La riforma della Legge Fallimentare ha introdotto notevoli cambiamenti, che hanno portato alla riformulazione ed alla aggiunta di alcuni istituti. Sono numerose le modifiche apportate, tra le quali quelle alla revocatoria fallimentare, al concordato preventivo, alla curatela fallimentare.
La riforma è stata introdotta con il Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito in Legge 14 maggio 2005, n. 80 ed è divenuta organica con il Decreto Legislativo n. 5 del 2006 che ha, tra l’altro, esteso il numero degli imprenditori esonerati dall’applicabilità dell’istituto del Fallimento, ha accelerato le procedure concorsuali, ha valorizzato il ruolo ed i poteri del Curatore fallimentare e del Comitato dei Creditori, ma, soprattutto, ha ridimensionato i poteri del Giudice Delegato. Viene inoltre introdotta ex novo la disciplina dell’esdebitazione, cioè la liberazione del debitore dai debiti residui nei confronti dei creditori in taluni casi di “buona condotta”.
Se da un lato la riforma vuole cercare di non far morire l’impresa e soddisfare i creditori più rappresentativi, dall’altro ha sicuramente calpestato alcuni principi costituzionali, attenuando di molto i poteri del Giudice Delegato.
Novità del concordato fallimentare è che può essere composto da terzi, mentre il presupposto del concordato preventivo non è solo lo stato d’insolvenza, ma anche lo stato di crisi.
Il legislatore della riforma, in pratica, si è adoperato nella prospettiva di favorire il recupero delle capacità produttive dell’impresa, del risanamento e del superamento della crisi, della conservazione dei mezzi organizzativi, assicurando la sopravvivenza, ove possibile, dell’impresa e, negli altri casi, garantendo al ceto creditorio una più consistente tutela delle proprie ragioni patrimoniali attraverso il risanamento ed il trasferimento a terzi delle strutture aziendali.Esercizio provvisorio, affitto d’azienda, vendita dell’azienda e concordato fallimentare sono gli strumenti che consentono di realizzare la conservazione dell’attività d’impresa. La disciplina di affitto e vendita di azienda colma un vuoto della precedente disciplina (che risale al 1942).
Dalla riforma emerge sicuramente il lato negativo della tendenza ad attenuare fortemente il carattere giurisdizionale delle procedure concorsuali e, quindi a ridimensionare il ruolo dell’Autorità Giudiziaria.
Non incanalandosi in troppi tecnicismi, che fuorvierebbero il lettore, bisogna assolutamente dire che la conseguenza più evidente del modello adottato dal Legislatore nella riforma del diritto concorsuale, è che al sistema precedente, basato sul rigoroso controllo della procedura da parte del Tribunale Fallimentare e del Giudice Delegato, si sostituisce un sistema di carattere più propriamente negoziale.
Infatti, viene lasciato ampio spazio agli accordi tra debitore e creditori, con forte attenuazione del ruolo del Giudice, con esclusione di questo dal controllo, ma, soprattutto, con la possibilità di regolare i rapporti dell’imprenditore in stato di insolvenza con una procedura interamente extragiudiziale.
Un esempio evidente è dato dal nuovo concordato preventivo, ove il Giudice interviene solo per verificare la mera regolarità degli atti allegati alla proposta; ed anche in caso di opposizione dei creditori dissenzienti può solo verificarne la mera regolarità senza poter controllare nel merito la convenienza del concordato.
A prescindere dalle già segnalate conseguenze negative che potrebbero derivare anche ai creditori meno garantiti o, più semplicemente, a coloro che meno incidono quantitativamente sull’entità del passivo, deve essere messa in evidenza la ricaduta, che sul piano generale, può derivare da questa impostazione nell’ambito della collettività. Senza un controllo Giurisdizionale sulla procedura, si rischia di stimolare condotte non condivisibili sul fronte della correttezza imprenditoriale.
Un altro punto dolente di questa riforma è sicuramente quello di attribuire maggiori poteri e, quindi, di conseguenza, maggiori responsabilità al Curatore Fallimentare.
Pari perplessità suscita la possibilità per la maggioranza dei creditori ammessi di confermare o chiedere la sostituzione del Curatore, indicando al Giudice un nuovo nominativo. Tutto questo rischia di mettere in dubbio la conformità del nuovo processo fallimentare al principio del giusto processo, lasciando, tra l’altro, il fallito nelle grinfie dei creditori, che alcune volte, purtroppo, sono persone senza scrupoli.
Il giusto processo si realizza, infatti, non soltanto attraverso la terzietà, l’imparzialità e l’indipendenza del Giudice, ma anche attraverso la terzietà, l’imparzialità e l’indipendenza degli ausiliari, consulenti ed incaricati del Giudice che debbono svolgere la loro attività super partes nel processo.
Proprio il Curatore, ovvero l’organo al quale è demandato la cura indifferenziata di tutti gli interessi coinvolti nel fallimento essendo anche un pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 30 L.F., deve essere confermato dai destinatari dei suoi atti ( i controllati) e addirittura sostituito se la maggioranza dei creditori lo riterrà più opportuno. A discapito dell’imprenditore fallito, vi è uno sbilanciamento dei poteri, ove si consideri che il Curatore, anziché terzo e rispettoso delle sole direttive del Giudice Delegato, potrebbe essere indotto ad una maggiore accondiscendenza verso i “più importanti” creditori, che sono in grado di condizionare la scelta della maggioranza, a scapito di altri, per evitare il rischio della sostituzione e della perdita dell'incarico.
Insomma, con questa riforma il nostro Ordinamento Giuridico ha fatto veramente un passo in dentro, calpestando i principi del giusto processo, nonché le garanzie che potrebbe offrire un organo giurisdizionale esterno sia nei confronti dei creditori, sia nei confronti degli organi ausiliari, ma, soprattutto, nei confronti dell’imprenditore fallito.
La riforma è stata introdotta con il Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito in Legge 14 maggio 2005, n. 80 ed è divenuta organica con il Decreto Legislativo n. 5 del 2006 che ha, tra l’altro, esteso il numero degli imprenditori esonerati dall’applicabilità dell’istituto del Fallimento, ha accelerato le procedure concorsuali, ha valorizzato il ruolo ed i poteri del Curatore fallimentare e del Comitato dei Creditori, ma, soprattutto, ha ridimensionato i poteri del Giudice Delegato. Viene inoltre introdotta ex novo la disciplina dell’esdebitazione, cioè la liberazione del debitore dai debiti residui nei confronti dei creditori in taluni casi di “buona condotta”.
Se da un lato la riforma vuole cercare di non far morire l’impresa e soddisfare i creditori più rappresentativi, dall’altro ha sicuramente calpestato alcuni principi costituzionali, attenuando di molto i poteri del Giudice Delegato.
Novità del concordato fallimentare è che può essere composto da terzi, mentre il presupposto del concordato preventivo non è solo lo stato d’insolvenza, ma anche lo stato di crisi.
Il legislatore della riforma, in pratica, si è adoperato nella prospettiva di favorire il recupero delle capacità produttive dell’impresa, del risanamento e del superamento della crisi, della conservazione dei mezzi organizzativi, assicurando la sopravvivenza, ove possibile, dell’impresa e, negli altri casi, garantendo al ceto creditorio una più consistente tutela delle proprie ragioni patrimoniali attraverso il risanamento ed il trasferimento a terzi delle strutture aziendali.Esercizio provvisorio, affitto d’azienda, vendita dell’azienda e concordato fallimentare sono gli strumenti che consentono di realizzare la conservazione dell’attività d’impresa. La disciplina di affitto e vendita di azienda colma un vuoto della precedente disciplina (che risale al 1942).
Dalla riforma emerge sicuramente il lato negativo della tendenza ad attenuare fortemente il carattere giurisdizionale delle procedure concorsuali e, quindi a ridimensionare il ruolo dell’Autorità Giudiziaria.
Non incanalandosi in troppi tecnicismi, che fuorvierebbero il lettore, bisogna assolutamente dire che la conseguenza più evidente del modello adottato dal Legislatore nella riforma del diritto concorsuale, è che al sistema precedente, basato sul rigoroso controllo della procedura da parte del Tribunale Fallimentare e del Giudice Delegato, si sostituisce un sistema di carattere più propriamente negoziale.
Infatti, viene lasciato ampio spazio agli accordi tra debitore e creditori, con forte attenuazione del ruolo del Giudice, con esclusione di questo dal controllo, ma, soprattutto, con la possibilità di regolare i rapporti dell’imprenditore in stato di insolvenza con una procedura interamente extragiudiziale.
Un esempio evidente è dato dal nuovo concordato preventivo, ove il Giudice interviene solo per verificare la mera regolarità degli atti allegati alla proposta; ed anche in caso di opposizione dei creditori dissenzienti può solo verificarne la mera regolarità senza poter controllare nel merito la convenienza del concordato.
A prescindere dalle già segnalate conseguenze negative che potrebbero derivare anche ai creditori meno garantiti o, più semplicemente, a coloro che meno incidono quantitativamente sull’entità del passivo, deve essere messa in evidenza la ricaduta, che sul piano generale, può derivare da questa impostazione nell’ambito della collettività. Senza un controllo Giurisdizionale sulla procedura, si rischia di stimolare condotte non condivisibili sul fronte della correttezza imprenditoriale.
Un altro punto dolente di questa riforma è sicuramente quello di attribuire maggiori poteri e, quindi, di conseguenza, maggiori responsabilità al Curatore Fallimentare.
Pari perplessità suscita la possibilità per la maggioranza dei creditori ammessi di confermare o chiedere la sostituzione del Curatore, indicando al Giudice un nuovo nominativo. Tutto questo rischia di mettere in dubbio la conformità del nuovo processo fallimentare al principio del giusto processo, lasciando, tra l’altro, il fallito nelle grinfie dei creditori, che alcune volte, purtroppo, sono persone senza scrupoli.
Il giusto processo si realizza, infatti, non soltanto attraverso la terzietà, l’imparzialità e l’indipendenza del Giudice, ma anche attraverso la terzietà, l’imparzialità e l’indipendenza degli ausiliari, consulenti ed incaricati del Giudice che debbono svolgere la loro attività super partes nel processo.
Proprio il Curatore, ovvero l’organo al quale è demandato la cura indifferenziata di tutti gli interessi coinvolti nel fallimento essendo anche un pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 30 L.F., deve essere confermato dai destinatari dei suoi atti ( i controllati) e addirittura sostituito se la maggioranza dei creditori lo riterrà più opportuno. A discapito dell’imprenditore fallito, vi è uno sbilanciamento dei poteri, ove si consideri che il Curatore, anziché terzo e rispettoso delle sole direttive del Giudice Delegato, potrebbe essere indotto ad una maggiore accondiscendenza verso i “più importanti” creditori, che sono in grado di condizionare la scelta della maggioranza, a scapito di altri, per evitare il rischio della sostituzione e della perdita dell'incarico.
Insomma, con questa riforma il nostro Ordinamento Giuridico ha fatto veramente un passo in dentro, calpestando i principi del giusto processo, nonché le garanzie che potrebbe offrire un organo giurisdizionale esterno sia nei confronti dei creditori, sia nei confronti degli organi ausiliari, ma, soprattutto, nei confronti dell’imprenditore fallito.
Avv. Domenico Di Pasquale