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21 maggio 2009

Frattini e l'Iran: una strategia vecchia di 50 anni


Va a vuoto l'imprevista visita del Ministro degli Esteri Franco Frattini a Teheran, ma Roma lancia comunque un forte segnale. L'Italia entra nel tavolo delle trattative delle grandi questioni internazionali, ma sembra essere interessata all'Iran per gli stessi motivi per cui lo era circa cinquant'anni fa. Roma non cerca questioni sul nucleare o i test dei missili, ma cerca energia a buon prezzo.

Nonostante sia andata a vuoto l'imprevista visita del Ministro degli Esteri Franco Frattini a Teheran, l'Italia ha lanciato ieri un forte segnale di indipendenza all'Unione Europea e agli Stati Uniti. Quello che doveva essere il fronte diplomatico occidentale, totalmente di matrice europea o statunitense, si è sfaldato lanciando l'Italia ai grandi vertici di discussione delle problematiche internazionali. È lo stesso Financial Times a sottolineare che l'Italia è il primo Paese ad uscire dal fronte europeo, dopo che era stato affidato all'Alto Rappresentante Javier Solana il compito di mantenere ufficialmente le relazioni con Teheran, senza neanche chiedere il nulla osta di Washington agendo così in maniera unilaterale e di propria iniziativa. D'altro canto, l'Iran rappresenta per Roma quell'antico alleato persiano che in questi anni ha perso, ma che cerca di recuperare affiancandosi alla Russia, sinora unica controparte considerata "alla pari" da Teheran. Ovviamente, per contravvenire agli schemi prestabiliti, occorre ideare una strategia imprevedibile e rapida nei movimenti, da qui un viaggio a Teheran non inserito nell'agenda della Farnesina, reso però evidente solo al momento del suo annullamento, viste che le condizioni creatasi non sembravano più adatte alle discussioni da affrontare.

L'Italia sembra essere interessata all'Iran per gli stessi motivi per cui lo era circa cinquant'anni fa, quando l'ENI gettava le basi del futuro energetico di un Paese uscito dalla guerra come perdente ma destinato a risollevarsi con dignità. Ecco, Roma non cerca questioni sul nucleare o sui missili terra-aria contro Israele, bensì cerca energia, adottando così una vecchia strategia di alleanza con i Paesi produttori di fonti petrolifere a fronte di tecnologia e cooperazione. In questo è affiancata da Mosca, che ha trovato negli italiani dei partner solidi per ogni progetto di rilevanza strategica, intavolando insieme tavoli di negoziati con parti terze, ma anche dalla Libia, dall'Egitto e dalla regione dei Balcani, che costituiscono rispettivamente fonti e transito di energia.
L'Iran è proprio quell'anello mancante ad una catena politico-energetica che ha come scopo quello di raggiungere una certa stabile indipendenza economica dal blocco filo-americano. Ben conscia della propria strategicità, Teheran gioca con i suoi alleati, nel tentativo di trarre da loro quanti più vantaggi possibili, con cui alimentare la propaganda di regime e consolidare le proprie aspirazioni di controllo della regione mediorientale. Un gioco assecondato dai russi, che hanno aiutato l'Iran a costruire la sua tanto agognata centrale nucleare, razionando però la fornitura di combustibile e di tecnologia, quel tanto che basti per dare credibilità al suo Governo dinanzi agli occhi degli iraniani e del mondo.

A questa lotteria della propaganda e della disinformazione si è schierata anche l'Italia, che in un certo senso ha già cominciato ad assecondare gli umori di Teheran, sapendo che è un rischio da correre se si vuole chiudere un progetto altrettanto ambizioso. Non è infatti inverosimile che sia proprio l'Italia quel tassello che manca per creare la struttura dell'Opec del Gas, così come voluta dalla Russia, ossia un ente che non stabilisce il prezzo dell'energia ma coordina i progetti di realizzazione delle condutture, disciplina le norme sul transito e la distribuzione, e contribuisca a riscrivere la carta dell'energia. In un certo senso, già la cooperazione italo-russa sulla costruzione del Blue Stream e tra poco del South Stream, ha dato vita ad un piccolo "cartello" della tecnologia del gas, essendo già una base contrattuale su cui i due Paesi decidono i prezzi al fornitore, la scelta dei paesi esportatori e di quelli consumatori. L'ingresso dell'Iran darebbe maggiore forza e nuova linfa vitale ad un progetto che dovrà dare all'economia europea carburante per l'industria pesante, sostituendo in parte il petrolio, e per favorire la parziale riconversione energetica a fonti meno inquinanti. Non a caso, le società energetiche italiane puntano nel breve periodo su fonti rinnovabili e gas. La chiave di lettura dell'energia ritorna anche nel caso in cui sia il nucleare il vero nocciolo della questione, nell'ottica in cui l'Italia e la Russia potrebbero fornire tecnologia e combustibile all'Iran, in cambio di petrolio e gas.

L'essenza della strategia non cambia molto, in quanto resta pur sempre il dato di fatto che Roma e Mosca si muovono insieme, in silenzio e fuori dagli schemi, motivate dalla convinzione che dalla crisi globale si può uscire più forti e con maggiore equilibrio a livello internazionale. Non basta, infatti, un Presidente nero a rendere il mondo equilibrato nei suoi poteri, ma occorre tenacia e pragmatismo, nonché l'intelligenza di saper agire d'anticipo rispetto ai propri competitor. Una lezione impartita da un altro esempio italiano, quale la Fiat che, da società vicina al fallimento, a leader promotore di una casa automobilistica multinazionale, solo in virtù di una maggiore flessibilità e della sua capacità di uscire dal circolo vizioso del mercato finanziario prima della sua disfatta, fermo restando che molti sono gli errori fatti in passato. Dall'altra parte, però, abbiamo un'industria europea barricata all'interno dei propri mercati (come quella francese), o ridotta al fallimento dalla pessima gestione di entità esterne (Opel-GM), e anche il totale fallimento (Crysler-GM). Che le cose stiano cominciando a girare diversamente se n'è accordo anche Obama che sceglie il piccolo costruttore di auto italiano per impartire "lezioni di vita", per poi inviare il suo Vice nei Balcani per fare pace con le terre bombardate proprio dagli Stati Uniti. Non a caso Biden accetta la Bosnia con la Republiska Srpska, e la Serbia senza il riconoscimento del Kosovo, cercando di aprire un canale diplomatico prima che tali Paesi diventino "europei", per cui soggetti alle regole comunitarie per ciò che riguarda la presenza di "compagnie estere" ed aiuti di Stato. Non stupirebbe il fatto che tra pochi giorni Washington cominci a dialogare anche con l'Iran, accettando così "Teheran con il nucleare".