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25 agosto 2011

Gli amici di ieri e di domani: la corsa al petrolio della Libia


Gheddafi non è stato ancora deposto e già è cominciato l' "affaire", quello grosso, che richiede l'intervento degli specialisti e dei superanalisti. Quelli come Luttwak che spiega con le mappe e il plastico, quelli che sino ad oggi non ne hanno azzeccata neanche una, ma sono super pagati dalla "Ditta", l'Agenzia di Informazione e Sicurezza.
E' una storia che si ripete, con i soldati che presidiano le raffinerie, i ribelli che sono vittime del regime e il dittatore che tiranneggia il suo popolo: oggi ci sono i Lealisti di Gheddafi, anni fa avevamo gli ultranazionalisti serbi. Insomma ogni guerra se la studiano bene per fare i loro 'impicci e imbrogli'. Poi ci sono i giornalisti, come quelli italiani che vengono derubati e poi sequestrati, ma stranamente riescono a chiamare a casa per dire che stanno bene e li hanno messi al sicuro, ma restano sempre in ostaggio. Qualcosa non torna, anche perchè 'ovviamente' i sequestratori sono i soldati di Gheddafi e non i mercenari di Bengasi, che maltrattano questi eroici 'inviati di guerra'. In realtà sono solo delle pedine della macchina mediatica che si è mossa per portare al mondo il messaggio del "nemico della democrazia". Per far questo si sono mossi giornalisti e producer internazionali, quelli che si bazzicano i ministeri della difesa e le agenzie di stampa, che mandano così i loro fiduciari. Ex agenti ripudiati dalla Ditta, oppure agenti pizzicati a fare il doppio gioco, truffe o anche rapine. In quegli alberghi succede di tutto, prostituzione minorile, droga e alcool a non finire, traffici e affari meschini. C'è chi si fa rubare le telecamere e chi si vende le telefonate, chi si fa rapinare, e poi fatture su fatture, vari business per pareggiare i debito di gioco. Questo è il sottobosco della macchina della guerra, in cui i media sono più importanti degli stessi eserciti. In Libia hanno toccato livelli spettacolari, trasmettendo un film pseudo-realistico tanto per creare confusione tra il mondo arabo e quello occidentale, che deve essere convinto che bisogna combattere un altro "nemico della democrazia.

Assatanati si sono gettati su Tripoli come non mai, messi alle strette dal FMI e dallo spettro del default. Così di punto in bianco si sono mosse Inghilterra e Francia, entrambe ostaggio di un fallimento di fatto mai dichiarato, che vanno poi in giro a fare lezioni di finanza vantando il loro 'illustre esempio' di economia forte, quando poi stanno peggio di tutti. Contemporaneamente si muove L'Aja, un aggregato di falsi giudici, tra travestiti e scarsi attori a pagamento. Eppure, se facciamo un passo indietro, non si può negare che Gheddafi veniva accolto con tutti gli onori di Stato da ogni Governo Occidentale, in Italia e in Francia ha anche montato la sua tenda, con tanto di cavalli ed amazzoni. D'altro canto, l'ENI doveva tutelare i suoi interessi, mentre la Areva voleva costruire una centrale nucleare nel deserto. Chissà perchè, tutto d'un colpo il Rais è impazzito e ha cominciato 'a sparare sulla folla'. O almeno questo è quello che ci hanno raccontato...

Infatti, mentre i soldi nelle casse francesi e britanniche finivano e le pressioni dell'effetto domino della crisi finanziaria si facevano sentire, cominciavano i primi scontri nel Nord Africa. Obiettivo nevralgico della 'primavera araba' era proprio scatenare la rivolta in Libia, le cui avvisaglie si erano percepite nelle speculazioni sul caso di Nouri Mesmari, capo del protocollo di Gheddafi, che fugge in Francia e collabora con i servizi segreti francesi per inscenare la rivolta di Bengasi. Questa città infatti costituisce la leva vincente per ribaltare il Colonnello e rimettere in discussione tutti i contratti energetici sottoscritti dalla Libia, che vedono l'Italia come grande partner di Tripoli. Nel capoluogo della Cirenaica ha sede infatti la Arabian Gulf Oil Company (Agoco), creata dalla National Oil Corporation (NOC), ma controllata da diversi mesi dall'opposizione. Essa sarà la prima a riprendere la produzione nelle prossime tre settimane, sfruttando così i giacimenti di Sarir e Mesle. L'Agoco dispone di otto pozzi di petrolio, di un terminal petrolifero e due raffinerie a Tobruk e Sarir, e aspira a divenire la compagnia petrolifera nazionale. Allo stato attuale, è la NOC a controllare il 50% della produzione nazionale, e nessuna azienda straniera può entrare sul suolo libico e intraprendere una qualsiasi attività petrolifera senza creare una filiale in cui la NOC detenga una quota di maggioranza attraverso una controllata, come ad esempio la Agoco. Quindi il primo passo è stato quello di decentrare il controllo dei pozzi petroliferi da Tripoli a Bengasi, per poi riaprire nella Cirenaica i tavoli dei negoziati con il Consiglio nazionale di transizione (CNT). Non a caso il Presidente del CNT, Mahmoud Jibril, è atteso in Europa per un tour destinato a 'raccogliere' sostegni al governo dei ribelli. Stranamente è atteso già domani a Roma, per incontrare il CEO ENI, Paolo Scaroni, e lo stesso Silvio Berlusconi, mentre in Francia sarà il prossimo 1° Settembre per partecipare alla Conferenza “Friends of Libya”. Forse sarebbe meglio dire "amici del petrolio della Libia".

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La Libia ha le riserve petrolifere più grandi dell'Africa, con 1,55 milioni di barili di petrolio al giorno. Dopo ENI (270 mila barili al giorno) collegata con il gasdotto Greenstream, le principali compagnie straniere operanti in Libia sono: Total (60.000 barili), Wintershall (98.600), Marathon (45.800), Conoco (45.000), Repsol (36.000), Suncor (35.000), OMV (33.000 ), Hess (22.000), Occidental (6000) e Statoil (4500), BP (in fase di negoziati).


La Libia dispone di sei terminal petroliferi di esportazione: Es Sider (447.000 barili al giorno), Zoueitina (214 000), Zaouiah (199 000), Ras Lanouf (195 000), Marsa El Brega (51 000) et Tobrouk (51 000). Altri 333 mila barili sono esportati con altri terminal non specificati, mentre fondamentale è il gasdotto con l'Italia Greenstream.

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Di fatti, se prima della guerra i principali clienti per il greggio libico erano Italia (28%), Francia (15%), Cina (11%), Germania (10%) e Spagna (10%), dopo la situazione sarà completamente diversa. Francia (la prima a riconoscere Bengasi), Regno Unito e Stati Uniti si lanciano per raccogliere i dividendi economici dei loro sforzi militari. Sarkozy ha già detto che vuole il 35% dei nuovi contratti petroliferi. L'emiro del Qatar, che ha fornito supporto militare e - noi diremmo - mediatico, non è stato dimenticato e avrà per la Qatar Petroleum un accordo commerciale preferenziale per la distribuzione del petrolio. L'olandese Vitol sarà ripagata per per aver assicurato le prime esportazioni di petrolio nel pieno della controversa guerra civile rimpinguando le casse del CNT già nell'aprile del 2011. Poi c'è la Germania, e infine l'Italia. Gli Stati Uniti, che al momento comprano solo il 3% del petrolio libico, sperano in una nuova cooperazione, ma non è da escludere che sarà proprio il Qatar la sua piattaforma commerciale. Per quanto riguarda Cina, Russia e Brasile, si vocifera che perderanno molto terreno, salvo concessioni di Bengasi e spiragli garantiti per vie traverse. Da questo punto di vista, Gazprom potrà sempre contare sull'Italia, visto che è riuscita ad entrare in Libia con l'operazione del giacimento Elephant poco prima dello scoppio del caos.