I Paesi dei Balcani occidentali otterranno lo status di esenzione dei visti in tutta l'UE entro la fine dell'anno, nella misura in cui hanno rispettato le condizioni stabilite dalla road map. Nei fatti, però, la conferenza stampa non ha dato alcuna certezza sui nominativi dei Paesi candidati, la cui valutazione definitiva è rimessa comunque alla Commissione Europea, la quale potrebbe ancora evidenziare delle distorsioni.
I Paesi dei Balcani occidentali otterranno lo status di esenzione dei visti in tutta l'UE entro la fine dell'anno, nella misura in cui hanno rispettato le condizioni stabilite dalla road map. Queste le conclusioni del Consiglio dei ministri dell'Unione europea, riunitosi martedì a Lussemburgo, il quale ha ribadito il suo sostegno al dialogo sulla liberalizzazione dei visti con Albania, Bosnia e Erzegovina, Repubblica macedone, Montenegro e Serbia, sulla base dei tracciati contenenti i parametri di riferimento per la valutazione di ciascun Paese. "Il Consiglio ricorda che i paesi interessati dovrebbero continuare a concentrarsi sulla piena attuazione di questi parametri", affermano ancora i rappresentanti dei paesi UE. La riunione apre così la seconda fase per la Commissione Europea per raggiungere un regime di esenzione dal visto entro la fine del 2009 per coloro che hanno soddisfatto tutti i parametri di riferimento. Di fatti, la conferenza stampa non ha dato alcuna certezza sui nominativi dei Paesi candidati, la cui valutazione definitiva è rimessa comunque alla Commissione Europea, la quale potrebbe ancora evidenziare delle distorsioni.
Ad ogni modo, stando alle indiscrezioni provenienti da Bruxelles e a quanto dichiarato dai singoli rappresentanti permanenti presso la Commissione Europea, i paesi più accreditati ad ottenere l'eliminazione dei visti vi sono Macedonia, Montenegro e Serbia, mentre Albania e Bosnia-Erzegovina resteranno escluse, e il Kosovo non è stato proprio inserito nel processo di valutazione. Per questi, vale la regola generale che i Governi "devono continuare a lavorare per soddisfare le condizioni dell'Unione Europea", tale che la loro scelta sarà decisa in base ai meriti. C'è da osservare, tuttavia, che mentre la Bosnia Erzegovina ha visto cadere nel vuoto le sue aspirazioni europeiste proprio a causa della crisi interna e gli scontri con l'Ufficio OHR, l'Albania potrebbe essere "ripescata" al termine delle elezioni politiche del 18 giugno, il cui buon esito sarà rilevante ma non essenziale. Nei fatti, l'UE vuole vedere nella pratica come Tirana ha gestito la distribuzione dei documenti elettronici, il suo ritiro e il suo utilizzo, così come il controllo dei flussi in ingresso e in uscita della popolazione che eventualmente migrerà per tale evento. La democraticità del processo elettorale sarà solo uno specchio del livello organizzativo dello Stato, che dovrà dunque ritenersi all'altezza di ottenere la cancellazione delle rigide barriere alla circolazione dei cittadini albanesi.
Al momento, dunque, solo Macedonia soddisfa tutti i criteri, mentre Serbia e Montenegro, pur avendo compiuto rapidi progressi nel soddisfare i requisiti necessari, dovranno essere sottoposti ad un esame dettagliato, in base ai propri meriti. L'annuncio ufficiale avverrà il prossimo mese, quando la Commissione europea proporrà il regime di esenzione dai visti al Consiglio dei ministri. Il ministro degli Esteri macedone, Antonio Milososki, si attende un "esito positivo" entro la fine del 2009 ed ha espresso così tutto il suo entusiasmo che per tale importante successo. Allo stesso modo, il Vice Primo Ministro serbo Bozidar Djelic ha spiegato che la Serbia deve attuare tutti gli altri requisiti tecnici e le condizioni stabilite entro la fine di quest'anno: allora sarà definitiva la decisione di abolire i visti Schengen per i cittadini serbi entro questo autunno. La Croazia, al contrario, rimane in una situazione di limbo, dopo che la troika dei Presidenti dell'Unione Europea, costituita dai Ministri degli Esteri della Francia, Bernard Kouchner, della Repubblica Ceca Jan Kohout e della Svezia Carl Bildt, chiede che la soluzione per rimuovere il blocco dei negoziati di adesione della Croazia, sia trovata prima della riunione dei capi di Stato o di governo dei 27, che si terrà tra giovedì e venerdì a Bruxelles. Ciò dunque significa che, qualora la richiesta di Rehn venga nuovamente rigettata, la Croazia vedrà rimandare di oltre un anno la sua adesione all'UE. Il caso della Croazia resta comunque un perfetto esempio di come, spesso, l'integrazione europea si trasformi in un'arma a doppio taglio da utilizzare per ottenere qualcosa in cambio, che sia la risoluzione di un conflitto bilaterale, la privatizzazione di alcuni settori strategici o la pulizia interna delle forze politiche.
Infatti, la controversia del confine sloveno-croato continua ad essere in stallo. Stando alle prime informazioni, diramate dai media croati, il Commissario per l'Allargamento Olli Rehn non ha accettato le lettere sulla proposta di emendamenti della Slovenia, relativamente alla possibilità di concordare un arbitrato internazionale che rispecchi il principio di equità. In particolare, Lubiana chiede che gli arbitri facciano la loro valutazione in relazione al "principio delle relazioni di buon vicinato", che potrà essere anche un parametro oggettivo che faccia da deroga alla prassi giuridica o giurisprudenziale. Di fatti, l'inserimento di tale condizione darebbe alla corte di arbitri la possibilità di "giudicare nel rispetto di regole provenienti dal senso comune nello stato di evoluzione della società civile, preesistenti rispetto al sorgere della controversia". Una condizione che potrebbe suggerire agli arbitri di giudicare la controversia non rispetto ai fatti contestati, ma rispetto alle esigenze che sono sorte nel tempo, quale appunto - per esempio - la necessità di accesso al mare per uno Stato. Secondo quanto rivelano le fonti croate, Rehn sembra che abbia rifiutato la proposta slovena, perché essa non cita il principio di giustizia e territorialità a garanzia del "diritto della Slovenia all'accesso al mare aperto", bensì solo i principi di equità (ex aequo et bono) in maniera di riportare l'arbitrato verso il rispetto degli interessi nazionali sloveni. L'unica parte della richiesta slovena che è stata accettata, è che i membri del collegio arbitrale siano decisi di comune accordo da entrambi i Paesi.
L'obiettivo di Lubiana, continuano le stesse fonti, è quello di modificare sostanzialmente la proposta di arbitrato, avanzando delle richieste di emendamento come condizione per sbloccare i negoziati e far sì che il Parlamento accetti l'accordo sul confine.Di parere opposto sono i media sloveni, secondo cui sperare nello sblocco dei negoziati e nel raggiungimento nei prossimi giorni di un accordo sulla "nuova" proposta di Rehn è alquanto illusorio. Infatti, pur volendo ipotizzare che Lubiana dia "segnali positivi", la consultazione e il consenso del Governo nei confronti della "revisione" proposta da Rehn avrebbe bisogno comunque di più tempo. Una riflessione confermata anche dal Ministro degli Esteri svedese Carl Bildt, in un'intervista per l'Agenzia Reuters, affermando che è fortemente improbabile che si raggiunga un accordo sulla questione entro limiti di tempo così circostanziati, tale che la Croazia potrebbe fare un percorso europeo parallelo a quello dell'Islanda, e non dei suoi vicini balcanici. Ad ogni modo, la situazione della Croazia rientra pienamente nella lotteria della liberalizzazione dei visti per i Balcani Occidentali, il cui buon esito sembra essere condizionato troppo da variabili molto aleatorie, che subiscono troppo l'influenza degli ultimi colpi di scena. D'altra parte, gli ostacoli che ricompaiono di volta in volta, non sono che l'immagine speculare di un'instabilità di fondo dei Balcani, che siano le controversie bilaterali, la cattura dei ricercati dell'Aja o i problemi di organizzazione interna degli Stati.
Ad ogni modo, stando alle indiscrezioni provenienti da Bruxelles e a quanto dichiarato dai singoli rappresentanti permanenti presso la Commissione Europea, i paesi più accreditati ad ottenere l'eliminazione dei visti vi sono Macedonia, Montenegro e Serbia, mentre Albania e Bosnia-Erzegovina resteranno escluse, e il Kosovo non è stato proprio inserito nel processo di valutazione. Per questi, vale la regola generale che i Governi "devono continuare a lavorare per soddisfare le condizioni dell'Unione Europea", tale che la loro scelta sarà decisa in base ai meriti. C'è da osservare, tuttavia, che mentre la Bosnia Erzegovina ha visto cadere nel vuoto le sue aspirazioni europeiste proprio a causa della crisi interna e gli scontri con l'Ufficio OHR, l'Albania potrebbe essere "ripescata" al termine delle elezioni politiche del 18 giugno, il cui buon esito sarà rilevante ma non essenziale. Nei fatti, l'UE vuole vedere nella pratica come Tirana ha gestito la distribuzione dei documenti elettronici, il suo ritiro e il suo utilizzo, così come il controllo dei flussi in ingresso e in uscita della popolazione che eventualmente migrerà per tale evento. La democraticità del processo elettorale sarà solo uno specchio del livello organizzativo dello Stato, che dovrà dunque ritenersi all'altezza di ottenere la cancellazione delle rigide barriere alla circolazione dei cittadini albanesi.
Al momento, dunque, solo Macedonia soddisfa tutti i criteri, mentre Serbia e Montenegro, pur avendo compiuto rapidi progressi nel soddisfare i requisiti necessari, dovranno essere sottoposti ad un esame dettagliato, in base ai propri meriti. L'annuncio ufficiale avverrà il prossimo mese, quando la Commissione europea proporrà il regime di esenzione dai visti al Consiglio dei ministri. Il ministro degli Esteri macedone, Antonio Milososki, si attende un "esito positivo" entro la fine del 2009 ed ha espresso così tutto il suo entusiasmo che per tale importante successo. Allo stesso modo, il Vice Primo Ministro serbo Bozidar Djelic ha spiegato che la Serbia deve attuare tutti gli altri requisiti tecnici e le condizioni stabilite entro la fine di quest'anno: allora sarà definitiva la decisione di abolire i visti Schengen per i cittadini serbi entro questo autunno. La Croazia, al contrario, rimane in una situazione di limbo, dopo che la troika dei Presidenti dell'Unione Europea, costituita dai Ministri degli Esteri della Francia, Bernard Kouchner, della Repubblica Ceca Jan Kohout e della Svezia Carl Bildt, chiede che la soluzione per rimuovere il blocco dei negoziati di adesione della Croazia, sia trovata prima della riunione dei capi di Stato o di governo dei 27, che si terrà tra giovedì e venerdì a Bruxelles. Ciò dunque significa che, qualora la richiesta di Rehn venga nuovamente rigettata, la Croazia vedrà rimandare di oltre un anno la sua adesione all'UE. Il caso della Croazia resta comunque un perfetto esempio di come, spesso, l'integrazione europea si trasformi in un'arma a doppio taglio da utilizzare per ottenere qualcosa in cambio, che sia la risoluzione di un conflitto bilaterale, la privatizzazione di alcuni settori strategici o la pulizia interna delle forze politiche.
Infatti, la controversia del confine sloveno-croato continua ad essere in stallo. Stando alle prime informazioni, diramate dai media croati, il Commissario per l'Allargamento Olli Rehn non ha accettato le lettere sulla proposta di emendamenti della Slovenia, relativamente alla possibilità di concordare un arbitrato internazionale che rispecchi il principio di equità. In particolare, Lubiana chiede che gli arbitri facciano la loro valutazione in relazione al "principio delle relazioni di buon vicinato", che potrà essere anche un parametro oggettivo che faccia da deroga alla prassi giuridica o giurisprudenziale. Di fatti, l'inserimento di tale condizione darebbe alla corte di arbitri la possibilità di "giudicare nel rispetto di regole provenienti dal senso comune nello stato di evoluzione della società civile, preesistenti rispetto al sorgere della controversia". Una condizione che potrebbe suggerire agli arbitri di giudicare la controversia non rispetto ai fatti contestati, ma rispetto alle esigenze che sono sorte nel tempo, quale appunto - per esempio - la necessità di accesso al mare per uno Stato. Secondo quanto rivelano le fonti croate, Rehn sembra che abbia rifiutato la proposta slovena, perché essa non cita il principio di giustizia e territorialità a garanzia del "diritto della Slovenia all'accesso al mare aperto", bensì solo i principi di equità (ex aequo et bono) in maniera di riportare l'arbitrato verso il rispetto degli interessi nazionali sloveni. L'unica parte della richiesta slovena che è stata accettata, è che i membri del collegio arbitrale siano decisi di comune accordo da entrambi i Paesi.
L'obiettivo di Lubiana, continuano le stesse fonti, è quello di modificare sostanzialmente la proposta di arbitrato, avanzando delle richieste di emendamento come condizione per sbloccare i negoziati e far sì che il Parlamento accetti l'accordo sul confine.Di parere opposto sono i media sloveni, secondo cui sperare nello sblocco dei negoziati e nel raggiungimento nei prossimi giorni di un accordo sulla "nuova" proposta di Rehn è alquanto illusorio. Infatti, pur volendo ipotizzare che Lubiana dia "segnali positivi", la consultazione e il consenso del Governo nei confronti della "revisione" proposta da Rehn avrebbe bisogno comunque di più tempo. Una riflessione confermata anche dal Ministro degli Esteri svedese Carl Bildt, in un'intervista per l'Agenzia Reuters, affermando che è fortemente improbabile che si raggiunga un accordo sulla questione entro limiti di tempo così circostanziati, tale che la Croazia potrebbe fare un percorso europeo parallelo a quello dell'Islanda, e non dei suoi vicini balcanici. Ad ogni modo, la situazione della Croazia rientra pienamente nella lotteria della liberalizzazione dei visti per i Balcani Occidentali, il cui buon esito sembra essere condizionato troppo da variabili molto aleatorie, che subiscono troppo l'influenza degli ultimi colpi di scena. D'altra parte, gli ostacoli che ricompaiono di volta in volta, non sono che l'immagine speculare di un'instabilità di fondo dei Balcani, che siano le controversie bilaterali, la cattura dei ricercati dell'Aja o i problemi di organizzazione interna degli Stati.