Il Governo russo ha imposto l'aumento delle imposte sulle importazioni di automobili straniere, al fine di sostenere la produzione interna. Tuttavia, non sono tardate ad arrivare le manifestazioni di piazza, con sparsi focolai da Mosca a San Pietroburgo, sino all'Estremo Oriente e alla costa russa del Pacifico. Proteste che hanno avuto ovviamente una eco anche sui media esteri, dove già si parla di crisi interna derivante dal pericolo di recessione per la Russia. Il monito del Cremlino è invece volto ad anticipare le gravi conseguenze della crisi che potrebbero ripercuotersi sulla classe media e destabilizzare l'ordine sociale.
Le ripercussioni della crisi economica ed in particolare del settore automobilistico sembra che stiano arrivando anche in Russia, e dopo i primi segnali di rallentamento della produzione industriale di società estere, il Governo decide le prime misure protezionistiche. Il Cremlino ha imposto infatti l'aumento delle imposte sulle importazioni di automobili straniere, al fine di sostenere la produzione interna, e di andare incontro al rischio dell’aumento dei prezzi sul mercato nazionale. La norma protezionistica impone così il doppio delle tasse per l’importazione di vetture e il triplo di quelle relative ai camion. La manovra, dal punto di vista della Russia, ha comunque una motivazione razionale di fondo: aumentando i tassi sulle importazioni, si andrebbe a rendere più competitive non solo le automobili di produzione russa, ma anche quelle degli stabilimenti di investimenti diretti esteri. Inoltre, la spinta inflazionistica dei dazi, potrebbe anche tenere alto il livello dei prezzi, evitando la deflazione sul mercato automobilistico. Il Primo Ministro russo Vladimir Putin ha riconosciuto che la decisione va a colpire gli interessi degli abitanti dell'Estremo Oriente, dove le automobili russe sono due o tre volte più costose di quelle vendute nella regione europea della Russia, in relazione alla differenza connessa ai costi di trasporto. Di conseguenza, Putin ha annunciato che, in sostegno di tale regione, verranno annullati i costi del trasporto ferroviario per le auto dirette dell’estremo oriente russo, promettendo di rivedere le spese di bilancio per compensare le ferrovie in Russia.
Tuttavia, non sono tardate ad arrivare le manifestazioni di piazza, con sparsi focolai da Mosca a San Pietroburgo, sino all'Estremo Oriente e alla costa russa del Pacifico, dove il 90% delle auto usate sono d'importazione giapponese. Nella capitale russa sono stati dispiegati più di 1200 poliziotti per prevenire la degenerazione della manifestazione. Nel corso del fine settimana a Sakhalin, Vladivostok e Irkutsk si sono tenute molte manifestazioni non autorizzate dalle autorità, che sono degenerate come sempre in scontri, tafferugli e arresti, considerando che i manifestanti avevano bloccato le principali arterie della città. A Primorsky (costa russa del Pacifico), nonostante gli scontri del fine settimana, i manifestanti si stanno preparando per nuovi presidi volti a paralizzare il traffico di Vladivostok. Allo stesso tempo, il Partito comunista della Russia ha organizzato questa domenica una protesta contro il governo, l'aumento della disoccupazione e il vertiginoso aumento dei prezzi di prima necessità, chiedendo così le dimissioni dell’esecutivo. La manifestazione si è svolta a Teatralnaya di Mosca, vicino al monumento eretto a Karl Marx: secondo la polizia vi hanno preso parte 35 persone, mentre secondo l’organizzazione erano presenti circa 500 persone.
Le proteste russe hanno avuto ovviamente una eco anche sui media esteri, dove già si parla di crisi interna derivante dal pericolo di recessione per la Russia. In verità, il rischio reale che potrebbe destabilizzare la Russia non è molto diverso da quello che si abbatterebbe sull’Europa o sull’Italia qualora il blocco industriale diventi inevitabile. Il monito del Cremlino è infatti volto ad anticipare le gravi conseguenze della crisi delle case automobilistiche estere che potrebbero ripercuotersi sulla classe media operaia, e rafforzare movimenti popolari, che costituiscono un grave precedente per l’ex federazione comunista. Il controllo della stabilità del settore industriale è, infatti, sempre direttamente proporzionale a quello dell’equilibrio sociale. Così Vladimir Putin ha avvertito le società russe di non far ricorso al licenziamento di massa come forma di leva morale da utilizzare nei confronti dello Stato. "Il Governo non può garantire il benessere delle imprese a spese dei contribuenti - afferma Putin - non siamo in grado di acquistare immobili ai prezzi precedenti senza considerare le esigenze sociali. Il nostro compito è quello di minimizzare la perdita di aziende, e di mantenere la sua capacità di sopravvivenza, ma non di garantire le prestazioni", ha avvertito Vladimir Putin. Pone dunque i primi limiti all’attuazione delle misure a sostegno dell’economia, dopo che autorità finanziarie russe si sono dette pronte ad immettere sul mercato 150 miliardi di rubli (4,116 miliardi di euro), aumentando l'importo degli aiuti per l'economia reale a 325 miliardi di rubli (8,918 miliardi di euro). Il piano economico prevede infatti il graduale ingresso dello Stato all'interno del capitale azionario delle società, con la condizione che la partecipazione statale verrà dismessa dopo la crisi, a condizioni eque onde evitare manovre speculative. Ovviamente, secondo molti, dietro tale manovra si nasconde l’obiettivo della Russia rafforzare il ruolo dello Stato, dal momento che quasi tutte le risorse naturali sono concentrate nelle sue mani. Se da una parte una tale eventualità non è certo da escludere, dall'altra occorre ammettere che il Governo russo sta cercando di giocare d'anticipo su una crisi che rischia di compromettere il lavoro di stabilizzazione dopo il crollo sovietico. Sicuramente, la crisi potrebbe rallentare la marcia di espansione della Russia, ma nei prossimi due anni di recessione diffusa, prevarrà non chi aumenta la produzione, bensì chi arresta il declino e comincia a ripartire. E oggi, mentre Mosca avverte sulle speculazioni e l'abuso del sostegno dello Stato, gli Stati occidentali alimentano questo tipo di distorsioni senza arrestare quelle manovre scorrette che, in fin dei conti, ci hanno trascinato nella situazione attuale.