Belgrado emana la legge che concede ad ogni cittadino nato nella ex Jugoslavia la possibilità di fare richiesta del passaporto serbo. Un documento che, all'indomani dell'eliminazione dei visti, diventerà la chiave di ingresso in Europa per tutti i popoli che resteranno indietro con i negoziati di integrazione, come croati, bosniaci e kosovari.
L'integrazione europea e le dinamiche di allargamento stanno creando un vero e proprio paradosso all'interno della regione balcanica, la cui politica interna continua a ruotare intorno alla risoluzione delle questioni bilaterali tra i diversi paesi e alla cosiddetta "questione serba". Se le controversie croata-slovena e macedone-greca hanno delle prospettive di risoluzione per i prossimi due anni, i problemi della Bosnia Erzegovina e del Kosovo sembrano avere dei tempi di svolta molto più lunghe. Sicuramente in Republika Srpska e in Kosovo oggi assistiamo a delle farse continue, legate tra di loro da una sorta di parallelismo, derivante proprio dal loro legame con la Serbia. Mentre Behgjet Pacolli guida il suo patriottico pellegrinaggio in tutto il mondo, tramite le sue fondazioni, per far riconoscere il Kosovo sotto l'egida delle attività di lobbing di Washington, la Serbia combatte la sua guerra silenziosa, aiutata da alcuni Paesi europei che vedono in lei il punto di forza di tutta la regione dei Balcani. Tutto questo all'insegna della parola "riforma" ed "integrazione europea", che sta in qualche modo sponsorizzando i piani demografici serbi.
Belgrado ha infatti emanato la legge che concede ad ogni cittadino nato nella ex Jugoslavia la possibilità di fare richiesta del passaporto serbo, "giurando fedeltà alla Serbia". Un documento che non può essere definito solo un passaporto, bensì la chiave di ingresso in Europa per tutti i popoli che resteranno indietro con i negoziati di integrazione, come croati, bosniaci e kosovari. C'è da chiedersi, dunque, quante persone faranno domande per ottenere il passaporto serbo alla fine dell'anno, quando il regime dei visti sarà definitivamente eliminato. Ciò che accadrà, non è molto diverso dal provvedimento del Governo romeno, che ha distribuito 1 milione di passaporti Schengen ai cittadini moldovi, o da quello che Slobodan Milosevic voleva fare, ossia riunire tutti i serbi in un solo posto. Oggi tutto questo viene fatto con il beneplacito dell'Europa. In un certo senso, il programma di integrazione del popolo "jugoslavo" è già in atto, considerando che la corsa ai passaporti serbi è già cominciata (o forse in Kosovo non è mai finita).
Si pensi alla Republika Srpska: l'entità serba ha accettato senza proteste o sollevamenti di piazza la decisione dell'Alto Rappresentante Valentin Inzko di limitare il potere dell'Assemblea Nazionale della RS, usando i poteri Bonn, e tutto ciò che abbiamo visto è stata "propaganda televisiva", niente di più. Allo stesso tempo, il Presidente Boris Tadic è giunto a Banjaluka per tranquillizzare i serbi, invitandoli ad avere "comprensione" nei confronti del difficile ruolo dell'Alto Rappresentante che, "agisce non per piacere, ma per garantire il futuro europeo della Bosnia". Qualsiasi cosa abbia portato Tadic a Banjaluka, è chiaro che è un qualcosa che può servire a Milorad Dodik per le elezioni, dopo la farsa del referendum per l'indipendenza della Srpska, che sicuramente tutti ricordano in Europa. Oggi sicuramente Belgrado ha voltato pagina nella sua storia, "i giochi di guerra" sono finiti, almeno da parte sua, ed è stato deciso che la Serbia avrà un ruolo strategico dominante nei Balcani, sia per le strade energetiche che raggiungeranno l'Adriatico attraverso il Montenegro, che per i suoi legami con la Russia, come vera porta d'Oriente per l'Europa. In cambio Belgrado ha concesso alla Comunità Internazionale la Republika Srpska, e forse tra 10 anni cederà anche il Kosovo, in nome della pace dei "Balcani europei e democratici". Così, dopo anni di sofferenza, la Serbia è riuscita a guardare l'adriatico con altri occhi. Un traguardo raggiunto anche grazie all'Italia, che ha pagato la sua arroganza con i "gossip scandalistici", riuscendo infatti ad entrare nei Balcani, a creare dei canali alternativi per gli oleodotti ed unire i produttori di energia dalla Libia alla Russia, spingendosi sino all'Iran. Adesso manca proprio Teheran all'appello, per chiudere il cerchio, ma a quanto pare le "manifestazione democratiche" non accennare a finire...
Belgrado ha infatti emanato la legge che concede ad ogni cittadino nato nella ex Jugoslavia la possibilità di fare richiesta del passaporto serbo, "giurando fedeltà alla Serbia". Un documento che non può essere definito solo un passaporto, bensì la chiave di ingresso in Europa per tutti i popoli che resteranno indietro con i negoziati di integrazione, come croati, bosniaci e kosovari. C'è da chiedersi, dunque, quante persone faranno domande per ottenere il passaporto serbo alla fine dell'anno, quando il regime dei visti sarà definitivamente eliminato. Ciò che accadrà, non è molto diverso dal provvedimento del Governo romeno, che ha distribuito 1 milione di passaporti Schengen ai cittadini moldovi, o da quello che Slobodan Milosevic voleva fare, ossia riunire tutti i serbi in un solo posto. Oggi tutto questo viene fatto con il beneplacito dell'Europa. In un certo senso, il programma di integrazione del popolo "jugoslavo" è già in atto, considerando che la corsa ai passaporti serbi è già cominciata (o forse in Kosovo non è mai finita).
Si pensi alla Republika Srpska: l'entità serba ha accettato senza proteste o sollevamenti di piazza la decisione dell'Alto Rappresentante Valentin Inzko di limitare il potere dell'Assemblea Nazionale della RS, usando i poteri Bonn, e tutto ciò che abbiamo visto è stata "propaganda televisiva", niente di più. Allo stesso tempo, il Presidente Boris Tadic è giunto a Banjaluka per tranquillizzare i serbi, invitandoli ad avere "comprensione" nei confronti del difficile ruolo dell'Alto Rappresentante che, "agisce non per piacere, ma per garantire il futuro europeo della Bosnia". Qualsiasi cosa abbia portato Tadic a Banjaluka, è chiaro che è un qualcosa che può servire a Milorad Dodik per le elezioni, dopo la farsa del referendum per l'indipendenza della Srpska, che sicuramente tutti ricordano in Europa. Oggi sicuramente Belgrado ha voltato pagina nella sua storia, "i giochi di guerra" sono finiti, almeno da parte sua, ed è stato deciso che la Serbia avrà un ruolo strategico dominante nei Balcani, sia per le strade energetiche che raggiungeranno l'Adriatico attraverso il Montenegro, che per i suoi legami con la Russia, come vera porta d'Oriente per l'Europa. In cambio Belgrado ha concesso alla Comunità Internazionale la Republika Srpska, e forse tra 10 anni cederà anche il Kosovo, in nome della pace dei "Balcani europei e democratici". Così, dopo anni di sofferenza, la Serbia è riuscita a guardare l'adriatico con altri occhi. Un traguardo raggiunto anche grazie all'Italia, che ha pagato la sua arroganza con i "gossip scandalistici", riuscendo infatti ad entrare nei Balcani, a creare dei canali alternativi per gli oleodotti ed unire i produttori di energia dalla Libia alla Russia, spingendosi sino all'Iran. Adesso manca proprio Teheran all'appello, per chiudere il cerchio, ma a quanto pare le "manifestazione democratiche" non accennare a finire...