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26 gennaio 2009

Il traffico di armi tra il Sigurimi e la Camorra


Con l'apertura dei dossier del regime comunista, vengono portati alla luce e pubblicati i documenti che dimostrano i rapporti ventennali tra la Camorra napoletana e il Sigurimi. Questi gestirono insieme il traffico degli armamenti militari, di armi contro mezzi blindati e di armi automatiche adatte alle guerriglie urbane. I rapporti con la Camorra ebbero un raggio d'azione molto ampio, in quanto riuscì occultare la vendita di armi in tutto il Mediterraneo con il traffico di sigarette e di esseri umani.

Con l’apertura dei dossier segreti del Comunismo, cominciano a venire alla luce i primi scioccanti retroscena dello sviluppo delle mafie all’interno del Mediterraneo, e dei loro legali con i servizi segreti degli Stati. I primi documenti segreti riguardano l’esistenza di forti legami tra le forze di sicurezza del regime comunista albanese e la mafia napoletana, che si sono protratti per più di 20 anni. I fascicoli svelano infatti come furono prodotti e trafficati mezzi anticarro e armi automatiche per la guerriglia urbana, ma soprattutto che fine ha fatto il bottino ottenuto dai traffici e come venivano organizzate le transazioni bancarie per il riciclaggio di denaro. Documenti autentici, dimostrano che la Camorra napoletana e la Sicurezza collaborarono per il traffico degli armamenti militari, di armi contro mezzi blindati (missili anticarro) e di armi automatiche adatte alle guerriglie urbane, ossia per la cosiddetta guerra popolare partigiana dei centri abitati. Il traffico di armi portò senz’altro ad una nuova escalation dei rapporti fra il Sigurimi e la Camorra, che ebbero inizio nella metà degli anni '60, e si interrompe dopo il suicidio misterioso del Primo Ministro Mehmet Shehu, per continuare fino all'autunno del 1991, due settimane prima dell'arrivo del contingente della missione “Pelikan” in Albania.

Alla fine del 1983, l`interruzione degli aiuti cinesi avvenuta cinque anni prima, stava causando seri problemi per le casse finanziarie della dittatura comunista, tale che per assicurare la stabilità della valuta albanese, la Sicurezza intraprende attività sempre più oscure, condannabili con il massimo della pena secondo le leggi internazionali. Si fece strada, così, il collegamento italiano con la mafia napoletana, costruito e gestito allo scopo di ottenere fondi sufficienti dal traffico di armi. Ogni operazione veniva coperta con frasi in codice di propaganda, come "La difesa della patria è un dovere sopra ogni dovere", "Combattere, pensare e lavorare come se fossimo accerchiati". Per i contatti diretti con la Camorra necessitavano dei veri e propri negoziatori, e per questo venne dato l'incarico ad uno dei rappresentanti della Sicurezza, l'ex autista dell’Ambasciata albanese nella Repubblica Araba Unita (U.A.R), inviato all' estero su ordine dell`ufficiale superiore del partito B.Angjeli, e con l’autorizzazione dell`organizzazione del PPSH (Partito del Lavoro dell` Albania). A rappresentare la "Camorra" era Michele Zaza, vecchio interlocutore della Sicurezza di Stato, conosciuto in tutto il bacino del Mediterraneo come il numero uno del contrabbando delle "bionde", come venivano chiamate a Napoli le sigarette di contrabbando. L`incontro avvenne in una piccola villa di Posillipo, del quale le autorità italiane ne vennero a conoscenza solo diversi anni più tardi, grazie alla dichiarazioni un po’ approssimate del pentito Pasquale Galasso, della zona del Vesuviano. Il capo degli investigatori della DIA ( Direzione Inchiesta Antimafia) di Salerno, Leonida Primicerio, definì questi contatti come molto problematici, tali da essere riportati ai servizi della intelligence italiana.

Secondo gli accordi, le operazioni di esportazione delle merci sarebbero state assicurate dalla parte italiana, mentre il trasporto sarebbe avvenuto sia attraverso mezzi italiani, che quelli albanesi, come ad esempio i mezzi di alto tonneggio della Flotta d’Esportazione, le navi della Flotta Commerciale e delle valigie diplomatiche. Uno dei boss della Camorra, con dimora provvisoria ad Herstal, Liege, Belgio, alla via “Rue Grand Puits 23”, assicurava la vendita di armi prodotte dall’Albania con una qualità tecnica quasi identica alle armi automatiche delle fabbriche belghe, nonché dei macchinari cechi, cinesi e svedesi (Bofors) . Dell’andamento delle negoziazioni, faceva rapporto ai capi della Sicurezza dello Stato, un agente dal nome di codice "Bibi", inviando un messaggio dalla sede della compagnia “Soko mar” in Svizzera, che fu poi ricevuto dalla compagnia "Albtrans", che copriva le operazioni del contrabbando internazionale organizzate dallo Stato. Per le comunicazioni vennero usate delle apparecchiature di interconnessione Telex, allora molto all’avanguardia. Tali strumenti di trasmissione, di produzione “Sagem”, vennero importante con valuta nazionale dalla Direzione Generale delle Ferrovie Albanesi, che fungeva da importatore legale.

Le negoziazioni dell`affare delle armi automatiche e dei missili anticarro, furono discusse segretamente dai più alti vertici della Sicurezza dello Stato e del Ministero della Difesa, informando Ramiz Alia, Prokop Murra e Hekuran Isai. Lo stesso Vice Ministro degli Affari Interni, Zylyftar Ramizi, nel marzo del 1984, emette un ordine, scritto a mano, sulle modalità e i prezzi per l’importazione delle armi automatiche e dei missili. Le direttive vennero trasmesse con telex in Italia, e i vertici della Camorra conclusero la transazione. Non sono state però trovate le prove che sia stato informato anche Enver Hoxha, il cui stato di salute si era molto aggravato, proprio nel periodo in cui venivano realizzate queste vendite. Le negoziazioni preliminari sono totalmente comprovate dalla documentazione e dalla corrispondenza del tempo, che mostra come venne organizzata sotto tutti gli aspetti - come il prezzo, le modalità di pagamento, il costo di trasporto, la quantità, l`imballaggio, e le misure di segretezza - dell`importazione di armi automatiche con calibro 9 mm e dei missili anticarro con raggio d’azione di 900 yard (800 metri) e una potenza perforante di 300 mm. I rappresentanti della "Camorra", dopo le ispezioni presso le fabbriche segrete militari a Cekin, Polican e la Fabbrica dell'Artiglieria, offrirono alla Sicurezza di Stato i loro quattro esperti, altamente qualificati, per monitorare la produzione in Albania delle armi. Le forze albanesi dovevano produrre fino a 200 mila pezzi in 3-4 anni, destinati sia all'esercito albanese che all'esportazione. A quel tempo, l'arsenale delle Forze Armate Albanesi erano di soli 250 mila AK-47 (kalashnikov) di produzione russa, cinese e albanese. I primi contingenti di armi automatiche e di vari tipi di missili pronti all'uso, dotati anche di mire ottiche, arrivarono in Albania dalla fabbrica produttrice in Belgio.

Così, più che servire alla difesa della patria socialista, le spedizioni di armi servirono all'arricchimento degli arsenali della "Camorra", per venderli al Paese vicino attraverso i canali del contrabbando degli scafi blu. Tale quantità di armamenti, poco dopo l`incidente con la famiglia Popa, giunsero a Napoli, e vennero stoccate in un edificio accanto al Campo Santo di Poggio Reale, in via “Santa Maria del Pianto”, per essere poi trasferiti nel deposito di un'officina metalmeccanica della zona di Afragola. È importante osservare che i profitti ottenuti dalla vendita delle armi, vennero usati per l`alta nomenclatura comunista e per il rafforzamento della dittatura del proletariato. Una parte della valuta forte fu usata per trasformare in blindata la "Mercedes" di Ramiz Alia e Adil Carcani, e per acquistare una “Range Rover”. La compagnia che si occupò del blindamento degli automezzi era tedesca, mentre i pagamenti avvennero attraverso una banca svizzera. Con la stessa quantità di valuta furono acquistati in Svezia degli apparecchi di rilevamento di radiazioni, definiti “dosimetri” o “Gayger counter”. Grazie all`intermediazione delle compagnie controllate dalla "Camorra", furono acquistate delle monete spagnole, night-sticks (manganelli di gomma), shock granades (granate che feriscono, ma non uccidono) ed agenti aggressivi chimici del tipo “incapacitating” (che tolgono la capacità di reagire). Questo arsenale venne dato in dotazione alla polizia e all'esercito albanese, con le relative istruzioni per il loro utilizzo contro le folle di dimostranti.

I missili vennero invece trafficati verso la Palestina, e in particolare venduti al Gruppo di George Habash, di una frazione libanese legata al leader locale Walid Jumblad. Al contrario, le mitragliatrici contraffatte dei Cekin di Gramsh (Albania) furono vendute ai terroristi dell’Irlanda del Nord, i corpi del reggimento per la difesa di Ulster, nella periferia dell`est della città di Londonderry. Il NCIS britannico (Servizio Nazionale di Investigazione Criminale) seguì le tracce delle armi fino a arrivare ad un camion ad alto tonneggio albanese, giunto in Inghilterra nel periodo in cui tra i due Paesi vi erano ancora dei rapporti, diplomatici per importare merci di comfort per conto di una compagnia statale albanese, con sede in via “4 Shkurti” a Tirana.
I rapporti con la Camorra ebbero, dunque, un raggio d'azione molto più ampio di una semplice operazione di "criminalità organizzata", in quanto venne studiata nei minimi dettagli e riuscì occultare la vendita di armi in tutto il Mediterraneo con il traffico di sigarette e di esseri umani. Ciò lascia sospettare che difficilmente la Camorra e il Sigurimi albanese abbiano agiti da soli, e che in realtà fossero parte di una rete criminale molto estesa, in cui hanno avuto un ruolo gli stessi servizi segreti deviati di molti Stati occidentali.

Rinascita Balcanica