 'pugno di ferro' contro un precedente secessionista, finanziato da lobby e dalla criminalità. Di fatti, nella sessione dello scorso anno, la Serbia ha ottenuto un importante successo diplomatico, perché l'Assemblea Generale ha appoggiato la sua richiesta di chiedere alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla legittimità dell'indipendenza proclamata unilateralmente dal Kosovo e Metohija. Ed è così che Belgrado si prepara al grande scontro con i cosiddetti "Paesi indecisi", quelli che saranno bersaglio della lobbying kosovara tenuta in gioco da Behgjet Pacolli, Hashim Thaci e Fatmir Sejdiu, a cui si affianca per la straordinaria occasione anche l'Albania con l'intermediazione di Sali Berisha ed Ilir Meta, e dello stesso Presidente croato Stipe Mesic. Per Vuk Jeremic, il palazzo di vetro sarà il teatro per la "resa dei conti diplomatici con Pristina". "Le autorità provvisorie del Kosovo - secondo Jeremic - hanno intensificato il ritmo delle attività di lobbing in modo significativo, per accreditare la dichiarazione illegale dell’indipendenza, e stanno agendo in modo molto aggressivo". " La parte serba è riuscita a riportare la questione del Kosovo dinanzi all'ONU, mentre Pristina con le loro lobbies di affaristici albanesi hanno portato valigie di soldi nelle varie capitali in giro per il mondo”, ha osservato il Ministro per TV PINK, prima della sua partenza per New York.

Tuttavia, non sarà solo il vertice del Kosovo, ma anche della Bosnia, imprigionata tra l'Accordo di Dayton e le nuove sfide di integrazione: Stati Uniti e OHR chiedono una riforma costituzionale anche al di fuori dei patti del 1995, mentre l'Unione Europea vuole una Bosnia democratica con delle forze politiche che riescano ad andare d'accordo e ad approvare le famose riforme per la chiusura dell'ufficio degli Alti Rappresentanti e per la liberalizzazione dei visti. Nei fatti, un vero e proprio scontro tra le vecchie lobbies che hanno preso piede in questi anni in Bosnia, e la nuova cooperazione UE-Obama. Se l'OHR ritiene che la Bosnia debba essere uno Stato accentrato, con un solo Presidente ed un solo Governo, l'Unione Europea vuole un Paese con un'amministrazione pubblica coordinata ed un sistema politico in grado di prendere delle decisioni. Una differenza di vedute che non si espone tanto dinanzi all'opinione pubblica, resta soffocata in una guerra sotterranea, anche perché parlarne a viso aperto significherebbe ammettere che qualcuno (nell'OHR e a Bruxelles) non ha fatto bene il proprio lavoro, nonostante i miliardi di dollari spesi. I problemi della Bosnia, probabilmente, rimarranno su una dimensione di colloqui 'a porte chiuse' anche in questa Assemblea Generale, circolando tra i corridoi e le sale degli incontri a margine dell'Assemblea. D'altronde, i Balcani stessi sono una regione le cui problematiche sono "in maniera occulta" sempre connesse ad ogni questione di politica internazionale, dall'energia alla criminalità organizzata, dallo scudo anti-missilistico alla cooperazione USA-Russia.

18 settembre 2009

No allo scudo in Polonia: si riapre la partita dei Balcani


L'America ha ordinato la cancellazione della costruzione dello scudo anti-missilistico in Polonia e Repubblica Ceca. Tuttavia, nel momento in cui si chiude una cooperazione, ecco che se apre un’altra, alla ricerca di nuove soluzioni. Tra le possibili alternative vi è la base in Israele, la Turchia e i Balcani. Si riaprono così le speranze per i Balcani, per la creazione di una nuova e grande eurozona, che qualcuno chiama Jugosfera, altri Nuova Europa.

Giunge direttamente dalla Casa Bianca la conferma che l’America ha ordinato la cancellazione della costruzione dello scudo anti-missilistico in Polonia e Repubblica Ceca. Lo stesso Presidente Barack Obama annuncia un nuovo approccio “più flessibile, più efficace e più efficiente dal punto di vista dei costi”, ma anche un sistema "più forte, più intelligente e più rapido". L’ira di Varsavia è stata implacabile, e senza mezzi termini nei confronti degli Usa, ha attaccato Washington dicendo che la Polonia è stata deliberatamente usata per propri interessi, scoprendo così una realtà a tutti nota. Delusione e senso di sconfitta, come l’ha definita il Premier polacco Donald Tusk, che nasconde anche tanta rabbia per aver perso l’occasione irripetibile di essere il centro militare europeo degli Stati Uniti, e il cuore della ‘lotta al terrorismo’ nel Medioriente, nonché di ricevere le enormi royalties derivante dallo sfruttamento del territorio polacco. Tusk ha anche chiesto ad Obama “se la decisione di Washington fosse legata ad un errore polacco ai negoziati”, e se la sicurezza polacca ne resterà intaccata dopo tale rifiuto. Obama mi ha rassicurato che i negoziati non hanno fatto altro che “rafforzare l'amicizia polacco-americana e la reciproca fiducia".

Tuttavia, nel momento in cui si chiude una cooperazione, ecco che se apre un’altra, alla ricerca di nuove soluzioni. Tra le possibili alternative vi è la base in Israele, la Turchia e i Balcani, in linea con quanto già deciso di riferimento all'abbandono del progetto originario Usa in Polonia e nella Repubblica ceca. "I segnali inviati dai generali del Pentagono sono assolutamente chiari. L'attuale amministrazione intende studiare diverse soluzioni per la difesa missilistica, e non più in Polonia e nella Repubblica ceca", ha dichiarato Ricky Ellison alcune settimane fa il quotidiano polacco Gazeta Wyborcza. Una soluzione parziale, promossa da decine di esperti, potrebbe essere un sistema mobile di difesa missilistica, offerto dalla società americana Boeing o di missili intercettori variante per le navi militari, connessi con il sistema di allarme satellitare, come affermato dal capo della Agenzia di Stato per la difesa missilistica, Patrick O'Reilly. "Il Congresso ha detto chiaramente che il sistema anti-missile in Europa deve proteggere l'Europa e gli Stati Uniti, quindi, potrebbe rivelarsi non utile in Polonia. Il Pentagono vuole trasferire i missili dalle navi alla terra, nel tentativo di distruggere i missili già in volo. Ciò richiede ulteriori basi terrestri - uno in Israele, un altro in Turchia o nei Balcani", ha detto che il principale lobbista per lo scudo di difesa missilistico americano. Non è da escludere che lo scudo sia ospitato proprio dal Kosovo, che al momento è “il territorio balcanico” più vicino agli Stati Uniti, a cui deve il suo status di ‘protettorato semi-indipendente’. Il Kosovo ospita una delle più grandi basi militari americane al mondo, e potrebbe trovare nelle royalties dello scudo un’interessante fonte di finanziamento del suo bilancio pubblico. D’altro canto, l’intera regione sta divenendo una base di negoziati e di esercitazioni militari, nonché di forti pressioni per accelerare le integrazioni e l’ingresso nella NATO.

Inoltre, gli Stati Uniti stanno cercando di usare anche la carta “Russia”, con gli accordi per il disarmo e di non-belligeranza controllata, al fine di raggiungere un nuovo accordo strategico con la Russia. Occorre però sottolineare che il disarmo, non significa che Russia e Stati Uniti abbiano messo da parte la loro rivalità nell’affermare la loro influenza sul Mediterraneo. Ed è proprio sulle sue coste che si dipana questa tela intricata, riaprendo le speranze per i Balcani, per la creazione di una nuova e grande eurozona, che qualcuno chiama Jugosfera, altri Nuova Europa. D’altro canto, l’abbandono del progetto è una linea comune, soprattutto per non creare più una politica di aggressione militare. Questa volta la guerra si fa sul piano economico, con i debiti e con le integrazioni. Così non ci sorprenderà che tutte i Governi licenzieranno a tappeto i loro dipendenti, se vi saranno tagli alla spesa sociale e alle pensioni, ma saranno aumentati gli incentivi agli investimenti e alle privatizzazioni. Le crisi finanziarie, in questi Paesi, sono state volutamente create in maniera sintetica per far sì che si mantenesse un profondo coma, sperando che il risveglio possa creare un’unione di fatto. Le proposte indipendentistiche, la protezione e la salvaguardia di etnie e strati sociali, sono solo pura propaganda psicologica, che danno solo la parvenza di poter decidere, quando in realtà dietro tale spettacolo si nasconde gente senza scrupoli, che hanno i loro eserciti, le fondazioni e gli squadristi mediatici.

16 settembre 2009

I Balcani ai margini della Conferenza di Davos Est


La conferenza “Davos Est”, tenutasi a Krynica (Polonia) nei giorni scorsi, ha esaminato le possibili strategie a cui ricorrere per sostenere l'ampliamento dell'Unione Europea e garantirne la sostenibilità economica. Nonostante i Balcani non facciano parte dello scenario "comunitario" che ha fatto da cornice alla conferenza, sono stati comunque presenti, con le loro problematiche e le loro peculiarità che li rendono sempre più vicini a Russia e Cina.

Simbolicamente denominata “il fronte dell’Est”, la conferenza “Davos Est”, tenutasi a Krynica (Polonia), ha raggiunto un importante compromesso tra i Paesi aderenti alla riunione. Se gli Stati limitrofi dei confini comunitari vogliono vedere un sensibile avanzamento nei loro processi di integrazione, e così un allargamento dell’EU, si devono aiutare l’uno con l’altro per entrare, o almeno per avvicinarsi quanto più possibile all’UE. Il futuro dei Paesi europei sarà dunque quello di avere sempre dei buoni rapporti con i loro vicini. Tra l'altro, nel primo semestre di quest’anno, la produzione dell’area europea orientale si è sviluppata ad un ritmo più sostenuto rispetto all` anno scorso. Polonia e Repubblica Ceca hanno raggiunto una crescita del PIL del 5% o 6% , nettamente superiore alla crescita media del blocco occidentale pari all’1,5%. Un divario interessante, soprattutto se si guarda all’idea di scavalcare l'antica divisione tra la Vecchia e la Nuova Europa, ossia i cosiddetti Paesi della transizione. Tuttavia, lo sguardo dell’osservatore lungimirante va anche oltre i confini tracciati da Bruxelles, e si estende ancora più ad est. “I nuovi membri dell’UE dipendono dalle riforme di Ucraina, Bielorussia e Russia”, come ha osservato il Presidente lituano Valdus Adamkus. I produttori polacchi sono infatti interessati alla ricerche di mercato dell’economie dell'Est pagando i team di ricercatori ucraini, russi, kazaki, mentre hanno investito sui mercati esteri più di 400 milioni di dollari, raddoppiando i limiti raggiunti nel 2003. Proprio per questa espansione essi si trovano ai primi posti della lista delle maggiori aziende produttrici in Europa centro-orientale. Tra le 150 aziende più grandi, 55 sono polacche, 40 russe, 19 ungheresi e 8 ceche.

Inoltre, non va sottovalutato il ruolo di alcuni "potenziali nuovi membri" come i Balcani che, nonostante i loro rapporti con l'emisfero orientale, godono di una rappresentanza politica minima. Dei 1500 funzionari governativi, economisti, produttori e analisti di tutta Europa, USA e Asia riuniti a Krinjica, non era presente neanche un rappresentante ufficiale della Serbia, se non si considera l’ex segretario nel Ministero di Kosovo e Metohija, Dusan Prorokovic, il quale ha partecipato non in veste ufficiale. La situazione dei Balcani è stato tema di discussione di un solo panello, tra le centinaia di temi di questa conferenza. Nella tre-giorni sono state scambiate intensivamente svariate opinioni, soprattutto inerenti alla crisi economica, ai rapporti con la Russia, alle possibilità di esplorazione di nuovi giacimenti di gas. Tuttavia, il pannello dedicato al “Puzzle balcanico: stima di un equilibrio”, stando a quanto dichiarato dai presenti, era forse il più interessante della conferenza. Nello spiegare il motivo per cui la Slovacchia non ha riconosciuto il Kosovo, il Segretario di Stato presso il Ministero degli Esteri, Olga Algajerova, ha dichiarato che Bratislava ritiene che l’indipendenza del Kosovo non è conforme alla legge internazionale. “La Cecoslovacchia si è frantumata con accordo, ma un’indipendenza riconosciuta solo da una parte, potrà provocare anche gli altri precedenti simili nel mondo”, ha dichiarato Algajerova, sottolineando che “i confini non possono essere cambiati senza un accordo di tutte le parti, e prendendo il considerazione solo le ragioni di una di esse”. Intervenendo alla discussione organizzata con il progetto “Compromesso kosovaro”, il Segretario slovacco ha affermato che il Governo ha subito forti pressioni per riconoscere il Kosovo dopo il 17 febbraio, mentre le richieste sono sempre meno pressanti. “Noi supportiamo lo sviluppo economico di questa provincia serba, e non lo riconosceremo mai come uno Stato indipendente”, afferma perentoria Alargajerova, sottolineando che la Serbia ha avuto uno dei più elevati finanziamenti dal Fondo di Sviluppo della Slovacchia.

A tal proposito, Dusan Prorokovic, ha dichiarato che il Kosovo non può funzionare normalmente fino a quando non sarà riconosciuto dalla Serbia stessa, probabilità più assurda che remota. Precisando che la sua non è un’opinione istituzionale, e tutt’al più politica, Prorokovic ritiene che vi sarà la possibilità di aprire un tavolo di negoziati, per un nuovo modello geopolitico della regione, proprio perchè in Kosovo non sono stati risolti molti problemi, che la stessa Unione Europea non è riuscita ad eliminare. Tranne questa breve parentesi, alla conferenza di Davos Est non si è parlato tanto dei Balcani, quanto piuttosto delle prospettive di sviluppo e crescita economica. “La Serbia è uno dei pochi Paesi che, insieme con Russia, Brasile e Sud Africa, ha sottoscritto un accordo di partenariato strategico con la Cina. Simili accordi potrebbero essere presto firmati anche da altri paesi balcanici, per esempio la BiH con qualche paese islamico, il Montenegro con Russia, e la Macedonia con la Turchia”, ha ipotizzato Prorokovic. A tal proposito, Erhard Busek, Presidente del Forum Albah ed ex coordinatore del Patto per la stabilità dell’Europa Sud Orientale, ha partecipato alla discussione esponendo la sua posizione come moderatore. “L’ultimo paese europeo che ha firmato un accordo con la Cina è stata l’Albania negli anni 60, quando si sono interrotti i legami con la Russia”, osserva Busek, lasciando chiaramente intendere che l’UE non accetta di buon grado alcun tipo di accordo di cooperazione economica e strategica tra i paesi Balcanici e le grandi forze dell’Est. Si parla dunque di volontà politica per lo sviluppo dei Paesi che non sono ancora entrati nell’UE, ma nessuno in Europa è pronto a dare man forte per un vero slancio della produzione di questi Paesi, essendo ben consapevoli della loro propria debolezza.

07 settembre 2009

L'Italia nei Balcani che non esiste


Dinanzi alle grandi sfide della grande integrazione dei Balcani, l'Italia si pone come apripista e grande sostenitore dei Paesi balcanici. Eppure, qualcosa non va nel sistema italiano nei Balcani: una dura eredità del passato che non riesce a guardare al futuro, tante schegge impazzite che distruggono anni di lavoro e di sforzi per far ripartire questa grande forza motrice.

Un progetto ambizioso, impossibile da attuare e comunque reale, quello dell’Osservatorio Italiano, nato dal successo di Rinascita Balcanica, da anni di esperienza nei Balcani e poi da un immenso lavoro. Un media indipendente, una intelligence economica e una camera di commercio virtuale per aziende ed imprenditori che guardano verso i mercati dell’Est come opportunità di sviluppo e cooperazione. Qualcosa che tutti dicono di aver pensato e aver ideato, ma nessuno ha mai portato a termine, nonostante lo Stato italiano abbia profuso miliardi di lire e poi milioni di euro per lasciare un segno dell’italianità nei Balcani. Dunque il problema non è mai stato il “vile denaro”, bensì l’onesto impegno e sacrificio dei funzionari, degli impiegati, dei giornalisti o dei famosi “ideatori”. Cercando le tracce di questa famosa italianità, abbiamo trovato solo cocci e rovine dei massicci investimenti dello Stato, quel senso di deserto e abbandono che caratterizza d’altronde tutto il “mondo degli italiani all’estero”. Dopo tanta amarezza e delusione, siamo giunti alla conclusione che “l’Italia nei Balcani non esiste”. O almeno quella istituzionale, fatta dei “soliti noti” che circolano a ripetizione, faccendieri di politici, le stesse persone che si incontrano alle feste di premiazioni, di medaglie e di premi sconosciuti. Questo sono le ambasciate, gli Istituti del Commercio Estero, le Camere di Commercio (etc.) : uffici deserti, funzionari super pagati, esperti introvabili, redattori pappagalli. Tutti sono talmente occupati a non far niente, che se voleste fare una domanda su una banale notizia che circola sui giornali locali rischiereste l’emicrania. Internet per ambasciate e uffici commerciali significa ‘Facebook’, non aggiornano i loro siti da mesi, e quei pochi che lo hanno fatto, hanno scopiazzato informazioni, quando sono loro che devono produrre informazioni agendo in prima persona sul luogo, anche perché hanno i mezzi e le conoscenze per farlo. Ma al di fuori di quegli uffici condizionati non sono nessuno, sono dei semplici funzionari che sono stati trasferiti da un paesino italiano e messi dentro un’ambasciata dell’Est. In questi Paesi così lontani da casa basta poco per impazzire e diventare megalomani, avere amanti e fidanzate, e dimenticando tutto il resto. Insomma, i classici “italiani in vacanza all’estero”, quelli che in Romania chiamano “Makarona”; d’altronde nessuno guadagna il rispetto di un popolo senza lavorare onestamente e duramente.

Ed infatti, siamo arrivati al punto che l’Italia non ha neanche un sistema di informazioni all’estero, non sa neanche quello che succede all’estero, cerca di capirlo costruendo una rassegna stampa di fonti eterogenee con diversi livelli di attendibilità. E’ chiaro che noi italiani siamo bravi a stringere mani e dire “conosciamo bene l’argomento”, tanto poi si vive con i contributi dello Stato. Questa è la grande truffa, vivere come parassiti, spillare contributi allo Stato, divenuti le casse dei politici per fare propaganda. Nel mondo in cui noi viviamo troverete di tutto. Quotidiani che non sono stati mai pubblicati, settimanali fantasma accreditati alle ambasciate, famose telematizzazioni degli italiani all’estero (come l’Aire?), opere d’arte trafugate, valigie di denaro, commercio di visti, personale diplomatico che fa l’agente di commercio per le grandi società italiane che hanno i loro conti correnti alle Cayman. Alla fine sappiamo come vanno a finire le inchieste interne, e questo la dice lunga sul ruolo delle ambasciate, anche se, evidentemente, a Roma le cose vengono dette diversamente, e si continua a tollerare questa situazione perché sono stati volutamente accreditati certi personaggi.
La verità è che le ambasciate devono controllare i loro dipendenti locali, che viaggiano come schegge impazzite e, per fare i loro piccoli e miserabili interessi, distruggono l’immagine di un Paese, il lavoro di cento persone, milioni di euro spesi. Pochi gesti di una persona anonima che ‘tira a campare’ va a frantumare mille sforzi e sacrifici di tante persone che cercano di farlo ripartire questo “Sistema Italia”. Però ci si nasconde dietro tanti cavilli e continui scarica barile, e poi tutta la colpa deve ricadere sul Ministero, perchè si dice sempre “se non hai un santo al ministero non si apre nulla”.

Se questo è il nostro esercito, è chiaro che poi il Parmigiano Reggiano viene rubato dai tedeschi e chiamato Parmesan, e mentre gli inglesi, i cinesi, gli albanesi e i romeni vendono i loro prodotti con nome italiano, le imprese italiane si camuffano con nomi britannici.
Signori Ambasciatori, aprite gli occhi e controllate cosa fanno i vostri dipendenti, spalancate le porte delle ambasciate affinchè possano entrare imprenditori che vogliono creare un valore aggiunto, e non vogliono chiedere solo dei visti. I mezzi sono sempre pochi e mal distribuiti, ma potreste dare loro una nota di quello che succede nel Paese quotidianamente, questo è un modo per cominciare, un modo per dare l’idea di essere vivi. Non chiamate i grandi gruppi bancari per capire dove vanno gli investimenti, non seguite le schede Paese della Banca Mondiale, ma fate la vostra informazione. La gente è stanca di sentire sempre parole “di integrazione euro-atlantica”, cose che non hanno più senso, ma vogliono sapere cosa è stato realmente portato a termine, quanta ricchezza è stata prodotta e quante piccole imprese sono nate.

L’indifferenza, il gusto ad agire alle spalle degli altri, l’ignavia, non porterà questa nostra Italia da nessuna parte, ma la aiuterà solo a sopravvivere alla giornata, a raccogliere le briciole e a fare compromessi con grandi multinazionali. Non dimentichiamo che i nostri antenati hanno attraversato oceani, i loro corpi sono stati dispersi nell’oceano, sono stati umiliati, ma senza saper parlare l’inglese hanno costruito intere nazioni come palazzi, hanno dato il sostentamento all’Italia e hanno creato “l’italianità nel mondo”. Gli Italiani, dopo, hanno creato “il mondo degli italiani all’estero” e hanno vissuto come sciacalli alle sue spalle, vanificando cento anni di lavoro. Oggi, assistiamo all’Italia nel mondo che non esiste.

04 settembre 2009

UE, Jugosfera e Paesi non allineati


Mentre l'Unione Europea diventa la "categoria guridica" dei Paesi occidentalizzati più in crisi che mai, nasce una nuova area geopolitica ereditata dalla ex Jugoslavia. Il quotidiano The Economist l'ha definita "Jugosfera", ma qualsiasi nome si voglia usare, indica certamente un'area balcanica omogenea per usi, costumi e sistema economico. Si tratta di Paesi che cercano di dimenticare le divisione storiche ed etniche con la cooperazione economica, nasce l'idea di organizzare nei Balcani la cerimonia di anniversario del 50simo anniversario dei Paesi non Allineati.

Ormai la parola “Unione Europea” è diventata un mezzo di ricatto nei confronti dei Paesi che ancora non fanno parte di quella 'sacra comunità'. Dipingendola spesso come un paradiso, è stato posto un alto prezzo da pagare per entrare a farne parte, sopratutto quello che toglie tutte le particolarità di un popolo per unirlo ad un mondo che ormai non piace a nessuno, neanche agli stessi europei. I dubbi che un'unione basata sui vecchi valori europei, la vera xenofobia e il razzismo aumentano velocemente. Sembra che solo i paesi balcanici debbano essere ricattati ancora, stavolta con sole due parole: ‘Europa” e “visti”. La situazione attuale e che, dopo l'ingresso della Slovenia, l'adesione all'UE è diventata una vera lotta tra chi è più bravo ad entrare primo. In Croazia sono pronti a tutto, in Serbia ogni giorno si annuncia che fra poco Mladic sarà catturato, in Bosnia, divisa in tre entità inconciliabili tra di loro, l'alleanza diventa una priorità. Una strada lunghissima che ancora si deve essere precorsa, con tante fatiche e stenti, sopratutto quelli che deve subire il popolo. Ma cosa ci offre l'Europa, per cui dobbiamo sacrificarci così tanto? La risposta non la sa neanche la stessa Europa. Incerte e insicure risposte colpiscono anche i Paesi membri. Proprio per questo il velo della falsità dovrebbe essere finalmente tolto, qualora si scopra che neanche l'Europa vuole più allargarsi vedendo gli errori che ha fatto con Romania, Bulgaria e con la stessa Slovenia, che appena è entrata ha cominciato a fare ricatti e a creare problemi con i vicini Stati. La risposta del politico austriaco Erhard Busec è che “ai Balcani si deve dire onestamente che il questo momento non c`è buona volontà tra i paesi europei per continuare l'allargamento dell'UE”.

Nella sua intervista per i media serbi, Busec, Presidente per il patto di stabilizzazione e oggi coordinatore per l'Iniziativa e la Collaborazione nel Sud Est Europa (SECI), parla delle vere ragioni perchè Bruxelless chiude la porta ai nuovi membri e apre una lunga lista d'attesa. Tra di esse vi è il particolare rafforzamento delle forze politiche di destra che si oppongono ad un continuo allargamento europeo. Busec ha confermato che in questo momento non è la crisi economica il vero motivo per cui l'UE non vuole allargarsi, ma i problemi interni. “Ad una persona normale è molto chiaro che per avere il completamento dell'Europa occorre accogliere in UE. Ma mai potreste sapere chi sarà nella posizione di decidere a Bruxeless. Le ultime votazioni europee e il rafforzamento delle forze di destra sono un avviso per tutti”, conferma Busec. Lui considera che è meglio accettare tutti i paesi balcanici in un pacchetto unico, affinchè non si ripeta il caso di Slovenia e Croazia. Anch'egli, come l'altro austriaco Valentin Inzko, considera che un anno ideale sarebbe il 2014, anniversario del centenario della prima guerra mondiale.

Per rispettare le idee pacifiste, alcuni vorrebbero festeggiare un altro anniversario, quello del 2018, per il centenario dalla fine della guerra, e se si aggiungono ancora due anni, si arriverà al vecchio piano che voleva i Balcani in Europa nel 2020. Considerando la situazione in Serbia, Busec ha detto che le cose vanno molto bene, a parte le questioni inerenti alla corruzione e ad sistema giuridico ancora non pienamente efficace, problemi questi – come osserva lo stesso Busec – ricorre in tutti paesi della ex Jugoslavia. Secondo Busec, inoltre, i rapporti tra i Paesi Balcanici viaggiano su una strada positiva, ma sembra che abbia inteso la situazione balcanica, nel dire che “ormai quando si pensa che su di un problema abbiamo messo il punto, escono i fantasmi dal passato”, che possono cambiare tutto il concetto. E' evidente che tali problemi non investono solo i Balcani, ma la situazione sembra essere la stessa anche in Europa, dove la rigidità basata sul passato non potrà mai essere negata, come nel caso dell'Olanda, che non vuole accettare l'adesione della UE senza la cattura di Mladic. Al contrario, l`ambasciatore italiano Armando Varicchio in Serbia, conferma che esistono delle garanzie da parte italiana che quel blocco sarà terminato. “Ripeto quello che è stato detto anche dal Ministro degli Esteri Franco Frattini, ossia che l'Italia ritiene che la Serbia deve avere lo status di candidato dell'UE, e che è giunto il momento che Belgrado possa presentare la sua richiesta di adesione”, ha dichiarato l'ambasciatore italiano.

Mentre i Balcani stanno aspettando il treno europeo, il giornale britannico Economist descrive la situazione dei vent'anni dopo la guerra nei Balcani, affermando che i vecchi scontri si stanno scambiando in una collaborazione regionale, definita Jugosfera. “Dalla Slovenia fino alla Macedonia e la Grecia, la maggior parte della gente ha tante cose in comune, anche se non ne parlano. Ogni giorno i legami spezzati si rigenerano. La Jugoslavia è scomparsa e al suo posto nasce la Jugosfera”, scrive l'Economist. La BIH è il più grande mercato dei prodotti serbi, il secondo per la Croazia. La Serbia è il più grosso partner anche della Macedonia. Nelle piccole produzioni, allargamento significa collaborazione con i loro vicini. Delta dalla Serbia, Mercator da Slovenia e Konzum da Croazia, sono i più grandi supermercati che aprono negozi nei paesi vicini. “Tante aziende trattano il mercato della ex Jugoslavia come se fosse unito”, dichiara l'Economist. Oltre che nel settore produttivo, i Paesi collaborano anche in altri settori, come la fondazione di un centro di vigili del fuoco per il Sud Est Europa. La cosa strana è che queste notizie hanno più attenzione all'estero che in questi Paesi propri. A Sarajevo, dove si è tenuta una riunione sulle persone scomparse e le vittime della guerra, nessuno ha detto nulla né sapevano qualcosa in proposito. Si parla di guerra, delle vittime che non hanno ancora avuto la loro giustizia, ma nessuno ha voglia di parlare di una unione economica, mentre si sta lavorando ogni giorno di più tra i mercati dei Paesi coinvolti nell'ultima guerra. Se doveste parlare di Jugosfera in Croazia, potreste avere delle brutte reazioni, non perchè nessuno vuole collaborare, ma il nome rievoca la memoria dello Stato Jugoslavo che i croati non volevano. L'Opinione del giornale britannico sottolinea ancora di più l'assurdità di una guerra nella ex Jugoslavia.

Se nei prossimi anni si rafforzerà una collaborazione tra i Governi su di una base economica, questo potrebbe essere anche il segnale che i problemi e le diversità politiche saranno finalmente finite. Si conclude che i popoli che vivono sul territorio della zona della Jugosfera parlano la lingua simile, hanno una cucina davvero uguale, piace lo stesso tipo di musica, ma nel campo religioso e politico ancora esistono delle grandissime ferite. Ora per coprire il nome Jugosfera o per qualche altra ragione, si parla di Unione dei Paesi della ex Jugoslavia nell'organizzazione del Summit di Paesi non allineati. L'idea del Presidente Boris Tadic, secondo cui Belgrado ospiti la cerimonia del 50simo anniversario dell'organizzazione nel 2011 a nome dei Paesi della ex Jugoslavia, si sta realizzando. Il Ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic ha invitato ai cinque leader dei Paesi della ex Jugoslavia ad riunirsi entro settembre durante l'Assemblea Generale dell'ONU a New York. Bosnia e Erzegovina, Montenegro, e Croazia hanno già accettato questa idea, i macedoni ancora ci stanno pensando su, mentre gli sloveni hanno accettato di essere lo sponsor della manifestazione ma non come organizzatori. La riunione Mondiale dei Paesi non allineati potrà essere anche una forza trainante in più per l'economia di questi Paesi. Seguendo l'esempio dell'accordo di partenariato strategico tra Serbia e Cina, si possono conquistare altri grandi mercati per i prodotti dei Balcani. Dopo la Serbia e la Republika Srpska, ieri anche la Croazia ha proposto la sua adesione al South Stream e ha aperto il suo mercato ai russi. In questa situazione economica, con una Jugosfera oppure con qualsiasi altra sfera che nascerà nei Balcani, nessuno sarà più interessato ad entrare in qualsiasi tipo di comunità Europea.

03 settembre 2009

L'Arcelor Mittal colpevole dell'inquinamento del fiume di Bosnia


Dopo aver scoperto una chiazza oleosa lungo la riva del fiume Bosna, le autorità bosniache hanno confermato che l’incidente dell'inquinamento del 22 agosto è stato causato dal rilascio di specifiche acque reflue provenienti dall'impianto di carbon coke della società Arcelor Mittal di Zenica. Per il momento, la società rischia una multa di 5.000 KM.

Come dichiarato dall'Ufficio federale di ispezione, la presenza di specifiche sostanze organiche in tutti i campioni di acqua del fiume di Bosnia, nei pressi del collettore centrale, indica che l’incidente dell'inquinamento dell'acqua del 22 agosto è stato causato dal rilascio di specifiche acque reflue provenienti dall'impianto di carbon coke della società Arcelor Mittal di Zenica. Questo perché, precisano le autorità, tali acque reflue non sono presenti in nessuna altra società, le cui acque reflue entrano nel collettore controllato. Attraverso lo scolo della "Arcelor Mittal" di Zenica, una grande quantità di materiali pericolosi è stata rilasciata il 22 agosto nel fiume di Bosnia. La polizia e gli ispettori sono stati informati dai pescatori e dagli abitanti dei villaggi lungo la costa del fiume Bosna, dopo che hanno trovato le chiazze che ricorda il petrolio greggio. Subito dopo la segnalazione, la polizia, il procuratore cantonale e l'ispettore competente insieme con i membri dell'Ufficio della Protezione Civile, hanno svolto l'ispezione completa nei pressi della ex acciaieria, dove si trovano delle altre fabbriche oltre a quella della Arcelor Mittal, prelevando anche i campioni dell'acqua per ulteriori analisi.

L'Ufficio federale degli affari di ispezione ha riferito il 28 agosto ai media bosniaci le informazioni finite sull'inquinamento accidentale del fiume Bosna del 22 Agosto, a valle del collettore principale che raccoglie una parte dei rifiuti della società Arcelor Mittal, le acque reflue provenienti dalle miniere di carbone, poi una parte dalla città di Zenica e una piccola parte dalla zona industriale a Zenica. Il laboratorio ha effettuato il controllo dell'acqua inquinata e, secondo la dichiarazione dell'Ufficio federale degli affari di ispezione, hanno confermato che l'analisi qualitativa delle acque reflue, provenienti dall'impianto separatore di gas del carbone, che vengono scaricate direttamente nel collettore principale, ha mostrato la presenza di composti che sono caratteristici dei gas di carbone, di cui il 4–nitrofenolo, il 4-cloro-tre-metilfenolo, in quntità superiori al valore massimo consentito per i fenoli. Su tale incidente, il Direttore dell'Ufficio per gli affari di ispezione della FBiH, Ibrahim Tirak, ha confermato per "Dnevni Avaz" che "gli organismi competenti non possono chiudere gli occhi sul fatto che la società impiega 4.000 persone, ma dall'altra parte si deve tutelare la salute e la sicurezza di un numero molto maggiore di persone, e la società tutta". Promette dunque che, oltre ad un'ammenda di 5000 KM per la contaminazione del fiume Bosna, la società sarà punita anche con altre misure.

Ricordiamo che il fiume Bosna, il terzo fiume più lungo della BiH dopo Drina e Sava, sorge sotto la montagna di Igman, nelle immediate vicinanze della città di Sarajevo. La Bosnia è molto conosciuta della sua sorgente chiamata "Vrelo Bosne". Oggi, questa sorgente è una nota attrazione turistica, sia per i turisti stranieri che per i visitatori locali. Si compone di diverse piccole isole collegate da ponti attraverso numerosi corsi d'acqua minori, ed ha un ecosistema pregiato e quasi contaminato. Subito dopo l'attraente sorgente, il fiume Bosna entra in un'atmosfera impressionista, formando un letto ampio e uniforme, di circa trenta metri di profondità, che scorre lentamente attraverso i prati.
La bellezza naturale del flusso tranquillo del fiume Bosna, della sua vegetazione lussureggiante e delle alghe, per la disattenzione e l'indifferenza dell'uomo, è stata profanata dal cosiddetto progresso degli investimenti esteri, della competitività e spesso della colonizzazione. Tutti conosciamo la situazione della Arcelor Mittal di Zenica, ex società della Jugoslavia frantumata e poi acquistata dal colosso multinazionale indiano, che ora minaccia il licenziamento di oltre 2000 persone. Ci chiediamo, quindi, dove finisce l'interesse nazionale e dove inizia poi quelle delle lobbies che arrivano qui in Bosnia per portare benessere sociale e sviluppo, ma lasciano distruzione e disoccupazione.