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20 gennaio 2009

Il monito della Russia verso Balcani ed Europa


Sembra che sia realmente cessata la lite senza fine tra Russia e Ucraina, con la ratifica da parte di Vladimir Putin e Yulia Tymochenko dei due contratti risolutivi. L’esito positivo della controversia può senz’altro essere salutato come un successo diplomatico , ma lascia comunque una profonda amarezza per come è stata gestita questa crisi del transito, o guerra del gas. Tutto lascia pensare ad un monito di Mosca verso i Balcani e l'Europa.

L'Ucraina ha riattivato il flusso di gas russo cominciando ad iniettare gas nella rete di distribuzione per riprendere così il transito verso l’Europa sospeso il 7 gennaio. I cancelli vicino Sumy sono stati riaperti e la stazione di controllo a Soudja, sul confine russo-ucraino, sta o ricevendo il gas. Progressivamente Gazprom riaprirà altre vie di transito attraverso l'Ucraina, sino a raggiungere un flusso di 400 milioni di metri cubi di gas al giorno, per poi giungere in Europa dopo 36 ore dall’inizio della fornitura. Sembra che sia realmente cessata la lite senza fine tra Russia e Ucraina, con la ratifica da parte di Vladimir Putin e Yulia Tymochenko dei due contratti risolutivi, in base ai quali l'Ucraina riceverà nel 2009 uno sconto del 20% sul prezzo del gas russo, ma il prezzo medio imposto sul mercato europeo sarà pari ai 450 dollari per 1.000 m3; in contropartita la Russia pagherà il transito allo stesso prezzo del 2008, fissato a 1,7 dollari per 1.000 m3 per 100 km. Putin ha spiegato che l’accordo di transito tra Gazprom e Naftogaz Ukraine, si estenderà su più di dieci anni, dal 2009 al 2019, in una prospettiva di lungo termine che permetterà - a suo dire - di gestire meglio i rapporti di fornitura e consegna ai cittadini europei. Ha assicurato che, da questo momento in poi, non sarà più necessario controllare il transito del gas russo verso l'Europa attraverso l'Ucraina, mentre saranno eliminati ogni tipo di relazione intermedia, escludendo dal sistema di regolamentazione del gas le strutture intermedie di ogni genere.

L’esito positivo della controversia può senz’altro essere salutato come un "successo diplomatico", ma lascia comunque una profonda amarezza per come è stata gestita questa crisi del transito - o guerra del gas - sia da parte della Russia che dell’Unione Europea. Mentre Mosca ha mosso in assoluta libertà le sue pedine per la risoluzione di questa crisi, i Paesi Europei sono stati in balia degli "umori dei due litiganti", senza mai entrare veramente nel cuore della questione. L’Europa è stata coinvolta, è vero, tuttavia in maniera molto superficiale e forse solo per placare l’allarmismo di Barroso o della Merkel. È stata creata la squadra di osservatori internazionali che però non ha mai avuto realmente accesso agli impianti, in quanto le era stato chiesto di "constatare" semplicemente che la responsabilità dell’interruzione del gas fosse dell’Ucraina, e non della Russia. Vista la loro inefficacia, le società energetiche hanno proposto la creazione di un consorzio internazionale che sia l’unico intermediario tra Gazprom e Naftogaz, ma anche su questo fronte vi è stato un timido accenno e poi nessun’altra spiegazione, tale che abbiamo seri dubbi che questo progetto sarà veramente portato termine. Tutti questi tentativi andati a vuoto, non fanno che confermare l’impressione iniziale, ossia che le controversie tra Ucraina e Russia sono delle semplici "scosse di assestamento" del mercato del gas che vuole sganciarsi progressivamente dal dollaro e dal petrolio per avere una propria struttura a sé stante, in cui i ruoli di consumatore, fornitore ed intermediario sono ben definiti.

Per tale motivo, il coinvolgimento dell’Europa - a nostro parere - ha solo allungato i tempi della risoluzione della controversia, perché ogni colloquio bilaterale tra Gazprom e Naftogaz ha dovuto aspettare la lenta macchina burocratica dell’Unione Europea, con i suoi esperti e i suoi osservatori. Evidentemente la Russia ha voluto dimostrare all’Europa che non vi sono molte alternative al gas russo, e tutto ciò che può fare è "mettere mano al portofoglio" per privatizzare parte della sua struttura gassifera, investire in progetti comuni e offrire sbocchi sul mare per l’attracco di petroliere e lo sbocco di gasdotti strategici. Occorre inoltre riflettere sul fatto che i Paesi più colpiti sono stati proprio quelli della regione balcanica, che non hanno ancora intrapreso gli investimenti necessari per accumulare le riserve energetiche strategiche o per diversificare le proprie fonti di approvvigionamento. Da questo punto di vista, il taglio del gas a Paesi come Croazia, Bosnia e Serbia si è tradotto in un vero e proprio avvertimento per una più rapida risoluzione degli accordi, e per la concessione di importanti sbocchi sul mare adriatico. La Russia ha fatto ben capire alle ex Repubbliche jugoslave come stanno davvero le cose, e l’Europa non potrà fare altro che accettare le condizioni imposte da Mosca. Questo non perché Mosca sia più forte diplomatica, ma perché l’Europa stessa ha permesso che il suo mercato interno fosse lacerato dalle catene di speculatori, o che il settore energetico venisse gestito in maniera anti-economica e senza una prospettiva di lungo termine. L’Europa non potrà mai dire un giorno che la Russia non vuole darle il gas, perché si troverà dinanzi alla scelta obbligata di mettere fuori mercato le multinazionali che hanno speculato contro gli interessi dei cittadini europei.

Tutti i vecchi piani energetici si sono inesorabilmente sfaldati, ed è partita ormai la corsa per la costruzione di centrali, rigassificatori e nuove pipelines. Allo stesso modo, emergono nuovi giocatori che prendono posizioni sulla scacchiera dell’Europa sud-orientale. Prima tra tutte, è l’Italia, portaerei del Mediterraneo, che ha sottoscritto un accordo energetico con la Russia molto più complesso del progetto del Sud Stream, al fine di creare l’asse Roma-Belgrado-Mosca. Un accordo che porterà l’Italia per la prima volta nei Balcani come punto di riferimento e vero intermediario per accedere a Bruxelles, considerando che ha avuto sempre un ruolo di bassa rilevanza. E così la Farnesina sosterrà la Croazia se questa concederà vere garanzie sulla risoluzione delle controversie ereditate dal passato, e lo stesso farà con Serbia e Montenegro. La controparte occidentale in passato ha obbligato i nuovi Governi dei Balcani ad abbracciare politici ed ex ladri di galline, marescialli di bassa leva dando loro una credibilità gratuita, proprio perchè americani e inglesi hanno manipolato la politica e la storia del crollo della Jugoslavia. La dimostrazione è proprio la considerazione che i media hanno sempre fatto un’informazione sterile sui Balcani, definendosi esperti conoscitori di questi Paesi, ma in realtà hanno solo contribuito a fomentare gli odi interetnici finanziando organizzazioni e campagne propagandistiche. Oggi qualcosa potrebbe cambiare e la crisi economica, e la stessa integrazione dei Balcani in Europa, potrebbero essere i vettori per imporre un "new deal" sulla questione energetica e sulla divisione delle zone strategiche di influenza nel Sud-Est Europeo. È ora in moto una complessa macchina diplomatica, fatta non solo di ambasciatori ma anche di imprese e di investitori, per la creazione di un vero polo energetico del Mediterraneo, basato sulla condivisione di risorse e servizi.