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23 agosto 2007

L'alba dei nuovi capitalisti sul crollo dell'Occidente


La crisi di liquidità delle borse e dei mercati valutari occidentali è stata senz'altro il segnale d'allarme del cambiamento del sistema economico e monetario internazionale, mettendo così a dura prova la fiducia degli investitori e dei risparmiatori di tutto il mondo. Molti hanno temuto il peggio, attendendosi che la crisi sul mercato immobiliare e così del credito, avrebbe scatenato, con un effetto domino, un crack equiparabile alla crisi del 1929. Oggi, quanto accadde un secolo fa, con il crollo della Borsa di Wall Street e il fallimento di migliaia di piccoli risparmiatori a causa della feroce svalutazione della moneta, non si è ripetuto per il semplice fatto che il sistema borsistico si basa su un circuito telematico e virtuale che ha attutito la crisi ed evitato l'espandersi del panico su ogni piazza finanziaria. A differenza di allora, non sarebbe stato verosimile immaginare di recarsi presso le Banche e ritirare i propri risparmi, in quanto il sistema monetario si basa su riserve di liquidità minime, il denaro che facciamo circolare sostanzialmente è virtuale. In ogni caso, è stato un duro colpo per le Borse europee e statunitensi che, travolte dal panico della bolla immobiliare, hanno bruciato migliaia di milioni di euro in poche ore. In tutto questo i mercati asiatici hanno subito l'allarme "liquidità", ma contemporaneamente hanno risposto con una ripresa molto più decisiva, avendo un'economia reale molto più forte, e una maggiore liquidità dovuta ad una bilancia commerciale in attivo.

Come molti si attendevano, i cd. Paesi in via di sviluppo, stanno diventando delle economie forti in grado di far fronte a shock esogeni, in particolar modo riconducibili alle speculazioni del mercato finanziario virtuale, e questo perché la struttura normativa ed economica sta subendo un'evoluzione. Per oltre un decennio le autorità cinesi hanno usato l'Occidente come una banca commerciale, investendo i propri fondi a breve, soprattutto in Usa, e prendendo a prestito a lungo termine dall'Occidente, sotto forma di joint ventures e investimenti esteri diretti. Oggi invece le autorità cinesi hanno creato enormi fondi di investimento a maggioranza partecipazione statale, per gestire la ricchezza e investono in aziende e immobili, con un flusso di investimento verso altre aree. La loro incidenza è tale che è sorta presso le autorità occidentali la preoccupazione che si vengano a creare varie forme di golden share, con acquisizioni massicce di aziende, al di fuori delle regole di mercato, proprio in virtù del privilegio che deriva dall'essere dei fondi sovrani.
La presenza dei fondi sovrani asiatici si è avvertita anche in occasione della battaglia borsista per acquistare la banca olandese ABN Amro, apportando il suo sostegno alla Banca britannica Barclays. La China Development Bank, il braccio finanziario dello Stato cinese, ha dichiarato il mese scorso la sua disponibilità a mettere a disposizione della Barclays più di 7 miliardi di euros affinché questa possa migliorare la sua offerta su ABN Amro. Questo sarà, se si conferma, il più grosso investimento mai realizzato all'esteri per la Cina, che diventa così l'arbitro della più grande battaglia borsista per la creazione di una Banca universale, nonché la prima azionista della quinta banca mondiale. La Cina aveva già acquistato qualche settimana fa, il 10% dei più grandi fondi mondiali, Blackstone. Tali operazioni sono state rese possibili proprio della grande disponibilità di riserve finanziarie, che ammontano a più di 1200 miliardi di dollari. Dunque, mentre prima la Cina si poneva come un investitore predente, oggi è divenuto un attore del capitalismo mondiale, e muore il mito della Cina come terra di investimenti e di speculazioni per l'Occidente, e cade anche la mancanza di reciprocità con l'Occidente, in quanto è il Governo stesso che incentiva gli investimenti all'estero.
Le autorità finanziarie cinesi hanno autorizzato, a partire dal 20 agosto, per la prima volta nella storia dell'investimento cinese, che i singoli risparmiatori possano investire in borse estere, con il lancio di un progetto pilota per l'acquisto di azioni del mercato di Hong Kong. Questo sarà lanciato nella zona di sviluppo economico di Binhai della città portuale di Tianjin, situata a sud di Pechino, come precisato dall'amministrazione governativa dei cambi, dando così via alla riforma di gestione dei cambi, per estendere i canali di sbocco dei fondi e promuovere l'equilibrio di base dei pagamenti internazionali. Attualmente, i risparmiatori privati cinesi non sono autorizzati ad investire all'estero tranne per la base di prodotti offerti tramite le banche, i mediatori, gli assicuratori e le società che gestiscono fondi. Pechino inoltre prenderà sulla Borsa di Shangai altre misure contro la speculazione, la manipolazione sul corso delle valute sui suoi mercati borsistici in espansione: in virtù di tali nuovi regolamenti la Borsa di Shanghai avrà maggiori poteri per sospendere la quotazione di titoli interessati da forti variazioni, ponendo nuovi obblighi di informazione. In pratica, le autorità finanziarie cinesi potranno ritirare i titoli dal mercato se sulla base del livello delle transazioni si sospettano dei reati di "insider trading", ossia se durante una mezz'ora il corso aumenta più del 100% o perde più del 50% rispetto all'apertura nei giorni senza limite di movimenti, particolarmente quando la quotazione riprende dopo una sospensione.

Non bisogna neanche sottovalutare la potenzialità degli investitori privati cinesi, che sono ormai una risorsa di risparmio: i depositi bancari delle famiglie raggiungono 1.400 miliardi di euro, le nostre riserve valutarie sono le più alte del mondo, gli investimenti esteri continuano ad affluire al ritmo di 60 miliardi di dollari all'anno. La stessa MasterCard International ha recentemente pubblicato un rapporto sull'andamento dei consumi cinesi, rilevando che il 92,6% delle famiglie cinesi hanno speso circa diecimila dollari pro capite per il tempo libero, il turismo e i beni di lusso. Quello cinese si pone dunque come un popolo emergente, che ha usato la sua povertà per creare delle opportunità di sviluppo, e gli stessi ritmi di lavori - visti come sfruttamento da parte dell'Occidente - viene visto dagli imprenditori cinesi come un mezzo attraverso il quale molti operai riescono a riscattare la propria posizione sociale: alcuni cittadini cinesi che prima erano sono dei contadini, sono ora imprenditori in ambito industriale e forniscono lavoro a migliaia di persone e sono agguerriti capitalisti, che hanno uno spirito di imprenditorialità molto forte. Questo invece è ciò che manca ad alcuni imprenditori occidentali, abituati alle speculazioni, alle logiche dello sfruttamento del valore aggiunto derivante dal lavoro altrui. Ecco dunque una delle differenze che dividono Oriente ed Occidente, nonché una spiegazione del progressivo impoverimento dei popoli europei che, allo stato attuale, non hanno "soldi" ma decine di carte di credito.

La Cina fa paura dunque per il suo ritmo di sviluppo, con una popolazione interna in continua crescita e una diaspora di oltre 100 milioni di persone: la sua produttività ha raggiunto ritmi esponenziali, con un impatto sulla bilancia commerciale, e sulla relativa provvista di riserve, sempre più rilevante. I dati ufficiali parlano oggi di 1 063,3 miliardi di dollari alla fine di 2006, aumentate di 266,3 miliardi di dollari al primo semestre dell'anno, in rialzo del 41,6% . In relazione a questo si è avuto infatti un aumento del volume del commercio esterno cinese ha raggiunto 980,9 miliardi di dollari sul periodo di gennaio a giugno, in rialzo del 23,3% rispetto al periodo corrispondente del 2006. Le esportazioni hanno aumentato del 27,6% per raggiungere 546,7 miliardi e le importazioni del 18,2% per raggiungere 434,2 miliardi.
Da qui sorgono le pressioni del Fmi circa la decisione di fermare la svalutazione dello Yuan per consentire così la rivalutazione del disavanzo commerciale degli Stati Uniti. In tal senso forse va vista la decisione dell'Autorità di controllo delle valute (SAFE), che ha autorizzato le imprese cinesi a conservare la valuta che detengono sui loro conti correnti, al fine di realizzare un equilibrio migliore della bilancia dei pagamenti. Sono state così soppresse le regole imposte agli "organismi nazionali" che limitavano l'importo delle valute estere che potevano essere conservate all'80% , con l'obbligo di vendere le valute in eccesso alla Banca centrale contro Yuan. Gli organismi nazionali comprendono i dipartimenti del governo centrale, i commerci nazionali e le istituzioni senza scopo di lucro, le entità sociali, i contingenti militari, e le compagnie straniere basate in Cina eccetto le agenzie finanziarie. Le nuove regole vanno a ridurre anche le valute detenute dalla Banca centrale che deve procedere regolarmente all' emissione di buoni per fare fronte alle eccessive entrate di fondi e al ritiro delle liquidità del sistema.

La strategia cinese sembra al tempo stesso globale e diversificata. Sperimentano, provano dei limiti, nella consapevolezza che ciò che non può essere fatto oggi potrà essere fatto domani. Pian piano sono divenuti i fornitori ufficiali degli Stati Uniti che, essendo troppo occupati ad arricchirsi col petrolio, hanno rinforzato ancora di più la loro dipendenza come consumatore . Il mercato cinese non è un mercato libero come molto credono, è protetto ma in modo intelligente: offre incentivi al libero scambio, creando delle zone franche - come le municipalità di Shenzhen, Zhuhai e Shantou - accoglie gli investimenti diretti, per apprendere le nuove tecnologie, risparmia e investe sui mercati occidentali, ormai aridi di liquidità necessarie per assicurare la necessaria stabilità. Siamo dunque senz'altro ad una svolta sui mercati internazionali, in cui quelle che erano delle economie emergenti, sono divenuti degli investitori e dei capitalisti accaniti, sia nei confronti dell'Occidente che dei Paesi del Terzo Mondo come l'Africa, utilizzando i propri fondi di investimento come contropartita a materie prime ed energia. Da questo punto di vista può dirsi che la Cina potrebbe nel giro di pochi anni superare potenze economiche come la Russia o gli Stati Uniti.