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21 aprile 2008

Il NYT al servizio delle lobbies delle armi


Il New York Times continua a sollevare il polverone del traffico di armi diretto verso il Medioriente e proveniente dall’Europa dell’est, colpendo la Serbia dopo aver puntato il dito contro l’Albania. Parla dell'esistenza di un accordo da 833 milioni di dollari con l'Iraq, negoziato segretamente con la Serbia lo scorso settembre, senza una normale procedura trasparente, e senza la stessa approvazione delle autorità di contrasto alla corruzione, compresa l`approvazione degli alti ufficiali dell'esercito iracheno e della commissione di vigilanza in Iraq.

Dopo il rapporto stilato sul traffico d'armi che vedeva coinvolti un contractor statunitense del Pentagono e la società di Stato albanese MEICO, il New York Times attacca la Serbia e parla dell'esistenza di un accordo da 833 milioni di dollari con il Governo iracheno. Un contratto che, stando a quanto riporta il New York Times, è stato negoziato segretamente con la Serbia lo scorso settembre, senza una normale procedura trasparente, e senza la stessa approvazione delle autorità di contrasto alla corruzione, compreso il consenso degli alti ufficiali dell'esercito iracheno e della commissione di vigilanza in Iraq. Ignorando i procedimenti stabiliti dal Governo iracheno, questo accordo è stato negoziato da 22 Alti ufficiali dell'esercito iracheno, senza aver informato i comandanti americani e i leader dell'Iraq. Viene inoltre precisato che, con la ratifica del contratto, viene anche istinto un debito nei confronti dello Stato serbo di oltre 4 miliardi di dollari .

Il New York Times continua a sollevare il polverone del traffico di armi diretto verso il medioriente e proveniente dall’Europa dell’est, colpendo la Serbia dopo aver puntato il dito contro l’Albania. Le indagini del quotidiano statunitense avevano infatti individuato il legame tra la società statunitense AEY Inc., contractor del Pentagono, e la società Edvin Ltd., che ha funto da intermediario con la società albanese per l’import-export di armi, Meico. Tuttavia, nel suo reportage, dimentica di dire che il famoso intermediario non è altro che una società fantasma, di proprietà di un "barbiere" di Cipro, con recapiti telefonici che riportano ad un ufficio in Bosnia, a Zenica. Così come dimentica di dire che dopo aver disarmato i Balcani delle munizioni dell’ultima guerra balcanica, gli americani continuano a controllare il mercato delle armi, e certo non permettono che vengano firmati accordi al di fuori del loro controllo. Il Governo serbo viene messo al centro di uno scandalo, scagliandogli contro l’efficace propaganda del New York Times, senza tuttavia considerare che gli Stati dei Balcani stipulano contratti con iracheni, egiziani e libici, a partire dagli anni '80 sino alla Prima Guerra del Golfo. Tra l’altro la Serbia ha sempre intrattenuto ottimi rapporti con la Libia, al punto da ospitare anche una base militare. Quello che potrebbe essere considerato un contratto sottoscritto in concorrenza con le società americane è divenuto un "caso" che ha sorpreso gli Stati Uniti.

I documenti della triangolazione per il traffico d'armi tra
Pentagono
contractor statunitense, Governo albanese.

Tra i contractor serbi che forniscono armi all’ONU compaiono la "Zastava Oruzje", di Kragujevac, la "Mile Dragic", di Zrenjanin, la "Jugoimport SDPR" e la "JAT". Riescono poi ad entrare nel circuito anche altre aziende serbe, che producono pezzi speciali, come la "Krusik", la "Sloboda" di Cacak, la "Prvi Partizan" di Uzice, la "Milan Blagojevic" di Lucani, la "Prva Iskra" di Baric, insieme poi alla "Prva Petoletka" di Trstenik e la "Utva" di Pancevo. Le cifre in discussione - si parla di un giro d’affari di 5 milioni di dollari per la Zastava e 32 milioni per la Krusik - forse possono farci capire perché gli americani si sono preoccupati così tanto, e perché voglio mantenere il controllo sul mercato delle armi. Tuttavia, ciò che il NYT ha dimenticato di dire, è che la "Zastava Oruzje" , esporta le armi utilizzando come intermediari società commerciali per la maggior parte americane, per il 95% delle transazioni, che hanno ad oggetto armi da guerra, ma anche da caccia. Così, l`azienda "Remington" commercia con la "US sporting goods", presentandosi con il brand "Zastava by Remington", con profitti annuali di circa 400 milioni di dollari.
Per chiudere l'accordo, I rappresentanti dell'azienda sono giunti a Kragujevac nel mese di febbraio, chiedendo esplicitamente che non fossero presenti i media. Solo il Presidente della Remington, Thomas Milner ha rilasciato una breve dichiarazione, sostenendo che "la collaborazione tra i migliori produttori di armi al mondo, infastidirà la concorrenza, meraviglierà i venditori e accontenterà i clienti". Magari è stato proprio questo l’effetto: gli americani si sono meravigliati o meravigliano altri per un contratto dal valore di 235 milioni di dollari con il governo iracheno, e lo fanno senza dire "business is business". Per loro, il vero business è stato forse bombardare Zastava, chiudendo poi un contratto con la stessa fabbrica per la vendita di armi.

Occorre inoltre osservare che, affermando che gli accordi tra Belgrado e Baghdad sono stati chiusi a settembre in grande segretezza, il NYT ha senza dubbio disinformato. Infatti, prima di ogni cosa, per esportare munizioni dalla Serbia occorrono infatti due autorizzazioni, uno proveniente dal Ministero degli Esteri, e uno dal Ministero della Difesa, dopodichè il Ministero degli Interni, terminata la consultazione con i Servizi Segreti serbi, e poi con il Ministero dell’Economia. Tuttavia, prima che si azioni tale processo, il Ministero della Difesa deve consultarsi con in responsabile dell'ambasciata americana a Belgrado, chiedendo se vi sono opposizioni nei confronti dell’operazione di esportazione di armi dalla Serbia. Conclusasi tale fase, complessa e delicata, viene dato il via libero definitivo all’esportazione di prodotti militari serbi. Per tale motivo, è davvero sorprendente che il responsabile dell’Ambasciata americana a Belgrado non abbia avvisato Washington in tempo.

In secondo luogo, dopo aver ratificato il contratto, il ministro della difesa iracheno, Abdula Khadir, ha confermato che del contratto era stato avvisato anche il Premier Nuri al Maliki. Lo stesso direttore generale della Jugoimport SDPR, Stevan Nikcevic, ha affermato che dell’esistenza di tale contratto erano stati informati sia il Governo iracheno che i rappresentanti statunitensi in Iraq, nonostante la smentita degli americani. Nikcevic ha così smentito quanto scritto dal New York Times, sottolineando che con i rappresentanti iracheni non si è mai discusso della vendita di elicotteri o di carrarmati. "Io credo che qualcuno non è stato soddisfatto del fatto che è stato inserito nell'affare - afferma Nikcevic - anche perché non si può accettare che l'industria militare serba ha un valore sul mercato internazionale, e con i tempi e i prezzi possa essere una vera concorrente sul mercato", ha aggiunto. Precisato questo, la controparte irachena ha spiegato le motivazioni che hanno dettato l’accordo con Belgrado, ossia condizioni contrattuali più favorevoli rispetto a quelle fornite dal Ministero della Difesa americana. "Il processo dal Pentagono era troppo lento - commenta il Premier iracheno - noi volevamo tempi di consegna più brevi, che la parte americana non poteva garantirci, in quanto il progetto con il Pentagono era solo per le situazioni di pace, mentre nella situazione di guerra in cui ci troviamo noi, non possiamo reagire nei tempi necessari". "Gli Americani ci lasciano disarmati, in maniera tale fa avere sempre bisogno di loro", afferma un altro rappresentante iracheno confermando le parole del Premier. Tra l’altro, considerando che i contratti dipendono dalla situazione politica e questi possono essere congelati se la Serbia non segua una strada "pro-europea" come previsto dall’America, sembra alquanto normale che la Serbia ha deciso di puntare anche su altre controparti per assicurarsi la vendita.
La controparte americana, da parte sua, mostra i suoi dubbi nella paura che, con questo contratto, venga compromessa la credibilità dell’America, come afferma il General Maggiore James Dubic. Infatti, occorre dire che la Remington, è entrata a far parte del patrimonio azionario della Famiglia Bush, tramite la Celebrus Group. Ad ogni modo, è davvero strano che dopo 78 giorni di bombardamento da parte dell'armata più grande del mondo, con lo scopo di distruggere l'industria militare serba, arrivi nelle mani del Governo serbo un contratto che supera la concorrenza delle società americane.

In realtà l’articolo del New York Times si traduce così in una classica disinformazione mediatica, una manipolazione così evidente e assurda, che è servita solo a rimettere in discussione un accordo, di cui l’America non poteva non esserne a conoscenza, per poi deviarne i benefici a favore di altri. Una tesi questa chiara a molti, tranne che ai giornalisti del New York Times, che continuano ad essere dei mercenari nelle mani delle lobby dei produttori di armi. Di questo, e di tanti altri, "attentati" alla solidità e alla credibilità della Serbia, il quotidiano americano dovrebbe porgere le sue scuse ufficiali, con tanta visibilità quanto quella che mostra quando deve condannare e denigrare. È evidente, invece, che dopo l’esplosione di Gerdec e il grande scandalo del contrabbando d’armi, viene colpita non solo la credibilità del Governo albanese, ma viene sabotato un intero circuito di società e contractor. Molti degli accordi e dei contratti in atto sono venuti meno, sono cambiati i patti e alcune alleanze sono state sciolte, mentre si preparano altri scandali per girare il favore del business verso altre entità.

Rinascita Balcanica