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20 gennaio 2010

Caso Dalmatinka Nova: l’accusa degli imprenditori italiani

Attraverso le parole degli imprenditori italiani che hanno investito nella fabbrica tessile della Dalmatinka Nova, viene alla luce un vero e proprio caso di frode che ha logorato e derubato una società, violando sia le norme croate che quelle europee. I F.lli Ladini, proprietari della Distributrice S.r.l., hanno infatti inviato una lettera al Primo Ministro Kosor per denunciare la grave ingiustizia e il trattamento che lo stato croato gli ha riservato. Attualmente, la Dalmatinka Nova è stata dichiarata in fallimento dai sindacati e da alcuni fornitori, con una sentenza che chiede il suo smantellamento e la sua vendita pezzo per pezzo. Giornali e televisioni croati hanno a più riprese evidenziato le colpe della società italiana, compiendo una vera e propria disinformazione del caso della Dalmatinka e fomentando rabbia e disprezzo per la società italiana. E' giunto però il momento che le ambasciate e le istituzioni italiane all'estero si attivino affinchè le norme e i contratti siano rispettati, nell'ambito della legalità e della trasparenza, a tutela degli investimenti esteri italiani. Tali episodi di 'banditismo statale' non aiutano né lo sviluppo della cooperazione intestatale, né lo sviluppo delle imprese italiane nei mercati dei Paesi vicini per sostenere esportazioni e la produzione interna.

Dopo una lunga vicenda legale, esasperati dalle ingiustizie subite, i F.lli Ladini, proprietari dell’azienda tessile Dalmatinka Nova, hanno inviato una lettera al Primo Ministro Jadranka Kosor per chiedere giustizia. La stessa lettera, è stata anche inviata a diverse Istituzioni croate ed europee, nella speranza che qualcuno dia ascolto alle richieste degli imprenditori italiani. Parole che risuonano come una vera e propria denuncia, come già fatto attraverso comunicazioni dell’ufficio di Presidenza del Primo Ministro Berlusconi e dell’ufficio del Presidente della Commissione Europea Barroso, circa le gravi ingiustizie e ripetute illegalità subite in Croazia dalla società degli imprenditori Gianfranco e Livio Ladini “La Distributrice S.r.l”. Secondo quanto dichiarato dagli imprenditori italiani, unico proposito di queste discriminazioni e azioni illegali, che vanno avanti da 5 anni, è di espropriare, senza alcun diritto, gli investimenti che la società “La Distributrice S.r.l” ha fatto a Sinj, con l’acquisto dello stabilimento tessile Dalmatinka Nova, a seguito di un regolare appalto internazionale. I fratelli Ladini ritengono responsabili l’Ufficio del Fisco del Ministero della Finanza croato, il Tribunale Commerciale di Spalato, sindacati e profittatori locali. “La nostra società - spiegano nella lettera gli imprenditori - aveva seri progetti per la Dalmatinka. Ciò è dimostrato se si osservano i nostri registri contabili, da dove risultano investimenti per più di 10 milioni di euro in capitale azionario, scorte di magazzino, forniture, sviluppo e modernizzazione degli impianti e delle capacità di produzione, ricerche di mercato e molto altro”. L’accusa alle autorità e Istituzioni croate è quella di aver fatto finta di niente tollerando, o forse sostenendo, azioni illegali per coprire le impunità.

Ripercorrendo i fatti, il Fisco croato, attraverso l’ufficio di Spalato, ha richiesto il pagamento delle tasse sui capitali investiti nella Dalmatinka Nova, capitali inviati dall’Italia attraverso una regolare procedura della Banca d’Italia, e registrati nella Banca Nazionale di Croazia, come pure nella contabilità dell’azienda. “La richiesta del pagamento delle suddette tasse sul capitale investito - si legge nella lettera - va palesemente contro le leggi sia croate che europee. Il Fisco ha poi ripetutamente bloccato il conto bancario della nostra società, sottraendo illegalmente una cifra di circa 3 milioni di kune. Questa azione ha intralciato i processi di produzione causando, ovviamente, ingenti danni alla nostra società, ai 420 lavoratori della Dalmatinka e personalmente a noi proprietari”. Successivamente, il sindacato dei lavoratori NHS di Sinj, con il sostegno del Ministero della Finanza e del Tribunale Commerciale di Spalato ( nella persona del giudice Ivan Basic), ha approfittato della situazione per chiedere il fallimento della Dalmatinka per il mancato pagamento dei salari ai dipendenti nei termini di legge. “I lavoratori sono entrati in sciopero – spiegano Gianfranco e Livio Ladini - ma tutti sapevano che i salari non potevano essere pagati perchè il nostro conto corrente era stato bloccato illegalmente dal Ministero”. In data 29 Gennaio 2008, il giudice Basic ha avviato le procedure per dichiarare il fallimento per bancarotta della Dalmatinka. Il Tribunale di Secondo grado di Zagabria al quale ci eravamo rivolti ha tuttavia revocato l’azione del Giudice perchè dichiarata illegale. Sfortunatamente, però, questa non è stata la conclusione della spiacevole vicenda.

Per le stesse motivazioni, dichiarate assolutamente illegali dal Tribunale Superiore di Zagabria nell’Aprile del 2008, il giudice ha avviato una nuova istanza sei mesi dopo sempre a seguito di iniziative del sindacato NHS, che continuava a chiedere il pagamento dei salari arretrati e con il c/c nuovamente bloccato dal Ministero delle Finanze (dipendenti che comunque non lavoravano da svariati mesi). “ In data 14 luglio 2009 – continuano i F.lli Ladini - il giudice Basic ha violato e negato i nostri diritti di difesa impedendoci di essere presenti all’udienza per l’accusa di bancarotta. In quella sede avremmo potuto provvedere, nonostante tutto, a fornire delle adeguate garanzie bancarie in alternativa al blocco del nostro conto corrente”. I f.lli Ladini affermano inoltre che il Tribunale, in quell’occasione, aveva accettato le false dichiarazioni del Ministero della Finanza che aveva bloccato il loro conto corrente, tra l’altro per un importo doppio di quello da loro verbalizzato e da noi contestato. Le azioni del Tribunale, e del giudice Basic, hanno di fatto ostacolato ogni possibilità di controllare la procedura di bancarotta negando i crediti vantati da La Distributrice Srl per le forniture effettuate e regolarmente sdoganate per un importo di oltre 6.000.000,00 di Euro ed escludendo così la società dal consiglio dei creditori. “L’espropriazione e la frode contro gli investitori italiani – dichiarano con forza in chiusura della lettera - , tanto odiati, assieme al complotto di speculazione di tipo mafioso messo in atto dalle “gang” locali , è stata alla fine compiuta”.

Attraverso questa lettera, i Ladini richiedono l’istituzione di una Commissione italo– croata che si occupi dei fatti accaduti e del grave danno subito dalla società “La Distributrice S.r.l.”, danni per i quali si richiede un risarcimento. “Siamo sicuri che la Croazia, - concludono gli imprenditori Ladini - in questo momento storico in cui la Repubblica è in procinto di entrare a far parte della Comunità Europea, non possa lasciare impuniti questi crimini. Per la simpatia che nutriamo per il vostro Paese, saremmo davvero dispiaciuti se questo increscioso avvenimento avesse risonanza attraverso le agenzie di informazione Europee”. Senza veli e con molta franchezza, la società italiana esprime il suo profondo malcontento per il trattamento che la Croazia gli ha riservato, come una sorta di ostilità scaturita non solo dall'atteggiamento delle istituzioni, ma anche dei media che hanno contribuito a creare un clima di tensione attorno al caso della Dalmatinka. Giornali e televisioni hanno a più riprese evidenziato le colpe della società italiana nella "cattiva gestione della fabbrica", enfatizzando invece la posizione dei lavoratori che "si sono visti costretti a chiedere il fallimento della società". Il sindacato ha più volte accusato la società di non aver pagato gli stipendi ai lavoratori, "di aver lasciato morire la fabbrica", che "i conti correnti della Dalmatinka Nova erano stati svuotati, e debiti ancora non pagati", mentre la produzione è rimasta bloccata per mesi.

Il tribunale ha poi respinto senza molta premura la richiesta della società italiana di revocare il fallimento, ed ha stabilito di smembrare letteralmente la fabbrica per ripagare i salari e i debiti arretrati, che comunque all’udienza del 24.11.2009 per paghe, contributi e debiti verso il Ministero delle Finanze, ammontavano ad un totale di circa 20 milioni di kune (importo contestato perché i lavoratori da mesi non lavoravano ed il Ministero delle Finanze dovrebbe restituire le tasse prelevate illegalmente). Il comitato fallimentare ha persino stimato che il valore della fabbrica arriva a poco più di 150 milioni di kune (poco più di 20 milioni di euro), che è il valore stimato dei terreni e fabbricati stimati per un valore di 95 milioni di kune, di macchine e attrezzature per 38 milioni, e dell'inventario delle merci in deposito per 1 milione. Insomma, nel giro di pochi mesi, le autorità croate hanno deciso in maniera unilaterale di chiudere l'impresa in cui gli italiani hanno investito, di smembrarla e di svenderla sul mercato, nella più totale impotenza della Distributrice, la quale attende ora una risposta e un qualsiasi intervento a fermare tale decisione ultima. E' giunto però il momento che le ambasciate e le istituzioni italiane all'estero si attivino affinchè le norme e i contratti siano rispettati, nell'ambito della legalità e della trasparenza, a tutela degli investimenti esteri italiani, al pari di quelli americani e inglesi. Tali episodi di 'banditismo statale' non aiutano né lo sviluppo della cooperazione intestatale, né lo sviluppo delle imprese italiane nei mercati dei Paesi vicini per sostenere esportazioni e la produzione interna. Per questo, i nostri deputati all'estero, gli ambasciatori e i funzionari delle camere di commercio devono risvegliarsi dal loro torpore e monitorare i mercati e questo tipo di casi estremi. Le nostre imprese non devono essere un baratto, una mercificazione politica, al servizio delle grandi aziende con conti cifrati alle Cayman. Serve un coordinamento estero italiano senza poltrone o consulenti pagati profumatamente ma nei fatti impotenti, per chiusi nei loro uffici e nelle loro auto diplomatiche.