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07 novembre 2008

I parkinsoniani e i farmaci: intervista al Professor Pezzoli


Intervistato dalla Etleboro, il Professor Gianni Pezzoli, Presidente dell'Associazione Italiana Parkinsoniani (AIP) e della Fondazione Grigioni (www.parkinson.it) nonché Direttore del Centro Parkinson degli Istituti clinici di Perfezionamento di Milano, spiega una controversia relativa al trattamento della malattia di Parkinson. Come abbiamo avuto modo di spiegare, alcuni farmaci prescritti contro questa malattia appartenenti alla categoria dei "dopamino antagonisti",come il pramipexolo (Mirapexin®), possono provocare effetti collaterali che influiscono sulla personalità dei pazienti. Costituiti da agenti stimolanti "cocaino-simili", possono indurre sintomi psichiatrici, come ansia o iperattività, che possono sfociare in comportamenti compulsivi, come il gioco d'azzardo patologico e l’ alcolismo. Una mancanza di comunicazione tra medico e paziente può contribuire al mancato controllo di questi effetti. Inoltre, quando questi farmaci sono stati messi sul mercato, tali effetti non erano riportati dalle case farmaceutiche nei foglietti illustrativi, detti anche bugiardini. Grazie all’intervento del Prof Pezzoli abbiamo cercato di analizzare l’origine di questi comportamenti e così anche le responsabilità dei diversi attori coinvolti.

Quando i farmaci contro il Parkinson sono entrati sul mercato, i relativi bugiardini non riportavano tutti gli effetti collaterali che provocano. Come si spiega questo?
Innanzitutto, bisogna tenere presente che la vita media dei malati si sta allungando. Se da un parte riusciamo a mantenere in vita i pazienti per un maggior periodo di tempo, dall’altra assistiamo ad un progressivo decadimento delle loro condizioni ed all’insorgenza di fenomeni e di sintomi che non conoscevamo 20-30 anni fa. Gli stessi farmaci usati da molti anni stanno manifestando effetti collaterali aggiuntivi, derivante da un utilizzo protratto per anni. Si sono manifestati diversi effetti collaterali nuovi in questi ultimi anni, anche con farmaci che erano già commercializzati da tempo.
Un altro motivo è che prima della commercializzazione, i farmaci vengono testati su alcune migliaia di pazienti rilevando alcuni effetti, ma dopo l’immissione sul mercato, quando vengono usati in centinaia di migliaia di pazienti, possono emergere eventi collaterali aggiuntivi rari, ma anche gravi. I casi possono restare isolati, ma se sono eclatanti possono fare notizia. A questo punto vengono effettuati degli studi, anche a livello internazionale. Quando si ha la ragionevole certezza che gli effetti siano veramente dovuti ai farmaci intervengono EMEA (European Medicines Agency) e FDA (Food and Drug Administration), che provvedono ad autorizzare l’inserimento dei nuovi effetti collaterali all’interno dei foglietti illustrativi. Anche l’Italia ha contribuito in maniera rilevante, con parecchi lavori. Per esempio, il nostro gruppo ha dimostrato in un lavoro pubblicato sul New England Journal of Medicine (2007) che i dopamino agonisti cabergolina e pergolide possono provocare gravi danni alle valvole del cuore. Le aziende produttrici hanno dovuto inserire avvertenze nel foglio illustrativo che ne hanno notevolmente limitato l’uso fino a determinarne il ritiro.

Possiamo affermare che vi è una responsabilità dei farmaci nel cambiamento della personalità dei pazienti?
Gli atteggiamenti compulsivi, proprio come il gioco d’azzardo o lo shopping compulsivo o l’ipersessualità, possono derivare da una terapia a base di dopamino agonisti. L’effetto gioco d’azzardo è stato segnalato da tempo sia negli Stati Uniti che in Europa, con un gran numero di lavori seguiti alle prime segnalazioni evidenti. È stato evidenziato che questi farmaci inducono nel paziente il desiderio di giocare, anche se precedentemente a questo evento non era incline al gioco. A volte i pazienti maggiormente colpiti bevevano o avevano atteggiamenti maniacale, mentre in altri casi si trattava apparentemente di soggetti normali senza particolari disturbi. Tuttavia, spesso è difficile indagare a fondo su una eventuale predisposizione psicologica del paziente a sviluppare degli atteggiamenti patologici.

Tengo comunque a sottolineare che vi è una compartecipazione di cause nell’insorgenza delle compulsioni. Da una parte vi è la malattia, che provoca una sensibilizzazione di certe aree del cervello che, se stimolate, possono indurre nella persona comportamenti compulsivi. Dall’altra, vi sono questi farmaci, che sono cocaino-simili e vanno ad agire fortemente sui recettori del cervello. È da notare che i casi di gioco d’azzardo sono pochi: considerando la nostra banca dati che comprende circa 16.000 pazienti, di cui 5000-6000 sono tutt’ora sotto osservazione, tra questi solo 20 casi (0,1%) hanno denunciato delle forti perdite al gioco d’azzardo. Ovviamente parliamo della pericolosità del gioco d’azzardo in quanto è la cosa che si riesce a nascondere meglio, a differenza dello shopping compulsivo, della bulimia o dell’iper-sessualità, che coinvolgono anche le persone circostanti, rendendo poi il cambiamento delle persone maggiormente evidente.

Può accadere che si verifichino eventi ancora più complicati, dove comportamenti indotti dalla degenerazione della malattia e dall’avanzare dell’età, vengono interpretati dalle famiglie come compulsioni. La verità è che è difficile distinguere un semplice cambiamento della personalità indotta da un diverso stile di vita dettato dalla malattia stessa, da un effetto collaterale indotto dai farmaci. Generalmente, come diceva Manzoni «La ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto che ogni parte abbia soltanto dell'uno e dell'altra».

Vi è, secondo lei, una responsabilità dei medici o delle autorità sanitarie nella mancata sorveglianza o informazione?
Credo esista un concorso di responsabilità in ciò che accade, sia da parte del medico che non ha informato in maniera dettagliata la famiglia e/o il paziente, indicando gli aspetti da tenere presente, sia da parte della famiglia che non si è resa conto di quello che stava succedendo. In generale, se vi è una colpa, questa è innanzitutto del paziente, in quanto - a meno che non sia incapace di intendere e di volere - è cosciente che gioca d’azzardo, traendone un vantaggio psicologico, una soddisfazione che lo spinge a continuare. Questo atteggiamento sarà rovinoso laddove vi è una scarsa attenzione sul paziente. Esaminando il caso di Viareggio, dove il paziente ha perso al gioco 300.000 euro, bisogna capire come questi abbia avuto la possibilità di fare una cosa del genere, se la famiglia ha prestato attenzione, se è stato assecondato da amici e conoscenti.
Esiste una responsabilità del medico, nella misura in cui non ha avvertito in maniera approfondita il paziente sulle possibili conseguenze della sua terapia. Tuttavia, ribadisco, esiste una responsabilità delle famiglie e dei pazienti. Mi è difficile pensare che non siano comparsi sintomi e comportamenti che chiunque avrebbe notato e che non sono stati segnalati al medico.
Vi sono stati poi casi di pazienti che hanno abusato delle medicine, assumendo dosi ben più elevate di quelle prescritte, perché non riuscivano a rinunciare ai loro effetti piacevoli, nonché di pazienti con pretese irragionevoli, che vanno al di là della capacità terapeutica dei dottori. A volte i pazienti non riescono ad accettare la malattia e non prestano attenzione ai propri comportamenti o alle prescrizioni mediche.

A chi potranno dunque rivolgersi i pazienti per contestare i danni subiti dal gioco d’azzardo?
E’ possibile rivalersi sulla casa farmaceutica quando l’effetto collaterale non è riportato nel foglio illustrativo. Oggi il gioco d’azzardo lo è, per cui sarebbe possibile rivalersi solo per il periodo antecedente all'inserimento.
Si potrebbe pensare anche alla Asl nel periodo successivo all’inserimento, ma solo se il problema del gioco d’azzardo fosse stato portato specificamente all’attenzione dei medici e loro non avessero indicato la terapia farmacologica come una delle possibili cause.

I nuovi farmaci continuano a presentare gli stessi effetti?
Sono già in commercio farmaci recenti come il "Requip retard" e lo "Stalevo", somministrati anche più volte al giorno, che possono dare gli stessi effetti compulsivi. Questi farmaci garantiscono livelli del principio attivo più stabili, che da un lato sono positivi, in quanto controllano meglio i sintomi motori del paziente, ma dall'altro determinano una stimolazione continua dei recettori, che potrebbe aumentare il rischio di effetti collaterali, tra i quali le compulsioni. Il foglio illustrativo di entrambi i farmaci menzionati comprende il gioco d'azzardo tra i possibili effetti indesiderati della terapia. Anche la rotigotina in cerotto, sciogliendosi attraverso la pelle, può provocare compulsioni, come dimostrato già dalle prime segnalazioni, in quanto è anch’esso un dopamino agonista.

Cosa possiamo dire dunque alle famiglie?
Sia il paziente che i familiari devono essere informati, se c’è l’informazione siamo già a metà dell’opera. A volte non è facile comunicare con i pazienti stessi, che tendono a nascondere i loro malesseri e possono persino mentire riguardo alle loro condizioni reali, per cui è importante coinvolgere ed informare chi si prende cura del malato. Per raggiungere i migliori risultati, l’informazione deve essere prudente ed equilibrata.
La nostra Associazione (AIP) ha più volte inserito nella sua newsletter informazioni sul rischio di sviluppare compulsioni, sottolineando come la terapia renda i pazienti parkinsoniani particolarmente predisposti a comportamenti anomali, come il gioco d’azzardo patologico. Anche la Fondazione Grigioni ha ripetutamente inserito notizie sull’argomento sul sito www.parkinson.it .