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04 gennaio 2008

Pakistan : un nuovo focolaio di guerra e terrorismo


L'omicidio di Benazir Bhutto ha destabilizzato il Pakistan sollevando all'interno della Comunità Internazionale gravi dubbi sulla probabile infiltrazione all'interno del regime di Musharraf di cellule terroriste di Al Qaida. Una tale eventualità potrebbe spingere gli Stati Uniti ad intervenire per rimuovere il governo di Musharraf e "ripristinare" la democrazia, compromessa dalla probabile esistenza di cellule terroristiche all'interno della regione.

A confermare la strategia di sabotaggio del Pakistan interviene la testimonianza di un medico che aveva soccorso Benazir in seguito all'attentato, il quale afferma che " è stata uccisa da un'arma laser dell'esercito, aveva una ferita complessa, non da proiettile". Secondo il The Nation , riportando una dichiarazione ufficiale di un dirigente del Partito popolare pakistano (Ppp) della Bhutto, Babar Awan, l'arma che ha ucciso l'ex primo ministro è simile a quella usata dalle forze americane in Iraq, e attualmente non è in possesso dei talebani, ma dei reparti speciali di sicurezza del presidente Pervez Musharraf. Mentre il New York Times riprende la dichiarazione di un medico secondo cui il governo ha ritirato le cartelle cliniche subito dopo il ricovero. La prova più eclatante è stata tuttavia fornita dalla CNN, che ha ripreso la scena dell'attentato in una prospettiva chiara ed evidente, sulla quale possono essere formulate molteplici ipotesi sulla dinamica sugli eventi. Una tale mobilitazione dei media statunitensi lascia così pochi dubbi nell'intera opinione pubblica internazionale, che vede così nel Pakistan un nuovo nemico, un nuovo focolaio di terrorismo che rischia di rendere instabile una regione così importante per la produzione e il trasporto di petrolio.
Così gli scontri e le emergenze in Pakistan sono state seguite costantemente dai media internazionali, creando come una guerra virtuale che nasconde un sabotaggio sotterraneo del regime di Musharraf, da parte degli Stati Uniti e delle entità che da tempo cercano di appropriarsi del controllo della Regione.

Nello svolgimento dei fatti si riconosce con molta facilità la strategia adottata dalle intelligences e dalle forze occidentali per destabilizzare i Governi dei Paesi individuati come "stati canaglia", proprio come accaduto in Iraq, in Jugoslavia e in Afghanistan, e che sta colpendo ora la Georgia, l'Ucraina e il Kazakhstan. Ritroviamo infatti la "guerra lampo dei media" che hanno attaccato il Presidente Musharraf in diverse occasioni, mettendo in dubbio il suo potere, il suo ruolo nella "guerra di Washington sul terrorismo" e preannunciano la sua caduta; i soldi e i finanziamenti ai movimenti del dissenso organizzato, e così gli attivisti disposti a mobilitarsi e ad organizzare gruppi sociali di protesta. Ancora, una campagna di disinformazione attraverso l'Internet, con l'apertura di forum e mailinglist per inscenare l'esistenza di una opposizione invisibile di contrasto al regime totalitarista; la nascita di numerose ONG europee ed americane finanziate da grandi fondazioni che hanno a loro volta alimentato la macchina di mobilitazione anti-governo. La disinformazione mediatica è stata totale, considerando che le Agenzie degli Stati Uniti controllano direttamente le reti televisive pachistane private, che in questi mesi hanno sostenuto la linea dell'opposizione, parlando di corruzione, di inflazione e di insostenibilità economica. Le piazze sono state riempite di studenti, di avvocati, di movimenti di protesta infiltrati da gruppi armati e violenti che hanno così testimoniato il dissenso popolare. Al momento, tuttavia, nessuna associazione studentesca ha reso noto chi si nasconda dietro le proteste degli studenti, e molto probabilmente esiste una regia sotterranea che ha guidato la mano di molti di coloro che sono scesi in piazza per protestare contro le riforme costituzionale del Presidente Musharraf. A quel punto è intervenuta la "dichiarazione dello stato di emergenza", mentre gli attentati hanno cominciato a colpire diversi esponenti governativi ed istituzionali. È stato creato un leader dell'opposizione quasi dal nulla, rilanciando la figura opaca di Benazir Bhutto, salutata dall'intera opinione pubblica come la reale espressione del "Pakistan democratico". In realtà la sua figura è stata completamente manipolata, per essere prima una pedina per indebolire Musharraf e poi per distruggerlo completamente. La sua morte è stato un grande spettacolo, stranamente seguito dalle televisioni del mondo intero, accreditata dalle diverse prove di colpevolezza di Musharraf create ad hoc e accreditate dai media e dalle intelligence statunitensi.

Il Governo Pakistano, a sua volta, cerca di difendersi, annunciando attraverso il suo portavoce agli Affari Esteri Tasnim Aslam che esistono delle prove "di un coinvolgimento indiano con gli elementi anti-statali in Pakistan", alludendo così alla stretta collaborazione esistente tra il Governo Statunitense e quello Indiano per rafforzare il controllo sull'Afghanistan e sul Pakistan stesso. È bene ricordare infatti che lo scorso 22 dicembre è stato ufficialmente reso noto da parte del Ministro del Petrolio iraniano Gholamhossein Nozari che l'India non ha rinunciato al progetto di costruzione del cd. "gasdotto della pace" che instraderà il gas dell'Iran verso il territorio indiano, come confermato anche dal Ministro indiano agli Affari Esterni, E.Ahamed. L'unico dubbio sorto, pare che sia provenuto proprio dal Pakistan che ha imposto che venisse previsto nel contratto di collaborazione tra i tre Paesi, una tassa di transito, per conferire al territorio pakistano il rilievo che gli spetta nel Progetto trilaterale. Per tale motivo, il "gasdotto della pace"ha già creato molteplici scontri e guerre, che saranno probabilmente destinate a far cadere la pedina che al momento è più debole.
L'Iran dal canto suo è riuscito, con tale manovra, a riservarsi una posizione privilegiata a livello internazionale, coperta dagli scontri sul problema del nucleare.

Quanto sta accadendo in Pakistan è solo uno dei tanti episodi che hanno già colpito e distrutto Stati come la Jugoslavia e l'Iraq, che oggi cercano di compromettere la stabilità del Kosovo, per arrivare a controllare la regione chiave per l'accesso e al controllo del Corridoio VIII, che si dirige verso Oriente e verso il Mar Caspio. Il Kosovo è stato infatti letteralmente bersagliato dai media occidentali, che hanno già creato la finzione del conflitto etnico, e ora la sicurezza della sua popolazione viene messa a rischio dal diffondersi di bande armate e cellule terroristiche che si dichiarano pronte ad attaccare. Sin dagli anni '90 è stato gestito e controllato un traffico di armi dal mercato americano a quello kosovaro, finanziando l'Esercito per la Liberazione del Kosovo (KLA). Gli Stati Uniti hanno fatto spesso da base logistica per organizzare una guerriglia dall'estero, finanziando così organizzazioni terroriste e crimine organizzato, grazie all'appoggio di numerosi politici americani che frequentano spesso gli incontri per la raccolta dei fondi del movimento di liberazione. Al momento, ancora esiste la rete di contatto con le lobbie esterne pronte ad alimentare la guerra attraverso le guerriglie e la disinformazione.