Una malattia può portare via energia e linfa vitale, ma non può distruggere la dignità di un uomo. Al dolore e alla sofferenza di vedere venir meno sia il corpo che la mente, si aggiungono spesso i disastri delle medicine, che diventano tossiche, una vera e propria droga che annienta la volontà e la lucidità di un uomo già debole e fragile, debilitato dalla grave malattia. È questo il caso dei malati di Parkinson, sottoposti a cure dalla pericolosità scientificamente dimostrata, senza che i medici o le autorità sanitarie intervengano al fianco dei pazienti. Infatti, secondo degli studi risalenti al 2005, più del 60% dei pazienti affetti da malattia di Parkinson curati con medicinali a base di "dopamina" presentano dei sintomi psichiatrici, come ansia o depressione, con disturbi emozionali e comportamentali, che possono sfociare in gioco d'azzardo patologico, alcolismo, bulimia, ipersessualità, shopping compulsivo, mentre in altri casi in attacchi di panico, allucinazioni, psicosi. Sono effetti collaterali che non sono direttamente correlati al decorso della malattia, bensì ai medicinali che vengono prescritti, quali il Mirapexin e il Pramipexolo, il cui impatto sui ricettori del cervello si conosce da anni, addirittura dal 1997.
È bastato poco per collegare i comportamenti compulsivi con l’assunzione del farmaco, che ha agito sulla psiche dei malati come una vera e propria droga. Infatti, i malati di Parkinson soffrono della carenza di una sostanza chimica del cervello, detta dopamina, tale che la cura prescritta è una molecola chimica sintetica, il dopamino agonista che svolge così la stessa funzione all’interno della mente umana. Il Pramipexolo, in particolare, connette i neuroni al ricettore D3 della dopamina, altamente concentrati nella zona del cervello che definisce l'umore della persona, il comportamento e la ricerca delle soddisfazioni dei propri bisogni. Gli studi hanno tuttavia rivelato che tali ricettori si trovano nella parte del cervello che controlla il comportamento che porta al vizio, e all'appagamento dei sensi incontrollato. Il farmaco, tra l’altro, non produce questi effetti per dosi di 0.125 mg al un giorno, mentre il dosaggio quotidiano per il Parkinson è oltre i 4.5 mg. Chiaramente, protrarre queste dosi eccessive per anni porta alla dipendenza, alla totale assuefazione e al crollo dei malati nelle spirali del gioco o dell’alcool.
I medici potevano tranquillamente informare i familiari, o addirittura cambiare la cura considerando che la semplice interruzione dell’assunzione del farmaco, elimina gli effetti. Al contrario, non hanno fatto altro che aumentare le dosi, minimizzare i danni e convincere i familiari del contrario, forse per ignoranza o forse per incoscienza. Non bisogna poi sottovalutare la componente emotiva di queste persone che si sentono spesso umiliate, si nascondono, vergognandosi di sé stessi, non sapendo più controllare la propria mente. Restano rinchiusi tra i muri dei pregiudizi e dell'umiliazione delle chiacchiere della gente, nella completa indifferenza dei medici che, nella migliore delle ipotesi, non sono informati di questo possibile collegamento, e non indagano oltre l’apparenza dei sintomi. Il nostro obiettivo è dunque quello di affrontare questo problema, indagando sulle responsabilità delle autorità sanitarie, del Ministero della Sanità, delle ASL e dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) che non hanno provveduto con campagne informative adeguate e alla formazione degli stessi medici, per prevenire ed affrontare questi drammi.
È nostro dovere unirci al fianco di chi è affetto da questo male, che lentamente abbandona il corpo e la mente, per abbattere i muri invisibili della paura e della vergogna, per evitare che queste persone restino sole, perse nelle loro tragedie e chiuse nelle loro case con la sofferenza, e l'umiliazione. Dobbiamo alzare la testa, giocare a carte scoperte per identificare i responsabili, perché la condanna dei malati di Parkinson è un reato. Sono battaglie difficili perché si hanno di fronte giganti come le case farmaceutiche, che proteggono i loro interessi e la validità dei loro brevetti. Negli Stati Uniti sono già in corso molte class action contro la disinformazione e l'informazione ingannevole delle cause farmaceutiche, che "con dolo" e per interessi speculativi, hanno intenziolamente omesso le avvertenze sulla pericolosità dei farmaci. Non intendiamo, tra l’altro, essere strumentalizzati come "utili idioti" per screditare un’industria ed avvantaggiarne un'altra, ma chiediamo semplicemente che queste medicine siano controllate e ritirate ben presto dal mercato. Ciò che ci preme è rendere pubblici i fatti, per passare poi ad un'azione circostanziata in favore dei Parkinsoniani, affinchè chi ha subito i disastrosi danni degli effetti collaterali del pramipexolo, possa riconquistare la propria dignità. Sappiamo che la dignità non è gratuita, e per questo faremo ricorso ad ogni mezzo in nostro possesso per dimostrare che quelle medicine non sono medicine, ma sono una droga legalizzata, ai danni di vittime innocenti ed inermi.