Per scongiurare lo spettro della crisi economica, l’Unione Europea è pronta ad approvare una manovra finanziaria di oltre 130 miliardi di euro che vedrà la partecipazione di uno Stato membro. La notizia è stata ufficializzata dal Ministro dell'Economia tedesco, Michael Glos, spiegando che ciascun Paese Ue contribuirà al piano con l'1% del proprio PIL prodotto interno lordo, con l’obiettivo di sostenere le economie dell'Unione che si trovano già a fronteggiare situazioni di particolari crisi e molto prossime alla recessione, tra cui probabilmente anche la Germania. Stando alle analisi dei burocrati dell’UE, il piano dovrebbe essere una manovra correttiva per le iniziative dei singoli Stati che potrebbero non essere efficaci. Tuttavia, non vi è alcuna certezza che il piano, che giungerà al giudizio della Commissione Europea verso la fine del mese, abbia l’approvazione dei Paesi Europei "in difficoltà", come ad esempio la Germania che dovrebbe contribuire con 25 miliardi di euro dinanzi al fantasma di un’imminente recessione a causa del blocco dell’industria automobilistica. Gli altri Governi non hanno ancora formulato una reazione ufficiale, e non è da escludere che vi saranno delle sostanziali modifiche a questo piano di emergenza formulato dalla Commissione Europea.
Una possibile alternativa che si sta facendo strada tra i corridoi di Bruxelles, è la soluzione del Presidente Nicolas Sarkozy, che propone la creazione di un Fondo strategico per gli investimenti francesi, un fondo sovrano per la Francia, destinato a sostenere le imprese strategiche durante la crisi, con un'iniziale dotazione di 20 miliardi di euro, senza tuttavia stabilire con certezza la capitalizzazione. Il fondo pubblico francese dovrebbe aiutare le imprese in difficoltà, e beneficerà delle risorse della Cassa dei depositi, del Tesoro francese, che gestirà il fondo, ma anche di contributi pubblici o privati. Sarkozy ha inoltre aggiunto che questo fondo sovrano "alla francese" è pronto a stringere alleanze con fondi sovrani europei o stranieri, garantendo la " trasparenza" degli impieghi e dei finanziamenti e un "maggior sfruttamento dell’effetto di leva". L’idea di Sarkozy è apparsa agli stessi economisti francesi un "azzardo megalomane" che non si adatta bene all’attuale struttura dell’economia della Francia, essendo una macchina di consumo di investimenti e solo in maniera marginale di creazione di capitali.
Bisogna infatti considerare che i fondi sovrani fin d'ora esistenti sono stati creati dai Governi di Paesi che dispongono di un eccesso di risparmio, grazie allo sfruttamento di importanti risorse petrolifere (come Medio Oriente, Russia o Norvegia), di eccedenze di bilancio (Singapore) o di riserve di cambio delle banche centrali (Cina). Questi fondi gestiscono attivi considerevoli, la cui somma totale è difficile da valutare, anche perché ciascun Governo pone una certa riservatezza sull’argomento. Esiste solo una stima del FMI secondo cui il valore dei loro attivi oscilla tra i 1.900 e 2.800 miliardi di dollari, mentre per l'UNCTAD, gli attivi sarebbero di circa 5.000 miliardi di dollari. Cifre davvero assurde, che, a confronto il fondo sovrano di Sarkozy sembra alquanto "misero", e in grado di coprire a malapena le necessità delle piccole e medie imprese: per questo forse sarà ideale per sostituire il ruolo delle banche, che sembrano abbiano chiuso i propri canali.
Sarkozy però non si scoraggia, e afferma che "se lo fanno i Paesi fornitori di petrolio, i cinesi e i russi, non c'è ragione perché la Francia non lo possa fare anche la Francia al servizio di una politica industriale degna di questo nome (!!!) ". Precisa inoltre che lo scopo non è quello di finanziare "imprese non solvibili", ma di stabilizzare il capitale di imprese che hanno un futuro, che dispongono di "know-how" e di tecnologie chiave e che potrebbero essere "prede allettanti per predatori che vogliono approfittare della svalutazioni in borsa momentanea". Per cui, secondo il Governo francese, mettendo a capitale questi 20 miliardi di euro si andrebbe a creare "uno strumento di dissuasione" per lanciare il messaggio secondo cui "lo Stato dispone di mezzi per intervenire in situazioni di rischio per l'industria francese". A nostro parere, l’iniziativa francese, pur avendo un campo d’azione limitato - a dispetto di quanto voglia far credere la megalomania di Sarkozy - potrebbe essere una proposta più ragionevole rispetto alla cosiddetta manovra europea: sarebbe infatti prevedibile che ogni Stato membro decida di mettere da parte dei fondi straordinari per la propria economia, a seconda anche delle diverse strutture ed esigenze.
Ritornando al caso italiano, contribuire al fondo con l’1% del suo PIL sarebbe un sacrificio immane da chiedere ai contribuenti italiani, che invece sarebbero più disponibili a profondere i propri risparmi per le loro amate "piccole e medie imprese". Tra l’altro l’Italia ha le capacità di riprendersi dalla crisi anche da sola, anche senza l’aiuto dell’Europa sanguisuga, perché è riuscita a superare momenti peggiori nella sua storia. E non parliamo solo del secondo dopoguerra, ma anche degli anni ’90 quando l’attacco speculativo sulla lira e le manovre straordinarie per entrare in Europa hanno richiesto (e avuto) immani sacrifici da parte degli italiani. Come dice anche "Le Monde", "l’Italia è abituata alle crisi", e forse proprio per questo risponde meglio di ogni altro Paese europeo alla grande depressione. Il quotidiano francese - con grande amarezza e cattiveria - ammette che l’Italia oggi è il Paese europeo che sta meglio (sic!), perché "il settore industriale tiene ancora, la bilancia commerciale è soddisfacente, i consumatori non sono schiacciati dai debiti e la politica delle banche è rimasta classica". L’invidia dei francesi - come i vecchi tempi di Bartali - non ha mai fine, e spinge "Le Monde" a mettere in guardia l' Italia, perché "il Governo italiano non può più giocare con la svalutazione e l'inflazione come aveva fatto in passato, trasformando le recessioni ‘in casi ordinari’ ". Afferma infine che l’economia italiana ha comunque un PIL solo del'1,1% e un debito pubblico molto alto, insieme ad un forte tasso di disoccupazione, e se non sta attenta potrebbe addirittura uscire dall'area euro.
Tuttavia, se la Francia e la Germania stanno soffrendo di una crisi di liquidità e la relativa chiusura dell'accesso al credito, al punto che lo Stato dovrà sostituirsi al sistema bancario, l'Italia ha dalla sua parte una rete di Banche più o meno stabile e diversificata, che va dalle Banche Popolari e le Casse Cooperative, ai Confidi e le Banche commerciali. La forza delle banche italiane da una parte ci può tranquillizzare, dall'altra ci preoccupa. Potrebbero sentirsi talmente forti, in un momento di grande debolezza per le imprese, da decidere di fare delle manovre azzardate che cominciano a circolare tra gli ambienti della finanza. Tra queste vi è la possibilità che le Banche entrino a far parte dell'azionariato delle imprese: questa è già una proposta di legge e anche un'alternativa che spesso è stata valutata.
Alessandro Profumo, Presidente di Banca Unicredit, afferma infatti che l’ingresso delle banche nel capitale delle imprese è una soluzione che si può valutare, anche perché la crisi spinge a fare cose "che in tempi normali sono da evitare". "Le Banche potrebbero farsi promotori, in via diretta, di iniziative di ristrutturazione spesso alquanto complesse, come la vendita dell’azienda o la chiusura di rami, la separazioni di fasi produttive", afferma Profumo, precisando che non tutte le aziende sono meritevoli di un aiuto così determinante, e dunque solo di quelle che hanno un futuro, e per le quali il costo del fallimento «può essere più alto di quello di far vivere un’azienda in difficoltà» . Lancia dunque l’idea di «un capitalismo territoriale » che recepisca la «specificità italiana» e si sviluppi nel solco del progetto «Impresa Italia » che prevede l’erogazione di 5 miliardi alle Pmi, e una cooperazione strategica con Confidi. Ci si chiede però come potranno le banche, in piena crisi finanziaria, aiutare le imprese. Secondo alcuni sarà la "mafia" a procurare la liquidità che occorre alla finanza per entrare negli azionariati e cominciare a scalare le aziende. Noi aggiungiamo, alla mafia anche le "fondazioni", perchè sono i nostri "fondi sovrani" occulti, nascosti nelle pieghe più celate della finanza e dell'economia italiana.