Motore di ricerca

27 novembre 2008

Russia, energia e deflazione: il mosaico si ricompone

Le alleanze strategiche di Mosca continuano a moltiplicarsi, raccogliendo consensi in ogni parte del mondo. Dopo Libia, Italia, e Serbia, ma anche Turchia, Iran e Qatar, e gran parte del Caucaso sino ad India e Cina, Mosca conquista Brasile, Venezuela e Cuba. Le strade del petrolio sono state tracciate, e la creazione di un cartello del gas non è poi così lontana. (Foto: Oleg Deripaska e Dmitri Medvedev all'APEC di Lima)

Anche se "alcuni navi di guerra russe vicino alle coste venezuelane non modificano l'equilibrio delle forze nella regione", alcune piattaforme russe di estrazione di gas e petrolio nei mari dell’America Meridionale possono inquietare un po’ di più gli analisti americani. Così il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha minimizzato le ripercussioni della missione strategica della Russia in Brasile e Venezuela, ritenendo che “l'equilibrio delle forze nell'emisfero occidentale non sarà messo in dubbio" dalle esercitazioni di propaganda del Cremlino. Eppure, le alleanze strategiche concluse da Mosca continuano a moltiplicarsi, raccogliendo consensi in ogni parte del mondo, grazie ad una politica democratica aperta e pragmatica, dove la crisi finanziaria viene esorcizzata con una risposta drastica dell’economia reale e della riaccensione dei motori dell’energia. Dopo Libia, Italia, e Serbia, ma anche Turchia, Iran e Qatar, e gran parte del Caucaso sino ad India e Cina, Mosca conquista Brasile, Venezuela e Cuba: le strade del petrolio sono state tracciate, e la creazione di un cartello del gas non è poi così lontana. La Russia ha così tracciato una sorta di triangolazione nell’America lontana che ha in Lula e Chavez dei fieri alleati, per poi spingersi sino alle coste più insidiose di Cuba.

I dirigenti di Gazprom hanno gettato infatti le prime basi per una cooperazione energetica con la società petrolifera di Stato Petrobras, pianificando la possibilità di collaborare per l’estrazione dei nuovi campi petroliferi recentemente scoperti sulla terra ferma e sulla piattaforma continentale del Brasile, nonché di apprendere nuove tecnologie per la ricerca di idrocarburi in acque profonde e per la produzione di biocarburanti. Un’esperienza interessante, come definito dal Vice Presidente di Gazprom Alexander Medvedev, tenendo pero a precisare che "petrolio e gas resteranno l'attività prioritaria di Gazprom nonché la principale fonte d'energia, almeno per XXI secolo". Non è un caso però che il Brasile è stato scelto da Gazprom per stabilire la sua sede di rappresentanza in America latina, vedendo in Petrobras un importante player per le prospettive di sviluppo dell'industria gassifera e petrolifera.

Seguendo gli stessi criteri, Medvedev ha individuato il Venezuela come importante partner per la realizzazione di progetti bilaterali nel settore degli idrocarburi e della stabilità sul mercato energetico internazionale e la difesa della "sicurezza energetica mondiale". Prima di ogni cosa, le grandi società energetiche russe rafforzeranno la loro presenza sul mercato venezuelano, grazie ad un accordo di cooperazione nel settore dell'estrazione e del trattamento industriale degli idrocarburi, con la formazione di un consorzio controllato dalla Petroleos Venezuela S.A. (PDVSA). Gazprom sarà l'operatore del consorzio petro-gassifero per nome e per conto delle società russe ed opererà direttamente in Venezuela, quali Rosneft, TNK-BP, Surgutneftegaz e Lukoil. Le società russe prevedono anche di ottenere dal Governo venezuelano la concessione per le attività di rarefazione del gas naturale estratto in Venezuela.

Le mire espansionistiche in America Latina non terminano qui, in quanto diventa sempre più reale l’ "opzione cubana", con lo sfruttamento delle piattaforme off-shore a largo della Florida e prossime alle acque territoriali di Cuba. Mentre gli Stati Uniti hanno imposto il divieto federale di sfruttare le risorse petrolifere di quella zona, Cuba ha giocato d’anticipo affittando i diritti di estrazione a delle società cinesi, che stanno oggi perforando quasi 90 miglia al largo delle coste degli Stati Uniti. Per giunta, secondo quanto riportato dal quotidiano Sunday, le major petrolifere russe stanno valutando la possibilità di sfruttare le riserve del Golfo del Messico, come annunciato dall'ambasciatore della Russia a Cuba, Mijail Kamynin, al magazine economico cubano Opciones. Le società russe potrebbero dunque raggiungere presto la cinese Sinopec nello sviluppo dei pozzi riserve di petrolio a Cuba, sia sul territorio dell’isola che lungo la costa, sui quali esistono già dei progetti concreti. Kamynin ha anche rivelato che le stesse sarebbero interessate alla costruzione di serbatoi di stoccaggio di petrolio greggio e alla modernizzazione dei condotti di Cuba, come pure intervenire in Venezuela per ristrutturare la vecchia raffineria del porto della città di Cienfuegos.
Come si può notare, sebbene Cuba continui a sembrare al mondo occidentale l’ultima bandiera alzata del socialismo a causa dell’assurdo embargo statunitense, il Governo de L’Avana ha già firmato accordi operativi con società e multinazionali provenienti da diversi Paesi, per esplorare le acque territoriali che, a detta degli scienziati cubani, dovrebbero conservare oltre 20 miliardi di barili di petrolio. Tra questi figura proprio il Presidente brasiliano Lula, che ha visitato Cuba nel mese di ottobre per ratificare accordi bilaterali che daranno alla PDVSA la possibilità di investire 8 milioni di dollari per un periodo di sette anni, per l’esplorazioni delle acque profonde a nord della famosa spiaggia di Varadero: qualora i risultati saranno positivi, il Brasile potrebbe produrre petrolio e gas naturale grazie a Cuba per i prossimi 25 anni.

Non ci vuole molto a capire che questi silenziosi movimenti, vanno a determinare un interessante sviluppo per il futuro dell'economia mondiale, in considerazione del crollo dei prezzi dei prodotti petroliferi e del moltiplicarsi degli stessi cartelli sulle fonti energetiche. Anche in questo si intravede l’opera sotterranea della Russia, la quale ha già posto la possibilità di "coordinare i livelli di produzione con l'OPEC". Secondo quanto riportato dal quotidiano russo Vedomosti, citando il Ministro russo dell'Energia Sergei Chmatko, "il Cremlino non esclude la riduzione (congiunta) dell'estrazione del petrolio", o meglio potrebbe decidere di "diminuire la sua produzione, in simultanea con l'OPEC", anche senza un impegno formale con il cartello. È evidente, a questo punto, che la Russia si prepara a prendere maggiormente le redini della situazione di "crisi", e se non ci riuscirà a livello finanziario con l’istituzione di una nuova Bretton Woods, allora ci proverà giocando la carta energia, e non solo nei confronti dell’Europa, ma anche degli Stati Uniti, che stavolta dovranno per forza raggiungere un accordo. Tale scenario non è una pura speculazione, in quanto è la Russia stessa che lo dà ad intendere lanciando continui messaggi all’Occidente.

Interessante occasione è stata la riunione del Forum di cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) tenutosi a Lima, dove Medvedev e Bush hanno avuto modo di confrontarsi su tematiche internazionali forse per l’ultima volta. Il vertice, svoltosi a porte chiuse, è stato inaspettatamente aperto dal "Business Advisory Council cochairman" Oleg Deripaska, miliardario russo che ricordiamo per i suoi importanti investimenti in Montenegro accanto a Nathaniel Rothschild per i progetti di Budva e Ulcinj. L’intervento di Deripaska - che ha ottenuto il suo attimo di gloria - non a caso riguardava il ruolo futuro della Russia. "Questa crisi non è finanziaria, ma una crisi di sovrapproduzione - afferma Deripaska, come riportato dal Kommersant - in Occidente non vi era una forte domanda aggregata, non c’erano capitali, a causa del basso costo del credito al consumo. Noi non siamo stati distratti da questa tendenza. Il nostro Paese non è solo ricco di risorse, ma dispone anche di capitali. Questo è il vantaggio del nostro Paese. I nostri cittadini e investitori continueranno a comprare, mentre in Occidente i consumatori non acquisteranno nulla nei prossimi 12 mesi, a meno che, naturalmente, i governi non cominceranno a lanciare soldi dagli elicotteri".

Anche se usa parole molto ciniche, non possiamo dargli tutti i torti. "Fino a quando il mondo continua a mantenere in vita una politica industriale inefficiente, la fase di crescita non si avvierà", continua Deripaska, e avverte sulla possibilità che i Paesi occidentali, per arginare la caduta dei prezzi, prenderà misure di protezionismo, e dunque farà dumping. Con queste parole anticipa dunque il fantasma della deflazione, deridendo tutti quelli che si erano lamentati dell'inflazione, la quale rappresenta pur sempre un movimento espansivo dell’economia. "Questa situazione è un'occasione unica per la Russia, che deve fare ciò che era stata in grado di fare in precedenza: costruire strade, rafforzare infrastrutture, mezzi di trasporto di merci, persone ed energia, avere tecnologia e sistemi di comunicazioni. Essere insomma indipendente dagli altri Paesi industrializzati", ha concluso entusiasmato. Detto ciò, possiamo solo aspettare la reale evoluzione della situazione economica, tenendo presente che la Russia, quando muove le sue pedine, considera sempre anche le decisioni degli altri giocatori, proprio come in uno schema di Nash. Le informazioni che passano sono sempre un po’ parte della sua propaganda, e del suo modo di comunicare: sta ora a noi fare la prossima mossa.